Filosofo, medico e letterato, il bolognese Melchiorre Zoppio (fig. 1) è oggi noto soprattutto per essere stato, nel 1588, tra i fondatori della celebre accademia dei Gelati, in cui assunse il nome di Caliginoso e il motto «Muneris hoc tui» dispirazione oraziana (Carmina IV, 3, 24). La sua impresa, disegnata da Agostino Carracci, raffigurava il sole che scaccia le nubi (fig. 2) e il suo significato venne esplicitato dallo stesso Zoppio in un sonetto contenuto nelle Ricreazioni amorose del 1590, prima pubblicazione collettiva dei Gelati: NUBE son io, che tempestosa e nera,
Minaccia dileguarsi in nembo horrendo,
Ma se il mio sol, con laurea luce ardendo
Mirraggia, o in sul matino o in su la sera
Viemmi da i rai dellinfiammata sfera
Vampa, onde honore inusitato apprendo.
Nel proprio horror dellaltrui luce splende:
Sì chimito del sol la faccia vera.
Ne la beltà che in me raddoppia il suo
Sembiante, in lei, quanto in altrui si mira,
Ne il mio proprio squallor più si detesta.
Sonio, son quellin cui si manifesta
Donna, il tuo volto. Io sono quel che sammira;
Ma lhorrore è pur mio, lonore il tuo. In stretti rapporti con compositori e pittori, Zoppio si dedicò con interesse e passione al teatro. Nel 1600 firmò la relazione a stampa del torneo La montagna circea, allestito in occasione del passaggio da Bologna di Margherita Aldobrandini, e intorno al 1614 fece costruire nel proprio palazzo in Strada Maggiore un teatro stabile dotato di macchine, poi inaugurato con una serie di fortunate recite del Tancredi di Ridolfo Campeggi. A quellaltezza cronologica con ogni probabilità la sala era già stata utilizzata per alcune delle «ricreationi honeste» organizzate dai sodali durante il carnevale, a cominciare forse dalla messa in scena nel 1589 della commedia Diogene accusato, scritta dello stesso Zoppio, il cui prologo venne affidato a una personificazione dellaccademia che, a un anno dallapertura, così si presentava al pubblico: Qual mi vedete (o spettatori)
Neve la veste, e ghiaccio il crine
Son lAcademia de i GELATI.
Stanno in desir continuo i miei
Di piacervi, hor con gravi studij
Hor con ricreationi honeste,
Che il piacer vostro è il gusto loro.
Però pensando di spettacolo,
Per dilettare, e in un giovare,
Con motti e scherzi; ma non quali
Han nel rossor, più che nel riso,
E con sentenze, ma non quali
Danno allhorror, quanto al costume,
Trovato han daccoppiare il giuoco
Comico, senza la comedia;
E senza i tragici cothurni,
Il dir sensato. Et rinovando,
A un certo modo, lattioni
Vetuste dEupoli e Cratino
Predecessori di Menandro,
Autor della comedia nova,
Son per rappresentarvi unhuomo,
Che visse tal, e tal sofferse,
E parlò tal, qual sentirete.
