Quante volte, caro Lionello,
camminando per le vie di Vicenza o seduti a un tavolo di unaccogliente
Malvasia nei pressi della piazza dei Signori, abbiamo parlato delle fonti e
della storia dellOlimpico! Eravamo immersi nellavventura archivistica (ed
editoriale) del volume di Licisco per il Novum
Corpus Palladianum. Sono lontane quelle giornate. Sono accadute tante cose,
ma il ricordo del tuo incoraggiamento, dei tuoi suggerimenti, del tuo aiuto e
del tuo affetto è intenso. Mi accompagna e mi conforta anche adesso. Una volta,
nel maggio 1992, mi regalasti un libro su un Maestro del Novecento: Vicenza per Otello De Maria, 60 anni di
pittura. Nella dedica scrivesti che entrambi “abitavamo” nel Cinquecento.
Di parte delle nostre conversazioni palladiane e di quelle avventure tra le
carte cinquecentesche ho cercato di rendere partecipi, nel maggio 2001, i miei
studenti dellUniversità di Firenze durante un seminario che ci ha portati
allOlimpico e nel teatro di Sabbioneta. In quei giorni, ancora una volta, il
pensiero è andato a te, amico carissimo. Perciò ho pensato di dedicarti questi
appunti colloquiali sollecitati dai giovani amici che avevo accompagnato nei
teatri veneto-padani del Cinquecento e che, al rientro, mi chiedevano, a
consuntivo di quellesperienza, una riflessione sulle fonti dellOlimpico.
Tanti auguri, Lionello. Un
abbraccio affettuosissimo (anche a Luisa e Massimiliano) dal tuo Stefano.
1. Temi e problemi
Oggi porremo una lente dingrandimento su un argomento in
parte indagato nella gita-seminario ai teatri veneto-padani del Cinquecento.
Adotteremo un punto di vista “operativo”: vedremo dove e come si possa studiare
lOlimpico di Vicenza. Cercheremo di render conto della complessità dei temi dindagine (e dei conseguenti
inevitabili problemi) che si
presentano a chi intenda analizzare quel teatro insigne e la sua inaugurazione.
Temi e problemi, dicevo. Si tratta di un binomio ricorrente. Credo che
ognuno di voi abbia già avuto modo di constatarlo. In ogni indagine – una volta
superato lo smarrimento iniziale che coglie tutti gli studiosi – ci troviamo di
fronte nellorganizzare il pensiero o le schede di spoglio della bibliografia o
delle fonti o nel redigere la stesura finale del lavoro, ci troviamo di fronte
ai temi che abbiamo individuato e
tesaurizzato nel corso delle ricerche. A questo punto respiriamo profondamente
e ci tuffiamo più a fondo nel passato, librandoci in una sorta di à rebours kubrickiano[1] in
bilico «tra lamore sfiduciato per la Storia […] e lamore, non meno
sfiduciato, di vivere».[2] Gli
antichi oggetti culturali[3] che
andiamo indagando pian piano si illuminano, non sono più estranei; cominciano a
“parlare”, ad avere un qualche senso anche per noi ormai così lontani dalla
loro genesi; raccontano storie (temi,
appunto) talvolta affascinanti, talvolta noiose, spesso insospettate.
Scopriamo ad esempio, nel caso dellOlimpico, che per
tentare di decifrare il programma iconografico della sala e i meccanismi di
produzione e fruizione dellEdipo tiranno,
andato in scena nel marzo 1585, non basta soffermarsi su architettura teatrale,
décor, scenografia, scenotecnica,
illuminotecnica, drammaturgia, attori, costumistica, tecniche recitative e
musicali, pubblico. Occorre andare più in là, cercando di fare interagire
questi elementi, che pure sono fondamentali, con la mentalità di coloro che promossero
levento spettacolare e ammisero quel pubblico nel teatro voluto dallAccademia
Olimpica. Procedendo su questa strada ci rendiamo conto, come sapete, che una
chiave interpretativa imprescindibile è la nozione di impero (figg. 1-3).
Per immaginare[4] cosa pensarono e provarono gli
accademici e i loro ospiti (autorità veneziane comprese) in quella lontana
giornata di carnevale possiamo sottovalutare un segnale di tale forza
evocativa? Non credo. Dobbiamo invece rifarci a unidea forte della cultura cinquecentesca:
quellidea di impero[5]
apparentemente lontana dallOlimpico (e infatti a lungo trascurata dagli
studiosi del teatro palladiano), ma che in unottica contestuale attenta alla mentalità e alla ideologia dei committenti
e dei destinatari si rivela essenziale.
