Upon the living and the dead
The Room Next Door è l'ultimo lungometraggio del regista spagnolo Pedro Almodóvar, vincitore del Leone d'Oro all'81ª Mostra del Cinema di Venezia, che torna a Lido dopo Madres Paralelas, Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile con Penélope Cruz (2021). The Room è il primo lungometraggio in lingua inglese dopo i cortometraggi The Human Voice (2020), dall'omonimo testo teatrale di Cocteau, con protagonista Tilda Swinton, e il western queer A strange way of life (2023), con Ethan Hawke e Pedro Pascal. L'ispirazione per The Room nasce da Attraverso la vita di Sigrid Nunez, romanzo in cui la protagonista si interfaccia con diversi personaggi ascoltandoli e accompagnandoli in momenti cruciali della loro vita.
Ingrid (Julianne Moore) è un'affermata scrittrice newyorkese. A un firmacopie, in occasione della pubblicazione del suo nuovo libro, riceve una notizia scioccante: la cara amica Martha (Tilda Swinton) è terminale e le mancano pochi mesi di vita. La notizia avvicina immediatamente Ingrid a Martha, che rompe gli anni di silenzio e si presenta in ospedale. Le due donne riscoprono un'amicizia lasciata sopita per lungo tempo, al punto che Martha si lascia rapidamente andare a confessioni sempre più intime. Ingrid, paziente ascoltatrice, scopre così il passato tormentato dell'amica, famosa giornalista di guerra, divisa tra un lavoro totalizzante e la difficile crescita di una figlia che ha fin da subito sentito l'assenza del padre. L'oscuro trascorso che attanaglia la relazione madre-figlia di Martha viene svelato con chiarezza a Ingrid che diviene l'unica detentrice di quella verità.
Ingrid e Martha sono ormai unite da un legame profondo che va al di là del rapporto amicale, sfiorando la compassio greca, caratterizzata dalla conformità del sentire di due persone. Così la lucida scelta di Martha di mettere fine alla propria vita verrà affrontata da entrambe con coraggio e serenità, aprendo la possibilità per nuove visioni e realtà per coloro che rimangono.
The Room è senz'altro un'opera straniante, a partire dalla sua vera essenza: raccontare la vita dal punto di vista di chi ha la certezza di non poterla più vivere. Un soggetto, quello di The Room, di carattere universale, che racchiude al suo interno una forza viscerale, dal potenziale a dir poco atomico. Nelle dichiarazioni rilasciate dal regista si apprende però come lo stile adottato sia volutamente sobrio, virando per quel cambio di stile che è possibile rintracciare fin da Julieta (2016) e che qui rafforza quel lato straniante insito nel soggetto.
In The Room, infatti, delle donne di Almodóvar (si ricordi la Pepa di Mujeres, la Manuela di Todo sobre mi madre o l'indimenticabile Raimunda di Volver) sembra rimanere solo il nucleo interno che da sempre ha animato tutti i personaggi femminili: il coraggio di (continuare a) scegliere. Se il soggetto è il prisma, lo stile sobrio è il fascio di luce che lo attraversa e da cui nascono infiniti riverberi da esso plasmati: l'interpretazione attoriale, caratterizzata da pose e gesti contenuti; i costumi, dalle linee minimaliste (seppur dai colori sgargianti in parte richiamanti il gusto kitsch tipico della filmografia del cineasta); le scenografie che sfruttano location dal design ultra moderno (eco-minimalista, per la precisione), arredate con altrettanto ordine e rigore.
Perfettamente inglobato nell'universo diegetico è il volto di Swinton, qui ulteriormente smagrito, le cui dure linee, da sole, si fanno carico di un significato intimo e doloroso che solo in parte è affidato alla parola. In contrapposizione netta è il volto di Moore, dai lineamenti morbidi e ovaleggianti, truccato con colori caldi. L'attenzione al viso umano alla Ingmar Bergman (già presente in La piel que habito, 2012) è qui declinata nella contrapposizione tra le due conformazioni, accentuata dal montaggio che spesso gioca di campo e controcampo, per mettere in scena le lunghe sequenze di dialogo tra le due.
Similmente al lavoro sul volto di Swinton, il tema della morte, ricorrente in quasi tutti i film del cineasta, sembra affidato a un altro simbolo (o vero feticcio nel caso di Almodóvar). Citato esplicitamente da Martha nella parte ancora introduttiva del film è la frase conclusiva del racconto The Dead di James Joyce, tratto dalla raccolta Dubliners. La celebre immagine della neve che cade è in Joyce simbolo di paralisi per coloro su cui scende il bianco manto: i vivi e i morti, indistintamente. L'evento meteorologico svolge una funzione livellatrice sia sul piano sociale (borghesi e non) sia ultraterreno, svelando la relatività del concetto di “sentirsi vivi”. Il Michael Fury di Joyce, infatti, vive ancora nella memoria di Gretta, e il suo fantasma è rinvigorito dall'amore che lei sembra riservargli. Evanescente è invece l'immagine riflessa nella finestra di Gabriel Conroy, attuale compagno di Gretta, che comprende l'esistenza di un amore passato, a lui inaccessibile. Martha, come i coniugi Conroy, è un vero e proprio fantasma: sebbene sia ancora nel regno dei vivi, ha già vissuto la sua epiphany e invoca la neve joyciana. Lo scarto decisivo che la separa da Gabriel Conroy sta proprio nell'eutanasia: la possibilità della scelta autonoma di porre fine alla propria vita è l'unico rimedio per rompere la paralisi e la condizione di spettatori in cui Martha è stata relegata dalla malattia.
