Una scena del film
© Biennale Cinema 2019
«Io ora organizzo lo spettacolo per
Falcone e Borsellino. Anni fa lho organizzato per qualche boss di mafia». «Ma
quindi è come fosse un impresario di pompe funebri?». «Sì!».
È da questo dialogo con la voce fuori
campo del regista che emerge la “filosofia” dellineffabile Ciccio Mira, tragicomico
controcanto in bianco e nero della bella e colorata storia dellultraottantenne
Battaglia che, tra memoria e futuro, gira per le strade della “sua” Palermo con
la reflex costantemente al collo, ancora piena di energia, progetti e
prospettive, come la direzione del finalmente aperto Centro Internazionale di
fotografia di Palermo.
Dallaltra parte Mira e il suo impassibile
sodale Matteo Mannino continuano
imperterriti a organizzare levento che, nonostante i capricci del nuovo
“cantante” Cristian Miscel (sic), le
rinunce dellultimo momento e la paura di minacce o ritorsioni, va regolarmente
in scena. Ed è proprio davanti al palchetto montato in una strada dello ZEN che
le traiettorie inconciliabili dei due protagonisti arrivano quasi a incrociarsi.
Maresco riesce infatti a portare Letizia Battaglia alla manifestazione, dove
però lei “resiste” molto poco, chiedendo di essere portata subito via e
apostrofando con un sonoro “vaffa...” il tentativo del regista di farla restare.
Contemporaneamente proprio dietro a quel palco i microfoni della troupe
catturano laudio delle reali minacce che un uomo non ben identificato rivolge
a Mannino perché faccia finire subito la manifestazione. È qui che Ciccio Mira
decide di andare avanti, mentre il suo socio scappa, rinchiudendosi in casa in
preda a una crisi di panico depressiva.
Una scena del film
© Biennale Cinema 2019
Film senza attori, documentario senza
documenti (come lo “svelamento” dei venti miliardi di lire dati da Bontade a
Berlusconi per fondare Mediaset in Belluscone,
oppure la storia del rapporto tra la famiglia Mira e quella dellattuale
presidente della Repubblica Mattarella
in questo film), il cinema di Maresco si conferma essere come un tipico piatto
povero delle tradizioni popolari, fatto spesso con ingredienti di scarto o
comunque improbabili, che può presentare odori respingenti o sapori decisamente
forti; uno di quei piatti non certo per tutti, ma che bisogna avere il coraggio
di provare, se si vuole davvero venire in contatto con quella determinata
realtà.
Qui la catatonia di Matteo Mannino, gli
evidenti problemi psichici di Cristian Miscel fanno inevitabilmente sorgere
leterno dubbio se ci troviamo di fronte a unulteriore esposizione di
marginali freak, a uninutile messa in ridicolo del “caso umano” o addirittura
alla spettacolarizzazione della malattia mentale, oppure se tutto questo non
sia che una straziante, disperata e necessaria riflessione di e su un diffuso paesaggio
umano in continua desertificazione. Maresco chiaramente non offre risposte, ma
“cinicamente” – anzi forse sarebbe meglio dire “autocinicamente” – si mette in
gioco rendendo plausibili tutte queste interpretazioni.
Uno dei più famosi aforismi di Nietzsche avverte che «chi lotta con i mostri deve guardarsi dal non
diventare con ciò un mostro, e se guarderai a lungo in un abisso, anche
labisso guarderà in te». La mafia non è
più quella di una volta ci mostra proprio gli sguardi che arrivano da
quellabisso; sguardi che sulle prime divertono, poi sconcertano, ma che, alla
fine, inevitabilmente ci interrogano su come tutto questo sia ancora davvero possibile.
*Docente a contratto di Laboratorio di critica cinematografica presso lUniversità di Firenze.
Impaginazione di Ludovico Peroni, dottorando in Storia dello spettacolo presso lUniversità di Firenze.