Una volta accertato il tema imperiale sorgono i problemi. Veniamo così alla seconda
parola del nostro dittico investigativo; e prendiamo atto che lindividuazione
di un tema porta con sé molteplici
questioni a esso collegate a doppio filo. Ad esempio, per rimanere al nostro
caso specifico: chi è il personaggio ammantato da segni manifestamente
imperiali? perché la statua è posta in corrispondenza della prospettiva
centrale della “scena di città” scamozziana conclusa un tempo da un arco
trionfale sormontato da un monumento equestre (fig. 4)? come “interagiva” la
statua con il testo sofocleo recitato dagli attori nel volgarizzamento del
Giustiniani? perché in un teatro costruito in una città soggetta alla
Serenissima fu costruito un teatro palesemente filoimperiale? chi commissionò
quella statua con simili fattezze e simboli? Ancora: chi eseguì quella
scultura? quale il valore prossemico di tale scultura in rapporto alludienza e
alla scena? Quale, in sostanza, il progetto ideologico e culturale degli
aristocratici committenti vicentini? Cosa intendevano rappresentare costoro con
la paludata esibizione pietrificata di sé stessi nelle statue dellOlimpico e
con la messa in scena dellEdipo tiranno?
Le risposte le abbiamo in parte già date a Vicenza, durante il nostro
seminario.[6] Ora
conta rilevare il procedimento che ha portato a formulare quelle risposte.
Partiamo, più in generale, da un “vecchio” (ma ancora
attuale) libro di Manfredo Tafuri, Larchitettura
dellUmanesimo.[7] Nella prima parte vi si delineano
le vicende storiche, nella seconda si ragionano, in simbiosi alle vicende,
alcuni nodi centrali (temi e problemi, appunto) dellarchitettura
rinascimentale e manieristica: architettura e città, architettura e ideologia,
architettura e simbolismo, architettura e teatro, trattatistica, tipologie,
modelli, antirinascimento, anticlassicismo e manierismo, architettura, scienza
e tecnologia. Si arriva dunque, pur nellambito di una dichiarata operazione di
sintesi, a uscire dagli schemi manualistici cogliendo la complessità che
accompagna il lavoro storico. Perciò vi consiglio di leggere questo volume che
ha ispirato molte delle migliori inchieste teatrologiche sul Cinquecento
italiano[8] e che
dimostra come lo studio delle vicende storiche possa/debba essere proficuamente
organizzato per temi e problemi che
con la loro ricchezza culturale moltiplicano i punti di vista liberandoci dalle
secche dei settorialismi disciplinari.
2. Il ritorno alle
fonti
Aggiungo che ogni ricerca rigorosa (incluse le vostre future
tesi di laurea) deve basarsi su indagini e interpretazioni originali. Il che vuol dire, in
primis, rifarsi, implacabili, alle fonti.
Non consegnate il vostro giudizio alle costruzioni storiografiche precedenti.
Mettetele in discussione. Ripercorrete di
persona i documenti già noti, verificateli, cercate altre piste, perseguite
con tenacia altri filoni di indagine. Occorre seguire il filo dArianna della
curiosità archivistica e avere lumiltà (e il coraggio) di sottoporsi a un
disciplinato training tra le fonti.
Solo così, senza consegnare il nostro giudizio allo sguardo altrui, senza affidarsi
a indagini pregresse “orientate” dal punto di vista dello scrutatore, solo in
tal modo, dicevo, potremo tentare di gettare su basi nuove solide fondamenta
per la nostra giovane disciplina, la storia del teatro e dello spettacolo. Non
si tratta di anacronistico feticismo documentario di sapore neopositivista, ma
della consapevolezza ermeneutica che soltanto «attraverso le scelte e i raffronti che opera, lo
storico attribuisce un senso inedito alle parole strappate al silenzio degli
archivi».[9]
Diffidate da chi dice che un argomento è del tutto esplorato. Nella maggior
parte dei casi non è vero. Le ricerche di prima mano (nelle biblioteche negli
archivi nei musei ecc.) danno sempre i loro frutti. Consentono di scoprire
nuovi materiali, di verificare, rettificare o innovare le precedenti
interpretazioni misurandosi coi documenti originali (diretti o indiretti,
manoscritti o a stampa, letterari, archivistici, iconografici, ecc.). È questa
lunica metodologia che, in tutta coscienza, mi sento di suggerirvi. Basta
stare attenti a non disperdersi tra le carte (può capitare), a non
“affezionarsi” in modo eccessivo ai documenti e ai propri argomenti di studio;
dobbiamo sempre mantenere un ragionevole distacco critico.
Daltronde la minuzia dellindagine darchivio non è di
per sé garanzia di un buon lavoro. Non basta reperire i materiali. Bisogna
vagliarli con attenzione, creare tra essi unindispensabile gerarchia. Bisogna
selezionarli e interpretarli: cosa è davvero importante tra i materiali
censiti? quali sono i documenti che determinano un effettivo avanzamento degli
studi? In breve: al censimento e allanalisi delle fonti deve sempre seguire
lindispensabile sintesi interpretativa. È vero invece che troppo spesso si
producono sintesi acritiche che non conoscono il “profumo” delle fonti. Non cè
niente di scientificamente meno produttivo. La ricerca è altra cosa. Il
documento va inseguito da presso, va interpretato inserendolo nel contesto
storico-culturale in cui venne stilato, valutando lintenzionalità,
lattendibilità (da verificare con comparazioni e controlli incrociati) e i
modi di produzione del cosiddetto documento/monumento.[10]
3. La mappa delle
fonti e le scienze dello spettacolo
Torniamo allOlimpico e tracciamo quella che mi piace
chiamare la “mappa” delle fonti. Perché allinizio di un lavoro scientifico la
prima cosa da fare, a mio parere, è proprio questa: delineare (basandosi sugli
esiti delle prime letture compiute) una “carta geografica” dei luoghi e degli
strumenti della ricerca, uno schema che consenta di identificare e programmare
il paziente percorso investigativo da compiere. Oggi avremo modo di fornire un
esempio concreto illustrando un caso significativo sia per la sua importanza
artistica sia per la qualità e la quantità della documentazione disponibile.