Da ricordare, a firma del Caliginoso, anche le tragedie Medea essule (1602), Il re Meandro (1629), Admeto (1634) e la perduta Creusa. Parimenti irrintracciabili alcuni drammi segnalati da Leone Allacci: La primavera in contesa collautunno (1608), Linnocenza damore (1611), Il politico svergognato (1617?) e Il savio conosciuto, ed esaltato (1624). Alle drammaturgie conosciute si può ora aggiungere la tragedia Giuliano cacciatore che, a lungo ritenuta perduta, è stata da me rintracciata in un manoscritto della Biblioteca Oliveriana di Pesaro datato «Bologna, lultimo dagosto 1605» (fig. 3). In attesa delledizione commentata del testo, in preparazione, ho deciso di anticipare la trascrizione della lettera di dedica «al cardinale Serafino» (doc. 1) in quanto ritengo che lo scritto costituisca un imprescindibile punto di partenza per meglio comprendere il rilievo che i Gelati attribuirono alla poetica tragica già nei primi anni di attività. Evidentemente percepita come consona al progetto culturale del sodalizio, essa trovò una successiva sistematizzazione teorica nel trattato Della tragedia di Innocenzo Maria Fioravanti, pubblicato nel 1671 nel volume collettaneo delle Prose de sig.ri accademici Gelati. Partendo dalla definizione di Cicerone della tragedia come specchio della vita, Fioravanti ne evidenzia lintima capacità di far riflettere, nonostante le tragedie fossero a nostri tempi corrotti così poco sono gradite, quasi che Melpomene non sia legitima figliuola di Giove al par di Talìa. Che non fate dunque stridere contro a questo Secolo sin le vostre penne, o Poeti, impiegandole nel genere di così nobile componimento, intorno a cui favellare maccingo, non per salire in Catedra come Precettore, ma bensì per ripettere come Discepolo ciò, che appresi da i libri più scielti, che sono i miei muti Maestri. Comincia così una disquisizione ricca di citazioni tratte da classici quali Seneca, Orazio, Virgilio e Plutarco. Colpisce peraltro che venga nominato un solo scrittore moderno: Alessandro Piccolomini che, come noto, era stato a lungo in contatto con il vivace ambiente teatrale dei sodalizi veneti, in particolare padovani, dove si erano tenuti accesi dibattiti e sperimentazioni sulla tragedia. Piccolomini vi era intervenuto in prima persona prendendo parte al progetto degli Infiammati di Padova di mettere in scena la Canace dello Speroni recitata da Ruzante, progetto non realizzato per limprovvisa morte di Angelo Beolco. Ma ciò che qui interessa rilevare è come gli stessi riferimenti culturali (ad eccezione del senese) si trovino nella lettera firmata da Zoppio, impegnato a rendere ragione dellaver abbandonato, dopo la poco fortunata prova della Medea essule, le «inclinationi proprie» per seguire il «sentir di molti che fan legge di quel che piace» e per «condiscendere al piacimento commune»: Qual si fosse il mio primo pensiero in quanto alla natura della tragedia ne diedi indicio nella Medea essule, et se ho da dire il vero, saltai come a più pare nel mio genio: me la fecio, me lallenai [?] io, me lacconcia a mio senno, con una certa, poco men che non dissi, sprezzatura di pulitezza, alla sofoclea […] Ma per esser parso a me che non sincontri chi le dia gran fatto fantasia, o sia per esserella assai neguciosa, onde conviene dar più al maneggio che al trattenimento, o sia per contenere ella argomento ruvido e lontano dallorecchie moderne con genealogie et avvenimenti presuppostivi, che il distenderli sarebbe riuscito prolisso e satievole, come il ristringerli oscuro o pur sia per una cotale nota doscurità nelle cose mie, chio non ce la so conoscere, la quale in effetto vi si trovi, mi sonio facilmente rivolto allaltro pensiero dellhavermi a confare un poco più a gli altrui piacimenti, et del dare come a balia fuor di casa il Giuliano: alfine che quello