Poesia politica
Marco Bellocchio ha voluto dedicare a suo padre Buongiorno, notte, il film sul caso Moro che aveva in mente già da tempo e che costituisce per lui un ritorno alla tematica più strettamente storica rispetto al precedente L'ora di religione. L'analisi della fenomenologia sociale contemporanea anche questa volta parte da una pagina dolorosa della nostra storia per astrarsi in un discorso più generale ed attento sull'uomo e sulla sua capacità di relazionarsi con l'esterno e la società stessa.
Ispirato al memoriale Il prigioniero di Anna Laura Braghetti, il film narra i cinquantacinque giorni di prigionia dell'allora Presidente del Consiglio e leader della Democrazia Cristiana Aldo Moro, sequestrato a Roma dalle Brigate Rosse il 16 marzo 1978 e in seguito assassinato il 9 maggio dello stesso anno. Profondamente diverso dai precedenti film che avevano già messo in scena questo tragico evento (Il caso Moro di Giuseppe Ferrara ad esempio), Buongiorno, notte ripropone molti degli stilemi cinematografici del Bellocchio regista rivoluzionario, scorretto, corrosivo che fin qui abbiamo conosciuto.
Evitando molto intelligentemente di cadere nelle maglie della dietrologia, del facile complottismo, Bellocchio ci racconta sottilmente una storia tutto sommato logisticamente intima: una finta coppia di giovani sposi che affittano un appartamento: servirà da rifugio per i loro compagni terroristi, nonché da luogo di detenzione dell'illustre prigioniero. Da subito quindi il regista piacentino scopre le carte: un lungo insistente e lento piano sequenza ci presenta questo ambiente chiuso, oscuro, spesso claustrofobico, da cui la scena si sposterà pochissime volte. Gli interni domestici ritornano allora come ne I pugni in tasca o in Marcia trionfale a chiudere i protagonisti in una sorta di isolamento in cui si fanno esplodere le contraddizioni della loro stessa esistenza.
L'alternanza interno/esterno su cui è concepita tale chiusura riflette da una parte l'angoscia per la società così strutturata e dall'altro il desiderio irrefrenabile di rompere le mura ed uscirne fuori. Una sorta di scatola cinese in cui ogni esterno è un interno e viceversa, una gabbia che chiude ed allontana i personaggi nel loro solipsismo. Infatti in questo film il mondo esterno entra solamente attraverso i telegiornali televisivi o la lettura dei quotidiani, citati fedelmente nella ricostruzione, ed esso diventa, più che una voce della realtà, una semplice eco che risuona tetra e lontana. Anche questo produce nello spettatore quel senso di profonda interiorizzazione della vicenda che è propria soprattutto del personaggio di Chiara (Maya Sansa).
Chiara è Bellocchio stesso, cioè lo sguardo del regista sulla scena ed infatti essa si muove negli ambienti e nei meccanismi narrativi come un'altra macchina da presa; non è un caso che Bellocchio identifichi il suo approccio visivo con gli occhi di una donna (in questo caso l'unica): essa, come nei precedenti film, garantisce quella alterità necessaria che è presupposto irrinunciabile alla conoscenza dei meccanismi messi in scena e dunque della realtà stessa. Ecco perché anche Buongiorno, notte è un film sulla differenza. A tal proposito Chiara e Moro (Roberto Herlizka) sono da un'altra parte rispetto agli altri tre sequestratori. Ciò che i due guardano, cioè il loro rapporto con la realtà oggettuale avviene nell'ombra, nella precarietà: essi guardano negli spioncini delle porte, tra le fessure socchiuse, con i primi piani dei loro occhi tagliati spesso da una luce che infonde intensità emotiva. E' il tipico sguardo rubato di Bellocchio, la forza primitiva che concerne al suo modo di essere un grande maestro nella resa, attraverso gli artifici propri del cinema, di tutte quelle pulsioni inconsce, sconosciute e prepotenti che premono per uscire fuori dall'interno oppressivo della struttura sociale della famiglia e dell'io.
