Del drammaturgo e intellettuale
belga Jean Louvet (1934-2015) ho recensito
su «Drammaturgia» le ultime quattro pièces che possono essere considerate quasi
il suo testamento. È ora la volta del quarto volume del suo Théâtre contenente sei testi scritti e
rappresentati dal 1994 al 2005, fra i quali un inedito. Una rassegna di motivi
e forme dalle costanti riconoscibili, nella piena maturità di unopera prolungata
e copiosa.
La mémoire, labsence, la figure intitola Marc Quaghebeur la sua Introduzione,
in un omaggio che oltre lapprezzamento affettuoso è vaglio critico rigoroso. Per
Quaghebeur, Louvet ha introdotto «lHistoire au cœur de lintime [...]. Il touche une nouvelle fois à plusieurs
faits essentiels de lHistoire de la Wallonie et de la Belgique» (p. 5).
La nuit de Courcelles, partendo dallo storico massacro compiuto a Courcelles
dai rexistes (nazisti belgi) il 18
agosto 1944, incontra difficoltà di composizione. Jean Louvet collabora con Armand Deltenre, cultore di storia belga
e dialetti locali, a una complessa scrittura scenica, articolata su quattro
livelli corrispondenti a quattro spazi diversi: Mémoire, Coulisses, Fiction e Histoire. Una drammaturgia che, alternando
il gioco del teatro-nel-teatro e scene inventate a momenti reali, fa rivivere la
rappresaglia inflitta a diciannove abitanti della cittadina belga. Il testo fu
rappresentato nel settembre del 1994 da una compagnia semi-professionale (con
quarantacinque interpreti e tre registi). Suscitò un acceso dibattito incrementando
una partecipazione già viva grazie a manifestazioni pubbliche: le vittime, fra
le quali il sacerdote Pierre Harmignie,
venivano commemorate ufficialmente dalla Chiesa cattolica (gli autori
torneranno sul tema dedicando una pièce
alla figura del prete). Il testo, scrupoloso nei particolari documentari e nel
linguaggio, rende quel moto peculiare che Louvet ama imprimere alla sua
scrittura, intreccio di verità e di poesia. Discussione pubblica e sentimenti
personali si fondono nelle varianti di scontri fra personaggi storici e gente
comune. I cattolici democratici soppongono ai rexistes; Léon Degrelle,
capo del movimento destrema destra REX e ammiratore del Führer, proclama: «Je
lai vu Hitler, cest un géant» (p. 136). Emersi dalla fiction, due innamorati militanti nella Resistenza sincontrano e
si separano. Il finale è affidato a una donna scampata alla strage, che rievoca
il tragico evento, “accordandosi” al lontano latrare del suo cane.
Segue Lannonce faite à Benoît, testo dallapparenza intimista ma aspra
denuncia dei guasti della società dellindifferenza e dalla venalità
consumistica. Due personaggi recitano un dialogo paradossale sul filo di una menzogna insistita e giocata su azioni e reazioni
a distanza di tempo e di luogo. Rappresentato con la regia di Frédéric Dussenne
(che aveva immaginato di abbinarlo a Pain
dur di Claudel) nel marzo 2001, lo spettacolo proponeva soluzioni
registiche originali, interferendo surrealisticamente con lambientazione in un
supermercato.
Insiste nellindagine sullidentità
storica belga Le Coup de semonce
dedicato al Congresso nazionale del 1945 sulla questione vallona e sul
tentativo di sistemazione politica duno stato sempre diviso. Scritto su
commissione, articolato in trentasei quadri e rappresentato a Liegi nel 1995. Afferma
lautore: «Jai voulu un spectacle
très clair, un théâtre documentaire, une leçon dhistoire théâtralisée» (p.