che fosse da me stimato decoro di sentenza costumata non venga da altri totalmente ascritto a ruvidezza di giudicio impratticabile. Zoppio non esita a dichiararsi contrario «alluso moderno» dei poeti, per cui «la favola di padrona chella è per natura si fa per usanza ancella di quelle cose che labbelliscono, della sentenza et della elocuzione cha buon dovere sarebbono esse le ancelle», ma afferma di aver comunque deciso di “confarsi” a tale uso anche sullesempio dellAnfitrione di Plauto: Il pensiero fu di comporre non una tragedia, ma per dovermi confare anchin questo allorecchio moderno, un misto di tragedia, e di comedia, a cui si potesse fare il nome di tragicomedia non men confacevole di quello chaltri havessero aggiunto alle pastorali, con molta felicità non niego, ma con male essempio a me non pare, perché Plauto introduttore di talonomatopeia ci hebbe pensiero attorno daltra fatta, et per mio avviso stimo che al fare innesto di due specie di poesia fra di loro dissimili non bastasse imitatione duna quasi medesima sorte persone, né un tenere di purgare affetto quasi uniforme, Ma come sono differentiate la tragedia e la comedia, che quella fa leffetto suo mediante lhorrore e la commiserazione cadente sopra personaggi grandi; questa mediante il riso et lo scherzo convenevoli a gente bassa, così al farne questa tal mistura si dovessero accoppiare insieme il solazzevole, el severo; secondo lessempio dellAnfitrione, tragedia quanto a Giove e Alcumena, comedia quanto a Mercurio e Sosia. Il Caliginoso ha presente anche la coeva drammaturgia fiorentina, ricordata attraverso la «Vedova del Varchi», in un passaggio in cui è chiara la confusione tra lomonima commedia di Giovan Battista Cini, andata in scena nel 1569 in occasione della visita a Firenze dellarciduca Carlo dAustria, e La suocera di Benedetto Varchi. Il modello di riferimento resta comunque la Poetica di Orazio: Ma in fatti ravvolgendio per la mente il documento horatiano, et come saccoppino male il serpente e luccello, la tigre e lagnello, mutai proposito, e mi risolsi al moderare le piacevolezze, et al levarne i ridicoli, parendomi che il caso fosse assai tragico, e potesse conseguire la sua riuscita con qualche trattenimento che non togliesse di suo trono Tragedia. E fui di modo che al cancellarci di molte cose, vi rimasero pure alcuni vestigij della mia primiera intentione: temprandoci puranche la riuscita perché non lasci lanimo in tuttoppresso da quellhorrore tragichissimo, ma sia con qualche sollevamento per buon costume. Una autorità che non viene messa in discussione neanche in una successiva occasione in cui Zoppio esprime il proprio pensiero intorno alla tragedia. Alludo alla lettera scritta a Marcantonio Amici su un Sigismondo andato in scena ad Ascoli e accompagnato da una querelle che coinvolse anche i locali frati Serviti (doc. 2). Il documento, datato 31 luglio 1621, è conservato in copia presso la Biblioteca comunale Mozzi-Borgetti di Macerata e, a quanto mi risulta, è inedito. Esso mostra un Caliginoso tanto competente quanto prudente nel prendere posizione in una polemica evidentemente “scomoda” e oggi poco nota, anche se sicuramente meritevole di ulteriori approfondimenti in modo da aggiungere un ulteriore tassello alle nostre conoscenze sulle riflessioni accademiche intorno ai generi teatrali. APPENDICE I criteri di trascrizione sono stati prevalentemente conservativi tuttavia, quando necessario, sono stati regolarizzati gli accenti e la punteggiatura in modo da agevolare la lettura e la comprensione del testo. Gli a capo e le maiuscole sono stati rispettati solo in parte. Le lettere aggiunte e le parole ricostruite sono state inserite tra quadre ([ ]). I casi di ripensamento e le correzioni sono stati segnalati con parentesi uncinate (< >), sia quando si tratta di aggiunte a margine o in interlinea, sia in caso di parola sostituita. Doc. 1 Melchiorre Zoppio, lettera di dedica al cardinale Serafino Olivier Razzali, Bologna, 31 agosto 1605, in Giuliano cacciatore. Tragedia del Caliginoso gelato Melchiorre Zoppio. In honore di Macerata per cara memoria di padre in essa città favorito di gioventù propria indirizzata di contribuzioni academiche fra Catenati già detto il Sollevato, 1605, Pesaro, Biblioteca Oliveriana, ms. 1377, cc. ar.-fv. AL CARDINALE SERAFINO