Disegnando la mappa delle fonti sullOlimpico e la sua
inaugurazione faremo il punto su un più ampio spettro di questioni perché le
vicende della progettazione, delledificazione e della messinscena vicentina
del 1585 sono inscindibili, si è visto, da quelle della committenza, dei
destinatari, del contesto storico-culturale. È questo un punto metodologico
centrale. La storia del teatro non deve articolarsi in molteplici piccole
storie settoriali decontestualizzate. Mi spiego meglio. Non dobbiamo
parcellizzare gli statuti del teatro (lo spazio, lattore, la drammaturgia, la
committenza, il pubblico) ma farli interagire. In una parola: fonderli. La
storia dello spettacolo è storia unitaria. È storia di relazioni, storia dei
rapporti (tra persone e persone, tra persone e istituzioni, tra persone e
oggetti culturali) che contribuirono a determinare gli spazi teatrali e i
fenomeni spettacolari. Non dimenticate mai i committenti e gli
artisti-artigiani, vale a dire gli individui che animarono quegli spazi e li
resero densi di significati e di vitalità con la loro cultura, le loro
ambizioni, le loro liti, i loro sogni, le loro competenze tecnico-esecutive.
Non idealizzate i rapporti tra costoro, storicizzateli.[11] I
teatri e gli spettacoli non sono avulsi dalla storia, dalla cultura, dagli
uomini (gli individui, i gruppi). Sono collegati alle civiltà. Alla storia dei
grandi e a quella degli umili, alla storia “alta” come a quella “dal basso”;
alla storia orale e a quelle del corpo e della vita quotidiana.[12] Un
fondatore delle scienze dello spettacolo, Ludovico Zorzi,[13]
raccomandava ai suoi scolari di porsi sempre una semplice domanda: «cosa cera
attorno al fenomeno spettacolare che stiamo indagando?». È nostro compito,
allora, in primo luogo, cercare di documentare e decifrare la realtà storica di
unepoca, la sua storia materiale, il suo clima culturale e artistico, la
mentalità dei committenti, degli artisti, del pubblico, i loro gusti, le loro
inclinazioni ideologiche e culturali. Per restituire spessore ai nostri
argomenti e avere maggiori chances di
interpretarli in modo corretto giovano anche le pratiche della microstoria
fondate su un continuo confronto tra teorie storiografiche e scienze umane. Si
pensi, ad esempio, alla thick description
(la descrizione densa enunciata da Clifford Geertz in ambito antropologico) che
mira alla costituzione di repertori di materiali «descritti densamente, resi
cioè intellegibili dal loro inserimento nel contesto».[14]
Storia unitaria globale
e contestuale di un fluido e
sincronico sistema di relazioni.[15]
Credo sia questo lapproccio migliore per cercare di restituire le complessità
e la ricchezza delle molteplici storie dei teatri e degli spettacoli nei tempi
lunghi della storia. Dovremo allora indagare, di volta in volta, caso per
caso, senza instaurare astrazioni, le relazioni tra i luoghi e le forme
dello spettacolo, tra gli spazi del teatro e le persone che li vissero, con
lobiettivo di cercare di svelare le drammaturgie (ossia le strategie creative,
i procedimenti esecutivi)[16]
degli spazi e delle performances. Poi
potranno venire anche le sintesi complessive, le auspicabili visioni dinsieme;[17] ma
la geografia e la storia degli spazi teatrali non devono essere confinate negli
“steccati” delle sole tipologie architettoniche e scenografiche. Quelle
tipologie devono interagire con la vita che le animò, con i meccanismi di
produzione, realizzazione e fruizione delle rappresentazioni. Le pietre dei
teatri non sono scisse dagli uomini. Erra la storiografia che instaura una
dicotomia tra gli spazi e le forme spettacolari. I teatri come i documenti sono
luoghi della memoria. Se li studiamo in una prospettiva unitaria e multilineare
possono raccontarci tante vicende, ambizioni, delusioni, speranze, avventure
individuali e collettive, tasselli di un puzzle
comunque solo in parte ricomponibile. Sappiamo infatti che siamo alla ricerca
di «sogni perduti», di cui ci affanniamo a mettere insieme i pezzi, ma ci manca
sempre qualcosa.[18] Consapevoli di ciò
percorriamo la “mappa” delle fonti.
