Tra
i film presentati questanno al Lido, tre provengono dal Biennale College, workshops che si sono svolti a Venezia dal
7 al 16 ottobre 2016 allo scopo di selezionare e finanziare nuovi talenti. Tra
questi sono emersi Giorgio Ferrero e
Federico Biasin, rispettivamente
regista e direttore della fotografia di questa curiosa opera prima. Unaltra pellicola
sperimentale ben riuscita dopo Spira
Mirabilis (2016) di Massimo DAnolfi
e Martina Parenti presentato in
concorso lo scorso anno, fatta di libere suggestioni, giustapposizioni
istintive, analogie formali. Beautiful
Things appare in una sezione marginale, spesso ingiustamente snobbata dalla
stampa, che tende a considerare il Biennale College una piccola “vetrina”
interna dove inserire, da contratto, i film vincitori del workshop.
Secondo gli stessi autori, Beatiful Things è un «viaggio allinterno della nostra bulimia consumistica», nel quale ci si sofferma sul ciclo di vita (e di morte) dei nostri oggetti quotidiani. Protagonisti sono Van, operaio di una piattaforma petrolifera texana; Danilo, capo-ingegnere di una nave per trasporti transoceanici; Vito, responsabile di un grande inceneritore; e Andrea, ingegnere del suono che gestisce un laboratorio preposto allo studio del suono degli oggetti senza il riverbero delleco (camera anecoica).
Una scena del film
Questi episodi sono tenuti insieme dallidea di cercare la bellezza laddove sembra non esserci che produzione, distribuzione e distruzione di merci. Il mezzo usato è soprattutto la fotografia, che acquista connotati fortemente espressivi. Si pensi alla funzione “manipolatoria” della luce, capace di rendere la camera anecoica una scenografia espressionista, la trivellazione del petrolio uno splendido ballet mécanique, la discarica un mattatoio splatter, il centro commerciale una coloratissima discoteca vuota (bella lidea del surreale balletto finale, liberamente ispirato al videoclip Weapon of Choice di Spike Jonze e Fatboy Slim, 2000).
Una scena del film
Ferrero e Biasin non si fanno scrupoli a “lanciare” la camera, talvolta letteralmente, nei modi più complessi e arditi; e tuttavia le loro scelte estetiche non sono mai fini a se stesse, ma sempre subordinate a una ricerca pura, quasi di un sublime artificiale o, come la definiscono gli stessi autori, di una «liturgia meccanica», al contempo perturbante e affascinante. «Van, Danilo, Andrea e Vito sono come monaci che ripetono la stessa liturgia ogni giorno», e come tali vengono trattati, secondo una personalissima e feconda lettura. Complesso è anche il lavoro sul montaggio, sia visivo che – soprattutto – sonoro (bella la colonna sonora di Rodolfo Mongitore, in bilico tra ripetizione meccanica e ricerca melodica). A fare da collante sono i leitmotive legati agli oggetti (il pelouche, la bambola, il robot) in una “sinfonia visiva” ottenuta attraverso una cesellatura continua del dettaglio, secondo una poetica purovisibilista. È evidente il debito sia con lambiente videomusicale sia con gli immaginari industrial e techno, ma lo stile è personale, capace di dare ununità formale alleterogeneità del materiale trattato.
Una scena del film
Beautiful Things vince la sua
scommessa, spingendosi senza remore nel campo – spesso snobbato – della
videoarte e usando la videocamera per dare forma al mondo, per “estetizzarlo” e
trascenderlo. Un film poco accomodante, anti-narrativo, quindi di nicchia: la
prospettiva di unuscita cinematografica è alquanto lontana (così è stato per
il citato Spira Mirabilis, malgrado fosse prodotto e distribuito
da Rai Cinema). A maggior ragione, quindi, lo segnaliamo volentieri.
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