Ill.mo et R.mo Sig.re Sincamina a V.S. Ill.ma da presentarsele per mano del S.r Abbate Fachinetti la mia GIULIANO così dimandatami da lei, perchella è tragedia, et perchè di titolo maschile. È già suo di protettione quel chè mio di produttione, esce di stanza riposta e caliginosa a farsi vedere alla luce e campeggiare a i raggi ill.mi dellampiezza vostra: acciocché dovegli è manchevole per loscurità del producitore possa sperare davvantaggiarsi per la chiarezza dun tanto protettore. Nacque egli ad un tempo con un suo fratello di padre il medesimo, di madre diversa. E non si può già dire che lun et laltro insieme prodotti, e insieme dedicati uscissero in vita <né> da tempo meno lieto mentre che il mondo era in giubilo per la promotione di V.S. Ill.ma al Cardinalato, vedendosi i veri honori esser veri o premi, o segni del valore e del merito. Né con augurij men prosperi: poiché luno il qualhebbe il padre distinto dalla madre ottenne favore nel Sacro Lavacro per la vita che si spera eterna chei vi fosse tenuto a nome del S.r Cardinale Serafino: laltro a cui sonio padre e madre prende fidanza sotto il medesimo nome di non forse molto repentina morte et sì come quellincommincia a muovere i passi, ma non si che non si sia bisogno di chi a lui ponga sostento nel salire delle scale, così a questo ho giudicato io molto espediente che porga mano il mio Sig.r Abbate, mie forze, mio animo, mio indirizzo, et (per così dire) mia raccoglitrice ne parti del mio intelletto, et allevatrice nellinfantia et invalidità loro. Questo Prelato di quella forza chegli è, sostenterà GIULIANO perché sicuro venga a salire i colli di Roma, dove in alto V.S. Ill.ma accresce di splendore la porpora per la chiarezza delle virtù riguardevoli a meraviglia nella sua persona, et lo solleverà a quel segno in cospetto di essa lei, al quale il fanciullo, stante la debbolezza [sic] propria non confiderebbe mai da sé di pervenire. Sono i fratelli dunetà istessa infantile, ma differenti in ciò, che lun di loro non per anche articola voci. Laltro, la cui infantia si devria (secondo lavvertimento dHoratio) estendere fino a i nove anni, è duna precoce loquacità, più che non saria per ventura condecente a tragica moderanza con venustà, che riceve scarsi abbellimenti, chiara di suo colore, distinta con brevi sigilli, per doversi conformare a lavoro più di Pallade che dArachne. Ma tal volta è pur benfatto di torre alle inclinationi proprie per dare al sentir di molti che fan legge di quel che piace, e condiscendere al piacimento commune e ha forza dintrodurne uso, nel cui contrasto bisogna che la ragione arrenda e si ritiri. Di due tragedie le quali io mi trovo dhaver condotta compimento è avvenuto a me di quello che ad una madre di due figliuole, che ne allatti una, e ne dia fuori a balia unaltra. Così io mi ci trovo di haver havuto due pensieri. Luno del mio senso in rispetto della qualità del componimento; laltro dellaltrui gusto in rispetto dellusanza. Qual si fosse il mio primo pensiero in quanto alla natura della tragedia ne diedi indicio nella Medea essule, et se ho da dire il vero, saltai come a più pare nel mio genio: me la fecio, me lallenai [?] io, me lacconcia a mio senno, con una certa, poco men che non dissi, sprezzatura di pulitezza, alla sofoclea: perchella dovesse comparire alla foggia di matrona