Sebbene siano solo compagni di lotta, i cinque sequestratori, chiusi nell'isolamento dell'appartamento vivono e si comportano come una vera e propria famiglia con un padre-capo (Mario Moretti, interpretato da Luigi Lo Cascio), una donna, Chiara, e gli altri due, tra cui il "figlio" disobbediente Germano Maccari (Piergiorgio Bellocchio). La famiglia come primo, forzato inserimento nella struttura autoritaria della società: un corpo paramilitare come le BR ricalca la matrice familiare dei conflitti tra i personaggi. I rapporti reali tra i quattro sequestratori non minati nella facciata lo sono invece a livello interiore ed è in questo che il personaggio di Chiara acquista uno status drammaturgico particolare. La gravità della situazione non permette ai cinque di disunirsi, pur tra mille dubbi, sull'azione e sull'obiettivo finale che tale azione deve portare a conseguire. Una forma dunque di inconsapevole costrizione che altro non è se non un' altra forma di struttura, di istituzione, di convenzione. Se questa non deve spezzarsi nella realtà può farsi nella dimensione inconscia del sogno; "Un sogno, che altro?" era già la battuta che suggellava Il principe di Homburg e imprime fortemente l'esperienza di qualcosa di differente per Chiara.
Bellocchio a tale proposito usa molto bene la tecnica del montaggio parallelo: inserisce all'inizio inserti di cinegiornali della propaganda staliniana e alla fine, quando il delitto sta per compiersi rievoca le commosse lettere dei partigiani fucilati dai nazifascisti. Ma soprattutto costruisce, con il proseguire della vicenda, un film nel film, cioè il film personale di Chiara, quello frutto delle sue pulsioni inconsce, che non potendosi concretizzare nella realtà, rifuggono nella dimensione onirica. Siamo dunque di fronte a due piani narrativi differenti e mai convergenti, molto più di un semplice montaggio parallelo, siamo al film dell'altra macchina da presa, quella più intima, personale, differente, appunto. Grazie a questo duplice registro della visione e della narrazione molte scene (il pellegrinaggio di Chiara sulla tomba paterna a cui segue un banchetto campestre con tanti ex partigiani che cantano Fischia il vento, Moro che circola tranquillamente per le stanze dell'appartamento e poi addirittura prende la fuga sotto le note del Momento musicale di Schubert) più o meno oniriche rappresentano la proiezione di quel desiderio di rottura, di rivolta, di impulso primordiale che Chiara nutre nei confronti della "sua" famiglia.
A questi due diversi piani visivo-narrativi se ne aggiunge un terzo: quello "esterno", realizzato attraverso la TV citata nei servizi e nei programmi dell'epoca (incluso lo strepitoso finale con le immagini di repertorio del funerale di Stato, accompagnate dalla musica psichedelica dei Pink Floyd). Siamo dunque in presenza di tre film all'interno di Buongiorno, notte: il primo, quello degli avvenimenti storici; il secondo, quello degli avvenimenti reali filtrati dalla finzione della vicenda filmica; il terzo, quello onirico ed irreale di Chiara.
Si manifesta così il riuscito tentativo da parte di Bellocchio di aver portato in quest'ultimo film tutti i suoi quarant'anni di esperienza umana e cinematografica, realizzando un film che dal punto di vista sia tematico che tecnico riassume tutte le caratteristiche del suo cinema, un'opera in cui convergono sia il filone più strettamente storico-politico (La Cina è vicina, Il principe di Homburg) sia quello più "borghese" (I pugni in tasca, Nel nome del padre, Marcia trionfale). Un perfetto equilibrio formale e narrativo che evita ogni facile schematizzazione e chiarisce in modo inequivocabile la posizione dell'autore nei confronti della materia storica così delicatamente e intelligentemente affrontata. Bellocchio, a questo punto del suo cammino, non smette di apparire ancora come la voce critica più corrosiva e scorretta del nostro cinema: i temi della contestazione verso qualsiasi forma di potere oppressivo sia esso politico, storico, religioso, familiare ecc. restano forti, ma ora sono filtrati da una poeticità più intima che, incline al lirismo non compiaciuto, rende la sua prospettiva artistica ancora molto interessante e coinvolgente.
Ispirato al memoriale Il prigioniero di Anna Laura Braghetti, il film narra i cinquantacinque giorni di prigionia dell'allora Presidente del Consiglio e leader della Democrazia Cristiana Aldo Moro, sequestrato a Roma dalle Brigate Rosse il 16 marzo 1978 e in seguito assassinato il 9 maggio dello stesso anno. Profondamente diverso dai precedenti film che avevano già messo in scena questo tragico evento (Il caso Moro di Giuseppe Ferrara ad esempio), Buongiorno, notte ripropone molti degli stilemi cinematografici del Bellocchio regista rivoluzionario, scorretto, corrosivo che fin qui abbiamo conosciuto.