286). Da qui, la proposta di scelte strutturali e formali discutibili, non
adeguate a unestetica ambiziosa. Lo
rileva il curatore: «Le ton de plaidoirie du tout savère très lourd, le
lyrisme des scènes intercalaires pèse aussi. Un peu comme ces gâteaux
trop riches en crème» (p. 287), sebbene lillustrazione degli eventi trovi
spesso efficacia nel ricorso allo stile brechtiano. Quando a chiusura del
Congresso la proposta federalista prevale, i protagonisti la percepiscono come
un «coup de canon à blanc», una cannonata
a salve, o un «coup de semonce» (colpo davvertimento) (p. 362). Sicché lo
sguardo in prospettiva riassume entusiasmo, speranza e delusione in un popolo
che malgrado il suo sacrificio deve temere le difficoltà future. Fra i commenti
va ricordato quello di Jacques
Delcuvellerie, animatore di Groupov
e creatore di Ruwanda (2002), che
sfoggia categorie semiotiche applicate allo spettacolo e conclude sulle
difficoltà di armonizzare documento e rappresentazione (p. 305).
Madame Parfondry est revenue (rappresentato nel 1998, finora inedito)
è una temeraria allegoria dellidentità sempre sfuggente della Wallonie, che
Louvet coglie nel suo stato di umiliazione profonda. Come afferma Quaghebeur, «le combat wallon de Jean
constitue aussi – et dabord peut-être – un combat pour le respect dune
collectivité deniée, défigurée» (p. 11). Le parole-chiave contengono azioni
latenti: «Pour où faut-il aller? […] Avant, on savait: on avait des flèches […].
Il faut marcher» (pp. 461-462). Brevi dialoghi di personaggi del popolo,
artigiani, operai, contadini, si caricano duna tensione al limite della
metafisica, in unattesa quasi escatologica. Nel paese immaginario di Felgazoar
(dove la lingua è grammelot), un
attore reca con sé il cappotto, il cappello, la borsa della scomparsa che,
indossati, connotano la figura misteriosa: «Madame Parfondry est revenue!», è
lo scherzo scenico dellultima battuta.
In unintervista, lautore dichiara: «lhomme
de Devant le mur élevé est dune
fragilité extrême, dune solitude vertigineuse, mais il parle, il parle, il
parle» (p. 639). Sinterroga sul senso dellumanità, minacciata dai
poteri incontrollabili della scienza, ma sconfessa anche le forze
dellinconscio responsabili del processo creativo. Motiva la scelta formale del
monologo quale «justification de la parole de lhomme seul» (p. 637). In questo
dramma solitario e sommesso, un uomo (modellato dallespressionismo) parla a un
altro, assente; poi a una donna, assente anchella alla quale finisce per scrivere
una lettera. Nellalternativa se spedirla o meno, lesitazione narcisista lo fa
sentire irrimediabilmente «exclu» (p. 638). Un testo rimaneggiato
continuamente, teso a cogliere il «mystère de lhomme» (p. 555) senza
soddisfare né lautore né gli interpreti potenziali.
Focalizzata sul personaggio del
prete, già apparso nella vicenda di Courcelles, lazione di Pierre Harmignie, numéro 17 - Prêtre, rinnova
una ricerca e una speranza che vincano lorrore. Scritta ancora con Deltenre e
rappresentata nel 2005, col concorso di due compagnie dialettali sulle quali
linfluenza di Louvet è sensibile attraverso la mediazione del regista Michel Meurée, abile nellarmonizzare
lingua e dialetto. Il risultato, nel testo e sulla scena, è apprezzabile per la
capacità di fondere lelemento poetico con quello politico (p. 687). Uneco è rilevata: «Il fait appel à une
distanciation à la Brecht, avec chant et récitant, de sorte quun ‘double
imaginaire de ce quil entend et voit soit créé par et pour le spectateur» (p.
678). Pure uneco di Claudel è segnalata: nei versetti che marcano certi
passaggi lirici, nonché nel titolo scelto per Lannonce faite à Benoît. Il martirio del protagonista, che per il
cristiano è testimonianza di fede, per lautore è testimonianza e compassione
umana. Lo mostra anche nelle due preghiere, quando padre Pierre «consacre sa
prière au peuple de Charleroi» (p. 712) e quando innalza un lamento biblico, un
riconoscimento evangelico delle miserie umane, in versi coralmente intonati
(pp. 727-728). Le diffusissime Note e
un Dossier di varianti sostanziano la
presentazione critica dei testi mediante le rispettive Introduzioni.
di Gianni Poli
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