che in giorno di festa se ne vada in su la sua, col suo velo in capo, in su le sue treccie [sic] accolte in nastro semplice senza molto increspar di capelli, né sfoggiar dhabbito: vestita (sio non minganno) di buona robba, e tale che [parola illeggibile] sodo che le dia ben fantasia, possa raddoppiarci locchiata, e dire Costei certo per sé già non mi spiace Ma per esser parso a me che non sincontri chi le dia gran fatto fantasia, o sia per esserella assai neguciosa, onde conviene dar più al maneggio che al trattenimento, o sia per contenere ella argomento ruvido e lontano dallorecchie moderne con genealogie et avvenimenti presuppostivi, che il distenderli sarebbe riuscito prolisso e satievole, come il ristringerli oscuro o pur sia per una cotale nota doscurità nelle cose mie, chio non ce la so conoscere, la quale in effetto vi si trovi, mi sonio facilmente rivolto allaltro pensiero dellhavermi a confare un poco più a gli altrui piacimenti, et del dare come a balia fuor di casa il Giuliano: alfine che quello che fosse da me stimato decoro di sentenza costumata non venga da altri totalmente ascritto a ruvidezza di giudicio impratticabile. Essendo il comporre favole dhoggidi ridotto a così fatta delicatezza che pare che più si doni allorecchio che al negocio, et si essamini non quanto più dicevolmente ma quanto più dilettevolmente, né quanto più sodo, ma quanto più bello, né tal volta quanto più bello, ma quanto più abbellito se nesca un poema. Et perché non si ritrova attione la più capace di piacevolezze che lamorosa, sono andati in disuso quegli argomenti grandi, dellHecube, de gli Oresti, de gli Hercoli furenti, de gli Edipi tiranni. Così la favola di padrona chella è per natura si fa per usanza ancella di quelle cose che labbelliscono, della sentenza et della elocuzione cha buon dovere sarebbono esse le ancelle, quasi i [parola illeggibile] amino meglio dessere gioielieri che sposi, poscia che le gioie le quali esser dovrebbono le secondarie in servigio delladdobbare la sposa pongo essi in su la bella mostra come le principali nel mestiero: della sposa poi lasciano il pensiero ad altri, pur che sia ben pulita, se bene misurata poco importa loro. Così pare che si tenga conto de gli abbellimenti, comunque della favola adivenga. Che cosa è ciò? Se non con somma industria formar lanello, e poscia farci un dito posticcio da metterlovi attorno? Ne già mi meraviglio io che tale introduttione habbia dilettato, quando che a molti piace più una gemma pretiosa che una mano gratiosa. Et ci sarà taluno che saddurrebbe al danneggiare una bella mano, pur haversene una bella gemma. Io non cavillo altri, e non correggo nesuno, chio non sono da tanto, ma rendo ragione del conformare me stesso al costume non mica popolare; stando chio ci trovo condiscendere i più pregiati di questo secolo. Et pongo in chiaro la causa dellessermi io sperimentato nelluscir fuori del mio battuto per la strada più frequentata, e provatomi in quello che da più riputati compositori nostrali si trova autenticato, con intentione dhavermi a domesticare, e più tosto venir zoppicando appo gli altri fra gli ultimi che andarmene a gran passi notato a dito solingo per balzi e dirupi. Io so che taluno dir mi potrebbe: se non ti ci accomodi perché non te ne lievi? (et come disse quel villano: se non ci sai gir di dì, perché ci vuoi gir di notte?) camina per la tua via, nissun ti chiama dalla filosofia alla poesia: e so pur troppo che mi direbbe il vero. Ma quel che disse Platone della gravidanza de gli animi in occasione amorosa, vassi verificando nel mio intelletto in matina studiosa; il qual non si pare che sappia starsi senza concepire continuamente qualche novità, se non che soventi volte si trova riuscire in aborti. Nel tempo dello studio la filosofia mi tiene in servitù; nel tempo della