La prima fonte di cui disponiamo per la storia
dellOlimpico è il teatro stesso.
Come per il teatro di Sabbioneta dello Scamozzi e a differenza del
buontalentiano Mediceo degli Uffizi, abbiamo la fortuna di disporre della fonte
principe: ledificio teatrale con i suoi spazi, le sue architetture, le sue
scenografie, i suoi partiti decorativi sopravvissuti nel corso dei secoli alle
alluvioni e agli eventi bellici. Sembrerebbe lapalissiano (e doveroso) partire
da uno studio ravvicinato della
fabbrica palladiano-scamozziana. Eppure spesso non è andata (e non va) così.
Chi legga la sterminata bibliografia sullOlimpico (o quella sul teatro di
Vespasiano Gonzaga) si rende conto che molte pagine sono di riporto, scritte da
estensori frettolosi che non hanno effettuato una visita attenta o, talvolta,
non si sono nemmeno presi la briga di recarsi sul posto. Senza arrivare al caso
paradossale (ma vero), che tanto stupì Gordon Craig, di quella “voce” di una
vecchia edizione della Britannica che
dava per distrutto il teatro di Sabbioneta.[19]
Occorre, dunque, privilegiare loggetto concreto (ledificio), fare i conti con
la realtà dello spazio (un buon modo per non farsi prendere la mano dalla
fantasia), con il problema delle eventuali preesistenze (capitale nel caso di
Palladio), con le stratificazioni e le modificazioni rispetto al progetto
originario avvenute in corso dopera e nei successivi restauri. È opportuno
lavorare in équipe. Nessuno di noi,
da solo, dispone di competenze sufficienti. Scrive March Bloch in quel
fondamentale breviario storico che resta tuttoggi lApologia della storia o Mestiere di storico:
«per grande che sia la
varietà di conoscenze dei ricercatori meglio preparati, esse troveranno sempre,
e di solito assai presto, i loro limiti. Non cè allora altro rimedio fuorché
quello di sostituire alla molteplicità delle competenze in uno stesso uomo
unalleanza delle tecniche praticate da studiosi diversi, ma tutte rivolte
allillustrazione di un unico tema. Questo metodo presuppone il consenso al
lavoro per squadre. Esige anche la definizione preliminare, ottenuta di comune
accordo, di alcuni grandi problemi dominanti. Siamo ancora troppo lontani da
simili conquiste. Eppure esse determineranno in gran parte, non vi è dubbio,
lavvenire della storiografia».[20]
Nel caso dellOlimpico, ad esempio, era indispensabile
eseguire nuovi rilievi del monumento. Come prevedibile hanno integrato con
efficacia gli esiti raggiunti dalla parallela nuova ricerca documentaria.
Occorrevano, dunque, non solo storici dello spettacolo e dellarte, ma anche
storici dellarchitettura in grado di far “parlare” i tessuti murari,
distinguere con esattezza le murature medievali da quelle innalzate prima da
Palladio e da suo figlio Silla e poi da Scamozzi (figg. 5-8). In questo
incontro di competenze mi sembra si possa individuare uno degli elementi
salienti del volume di Licisco Magagnato.[21]
Le riflessioni suscitate dalla fabbrica e dal suo décor devono interagire coi documenti.
Ma dove e come rintracciarli? E soprattutto: siamo in grado di farli parlare?
li sappiamo interrogare adeguatamente?[22] In
tutte le avventure darchivio dobbiamo partire da un dato di fatto. Di norma la
casualità e la fortuna sono fattori secondari. Solo i dilettanti pensano il
contrario (vi confesso che mi innervosisco quando sento parlare di fortuna a
questo riguardo da chi, evidentemente, non ha consuetudine con gli archivi):
«Nonostante ciò che talora sembrano credere i
principianti, i documenti non saltan fuori, qui o là, per effetto di chissà
quale imperscrutabile volere degli dèi. La loro presenza o la loro assenza, in
un fondo archivistico, in una biblioteca, in un terreno, dipendono da cause
umane che non sfuggono affatto allanalisi, e i problemi posti dalla loro
trasmissione, nonché non essere soltanto esercizi per tecnici, toccano essi
stessi nellintimo la vita del passato, perché ciò che si trova così messo in
gioco è nientemeno che il passaggio del ricordo attraverso le successive
generazioni».[23]
Sta a noi, dunque, dotarci di adeguati strumenti di
conoscenza sia per individuare i luoghi di conservazione delle fonti sia per
sapere quel tanto che basta per rintracciarle e renderle eloquenti. Chi si
limiti a raccogliere materiali senza preordinare un piano di azione e senza poi
sapere interpretare i documenti rintracciati intraprende una ricerca forse
generosa ma senzaltro ingenua (quando non inutile). Rischia di fraintendere, o
addirittura di non vedere quello che sta cercando. Per quanto riguarda
lindividuazione delle fonti uso ancora parole di Bloch:
«Uno dei più difficili compiti dello storico è la raccolta
dei documenti di cui ritiene di aver bisogno. Non potrebbe riuscirvi senza
laiuto di guide diverse: inventari di archivi o di biblioteche, cataloghi di
musei, repertori bibliografici di ogni genere. Talvolta, si vedono pedanti
alquanto insolenti stupirsi del tempo sacrificato sia da alcuni eruditi a
comporre simili opere, sia da tutti gli storici a conoscerne lesistenza e limpiego.