L'inno a Joyce si interseca con quello a Viaggio in Italia (Rossellini, 1954), già omaggiato in Los abrazos rotos (2009). Da prolessi funge il nome del personaggio interpretato da Moore, Ingrid, che richiama la Bergman attrice, musa e principale interprete della rosselliniana “trilogia della solitudine”. Più avanti, come spesso in Almodóvar, la citazione è esplicita con l'inquadratura del volantino della proiezione del film. In Rossellini, i coniugi protagonisti portano proprio il nome Joyce e, in una delle prime sequenze, Katherine segue esattamente le battute della sposa del racconto The Dead. Gabriel e Gretta Conroy, Alex e Katherine Joyce e adesso Martha, sono tutti personaggi che nascono diegeticamente nello stato di paralisi. Da qui, solo i personaggi femminili di Katherine e Martha riusciranno a cambiare la propria condizione a seguito di decisioni estreme e autonome.
Come accennato, il soggetto e forse anche la sceneggiatura del film, possiedono un grande potenziale che è in parte rimasto inespresso. Lo stile sobrio dichiaratamente adottato durante la visione risulta spesso eccessivo, tanto da portare a pensare a un rigetto (quasi) totale della grande filmografia alle spalle del cineasta. Stessa sorte per lo stile attoriale che abbandona del tutto il gusto per l'articolazione del corpo dell'interprete che con i suoi gesti (scalmanati, energici, violenti, sensuali) spesso abitava l'intera inquadratura, per ridursi a pose perlopiù statiche, non coadiuvate da evidenti gesticolazioni che vogliono affidare l'emotività alla sola espressione del viso. Obiettivo non sempre raggiunto quest'ultimo a causa non di carenze attoriali, quanto piuttosto per una costruzione dei dialoghi non sempre efficace nel trasmettere la profondità delle tematiche a fronte dei contesti intimi in cui sono affrontate. È necessario soffermarsi a riflettere sull'impossibilità di una traduzione letterale da una lingua all'altra, essendo i lemmi di ognuna portatori di campi semantici strutturati nel corso di secoli di eventi culturali. Lo stesso dubbio sorgeva davanti al titolo del corto A strange way of life, che traduce letteralmente il titolo della canzone Estranha forma de vida, non individuando una costruzione sintattica propriamente in uso nella lingua inglese, perdendo così il significato originario.
In questa nuova veste asciutta del cinema di Almodóvar, sembrano comunque persistere dei frammenti delle intricate trame familiari della passata carriera che, spogliati del colorito habitat mediterraneo, danno la sensazione di riempitivi non ben amalgamati nella trama. Infine, ma non da meno conto, lascia perplessi la scelta del cast almeno per un personaggio-rivelazione che, durante l'anteprima per la stampa a Venezia, ha suscitato risate propriamente non volute. La sensazione alla fine di The Room è di aver bisogno di qualcosa di più. Forse per la paura che attanaglia tutti gli artisti mediterranei, che disperatamente rifuggono l'ancestrale patetismo, la nuova opera di Almodóvar ha tolto laddove sappiamo che era in grado di aggiungere.
The Room Next Door
Cast & credits
Titolo
The Room Next Door |
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Origine
Spagna |
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Anno
2024 |
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Città rappresentazione
Venezia |
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Luogo rappresentazione
81 Mostra del Cinema di Venezia |
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Prima rappresentazione
2 settembre 2024 |
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Colore | |
Soggetto
Pedro Almodóvar |
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Adattamento
Attraverso la vita |
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Autori testo d'origine
Sigrid Nunez |
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Regia
Pedro Almodóvar |
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Interpreti
Tilda Swinton Julianne Moore John Turturro Alessandro Nivola Juan Diego Botto Raúl Arévalo Victoria Luengo Alex Hogh Andersen Esther McGregor Alvise Rigo Melina Matthews |
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Produttori
Agustín Almodóvar, Esther García |
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Produzione
El Deseo |
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Scenografia
Inbal Weinberg |
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Costumi
Bina Daigeler |
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Sceneggiatura
Pedro Almodóvar |
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Montaggio
Teresa Font (AMAE) |
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Fotografia
Eduard Grau (ASC/AEC) |
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Suono
Sergio Bürmann |
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Musiche
Alberto Iglesias |
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Note
Trucco: Morag Ross Acconciature: Manolo García Casting (Europa): Eva Leira, Yolanda Serrano Casting (NYC): Geraldine Baron, Salome Oggenfuss |