vacanza la poesia mi chiama a ricreatione. Io non mi so stare senza penna in mano e cervello in aria. Troppo è chiamato chi viene stimolato da Genio, e dovendo andare è pur meglio daccompagnarsi con gli altri perché almeno si può sperare aiuto a cattivi passi, e sostento ove si sdruccioli, e rilievo ove pur si cada. Il che è stato insieme causa chio mi sia voluto della piacevolezza della rima ovunque per giuoco amoreggiando mi sono io dilatato, et chio mi sia fatto lecito nel qualificare li stati et le persone il non vietato a poeti anachronismo perché i trattati si rendano confacevoli alla notitia de tempi moderni, con titoli che vanno per le bocche, di Duchi, di Baroni, di feudi; non mi travagliandio in aggiustare con esquisitezza il calcolo, se a tempi di qualsivoglia Imperadore che risedesse in Roma fossero in uso dominij né giurisdittioni simiglianti, massimamente non trovandio per li scrittori da assodare con letà il caso di Giuliano. Dellelettione del quale, et del luogo costruitomi [?] per lattione, con tutto chio non nhavessi a reder conto per essere cosa arbitraria, tutta volta mi giova toccar la ragione che mi ci ha sospinto: ragione di grata rimembranza, ragione di riconoscenza verso la città di Macerata dove già mio padre fu honorato per tredici anni della publica lettura, et vi istituì lAcademia de CATENATI in tempo chio ci trassi gli anni crescenti della mia giovinezza, et mi ci <si> diedero le mosse per la carriera della cattedra un biennio, chio sono di poi andato continuando in Bologna. Talché non mi viene in memoria Macerata chio non mi risenta con doppio pungolo di gratitudine, per causa e paterna e propria, et chio non mi paia ad un certo modo di ringiovanire con la dolce ricordanza di qui floridi giorni, causa chio mi sono puranche facilmente indutto al cospargere il componimento dalcune sorti leggierezze, confacevoli alladolescenza. Ho giudicato convenirsi lattione al luogo, dandomene campo lincertezza del dove, e del quando succedesse lavvenimento senza starmi ad intracciare argomenti se Macerata si trovasse in essere ne prima ne poi, attenendomi a questo, chio so esser nome di Santo in essa Tutelare, [?] e festeggiarsi con honoranza di cacciatori S. Giuliano, insino al chiamarsi il luogo della sua basilica castello di S. GIULIANO, e mostrarsi il braccio in essa conservato, il quale che potessessere il proprio del parricidio non ardirei già io di pensare, se non mi venisse alla mente come talvolta per dispositione divina de casi di contumacia si vanno facendo casi dhonore. Non ho stimato ne anche doverci trovare intoppo nel farlo di casa Cesarina; si perché intendo andar per mano unantichità di quella famiglia che perciò di tempo in tempo limposizione di tal nome vi si trovi in uso perpetuato; si perché la vicinanza di Civitanova mi viene a far giuoco allattione in Macerata. Hammi eletto Urbisaglia per illustrare il nome del competitore inventato per Giuliano, essendo ella già stata città regale Urbs Salvia, molto riguardevole et per memoria di scrittori celebrità. E questè quanto allelettione fatta da me del luogo dovio rappresentassi lattione: quanto poi allelettione dellattione istessa, io ci hebbi a principio un tal mio pensiero; ma poi venni a mutarlo. Il pensiero fu di comporre non una tragedia, ma per dovermi confare anchin questo allorecchio moderno, un misto di tragedia, e di comedia, a cui si potesse fare il nome di tragicomedia non men confacevole di quello chaltri havessero aggiunto alle pastorali, con molta felicità non niego, ma con male essempio a me non pare, perché Plauto introduttore di talonomatopeia ci hebbe pensiero attorno daltra fatta, et per mio avviso stimo che al fare innesto di due specie di poesia fra di loro dissimili non bastasse imitatione duna quasi medesima sorte persone, né un tenere di purgare