Come se, grazie alle ore impiegate così per mansioni che, pur non essendo prive
di una certa attrattiva nascosta, mancano sicuramente di scintillio romanzesco,
non si risparmiasse in definitiva il peggiore sciupio di energie».[24]
Vi sono degli strumenti che è obbligatorio conoscere.
Eviteremo così di perdere ore e ore per poi scoprire lacqua calda. Per le
biblioteche e gli archivi italiani esistono utili punti di partenza
“preventivi”.[25] Anche se poi è
indispensabile integrare le informazioni lì registrate con le indicazioni reperite direttamente sul posto mediante
lo spoglio minuzioso e giudizioso dei cataloghi, degli inventari antichi e
moderni (manoscritti, dattiloscritti, a stampa, informatici) e dei repertori
speciali relativi a un determinato archivio o a una determinata biblioteca (non
entro nel dominio web delle banche
dati che, ormai, meriterebbe un discorso a sé). Come è indispensabile tenere
presenti le informazioni fornite dai funzionari di tali istituzioni.
Istituzioni che, per quanto riguarda lOlimpico, sono
molteplici e non ubicate solo a Vicenza. Ricordo almeno lArchivio di Stato e
la Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, la Biblioteca Apostolica Vaticana
di Roma (con materiali sui testi in ballottaggio per lo spettacolo inaugurale),
la Biblioteca Ambrosiana di Milano (conserva il progetto dellIngegneri per la
messinscena vicentina dellEdipo), il
fiorentino Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi (custodisce quattro disegni
autografi dello Scamozzi per la scenografia ideata in funzione della tragedia
sofoclea) e, a Londra, il Royal Institute of British Architects (conserva, tra
laltro, il progetto palladiano, ossia il “modello” del teatro, lunica
testimonianza grafica del pensiero del Maestro patavino). Dobbiamo fare i
conti, quindi, con un palese fenomeno dintersezione
documentale. Fenomeno che si riscontra in modo macroscopico proprio a Vicenza
dove le fonti non sono concentrate in un solo luogo ma conservate in sedi
culturali diverse: lAccademia Olimpica, lArchivio del Municipio, la Civica
Biblioteca Bertoliana, lArchivio di Stato, il Museo Civico costituiscono
altrettante miniere di informazione. E una ricerca corretta deve tener conto
della reciproca integrabilità dei luoghi e dei fondi documentali.[26]
Per quanto riguarda larchivio presso la sede
dellAccademia Olimpica avverto che per noi, in questa occasione, ha un
interesse minore perché, in linea di massima, raccoglie carte del XIX secolo e
dei nostri giorni. Esiste comunque un utile inventario.[27]
Diverso il caso dellArchivio del Municipio a palazzo
Trissino. Le filze concernenti lAccademia Olimpica riguardano in prevalenza la
vita otto-novecentesca del sodalizio e del suo teatro, ma contengono copie, regesti
e stralci di documenti antichi che meriterebbero ulteriori spogli.
Ma è la Civica Biblioteca Bertoliana il cuore della nostra
inchiesta. La Bertoliana è una delle più ricche biblioteche del Veneto. Fondata
nel 1696 si accrebbe con la cospicua raccolta dei marchesi Gonzati e con altri
materiali. È il luogo di conservazione primario per il nostro tema perché ha in
custodia lArchivio Antico dellAccademia, ossia i documenti accademici stilati
dal Cinque allOttocento custoditi in nove buste del fondo intitolato Accademia
Olimpica (=A.O., b. 1-9, fasc. 1-96).[28]
Fondamentali per lo studio delle vicende costruttive e dellallestimento dello
spettacolo inaugurale risultano in particolare i fascicoli n. 4 (libro segnato D, copre gli anni
1579-1582) e n. 5 (libro segnato E, copre gli anni 1582-1586). Si
tratta dei verbali accademici originali: documenti preziosi ma ancora in attesa
di pubblicazione integrale e noti, sino a non molti anni fa, solo tramite copia
ottocentesca.[29] Vanno poi segnalati,
sempre nel fondo A.O., i documenti conservati nel fasc. n. 1 (libro segnato A, cinquecentesco) e nel
fasc. n. 70 (Atti dellAcademia Olimpica.
Da lAnno 1600 in poi): contengono notizie fondamentali sulledificazione,
sulle vicende costruttive successive e sulle forme dello spettacolo. Hanno
consentito di attribuire definitivamente le scene dellOlimpico a Scamozzi e di
datare al Seicento (e non al secolo precedente) ledificazione dellodeo
accademico che abbiamo visitato insieme.[30]
Come mai queste fonti, decisive per sciogliere problemi
molto dibattuti, sono state trascurate sino a tempi recenti nonostante che
alcune di esse siano reperibili addirittura nel primo fascicolo della prima
busta del fondo? Perché si era creata unimpasse
storiografica che fa venire alla mente le poliziesche aporie investigative
descritte magistralmente da Poe nel celebre racconto della Lettera rubata che, a ben vedere, era in bella evidenza sotto gli
occhi di tutti come svela lacuto investigatore-artista August Dupin?
