Quando
scomparve Luca Ronconi,
in molti abbiamo pensato che il suo ultimo spettacolo, Lehman Trilogy di Stefano Massini, nella sua
didascalica chiarezza, nella sua essenziale limpidezza, costituisse il lascito
più bello di un grande regista che, a dispetto della fatica di vivere, non
piegato da anni di dialisi, testimoniò con quello spettacolo la sua inesausta
curiosità di capire, sino allultimo, il nostro tempo. E il teatro è lo
specchio della storia, per la sua natura assembleare, è la manifestazione più
antica e alta di una comunità che si riunisce per ascoltare la parola detta,
nel tentativo di capire e di condividere quellemozione, che trasmette la
conoscenza.
Sono
trascorsi cinque anni, un lustro da allora, ed è di questi giorni la notizia
della scomparsa dellattore e regista Gigi
DallAglio (Parma, 4 maggio 1943-ivi, 5 dicembre 2020) per Covid-19. Allo
stesso tempo abbiamo appreso dellultimo spettacolo cui stava lavorando, da lui
scritto e diretto, dal titolo In teatro
non si muore…, storia di una compagnia familiare di attori sul lastrico,
costretti a riconvertire il proprio teatro in unattività redditizia. Racconto
tra lironico e il surreale, parabola da teatro allantica italiana, tentativo
di riflessione sulla peste del nostro tempo, il cui debutto, previsto per lo
scorso 31 ottobre, non ha avuto luogo per la chiusura dei teatri.
E
al teatro DallAglio ha dedicato tutta la sua vita, a partire dagli anni del
teatro universitario e dalla tesi in Storia del teatro sul Maggio drammatico cantato. Fu tra i fondatori della Compagnia del
Collettivo, una tra le prime in Italia, e questo ci riporta a una stagione
straordinariamente ricca del nostro teatro, quella delle cooperative teatrali
che, a partire dalla fine degli anni Sessanta, hanno scritto tanta parte della
storia della scena italiana del secolo scorso: dagli Associati al Gruppo della
Rocca, dal Granteatro a Teatro Aperto, dal Teatro della Tosse agli Attori e
Tecnici… Dal Collettivo germinò il Teatro Due di Parma, attivo centro di
ricerca teatrale con solidi legami di collaborazione allestero, divenuto poi
teatro nazionale, una struttura complessa e unica nel suo genere in Italia. Per
saperne di più basta oggi visitare il sito del Teatro Due e vedere il documentario Principi e prigionieri di Lucrezia Le Moli Munck, che di quella
storia ripercorre le tappe.
Difficile
ricordare gli oltre centocinquanta spettacoli che hanno visto DallAglio a
diverso titolo coinvolto nel teatro di prosa, ma anche in quello lirico: ora
come regista, ora come attore, spesso, in ruoli da protagonista, anche se non
sempre, data la struttura paritaria del Collettivo, ai cui inizi anche le regie
non erano firmate. Nella denominazione di Collettivo era insita una scelta
ideologica, che metteva attori e tecnici sullo stesso piano, ciascuno pronto a
dare il proprio contributo nella misura più funzionale a un progetto artistico condiviso,
dalle chiare implicazioni politiche. Ma almeno su due titoli, molto diversi
luno dallaltro, vale la pena di soffermarsi: Listruttoria e Laudes grido
a tutta gente.
