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Profilo di Gigi Dall’Aglio

di Alessandro Tinterri
  Gigi Dall’Aglio
Data di pubblicazione su web 12/12/2020  

Quando scomparve Luca Ronconi, in molti abbiamo pensato che il suo ultimo spettacolo, Lehman Trilogy di Stefano Massini, nella sua didascalica chiarezza, nella sua essenziale limpidezza, costituisse il lascito più bello di un grande regista che, a dispetto della fatica di vivere, non piegato da anni di dialisi, testimoniò con quello spettacolo la sua inesausta curiosità di capire, sino all’ultimo, il nostro tempo. E il teatro è lo specchio della storia, per la sua natura assembleare, è la manifestazione più antica e alta di una comunità che si riunisce per ascoltare la parola detta, nel tentativo di capire e di condividere quell’emozione, che trasmette la conoscenza. 

Sono trascorsi cinque anni, un lustro da allora, ed è di questi giorni la notizia della scomparsa dell’attore e regista Gigi Dall’Aglio (Parma, 4 maggio 1943-ivi, 5 dicembre 2020) per Covid-19. Allo stesso tempo abbiamo appreso dell’ultimo spettacolo cui stava lavorando, da lui scritto e diretto, dal titolo In teatro non si muore…, storia di una compagnia familiare di attori sul lastrico, costretti a riconvertire il proprio teatro in un’attività redditizia. Racconto tra l’ironico e il surreale, parabola da teatro all’antica italiana, tentativo di riflessione sulla peste del nostro tempo, il cui debutto, previsto per lo scorso 31 ottobre, non ha avuto luogo per la chiusura dei teatri. 

E al teatro Dall’Aglio ha dedicato tutta la sua vita, a partire dagli anni del teatro universitario e dalla tesi in Storia del teatro sul Maggio drammatico cantato. Fu tra i fondatori della Compagnia del Collettivo, una tra le prime in Italia, e questo ci riporta a una stagione straordinariamente ricca del nostro teatro, quella delle cooperative teatrali che, a partire dalla fine degli anni Sessanta, hanno scritto tanta parte della storia della scena italiana del secolo scorso: dagli Associati al Gruppo della Rocca, dal Granteatro a Teatro Aperto, dal Teatro della Tosse agli Attori e Tecnici… Dal Collettivo germinò il Teatro Due di Parma, attivo centro di ricerca teatrale con solidi legami di collaborazione all’estero, divenuto poi teatro nazionale, una struttura complessa e unica nel suo genere in Italia. Per saperne di più basta oggi visitare il sito del Teatro Due e vedere il documentario Principi e prigionieri di Lucrezia Le Moli Munck, che di quella storia ripercorre le tappe. 

Difficile ricordare gli oltre centocinquanta spettacoli che hanno visto Dall’Aglio a diverso titolo coinvolto nel teatro di prosa, ma anche in quello lirico: ora come regista, ora come attore, spesso, in ruoli da protagonista, anche se non sempre, data la struttura paritaria del Collettivo, ai cui inizi anche le regie non erano firmate. Nella denominazione di Collettivo era insita una scelta ideologica, che metteva attori e tecnici sullo stesso piano, ciascuno pronto a dare il proprio contributo nella misura più funzionale a un progetto artistico condiviso, dalle chiare implicazioni politiche. Ma almeno su due titoli, molto diversi l’uno dall’altro, vale la pena di soffermarsi: L’istruttoria e Laudes grido a tutta gente