Sostanzialmente per due ragioni che mi sembrano esemplari anche in unottica
più generale: a) come potete vedere dalla foto che vi è stata distribuita la
grafia di Pompeo Trissino[31] che
attesta la paternità scamozziana delle prospettive è ostica (fig. 9). Sicché
gli studiosi, che pure hanno consultato queste carte, non hanno avuto la
pazienza di decifrare una scrittura di difficile lettura (capite meglio,
allora, perché sia indispensabile rifarsi di persona alle fonti). b) A uno
sguardo superficiale unaccurata indagine darchivio sullOlimpico poteva
sembrare superflua a fronte dellesistenza di una vasta bibliografia. Le cose
stanno altrimenti. A riprova consiglio un esperimento: recatevi presso la sala
manoscritti della Bertoliana. Scoprirete lesistenza di “schedoni” relativi al
fondo A.O., ovvero di schede che registrano i nominativi di coloro che hanno
consultato il fondo. Consultate poi una bibliografia sullOlimpico:
constaterete che molti studi sono privi di basi documentarie[32]
quando, di frequente, basta un percorso archivistico per risolvere tante accese
dispute storiografiche.
Ne deriva che le indagini archivistiche è opportuno
compierle, e compierle di persona. Affidare ad altri il lavoro “investigativo”,
ossia il reperimento e la trascrizione delle fonti, è rischioso; di più: è
metodologicamente controproducente, come riproporre in modo inerte documenti e
testi già editi (che, invece, nella maggior parte dei casi, vanno controllati e
ridiscussi). Lo sanno bene i filologi (quelli veri) che si guardano dal
delegare la collazione dei testimoni. Si veda il Breviario di ecdotica di Gianfranco Contini.[33] Che
senso avrebbero lo stemma codicum e
ledizione critica di un testo fondati su altrui collazioni? Non si può
collazionare un testo senza assumere, anche inconsapevolmente, la veste di
trascrittore. E come escludere la possibilità di errori di trascrizione? Ne
consegue che non si può delegare ad altri la collazione dei testimoni, per non
correre il rischio di assumere errori altrui. Filologia e critica, per usare un
fortunato titolo di Lanfranco Caretti, sono inscindibili, preliminari luna
allaltra.[34] E si può andare più in
là. Non si tratta solo di possibili errori di trascrizione. Spesso i nuovi
documenti si rintracciano e si interpretano correttamente solo utilizzando
logiche di lavoro dettate dalla ricognizione in loco, dalla chimica cerebrale individuale, dalle concatenazioni
di pensiero e dai percorsi tra le fonti sollecitati dallinchiesta “sul campo”:
«I problemi non si risolvono passandoli ad altri», diceva Aby Warburg a Fritz
Saxl.[35] E
Warburg conosceva bene pure gli archivi.[36]
Losservazione individuale diretta, paziente minuziosa lenticolare, della
fisicità del “reperto” è basilare: Ivan Lermolieff (alias Giovanni Morelli, il conoscitore darte), Freud e Holmes ci
hanno insegnato come (e quanto) gli “scarti”, gli indizi impercettibili ai più,
i dati apparentemente secondari possano essere spie rivelatrici del sapere
indiziario.[37] Lo testimonia anche una
pagina di Lionello Puppi che mi piace rileggere con voi:
«Per quanto possa affaticare la memoria, mi sarebbe
impossibile indicare quanti giorni io abbia trascorso, in una delle sale di
consultazione dei manoscritti della Bibliothèque Nationale di Parigi, chino su
un codice, che si vuol datare alla fine del secolo XII (reca la criptica
segnatura Beatus N. a 1.2290), aperto ai fogli 13v e 14r che una miniatura
accolgono, rappresentante la mappa del mondo. Avvertivo che quellimmagine
proponeva un enigma; maffaticavo, sino a restarne stremato, a decifrarlo.
Dovevano scuotermi la sera, alla chiusura di cui non avevo udito lannuncio
scampanellante, i sorveglianti; lindomani, non appena venivano spalancati i
battenti del maestoso palazzo, correvo al tavolo che mera stato assegnato e
con impazienza aspettavo che il pesante volume pergamenaceo fosse prelevato
dallo stipo overa stato riposto e fosse nuovamente collocato sul leggío.
