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Gli sguardi dell’abisso

di Luigi Nepi*
  La mafia non è più quella di una volta
Data di pubblicazione su web 29/09/2019  

Alla fine di un concorso che non ha riservato molti acuti (Polansky, Soderbergh, Phoenix… e in certa misura anche Marcello e Martone), un ultimo lampo arriva proprio in chiusura ed è quello di Franco Maresco e del suo La mafia non è più quella di una volta. Cinque anni dopo Belluscone. Una storia siciliana (presentato sempre a Venezia, ma fuori concorso), l’autore palermitano continua la sua personale autopsia antropologica su un corpo sociale ancora incredibilmente vivo, molto più florido e pervasivo di quanto non si pensi, scegliendo questa volta di condividere il suo “cinico” punto di vista con quello della grande fotografa Letizia Battaglia, accompagnandola nel suo ritorno a Palermo il 23 maggio 2017, il giorno del venticinquesimo anniversario della morte di Falcone.

Nasce così un altro film diviso in due: da un lato i percorsi, le aspettative ma anche le perplessità della Battaglia nella Palermo delle commemorazioni; dall’altro la vivisezione di quel “ventre molle” di una realtà ancora oggi costantemente immobile, orgogliosamente refrattaria a qualsiasi cambiamento, che continua ostinatamente a non mettere in discussione il suo antico, omertoso atteggiamento verso il concetto stesso di “mafia”. Sineddoche e contemporaneamente metonimia di questo mondo è ancora quel Ciccio Mira, impresario e organizzatore di feste di piazza (sorta di Broadway Danny Rose del sottobosco neomelodico siciliano) che, alla fine di Belluscone, avevamo lasciato agli arresti per associazione mafiosa. Qui lo ritroviamo, con il suo nuovo parterre di “artisti”, nel luglio sempre del 2017, a organizzare, non senza sorpresa, la manifestazione “Neomelodici per Falcone e Borsellino”, in occasione del corrispondente anniversario della strage di via d’Amelio, per di più in uno dei luoghi simbolo di questo “ventre molle”: il quartiere ZEN di Palermo dove, ovviamente, nessuno dei partecipanti se la sente di gridare il suo “no alla mafia”.


Una scena del film
© Biennale Cinema 2019

«Io ora organizzo lo spettacolo per Falcone e Borsellino. Anni fa l’ho organizzato per qualche boss di mafia». «Ma quindi è come fosse un impresario di pompe funebri?». «Sì!». 

È da questo dialogo con la voce fuori campo del regista che emerge la “filosofia” dell’ineffabile Ciccio Mira, tragicomico controcanto in bianco e nero della bella e colorata storia dell’ultraottantenne Battaglia che, tra memoria e futuro, gira per le strade della “sua” Palermo con la reflex costantemente al collo, ancora piena di energia, progetti e prospettive, come la direzione del finalmente aperto Centro Internazionale di fotografia di Palermo. 

Dall’altra parte Mira e il suo impassibile sodale Matteo Mannino continuano imperterriti a organizzare l’evento che, nonostante i capricci del nuovo “cantante” Cristian Miscel (sic), le rinunce dell’ultimo momento e la paura di minacce o ritorsioni, va regolarmente in scena. Ed è proprio davanti al palchetto montato in una strada dello ZEN che le traiettorie inconciliabili dei due protagonisti arrivano quasi a incrociarsi. Maresco riesce infatti a portare Letizia Battaglia alla manifestazione, dove però lei “resiste” molto poco, chiedendo di essere portata subito via e apostrofando con un sonoro “vaffa...” il tentativo del regista di farla restare. Contemporaneamente proprio dietro a quel palco i microfoni della troupe catturano l’audio delle reali minacce che un uomo non ben identificato rivolge a Mannino perché faccia finire subito la manifestazione. È qui che Ciccio Mira decide di andare avanti, mentre il suo socio scappa, rinchiudendosi in casa in preda a una crisi di panico depressiva.


Una scena del film
© Biennale Cinema 2019

Film senza attori, documentario senza documenti (come lo “svelamento” dei venti miliardi di lire dati da Bontade a Berlusconi per fondare Mediaset in Belluscone, oppure la storia del rapporto tra la famiglia Mira e quella dell’attuale presidente della Repubblica Mattarella in questo film), il cinema di Maresco si conferma essere come un tipico piatto povero delle tradizioni popolari, fatto spesso con ingredienti di scarto o comunque improbabili, che può presentare odori respingenti o sapori decisamente forti; uno di quei piatti non certo per tutti, ma che bisogna avere il coraggio di provare, se si vuole davvero venire in contatto con quella determinata realtà. 

Qui la catatonia di Matteo Mannino, gli evidenti problemi psichici di Cristian Miscel fanno inevitabilmente sorgere l’eterno dubbio se ci troviamo di fronte a un’ulteriore esposizione di marginali freak, a un’inutile messa in ridicolo del “caso umano” o addirittura alla spettacolarizzazione della malattia mentale, oppure se tutto questo non sia che una straziante, disperata e necessaria riflessione di e su un diffuso paesaggio umano in continua desertificazione. Maresco chiaramente non offre risposte, ma “cinicamente” – anzi forse sarebbe meglio dire “autocinicamente” – si mette in gioco rendendo plausibili tutte queste interpretazioni. 

Uno dei più famosi aforismi di Nietzsche avverte che «chi lotta con i mostri deve guardarsi dal non diventare con ciò un mostro, e se guarderai a lungo in un abisso, anche l’abisso guarderà in te». La mafia non è più quella di una volta ci mostra proprio gli sguardi che arrivano da quell’abisso; sguardi che sulle prime divertono, poi sconcertano, ma che, alla fine, inevitabilmente ci interrogano su come tutto questo sia ancora davvero possibile.


*Docente a contratto di Laboratorio di critica cinematografica presso l’Università di Firenze.
Impaginazione di Ludovico Peroni, dottorando in Storia dello spettacolo presso l’Università di Firenze.



La mafia non è più quella di una volta
cast cast & credits
 

il regista Franco Maresco
Il regista Franco Maresco


 
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