La scelta degli organizzatori di includere nella competizione
ufficiale un film anti-narrativo come Spira
Mirabilis rappresenta sicuramente una delle operazioni più coraggiose di
questa edizione della Mostra. Lultima fatica (mai termine fu più appropriato,
visti i tre anni e mezzo di lavoro) di Massimo
DAnolfi e Martina Parenti, qui al
loro sesto lungometraggio a quattro mani, è un oggetto inclassificabile: anti-cinematografico,
quasi privo di dialoghi, a metà strada tra documentario e videoarte, tra sperimentazione
formale e discorso filosofico. Il film occupa uno spazio, allinterno della
programmazione festivaliera, analogo a quello dedicato lanno scorso a Heart of a Dog (link) di Laurie Anderson: una nicchia laterale, con
tutta probabilità fuori dai giochi, ma non priva di interesse; una finestra
sullunderground contemporaneo, alla
quale magari non ci si affaccia spesso, ma dà sollievo sapere che cè.
Se il citato film di Anderson si presentava come un breve
videodiario a cui lo spettatore poteva decidere di accedere o meno, quello di
DAnolfi e Partenti è un lavoro decisamente più ostico: un documentario di
ricerca nel senso più ambizioso del termine; una riflessione sulla mortalità delluomo sviluppata
in maniera orgogliosamente libera, al punto da fare della propria anarchia compositiva
un vero e proprio manifesto.
Una scena del film
Il film trae spunto dalle ricerche dello scienziato
giapponese Shin Kubota, salito
allonore delle cronache internazionali per aver scoperto lesistenza di una
piccola medusa immortale, la Turritopsis. Da qui gli autori approfondiscono il
concetto di immortalità e la lotta incessante delluomo contro la propria finitudine.
I limiti umani, simboleggiati dai quattro elementi (acqua, aria, fuoco, terra),
sono descritti con set e materiali differenziati. Allacqua corrispondono i
filmati relativi alle ricerche di Kubota. Laria è suggerita dalle riprese del lavoro
degli artigiani Felix Rohner e Sabina Schärer nella produzione di una
particolarissima forma di tamburo metallico (lo steel pan). Seguono il fuoco, abbinato alla storia di due componenti
di una comunità Lakota in lotta contro
una società che li vuole annientare; e la terra, con la documentazione del
costante lavoro di restauro delle statue del Duomo di Milano (tema già
affrontato dai registi lanno scorso ne Linfinita
fabbrica del duomo). A interrompere questo flusso continuo la voce dellattrice
e scrittrice russa Marina Vlady, che
su schermo nero e con tono metallico declama alcuni estratti de LImmortale di Jorge Luis Borges.
Una scena del film
Questi gli ingredienti – o meglio i “campionamenti”, per
usare una metafora musicale – con i quali DAnolfi e Parenti compongono una sorta
di sinfonia audiovisiva. In effetti il loro lavoro sul girato, più che al
montaggio cinematografico tradizionale, sembra guardare al metodo compositivo
della musica concreta, che consiste nel manipolare il materiale, scomponendolo
ed evidenziando la “matericità” della registrazione, attraverso un complesso
lavoro di interpolazioni e sovrapposizioni di piste visive e sonore.
Come suggerisce il titolo (Spira Mirabilis sono gli studi sulla spirale logaritmica, il cui
raggio cresce ruotando e la cui curva si “avvolge” intorno al polo senza
raggiungerlo mai), il film “gira intorno” allidea dellarte pura attraverso luso
di efficaci metafore. Quella degli artigiani svizzeri orgogliosi della propria
manualità, pur nella consapevolezza di potersi avvicinare con i moderni
strumenti informatici alla perfezione del suono. Quella del restauro delle
statue del Duomo, tentativo costante di raggiungere un ideale di purezza, in
realtà solo il preludio a nuovi, incessanti restauri. E ancora: lesistenza
delletnia Lakota in perenne,
precario equilibrio. Lambiguità dello stesso scienziato giapponese, che
millanta di aver raggiunto la purezza (il centro della spirale), ma la sua
inadeguatezza e inaffidabilità inducono a dubitarne.
Una scena del film
È sul discorso poetico che si fonda la selezione e il
montaggio del materiale girato o viceversa? La questione, valida per tutto il
cinema documentario, è ancor più legittima per un prodotto come questo, dove la
postproduzione riveste un ruolo di primissimo piano. In realtà la linearità
della narrazione sembra non preoccupare i due registi, interessati semmai a una
dinamica compositiva di tipo associativo, di stampo purovisibilista. Così Massimo
DAnolfi in conferenza stampa: «non crediamo nel cinema per il pubblico, ci
rivolgiamo più alle persone che hanno uno sguardo critico sulla realtà». È
inevitabile provare unistintiva simpatia per unoperazione come questa, e il
fatto che il progetto sia stato promosso e finanziato da Rai Cinema (onore al
coraggio) condisce il tutto di un piacevole sapore di sfida.
Perché al di là dellesegesi dellopera, che si dimostra poco
nitida sin dalla sua genesi (poco chiara, ad esempio, è la connessione tra i
quattro elementi e limmortalità), Spira Mirabilis è un prodotto talmente outsider da non poter non intrigare. Lapproccio istintivo e anti-narrativo
del film costringe gli autori a fornire continui stimoli visivi e sonori; in
questo modo il film trova una sua strada, una sintesi alleterogeneità del
materiale di partenza.
DAnolfi e Parenti inseguono unutopia, quella di unarte
pura cui nessuno può giungere: unaltra spirale meravigliosa, se vogliamo. Se Spira Mirabilis rappresenta una sfida,
la sfida non può che dirsi vinta: la commozione dei due registi di fronte ai
sei minuti di applauso in Sala Grande sta lì a testimoniarlo.
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