1. Nei tempi
lunghi della storia dellEuropa moderna gli spazi e le forme dello spettacolo
vivono nei paesaggi delle città: urbs e civitas, le pietre
e i cittadini. Di più: i cittadini e gli stranieri. Città, culture,
committenti, realizzatori e fruitori, idee di teatro e drammaturgie dello
spazio, tecnologie e ricadute tecnologiche, forme dello spettacolo e della
ricezione sono inscindibili negli orizzonti della nostra disciplina, dico la
storia dello spettacolo. Conta, storicizzando, laccertamento delle
discontinuità, delle differenze e delle analogie caratterizzanti, nella
architettura del tempo e nei diversi milieux, sistemi di relazioni che
hanno generato specifici contesti e
spazi, processi ed eventi. Officine delle modalità di percezione e
rappresentazione di sé (e dellaltro); serbatoi di sapienze performative e
artigianali; specchi, fedeli o deformanti, di mentalità e di orizzonti
dattesa, di miti, esperienze e idee, di simboli e di valori. Costellazioni
problematizzanti di un universo “altro”, ludico e metaforico, da sottoporre al
vaglio dellinterpretazione rapportandole ai processi di trasmissione
memoriale, alle fenomenologie del potere e della cultura, alla scena urbana e
al fluire in essa della vita. Tantè che lo storico dello spettacolo può ben dirsi,
anzitutto, uno storico delle culture urbane. E mi preoccupa lattuale perdita
del sentimento della storia.[1]
Come
ben sapete, cari colleghi e amici, la storia del teatro, o piuttosto dello
spettacolo, non è una disciplina gerarchica fatta solo di monumenti testuali o
architettonici. È, invece, storia a-centrica
e plurale. Storia di relazioni, di processi e di pratiche fondata
sullinterrogatorio incrociato di fonti, testi e documenti diversi; sulla
reinvenzione costante dei campi dindagine e sulla conoscenza affilata della
storiografia. Storia di contesti olistici. Di attori e di attrici. Di donne,
uomini, gruppi sociali. Storia di persone. Non solo. Diffidiamo dalle griglie
metodologiche “universali” preventive, valide a tutte le latitudini e per tutte
le epoche. Privilegiamo invece il dato storico concreto legato a luoghi e spazi
particolari, nella convinzione che anche per disegnare i concetti generali,
aprirsi alla comparazione storica e “far mondo” occorra prender le mosse da
specifici ambienti e vivi contesti, da specifici casi e problemi. E nellarco
diacronico di lunga durata che in Occidente va dal mondo antico alla fine
dellAntico regime (e ben oltre), promotori organizzatori e realizzatori
dellevento spettacolare costituiscono un trittico inscindibile, da porre in
relazione con le basilari drammaturgie dello spazio (ludienza e la scena, il
luogo o ledificio teatrale), con i meccanismi e i processi di produzione,
realizzazione e fruizione di un determinato
spettacolo e di un determinato testo drammaturgico, con lanalisi di un determinato ambiente e del gusto e delle
emozioni provate in quei contesti dagli attori e dal pubblico. Vale a dire con
lo studio della basilare relazione teatrale attore-spettatore e con lo studio
del pubblico nelle sue mutevoli mentalità e composizioni sociali e nei suoi
differenti orizzonti di attesa.
Concludo.
Quando della storia del teatro non si abbia
una visione letteraria “alta” e dicotomica, ma trasversale laica e meticciata,
la drammaturgia si rivela spesso, nelle sue diverse declinazioni nei tempi lunghi
della storia, creazione a più mani, fluida,
in divenire, che elabora molteplici linguaggi artistici ed è collegata
ai processi produttivi e ricettivi, alle istanze dei committenti, allo spazio
scenico, agli attori e agli spettatori. Ne deriva una storia del teatro
capace di non cristallizzarsi in sé stessa; di far leva su differenti punti di
forza per giungere allessenza di un fenomeno; di elaborare senza sofismi il
lutto della perdita delloggetto ermeneutico superando così le iterate
«retoriche dellarte fuggitiva»;[7] di annullare false
problematiche quali il falso problema testo sì, testo no, o quello altrettanto
falso della fedeltà al testo; di illuminare di nuova luce i propri densi
contesti svelando le interazioni dialettiche tra urbs, civitas e
spettacolo; di abbattere gli steccati disciplinari perseguendo metodi via
via diversi dettati dai differenti terreni da dissodare; e, infine,
questione decisiva, dinventare,
di volta in volta, le proprie
fonti in modo originale facendo ricorso anche, in alcuni casi soprattutto, a
documenti analogici,
insospettabili ai più, messi a illuminante confronto con le fonti dirette.
[7] GUARINO, Il teatro nella storia, cit.,
p. 5. Sul topico della assenza delloggetto ermeneutico: ivi, pp. V-XI (Premessa. Loggetto mancante e la memoria
vivente), nonché, più di recente, M. DE MARINIS, Il corpo dello spettatore. Performance Studies e nuova teatrologia,
in «AOFL», IX, 2014, 2, pp.
188-201: 189-190 (http://annali.unife.it/lettere/article/view/1078/880; ultimo accesso:
8 dicembre 2016).
© drammaturgia.it - redazione@drammaturgia.it
|
|