Scelta
apparentemente anomala nella carriera folgorante di Pablo Larraín, il film che racconta per lennesima volta la vicenda
della morte del presidente degli Stati Uniti, John Fitzgerald Kennedy dopo due anni e mezzo di mandato non ha
soltanto lo scopo di proiettare il regista nel cuore di uno dei più profondi misteri
della storia del paese per questa sua prima prova americana. Né ha solo
lambizione di fornire alla protagonista assoluta Natalie Portman (e quindi a se stesso) un biglietto per laccesso
alle finali dei prossimi Oscar. Benché apparentemente lontanissimo dai temi e
dallo stile dei suoi precedenti lavori, il nucleo ispiratore è praticamente lo
stesso, e cioè quello del rapporto con la storia, o, meglio quello del racconto
della storia. Siamo lontanissimi dalle atmosfere soffocanti e perverse del suo
Cile negli anni della dittatura di Pinochet,
trattati nellopera che per primo lo ha rivelato al grande pubblico, Tony Manero (2008), o negli angosciosi Post Mortem (link) (presentato a Venezia nel
2010) e El Club (link) (Orso dargento a
Berlino 2015, link) o nel premiato No (Cannes
2012), o dallanalisi dei lontani prodromi di quella dittatura nel più recente Neruda (2016). Una scena del film
Cosa
capire dunque della storia, e cosa di questa storia narrare quando
apparentemente tutto è stato detto e
forse nulla è stato capito? La storia si narra meglio attraverso i suoi
personaggi e se chiunque può diventare personaggio a seconda del trattamento
ricevuto dagli storici o dagli artisti non cè dubbio che il racconto di una
vita straordinaria è già di per sé motivo di interesse e rischio tremendo.
Rischio che Larraín affronta a viso aperto, ben conscio dei rischi del Biopich
e altrettanto interessato a superarlo completamente. Quanto loperazione sia
riuscita non è facile dire. Certo la scelta di Jacqueline come protagonista assoluta e la concentrazione sui soli
quattro giorni dopo la morte del presidente è originale, come efficace
lindagine psicologica su questa giovane vedova (allepoca appena
trentaquattrenne) che passa nel giro di una manciata di secondi dal potere
assoluto alla più assoluta solitudine. Tutti paiono aver perso la testa mentre
lei cerca di non perdere né lanima né la dignità e, con errori, tentennamenti
e contraddizioni si appresta a dare alla Storia ben più di quanto
effettivamente avesse fatto il marito sul piano politico, unimmagine di
regalità che lega indissolubilmente la figura di Kennedy a quella di Lincoln, con il colpo di genio dei funerali.
Funerali veramente regali di cui in realtà lei, col velo nero di una
disperazione non certo nascosta, è la protagonista. Come protagonista, non meno
destinata a diventare iconica, era stata con la discesa col vestito
insanguinato dallaereo che portava il corpo del presidente.
Una scena del film
Nel
racconto che fa di quei giorni al giornalista venuto ad intervistarla la
presidentessa molto insiste sulla passione del marito per il mito di Camelot e
sul desiderio di riportare il paese a quella aurorale purezza. Sincerità?
Mistificazione? Dubbi che il regista vuole deliberatamente lasciare sul
terreno? Limpressione è che ancora una volta Jackie sia sfuggita come
unanguilla e che il regista, alla ricerca di schegge di verità, sia stato
invece soggiogato da questa ambiguità di fondo, senza riuscire a emanciparsi
dalla trappola di una fin troppo accurata ricostruzione dambiente. La scelta
di Nathalie Portman, nel fisico così felicemente diversa dalleroina
interpretata, viene man mano banalizzata dallaccentuarsi della precisione dei
dettagli costumistici che la portano sempre più vicina ad unidentificazione e
non a una creazione. Comunque i premi non le mancheranno.
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