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Un posto per Los Angeles

di Sara Mamone
  Jackie
Data di pubblicazione su web 10/09/2016  

Scelta apparentemente anomala nella carriera folgorante di Pablo Larraín, il film che racconta per l’ennesima volta la vicenda della morte del presidente degli Stati Uniti, John Fitzgerald Kennedy dopo due anni e mezzo di mandato non ha soltanto lo scopo di proiettare il regista nel cuore di uno dei più profondi misteri della storia del paese per questa sua prima prova americana. Né ha solo l’ambizione di fornire alla protagonista assoluta Natalie Portman (e quindi a se stesso) un biglietto per l’accesso alle finali dei prossimi Oscar. Benché apparentemente lontanissimo dai temi e dallo stile dei suoi precedenti lavori, il nucleo ispiratore è praticamente lo stesso, e cioè quello del rapporto con la storia, o, meglio quello del racconto della storia. Siamo lontanissimi dalle atmosfere soffocanti e perverse del suo Cile negli anni della dittatura di Pinochet, trattati nell’opera che per primo lo ha rivelato al grande pubblico, Tony Manero (2008), o negli angosciosi Post Mortem (link) (presentato a Venezia nel 2010) e El Club  (link) (Orso d’argento a Berlino 2015, link) o nel premiato No (Cannes 2012), o dall’analisi dei lontani prodromi di quella dittatura nel più recente Neruda (2016).



Una scena del film

Cosa capire dunque della storia, e cosa di questa storia narrare quando apparentemente tutto  è stato detto e forse nulla è stato capito? La storia si narra meglio attraverso i suoi personaggi e se chiunque può diventare personaggio a seconda del trattamento ricevuto dagli storici o dagli artisti non c’è dubbio che il racconto di una vita straordinaria è già di per sé motivo di interesse e rischio tremendo. Rischio che Larraín affronta a viso aperto, ben conscio dei rischi del Biopich e altrettanto interessato a superarlo completamente. Quanto l’operazione sia riuscita non è facile dire. Certo la scelta di Jacqueline come protagonista assoluta e la concentrazione sui soli quattro giorni dopo la morte del presidente è originale, come efficace l’indagine psicologica su questa giovane vedova (all’epoca appena trentaquattrenne) che passa nel giro di una manciata di secondi dal potere assoluto alla più assoluta solitudine. Tutti paiono aver perso la testa mentre lei cerca di non perdere né l’anima né la dignità e, con errori, tentennamenti e contraddizioni si appresta a dare alla Storia ben più di quanto effettivamente avesse fatto il marito sul piano politico, un’immagine di regalità che lega indissolubilmente la figura di Kennedy a quella di Lincoln, con il colpo di genio dei funerali. Funerali veramente regali di cui in realtà lei, col velo nero di una disperazione non certo nascosta, è la protagonista. Come protagonista, non meno destinata a diventare iconica, era stata con la discesa col vestito insanguinato dall’aereo che portava il corpo del presidente. 



Una scena del film

Nel racconto che fa di quei giorni al giornalista venuto ad intervistarla la presidentessa molto insiste sulla passione del marito per il mito di Camelot e sul desiderio di riportare il paese a quella aurorale purezza. Sincerità? Mistificazione? Dubbi che il regista vuole deliberatamente lasciare sul terreno? L’impressione è che ancora una volta Jackie sia sfuggita come un’anguilla e che il regista, alla ricerca di schegge di verità, sia stato invece soggiogato da questa ambiguità di fondo, senza riuscire a emanciparsi dalla trappola di una fin troppo accurata ricostruzione d’ambiente. La scelta di Nathalie Portman, nel fisico così felicemente diversa dall’eroina interpretata, viene man mano banalizzata dall’accentuarsi della precisione dei dettagli costumistici che la portano sempre più vicina ad un’identificazione e non a una creazione. Comunque i premi non le mancheranno.




Jackie
cast cast & credits
 
In concorso


Il regista Pablo Larraín 
sul red carpet di Jackie


 
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