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Jean Louvet

Théâtre 4
La nuit de Courcelles. L’annonce faite à Benoît. Le coup de Semonce. Madame Parfondry est revenue. Devant le mur élevé. Pierre Harmignie, numéro 17 - Prêtre
A cura di Vincent Radermecker
sous la direction de Marc Quaghebeur

Bruxelles, Archives et Musée de la Littérature, 2017, 768 pp., euro 40,00
ISBN 13-978-2507055400

Del drammaturgo e intellettuale belga Jean Louvet (1934-2015) ho recensito su «Drammaturgia» le ultime quattro pièces che possono essere considerate quasi il suo testamento. È ora la volta del quarto volume del suo Théâtre contenente sei testi scritti e rappresentati dal 1994 al 2005, fra i quali un inedito. Una rassegna di motivi e forme dalle costanti riconoscibili, nella piena maturità di un’opera prolungata e copiosa.

La mémoire, l’absence, la figure intitola Marc Quaghebeur la sua Introduzione, in un omaggio che oltre l’apprezzamento affettuoso è vaglio critico rigoroso. Per Quaghebeur, Louvet ha introdotto «l’Histoire au cœur de l’intime [...]. Il touche une nouvelle fois à plusieurs faits essentiels de l’Histoire de la Wallonie et de la Belgique» (p. 5). 

La nuit de Courcelles, partendo dallo storico massacro compiuto a Courcelles dai rexistes (nazisti belgi) il 18 agosto 1944, incontra difficoltà di composizione. Jean Louvet collabora con Armand Deltenre, cultore di storia belga e dialetti locali, a una complessa scrittura scenica, articolata su quattro livelli corrispondenti a quattro spazi diversi: Mémoire, Coulisses, Fiction e Histoire. Una drammaturgia che, alternando il gioco del teatro-nel-teatro e scene inventate a momenti reali, fa rivivere la rappresaglia inflitta a diciannove abitanti della cittadina belga. Il testo fu rappresentato nel settembre del 1994 da una compagnia semi-professionale (con quarantacinque interpreti e tre registi). Suscitò un acceso dibattito incrementando una partecipazione già viva grazie a manifestazioni pubbliche: le vittime, fra le quali il sacerdote Pierre Harmignie, venivano commemorate ufficialmente dalla Chiesa cattolica (gli autori torneranno sul tema dedicando una pièce alla figura del prete). Il testo, scrupoloso nei particolari documentari e nel linguaggio, rende quel moto peculiare che Louvet ama imprimere alla sua scrittura, intreccio di verità e di poesia. Discussione pubblica e sentimenti personali si fondono nelle varianti di scontri fra personaggi storici e gente comune. I cattolici democratici s’oppongono ai rexistes; Léon Degrelle, capo del movimento d’estrema destra REX e ammiratore del Führer, proclama: «Je l’ai vu Hitler, c’est un géant» (p. 136). Emersi dalla fiction, due innamorati militanti nella Resistenza s’incontrano e si separano. Il finale è affidato a una donna scampata alla strage, che rievoca il tragico evento, “accordandosi” al lontano latrare del suo cane.

Segue L’annonce faite à Benoît, testo dall’apparenza intimista ma aspra denuncia dei guasti della società dell’indifferenza e dalla venalità consumistica. Due personaggi recitano un dialogo paradossale sul filo di una menzogna insistita e giocata su azioni e reazioni a distanza di tempo e di luogo. Rappresentato con la regia di Frédéric Dussenne (che aveva immaginato di abbinarlo a Pain dur di Claudel) nel marzo 2001, lo spettacolo proponeva soluzioni registiche originali, interferendo surrealisticamente con l’ambientazione in un supermercato.