Evitando molto intelligentemente di cadere nelle maglie della dietrologia, del facile complottismo, Bellocchio ci racconta sottilmente una storia tutto sommato logisticamente intima: una finta coppia di giovani sposi che affittano un appartamento: servirà da rifugio per i loro compagni terroristi, nonché da luogo di detenzione dell'illustre prigioniero. Da subito quindi il regista piacentino scopre le carte: un lungo insistente e lento piano sequenza ci presenta questo ambiente chiuso, oscuro, spesso claustrofobico, da cui la scena si sposterà pochissime volte. Gli interni domestici ritornano allora come ne I pugni in tasca o in Marcia trionfale a chiudere i protagonisti in una sorta di isolamento in cui si fanno esplodere le contraddizioni della loro stessa esistenza.
L'alternanza interno/esterno su cui è concepita tale chiusura riflette da una parte l'angoscia per la società così strutturata e dall'altro il desiderio irrefrenabile di rompere le mura ed uscirne fuori. Una sorta di scatola cinese in cui ogni esterno è un interno e viceversa, una gabbia che chiude ed allontana i personaggi nel loro solipsismo. Infatti in questo film il mondo esterno entra solamente attraverso i telegiornali televisivi o la lettura dei quotidiani, citati fedelmente nella ricostruzione, ed esso diventa, più che una voce della realtà, una semplice eco che risuona tetra e lontana. Anche questo produce nello spettatore quel senso di profonda interiorizzazione della vicenda che è propria soprattutto del personaggio di Chiara (Maya Sansa).
Chiara è Bellocchio stesso, cioè lo sguardo del regista sulla scena ed infatti essa si muove negli ambienti e nei meccanismi narrativi come un'altra macchina da presa; non è un caso che Bellocchio identifichi il suo approccio visivo con gli occhi di una donna (in questo caso l'unica): essa, come nei precedenti film, garantisce quella alterità necessaria che è presupposto irrinunciabile alla conoscenza dei meccanismi messi in scena e dunque della realtà stessa. Ecco perché anche Buongiorno, notte è un film sulla differenza. A tal proposito Chiara e Moro (Roberto Herlizka) sono da un'altra parte rispetto agli altri tre sequestratori. Ciò che i due guardano, cioè il loro rapporto con la realtà oggettuale avviene nell'ombra, nella precarietà: essi guardano negli spioncini delle porte, tra le fessure socchiuse, con i primi piani dei loro occhi tagliati spesso da una luce che infonde intensità emotiva. E' il tipico sguardo rubato di Bellocchio, la forza primitiva che concerne al suo modo di essere un grande maestro nella resa, attraverso gli artifici propri del cinema, di tutte quelle pulsioni inconsce, sconosciute e prepotenti che premono per uscire fuori dall'interno oppressivo della struttura sociale della famiglia e dell'io.
Sebbene siano solo compagni di lotta, i cinque sequestratori, chiusi nell'isolamento dell'appartamento vivono e si comportano come una vera e propria famiglia con un padre-capo (Mario Moretti, interpretato da Luigi Lo Cascio), una donna, Chiara, e gli altri due, tra cui il "figlio" disobbediente Germano Maccari (Piergiorgio Bellocchio). La famiglia come primo, forzato inserimento nella struttura autoritaria della società: un corpo paramilitare come le BR ricalca la matrice familiare dei conflitti tra i personaggi. I rapporti reali tra i quattro sequestratori non minati nella facciata lo sono invece a livello interiore ed è in questo che il personaggio di Chiara acquista uno status drammaturgico particolare. La gravità della situazione non permette ai cinque di disunirsi, pur tra mille dubbi, sull'azione e sull'obiettivo finale che tale azione deve portare a conseguire. Una forma dunque di inconsapevole costrizione che altro non è se non un' altra forma di struttura, di istituzione, di convenzione. Se questa non deve spezzarsi nella realtà può farsi nella dimensione inconscia del sogno; "Un sogno, che altro?" era già la battuta che suggellava Il principe di Homburg e imprime fortemente l'esperienza di qualcosa di differente per Chiara.