affetto quasi uniforme, Ma come sono differentiate la tragedia e la comedia, che quella fa leffetto suo mediante lhorrore e la commiserazione cadente sopra personaggi grandi; questa mediante il riso et lo scherzo convenevoli a gente bassa, così al farne questa tal mistura si dovessero accoppiare insieme il solazzevole, el severo; secondo lessempio dellAnfitrione, tragedia quanto a Giove e Alcumena, comedia quanto a Mercurio e Sosia. Feci però io un tal proponimento dimpiacevolire quel tragico rigore che dal nome istesso nasce spaventevole, et mimaginai di formare una cacciatrice che fosse mista di civile e di rustico con daragio al dilatarsi pur le delicatezze, spargendo lattione chavea per iscopo lhorrore del parricidio alluogo alluogo [sic] di ridicoli in bocca di persone servili, et così dandarla mantenendo gioconda: in modo che né giocondità soprafacesse turbolenza, né turbolenza pregiudicasse a giocondità, ma luna per laltra si assodasse e si ammollisse, fino al porvi pur entro concetti anzi lirici che dramatici in qualche luogo con rime e leggierezze dovendo alfin poi riuscire la favola nel miserabile. Ma in fatti ravvolgendio per la mente il documento horatiano, et come saccoppino male il serpente e luccello, la tigre e lagnello, mutai proposito, e mi risolsi al moderare le piacevolezze, et al levarne i ridicoli, parendomi che il caso fosse assai tragico, e potesse conseguire la sua riuscita con qualche trattenimento che non togliesse di suo trono Tragedia. E fui di modo che al cancellarci di molte cose, vi rimasero pure alcuni vestigij della mia primiera intentione: temprandoci puranche la riuscita perché non lasci lanimo in tuttoppresso da quellhorrore tragichissimo, ma sia con qualche sollevamento per buon costume. Per chi poi la volesse più tragica io vi notai (ad essempio della Vedova del Varchi) alcune intromissioni pur entro che facciano insieme allabbreviarla, prolissa invero, e più o meno secondo che ad altri sia di piacimento. Questo ho tentatio, et per questo, se mhabbia colpito in cosa di buono e dacconcio, nho dubbio per sentirmio trar fuori della mia inclinatione, la quale travaglia volentieri intorno a qualche ruvidezza, et non suole accommodarsi molto a certe morbidezze. Nel qual fatto vadio pensando che sia per potere avvenirmi appunto di quello che alla madre di due figliuoli, luno de quali essa stessa allatti di suo petto, laltro dia ad allattare a nutrice straniera: et questapprende insieme col latte la favella, et le [parola illeggibile] in molte parti forestiere. A me si confà meglio la Medea: quel che sia per riuscire ad altri il Giuliano io non lo so: parlerà forse meglio alla foggia cha me si confaccia meno. Ma son certo che qual si voglia mio pensiero mi verrà sortito felicemente qualunque volta mie ragioni mi vagliano a scusa in cospetto di V.S. Ill.ma che mi saranno di sicuro poi valevole diffesa presso gli altri. Nel che sio fossi per ingannar me stesso, per quanto attiene al Giuliano, a questeffetto glie lo mandio in mano avvanti chegli esca in pubblico: che si possa mentre chegli è infante castigare et ammaestrare si chei favelli secondo che piaccia al padrone, dal quale si desidera sì lapprovazione, ma con animo di ricevere in grado ogni correttione. Ma pure mandrò io facilmente imaginando che in qualche parte ei possa essere ascoltato nella foggia che parla, non tanto per la mia dettatura quanto per le cortesi orecchie, le quali in altro si sono mostrate molto più chio non mhavrei pensato benaperte al sentir delle cose mie sopra il merito loro. Se ne viene adunque baldanzoso il mio cacciatore, et per chi lha da condurre, et per chi lha da ricettare. Il S.r Abbate Fachinetti, che si può dire di più compito? Il S.r Cardinal Serafino che si può trovare il più stimato? Et viensene a Roma quasi sicuro daccoglienza