Se
laggettivo virile non fosse di questi tempi impraticabile diremmo che il film
di Roman Polanski lo merita appieno.
Non vorremmo però riscatenare aggiornate Menadi e ci limiteremo a considerarlo
tra le opere egregie di questa edizione della Mostra darte cinematografica di
Venezia. Jaccuse è un rigoroso film
storico. Che prende di petto una delle vicende più note e più sconfortanti
della storia tra fine Ottocento e inizi Novecento: il tristemente celebre caso
Dreyfus.
Negli
anni bui di una Francia umiliata dai disastri della guerra franco-prussiana e dalla
perdita delle regioni dellAlsazia e della Lorena, il giovane ufficiale
dellesercito francese, alsaziano di origine ebraica, Alfred Dreyfus divenne il
capro espiatorio della rabbia dei vertici militari colpevoli della sconfitta. Con
la connivenza di un governo parimenti bisognoso di giustificazioni. Laccusa di
spionaggio a favore del nemico venne confortata da una ben orchestrata solidarietà
istituzionale che contribuì a fomentare lo strisciante antisemitismo. Lufficiale
fu condannato.
Una scena del film
© Biennale Cinema 2019
Polanski
attacca in medias res, con la
folgorante cerimonia della degradazione che vede luomo, immiserito
dallumiliazione, privato di tutti i simboli della dignità militare e poi
inviato ai confini del mondo. Quello che interessa Polanski, e che istruisce a
meraviglia, è il processo al processo. Il film si snoda con la forza del legal thriller, affidato alle indagini
di Georges Picquart, capo dello spionaggio militare, che ripercorre con
determinazione implacabile tutte le tappe della congiura. Con laiuto di un
giornalismo libero e coraggioso. Quello che permise a Émile Zola di lanciare dalle pagine dell«Aurore» il celebre “Jaccuse”
che, chiamando sul banco degli imputati lintera classe politico-militare,
contribuì ai successivi rivolgimenti politico-sociali. Sia Zola che Picquart pagarono di persona ma alla
fine lufficiale venne riabilitato e Picquart venne addirittura chiamato al
ruolo di ministro della guerra nel 1906 nel governo Clemenceau.
Una scena del film
© Biennale Cinema 2019
Lestensione
cronologica della vicenda è molto ampia ma il regista riesce a dipanarla con
grande chiarezza e a concentrare nella sceneggiatura, di cui è autore assieme a
Robert Harris, la lucidità
dellinsieme e la precisione del dettaglio.
Senza perdere la presa dipana il suo personale atto di accusa (velato di
un lieve tratto autobiografico?) e tiene inchiodato lo spettatore attraverso
labirintici ma nitidissimi percorsi. E alla fine riesce, attraverso un
protagonista assoluto (leccellente Jean
Dujardin che mette in ombra il deuteragonista Louis Garrel) a costruire un film corale. Ma non perché presenti
alla sbarra molti imputati o perché di tanto in tanto faccia comparire la massa
dei cittadini quanto perché riesce a dare, attraverso il rigoroso accertamento della
verità e delle responsabilità individuali, il senso della responsabilità
collettiva. E a sottolineare con grande forza quali distorsioni possono
nascondersi sotto la motivazione degli interessi nazionali.