Bellocchio a tale proposito usa molto bene la tecnica del montaggio parallelo: inserisce all'inizio inserti di cinegiornali della propaganda staliniana e alla fine, quando il delitto sta per compiersi rievoca le commosse lettere dei partigiani fucilati dai nazifascisti. Ma soprattutto costruisce, con il proseguire della vicenda, un film nel film, cioè il film personale di Chiara, quello frutto delle sue pulsioni inconsce, che non potendosi concretizzare nella realtà, rifuggono nella dimensione onirica. Siamo dunque di fronte a due piani narrativi differenti e mai convergenti, molto più di un semplice montaggio parallelo, siamo al film dell'altra macchina da presa, quella più intima, personale, differente, appunto. Grazie a questo duplice registro della visione e della narrazione molte scene (il pellegrinaggio di Chiara sulla tomba paterna a cui segue un banchetto campestre con tanti ex partigiani che cantano Fischia il vento, Moro che circola tranquillamente per le stanze dell'appartamento e poi addirittura prende la fuga sotto le note del Momento musicale di Schubert) più o meno oniriche rappresentano la proiezione di quel desiderio di rottura, di rivolta, di impulso primordiale che Chiara nutre nei confronti della "sua" famiglia.
A questi due diversi piani visivo-narrativi se ne aggiunge un terzo: quello "esterno", realizzato attraverso la TV citata nei servizi e nei programmi dell'epoca (incluso lo strepitoso finale con le immagini di repertorio del funerale di Stato, accompagnate dalla musica psichedelica dei Pink Floyd). Siamo dunque in presenza di tre film all'interno di Buongiorno, notte: il primo, quello degli avvenimenti storici; il secondo, quello degli avvenimenti reali filtrati dalla finzione della vicenda filmica; il terzo, quello onirico ed irreale di Chiara.
Si manifesta così il riuscito tentativo da parte di Bellocchio di aver portato in quest'ultimo film tutti i suoi quarant'anni di esperienza umana e cinematografica, realizzando un film che dal punto di vista sia tematico che tecnico riassume tutte le caratteristiche del suo cinema, un'opera in cui convergono sia il filone più strettamente storico-politico (La Cina è vicina, Il principe di Homburg) sia quello più "borghese" (I pugni in tasca, Nel nome del padre, Marcia trionfale). Un perfetto equilibrio formale e narrativo che evita ogni facile schematizzazione e chiarisce in modo inequivocabile la posizione dell'autore nei confronti della materia storica così delicatamente e intelligentemente affrontata. Bellocchio, a questo punto del suo cammino, non smette di apparire ancora come la voce critica più corrosiva e scorretta del nostro cinema: i temi della contestazione verso qualsiasi forma di potere oppressivo sia esso politico, storico, religioso, familiare ecc. restano forti, ma ora sono filtrati da una poeticità più intima che, incline al lirismo non compiaciuto, rende la sua prospettiva artistica ancora molto interessante e coinvolgente.
Buongiorno, notte
Cast & credits -
Titolo
Buongiorno, notte |
|
Origine
Italia |
|
Anno
2003 |
|
Durata
105 min. |
|
Formato
35 mm. (1:1,66) |
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Colore | |
Soggetto
Marco Bellocchio |
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Regia
Marco Bellocchio |
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Interpreti
Maya Sansa Luigi Lo Cascio Pier Giorgio Bellocchio Giovanni Calcagno Paolo Briguglia Roberto Herlitzka |
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Produttori
Marco Bellocchio, Sergio Pelone |
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Produzione
Filmalbatros in coproduzione con RAI Cinema e in collaborazione con Sky |
|
Distribuzione
01 Distribution |
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Scenografia
Marco Dentici |
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Costumi
Sergio Ballo |
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Sceneggiatura
Marco Bellocchio |
|
Montaggio
Francesca Calvelli |
|
Fotografia
Pasquale Mari |
|
Suono
Gaetano Carito, Fabio Cerretti, Emanuela Di Giunta (Dolby Digital) |
|
Musiche
Riccardo Giagni |
Cast & credits -
Titolo
Buongiorno, notte |
|
Origine
Italia |
|
Anno
2003 |
|
Durata
106' |
|
Formato
35 mm |
|
Colore | |
Soggetto
Anna Laura Braghetti |
|
Regia
Marco Bellocchio |
|
Interpreti
Maya Sansa Luigi Lo Cascio Pier Giorgio Bellocchio Giovanni Calcagno Paolo Briguglia Roberto Herlitzka |
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Produzione
Filmalbatros, Rai cinema, Sky |
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Distribuzione
01 Distribution |
|
Scenografia
Marco Dentici |
|
Costumi
Sergio Ballo |
|
Sceneggiatura
Marco Bellocchio |
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Montaggio
Francesca Calvelli |
|
Fotografia
Pasquale Mari |