per linvito fattomene da V.S. Ill.ma al farglielo vedire, et per la dimostratione chio mhebbi dellhumanità di lei nel dedicare chio le fei di me stesso, onde mi parve al primo ingresso dhavere acquistato quellangolo nella gratia sua chio ne la supplico si degli conservarmelo. Porta seco indicio di segnalata divotione quel maggiore che mia debolezza mi concede, ma tutthora lo stimerò io sufficiente che lo scorgerò gradito. Cosa leggiera per oggetto sì alto, iol confesso, e torbida per sì ampio splendore; ma il fumo ancora scuro e lieve hagli dove braci infocate e lucide non ascendono. Bramerei io che da questo mio fumo potesse ascendere una tal qual luce; ma il dar luce è parte di V.S. Ill.ma non mia, che di me consapevole mi sono eletto in radunanza Academica fra GELATI il sopranome del CALIGINOSO. Ma posto che in me non sia mai per trovarsi scintilla di luce, mi goderò io almeno di questo fumo che per la presente dedicatione si <[parola illeggibile]> come le fatiche mie possano piacere a persona tale che sia regola di giudicij altrui: di modo che per suo rispetto altri se non le approvasse, non le rifiuti, et se non abbracciasse GIULIANO CACCIATORE vada rattenuto in vilipenderlo, per dubbio di non dissentire da giudicio purgatissimo, e senno sanissimo quale è quello del S.r Cardinale Serafino. Quanto poi allinteresse dellaltro mio figliuolo Gio. Ludovico, io prego a V.S. Ill.ma vita che possa così mostrarsi officiosa chegli, per mancamento detà non resti incapace di favore che dalla sovrana autorità et benignità di essa lei possa derisarsi in lui, il che non sarà se non altra decine e decine danni che le siano feliciss[im]i. Da Bologna lultimo dAgosto 1605
Di V.S. Ill.ma et R.ma Ser.e di singolariss.a divotione
Melchiorre Zoppio Doc. 2 Copia di lettera di Melchiorre Zoppio Marcantonio Amici, Bologna, 31 luglio 1621, Macerata, Biblioteca comunale Mozzi-Borgetti, ms. 501 [già 5.4.E.2], fasc. 7, n. 1. Copia della le.ra del sig.re Melchiorre Zoppio Tengo appresso di me quella contesa in materia di quella Tragedia, o vogliami dire Rappresentatione, come pare [?] al Censore, e pare [?] similmente a me. Aspetto occasione di mandarla sicura, ella è stata il mio trattenimento per viaggio. Non ardisco interporvi giuditio. I Padri Serviti hanno aquistato quel credito nelle lettere che possono sotentar per ben fatto ciò che da loro è fatto; ma in verità, in caminare per la via battuta, adherirei più tosto alla Censura e replica, che non farei alla Tragedia, e alla risposta, alla quale veggo lunica [parola illeggibile] horatiana · Si quid inexpertum scene committis, et audes · Non havrei tanto ardito io che non sono ne anche timido. Non ho veduto la tragedia, ma per quanto si cava dalla contesa io ci sto molto con lanimo perplesso, e tanto più chio veggio il negocio trapassare da glargomenti alle punture. Et sio mi facessi troppo innanzi, temo non incontrasse a me di quello che è avvenuto a Ms Jacomo Ferrari, che larchibugiata diretta ad altri lha colto lui che non chavea né colpa, né peccato. Il Sig.re Ecc.mo Gallo mi richiede il parere più chiaro e risoluto. Egli è questo: dingegno tutti due son bravi nel merito della causa saccordino fra loro. Per me giudico bene a star lontano che non ambisco che quella Tragedia fosse la mia, per haverla da sostentare come Tragedia secondo le Regole. Questo chio scrivo con amica sincerità rimetto al giudicio di V.S. e del Sig.re Gallo quando fossero molestati del mio parere, si contentino di essere insieme, dicano qualche torpaia da dire, tacciano quelchè da tacere. Mi rimetto nelle loro mani, ma veggano di non mi mettere alle mani. Le bacio alluno e laltro. Di Bol.a lultimo di luglio 1621 D.V.S. m.to Ill.re e m.to F.se S.re di vivo, e vero affetto
Melchiorre Zoppio
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