Talora, dimprovviso, la soluzione del mistero mi pareva, per dir così, a
portata di mente, e financo piana, ovvia: ma era solo un lampo abbagliante, che
mesplodeva dentro, per spegnersi subito in desolazione di tenebre; e
ricominciava, estenuante ed inutile, il rovello. Infine, compresi».[38]
Un bellesempio di metodo, dinevitabile “febbre” da
ricerca e di perseverante tensione ermeneutica individuale. Dissento, dunque, dallistituto generalizzato della
delega (come dalle esasperate astrazioni metodologiche preventive). Il che non
vuole dire, si badi, operare in solitudine. Abbiamo sottolineato, con Bloch,
come sia decisiva l«alleanza delle tecniche praticate da studiosi diversi». È
vero: il gioco di squadra è indispensabile, ma lavorare in équipe non significa delegare ad altri il lavoro di base (quello
ritenuto, a torto, di “manovalanza”, poco gratificante). Significa, invece,
condividerlo lavorando con umiltà, fianco a fianco, in armonia, senza
instaurare egemonie arroganti, ripartendo con rigore scientifico e onestà
intellettuale i ruoli e le diverse competenze disciplinari.
Oltre al fondo A.O., in Bertoliana si trovano altre fonti
interessanti. Le trovate registrate nella bibliografia del volume di Magagnato.[39] Se
non disponeste di questo lavoro potreste reperirle, con pazienza e un po di
fatica, spulciando soprattutto gli
inventari ottocenteschi della biblioteca (consultabili nella ben organizzata
sala manoscritti)[40] ma
anche compulsando il più recente catalogo a schede dattiloscritte dei
manoscritti della sezione Gonzati, oppure il sempre utilissimo Mazzatinti:[41] un
altro punto di riferimento da non dimenticare (valga desempio la missiva di
Aleotti sullOlimpico diligentemente segnalata in questo repertorio sin dal
1892 ma ignorata per un secolo) (fig. 10).[42]
Prima di lasciare la Bertoliana mi preme sottolineare
limportanza di ulteriori tipologie documentali. Penso alla raccolta di mappe o ai fondamentali Libri di Parti (gli atti dei Consigli cittadini cinquecenteschi)
conservati nel cosiddetto Archivio di Torre, ovvero nellArchivio Storico del
Comune in gran parte confluito nella biblioteca Civica. Ma penso soprattutto a
un ms. che si trova nel fondo Gonzati: la cronistoria dellAccademia Olimpica
compilata da un erudito settecentesco, labate vicentino Bartolomeo Ziggiotti.[43] Non
siamo più in presenza degli atti coevi agli eventi, stilati di volta in volta
dal segretario del sodalizio, ma di un consuntivo seriore. Una fonte tarda, da
accogliere con la massima cautela senza per questo sottovalutarla. Certo la
penna dello Ziggiotti talvolta maschera i fatti, idealizza gli eventi (è il
caso della fantasiosa notizia sui solenni funerali di Palladio, come ha
dimostrato un lucido saggio di Puppi),[44]
talaltra fraintende (si pensi al fuorviante centone circa il palladiano
«modello […] e disegno parimenti delle Prospettive» derivato da unerronea
lettura dei documenti originali e iterato dalla critica sin troppo a lungo)[45] ma,
a dispetto di questi limiti, lautore dà vita a un ricco quadro dinsieme per
la storia della accademia e del suo teatro. Un quadro per certi aspetti
insuperato perché fondato su molteplici fonti: talvolta trascritte, talvolta
riassunte, di norma indicate via via a margine del ms. È questo il punto di maggiore
interesse. Seguendo i “segnali” posti ai margini delle pagine spesso siamo in
grado di risalire alle fonti originali, di recuperare referenze documentali che
altrimenti sarebbero di difficile (o impossibile) reperimento. Disponiamo
insomma di una valida guida per risalire il “corso” dei documenti, per
ricostruire la storia esterna e interna delle fonti. A patto, sintende, di
esercitare a dovere la critica delle
fonti ossia, nel caso specifico, di non fidarsi pigramente solo del
cronista (che, si è detto, a volte idealizza e fraintende), ma di compiere
scrupolosamente, di volta in volta, i controlli sulle fonti originali. Ciò detto
il ms. Ziggiotti resta sia un eccellente punto di partenza per orientare nuove
indagini sia un documento spesso di per sé autorevole. Labate dedicò alcuni
anni a redigere gli annali in questione, ebbe a disposizione fonti oggi
perdute, consultò manoscritti e libri antichi, fu implicato nella vita dellOlimpico
come stimato consulente nella vicenda del coronamento statuario settecentesco.
Ebbe modo di calarsi a fondo nella storia della istituzione vicentina e rimane
un testimone prezioso di quella storia. Concludo su questo punto ricordando che
Ziggiotti festeggiò la fine del suo lavoro con un tour da lui descritto in un diario che contiene anche notizie sul
“riuso” degli anfiteatri romani di Arles e di Nîmes e sui teatri parigini.[46]
La ricostruzione della storia dellOlimpico non si
esaurisce tra le mura dellArchivio del Municipio, dellAccademia o della
Bertoliana. Lintersezione archivistica ci porta in un altro luogo: lArchivio
di Stato di Vicenza. Lì si conserva anzitutto un
«formidabile complesso di carte dei notai di cui a preferenza si avvale lo
storico delletà moderna (e del medioevo) per ricostruire le vicende di un
passato in cui la nascita dello «stato macchina» non era ancora intervenuta a
circoscrivere lambito e le funzioni, un tempo quasi onnicomprensive, sotto il
profilo giuridico, economico e amministrativo, degli atti notarili».[47]
La consultazione delle carte notarili vicentine, agevolata
da buoni indici, è importante. Una volta individuati i notai delle famiglie
aristocratiche implicate nella storia dellOlimpico (ad esempio, per Leonardo
Valmarana, Boscarin Boscarini e Francesco Cerato) è dobbligo fare riferimento
anche a questa pista per ricostruire e interpretare le vicende
delledificazione e dellEdipo tiranno.