Esemplare
dellimpegno civile del gruppo è la realizzazione de Listruttoria di Peter Weiss,
spettacolo-testimonianza sui campi di sterminio nazisti. Un po come lArlecchino per il Piccolo di Milano, Listruttoria è divenuto lemblema del
Collettivo prima e del Teatro Due poi: in scena dal 1984, è uno degli
spettacoli più longevi dEuropa, mantenuto in repertorio e riproposto ogni
anno, nella convinzione che la memoria della Shoah vada coltivata e trasmessa
alle nuove generazioni. Il testo di Weiss, un oratorio strutturato in undici
canti, si basa sui processi tenutisi a Francoforte tra il 10 dicembre 1963 e il
20 agosto 1965, che videro sul banco degli imputati un gruppo di SS impiegate
nel campo di sterminio di Auschwitz, dinanzi ai quali sfilarono centinaia di
testimoni e sopravvissuti. Personalmente vidi lo spettacolo del Collettivo qualche
anno dopo, preceduto dalla sua fama, a LAquila, in uno spazio non tradizionale;
e lo ricordo come una delle più forti emozioni della mia vita di spettatore
teatrale. Prima dellingresso, nel canto
della banchina, quello dellarrivo ad Auschwitz, il pubblico, limitato a
qualche decina di spettatori, viene brutalmente selezionato: da una parte gli
uomini, dallaltra le donne. A teatro si va spesso in coppia, per condividere
unemozione, e già questa separazione forzata, che non ammette deroghe, questa
solitudine obbligata è la prima forte scossa, che induce un senso di vessazione
e di impotenza. Poi il percorso si dipana in una sorta di discesa agli inferi,
in cui viene descritta, tappa per tappa, la fenomenologia del lager, le torture e gli esperimenti
pseudoscientifici su cavie umane, le camere a gas, sino ai forni crematori. Al
termine di questo viaggio infernale, senza ringraziamenti né applausi, ci si
ritrova nel silenzio della notte e in silenzio le eventuali coppie si
ricompongono.
Meno
longevo, in quanto limitato al Giubileo del 2000, Laudes grido a tutta gente è il titolo dello spettacolo
commissionatogli dal Teatro Stabile dellUmbria, in scena a Perugia dal 10
giugno al 12 luglio 2000. Il laico DallAglio aveva per loccasione coniugato
il tradizionale armamentario medievale con un ardito salto nella modernità,
occhieggiando da un lato al Mistero della
Natività, Passione e Morte di Nostro Signore, storico spettacolo
dellAccademia Nazionale dArte Drammatica, dallaltro allo Jedermann di Hugo von Hofmannsthal, insegna del festival di Salisburgo. DallAglio,
infatti, mise a punto un testo fatto di laude tratte dal Laudario di Perugia,
storica raccolta alle origini del teatro italiano, innestandovi quel prologo,
con lo spettacolare arrivo di una Cadillac sulla splendida piazza di Perugia,
in cui si fronteggiano il duomo e al suo fianco il palazzo vescovile e, dirimpetto,
il palazzo dei Priori. Lazione poi proseguiva nella cornice delladiacente
magnifico chiostro di San Lorenzo, dove la sacra rappresentazione aveva inizio
con la natività, per proseguire con la vita di Cristo e concludersi con il
pubblico che, attraversati i passaggi interni del palazzo, sciamava nella
sottostante piazza Cavallotti. La regia
di DallAglio diede al rigore filologico del testo, nella sua scarna semplicità,
una veste sontuosa sotto il profilo delle visioni, a tratti quasi barocca, ma
mai gratuita, anzi sempre attentamente sorvegliata, onde evitare la trappola
dei facili effetti. Della stagione del Teatro Stabile dellUmbria tutta dedicata
alle celebrazioni giubilari, Laudes grido
a tutta gente costituiva lo spettacolo clou,
preceduto dal Francesco a testa in giù
di Marco Baliani, ripreso dalla Rai
nella suggestiva cornice della Basilica di Assisi, al Che farai, fra Jacopone del regista Ninni Bruschetta, concepito naturalmente a Todi.
Quando avrà termine questa lunga Quaresima
imposta a un teatro che neppure in tempo di guerra ha conosciuto un silenzio
così prolungato, saremo tra i primi ad andare a Parma per vedere lultimo
regalo che Gigi DallAglio ci ha lasciato, convinti come siamo che davvero In teatro non si muore; e il nostro
pensiero riconoscente sarà per lui, per avercelo ricordato. Appuntamento a
teatro.
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