Insiste nell’indagine sull’identità storica belga Le Coup de semonce dedicato al Congresso nazionale del 1945 sulla questione vallona e sul tentativo di sistemazione politica d’uno stato sempre diviso. Scritto su commissione, articolato in trentasei quadri e rappresentato a Liegi nel 1995. Afferma l’autore: «J’ai voulu un spectacle très clair, un théâtre documentaire, une leçon d’histoire théâtralisée» (p. 286). Da qui, la proposta di scelte strutturali e formali discutibili, non adeguate a un’estetica ambiziosa. Lo rileva il curatore: «Le ton de plaidoirie du tout s’avère très lourd, le lyrisme des scènes intercalaires pèse aussi. Un peu comme ces gâteaux trop riches en crème» (p. 287), sebbene l’illustrazione degli eventi trovi spesso efficacia nel ricorso allo stile brechtiano. Quando a chiusura del Congresso la proposta federalista prevale, i protagonisti la percepiscono come un «coup de canon à blanc», una cannonata a salve, o un «coup de semonce» (colpo d’avvertimento) (p. 362). Sicché lo sguardo in prospettiva riassume entusiasmo, speranza e delusione in un popolo che malgrado il suo sacrificio deve temere le difficoltà future. Fra i commenti va ricordato quello di Jacques Delcuvellerie, animatore di Groupov e creatore di Ruwanda (2002), che sfoggia categorie semiotiche applicate allo spettacolo e conclude sulle difficoltà di armonizzare documento e rappresentazione (p. 305).

Madame Parfondry est revenue (rappresentato nel 1998, finora inedito) è una temeraria allegoria dell’identità sempre sfuggente della Wallonie, che Louvet coglie nel suo stato di umiliazione profonda. Come afferma Quaghebeur, «le combat wallon de Jean constitue aussi – et d’abord peut-être – un combat pour le respect d’une collectivité deniée, défigurée» (p. 11). Le parole-chiave contengono azioni latenti: «Pour où faut-il aller? […] Avant, on savait: on avait des flèches […]. Il faut marcher» (pp. 461-462). Brevi dialoghi di personaggi del popolo, artigiani, operai, contadini, si caricano d’una tensione al limite della metafisica, in un’attesa quasi escatologica. Nel paese immaginario di Felgazoar (dove la lingua è grammelot), un attore reca con sé il cappotto, il cappello, la borsa della scomparsa che, indossati, connotano la figura misteriosa: «Madame Parfondry est revenue!», è lo scherzo scenico dell’ultima battuta.

In un’intervista, l’autore dichiara: «l’homme de Devant le mur élevé est d’une fragilité extrême, d’une solitude vertigineuse, mais il parle, il parle, il parle» (p. 639). S’interroga sul senso dell’umanità, minacciata dai poteri incontrollabili della scienza, ma sconfessa anche le forze dell’inconscio responsabili del processo creativo. Motiva la scelta formale del monologo quale «justification de la parole de l’homme seul» (p. 637). In questo dramma solitario e sommesso, un uomo (modellato dall’espressionismo) parla a un altro, assente; poi a una donna, assente anch’ella alla quale finisce per scrivere una lettera. Nell’alternativa se spedirla o meno, l’esitazione narcisista lo fa sentire irrimediabilmente «exclu» (p. 638). Un testo rimaneggiato continuamente, teso a cogliere il «mystère de l’homme» (p. 555) senza soddisfare né l’autore né gli interpreti potenziali.   

Focalizzata sul personaggio del prete, già apparso nella vicenda di Courcelles, l’azione di Pierre Harmignie, numéro 17 - Prêtre, rinnova una ricerca e una speranza che vincano l’orrore. Scritta ancora con Deltenre e rappresentata nel 2005, col concorso di due compagnie dialettali sulle quali l’influenza di Louvet è sensibile attraverso la mediazione del regista Michel Meurée, abile nell’armonizzare lingua e dialetto. Il risultato, nel testo e sulla scena, è apprezzabile per la capacità di fondere l’elemento poetico con quello politico (p. 687). Un’eco è rilevata: «Il fait appel à une distanciation à la Brecht, avec chant et récitant, de sorte qu’un ‘double imaginaire’ de ce qu’il entend et voit soit créé par et pour le spectateur» (p. 678). Pure un’eco di Claudel è segnalata: nei versetti che marcano certi passaggi lirici, nonché nel titolo scelto per L’annonce faite à Benoît. Il martirio del protagonista, che per il cristiano è testimonianza di fede, per l’autore è testimonianza e compassione umana. Lo mostra anche nelle due preghiere, quando padre Pierre «consacre sa prière au peuple de Charleroi» (p. 712) e quando innalza un lamento biblico, un riconoscimento evangelico delle miserie umane, in versi coralmente intonati (pp. 727-728). Le diffusissime Note e un Dossier di varianti sostanziano la presentazione critica dei testi mediante le rispettive Introduzioni.


di Gianni Poli


La copertina

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