Vanno poi ricordati alcuni archivi privati di nobili casate (i Caldogno, i
Capra, i Chiericati, i Trissino) confluiti nella struttura statale e gli atti
giudiziari, le mappe, i catasti, gli estimi.[48] Del
resto i fondi notarili, al pari delle corrispondenze epistolari,[49] sono
imprescindibili per lo storico dello spettacolo europeo dantico regime. Si
pensi alla loro utilità per lo studio dei comici professionisti.
A questultimo riguardo vi propongo un altro esempio
dintersezione documentale. Lasciamo per un attimo Vicenza e lOlimpico.
Spostiamoci a Livorno nello «Stanzone delle Commedie» ubicato nella zona
portuale, inaugurato nel 1658 e destinato allopera in musica e alle recite dei
comici dellArte.[50] Non ci
misuriamo più con un teatro “alto” e “privato” riservato a un pubblico
selezionato, ma con uno spazio, distrutto sul finire del XVIII secolo,
frequentato da un pubblico pagante socialmente composito e animato dal
professionismo teatrale dei cantanti, degli attori, dei drammaturghi (uno dei
tanti spazi del teatro venduto, le « Stanze» appunto, documentati tra Cinque e
Seicento nelle “piazze” teatrali italiane: a Firenze, Venezia, Vicenza, Napoli
e in altre città della penisola).[51] La
storia di questo spazio ruota almeno su tre istituzioni: la Biblioteca
Labronica e lArchivio di Stato a Livorno e lArchivio di Stato di Firenze.
Alla Labronica sono conservati libretti, locandine (arricchite talvolta da
ritratti di attori e attrici)[52] e
appunti manoscritti che danno notizie sul repertorio spettacolare. Presso
lArchivio di Stato di Livorno, invece, si conservano i documenti catastali
(«Giustificazioni» e «arruoti di decime») che permettono di ricostruire le
caratteristiche architettoniche e organizzative della sala seicentesca e le sue
successive trasformazioni. Da questi incartamenti apprendiamo, ad esempio, che
nel 1662 Ferdinando Tacca, larchitetto-scenografo del teatro fiorentino degli
Immobili in via della Pergola, fu chiamato a Livorno per stimare il valore
delledificio.[53] Ma informazioni
importanti si rintracciano anche presso lArchivio di Stato di Firenze. Si veda
il saggio di Alessandra Maretti che, con lucidità critica (applicata a
unimpegnativa indagine di prima mano, lo spoglio completo del carteggio di
Mattias de Medici), ha risolto, tra laltro, lannosa querelle circa la datazione, lassetto e lubicazione dello
«Stanzone» stabile, dimostrando lesistenza a Livorno ante 1658 di un precedente luogo teatrale riservato alle esibizioni
dei comici: lArsenale dei Remolari con «in piedi palco e scena» in cui si
esibì Scaramuccia (alias Tiberio
Fiorilli).[54] Anche in questo caso
lintegrabilità reciproca dei luoghi e dei fondi documentali è stata decisiva.
Torniamo, infine, a Vicenza. Un altro polo basilare,
specialmente per la documentazione iconografica, è il Museo Civico ospitato in
palazzo Chiericati. I documenti riguardanti lOlimpico sono numerosi.[55]
Coprono un arco cronologico di lunga durata: dal Cinque al Novecento. Sono
facilmente rintracciabili perché registrati in utili schede mss. Ricordo
soltanto, a titolo desempio, la pianta che stiamo rivedendo (fig. 8). Una
fonte capitale (entrata in nostro possesso solo di recente): il più antico e
attendibile documento iconografico consuntivo per studiare non solo lOlimpico,
il suo sistema di ingressi, la sua struttura cinquecentesca (ad esempio il
«Locho per li Musichi per cantar» oggi non più esistente) (fig. 11), ma anche
le adiacenti sale accademiche e il contiguo palazzo del Territorio.
Abbiamo disegnato una sommaria mappa delle fonti per la
storia del teatro di Palladio e Scamozzi. Ora potremmo cercare di modificarla,
di ampliarla, di percorrerla insieme studiando e interpretando i documenti, ma
questa è unaltra storia e in parte la conosciamo. Come sappiamo che il
diagramma tracciato è solo una «mappa di possibilità»,[56] un
bilancio provvisorio e asistematico stilato, anzitutto, per stimolare e
incoraggiare nuovi, indispensabili sondaggi.
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