Esemplare dell’impegno civile del gruppo è la realizzazione de L’istruttoria di Peter Weiss, spettacolo-testimonianza sui campi di sterminio nazisti. Un po’ come l’Arlecchino per il Piccolo di Milano, L’istruttoria è divenuto l’emblema del Collettivo prima e del Teatro Due poi: in scena dal 1984, è uno degli spettacoli più longevi d’Europa, mantenuto in repertorio e riproposto ogni anno, nella convinzione che la memoria della Shoah vada coltivata e trasmessa alle nuove generazioni. Il testo di Weiss, un oratorio strutturato in undici canti, si basa sui processi tenutisi a Francoforte tra il 10 dicembre 1963 e il 20 agosto 1965, che videro sul banco degli imputati un gruppo di SS impiegate nel campo di sterminio di Auschwitz, dinanzi ai quali sfilarono centinaia di testimoni e sopravvissuti. Personalmente vidi lo spettacolo del Collettivo qualche anno dopo, preceduto dalla sua fama, a L’Aquila, in uno spazio non tradizionale; e lo ricordo come una delle più forti emozioni della mia vita di spettatore teatrale. Prima dell’ingresso, nel canto della banchina, quello dell’arrivo ad Auschwitz, il pubblico, limitato a qualche decina di spettatori, viene brutalmente selezionato: da una parte gli uomini, dall’altra le donne. A teatro si va spesso in coppia, per condividere un’emozione, e già questa separazione forzata, che non ammette deroghe, questa solitudine obbligata è la prima forte scossa, che induce un senso di vessazione e di impotenza. Poi il percorso si dipana in una sorta di discesa agli inferi, in cui viene descritta, tappa per tappa, la fenomenologia del lager, le torture e gli esperimenti pseudoscientifici su cavie umane, le camere a gas, sino ai forni crematori. Al termine di questo viaggio infernale, senza ringraziamenti né applausi, ci si ritrova nel silenzio della notte e in silenzio le eventuali coppie si ricompongono. 

Meno longevo, in quanto limitato al Giubileo del 2000, Laudes grido a tutta gente è il titolo dello spettacolo commissionatogli dal Teatro Stabile dell’Umbria, in scena a Perugia dal 10 giugno al 12 luglio 2000. Il laico Dall’Aglio aveva per l’occasione coniugato il tradizionale armamentario medievale con un ardito salto nella modernità, occhieggiando da un lato al Mistero della Natività, Passione e Morte di Nostro Signore, storico spettacolo dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica, dall’altro allo Jedermann di Hugo von Hofmannsthal, insegna del festival di Salisburgo. Dall’Aglio, infatti, mise a punto un testo fatto di laude tratte dal Laudario di Perugia, storica raccolta alle origini del teatro italiano, innestandovi quel prologo, con lo spettacolare arrivo di una Cadillac sulla splendida piazza di Perugia, in cui si fronteggiano il duomo e al suo fianco il palazzo vescovile e, dirimpetto, il palazzo dei Priori. L’azione poi proseguiva nella cornice dell’adiacente magnifico chiostro di San Lorenzo, dove la sacra rappresentazione aveva inizio con la natività, per proseguire con la vita di Cristo e concludersi con il pubblico che, attraversati i passaggi interni del palazzo, sciamava nella sottostante piazza Cavallotti.  La regia di Dall’Aglio diede al rigore filologico del testo, nella sua scarna semplicità, una veste sontuosa sotto il profilo delle visioni, a tratti quasi barocca, ma mai gratuita, anzi sempre attentamente sorvegliata, onde evitare la trappola dei facili effetti. Della stagione del Teatro Stabile dell’Umbria tutta dedicata alle celebrazioni giubilari, Laudes grido a tutta gente costituiva lo spettacolo clou, preceduto dal Francesco a testa in giù di Marco Baliani, ripreso dalla Rai nella suggestiva cornice della Basilica di Assisi, al Che farai, fra’ Jacopone del regista Ninni Bruschetta, concepito naturalmente a Todi. 

Quando avrà termine questa lunga Quaresima imposta a un teatro che neppure in tempo di guerra ha conosciuto un silenzio così prolungato, saremo tra i primi ad andare a Parma per vedere l’ultimo regalo che Gigi Dall’Aglio ci ha lasciato, convinti come siamo che davvero In teatro non si muore; e il nostro pensiero riconoscente sarà per lui, per avercelo ricordato. Appuntamento a teatro.



 



 
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