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Eleonora Sforzi

Moderni tessuti per la moda: il disegno animato e la formazione al consumo in “Carosello”

Data di pubblicazione su web 09/06/2020
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Manifestazione più lampante della natura sponsorizzata dei film d’impresa, il genere pubblicitario costituisce un ricco giacimento di indagine nel panorama dei cosiddetti utility film.[1] Ancora poco studiato in sede critica, il contesto italiano è in grado di rivelare numerose traiettorie storiche e declinazioni rappresentative di notevole interesse, offrendo inedite prospettive di osservazione su alcuni momenti della storia culturale del paese. Il presente contributo si propone di inserirsi sulla scia del recente interesse nel campo dei film e media studies per gli usi promozionali e commerciali delle immagini in movimento: un fenomeno che, per quanto si sia rivelato con maggior forza con lo sviluppo del medium televisivo e risulti sovradimensionato nell’odierno contesto mediale, affonda le proprie radici nel tardo XIX secolo, parallelamente all’evoluzione di varie pratiche di proiezioni animate.[2] In particolare, si intende riflettere su una tipologia di film pubblicitario fortemente legata a uno specifico periodo della storia italiana. Si tratta delle produzioni promozionali per Carosello, la celebre rubrica di pubblicità televisiva trasmessa tra il 1957 e il 1977 che, oltre a scandire le ore serali di diverse generazioni, ha rappresentato un formidabile strumento divulgativo che con la sua vivacità ha contribuito a incoraggiare forme di consumo di massa.

Il settore della moda offre un punto di osservazione privilegiato sul periodo, durante il quale anche la produzione e la fruizione dei prodotti risente dei cambiamenti favoriti dai processi di modernizzazione. A farsi interprete di questo clima di rinnovamento, che investe vari aspetti della vita economica, sociale e culturale del paese, è da un lato la graduale istituzionalizzazione della “moda pronta”, grazie al consolidamento delle maggiori aziende tessili e di confezioni; dall’altro lo sviluppo e la commercializzazione dei tessuti di origine chimica, vere e proprie “materie prime” nella messa a punto di un abbigliamento maggiormente orientato sulle esigenze quotidiane del pubblico di massa. Se le parole d’ordine della moda pensata per la vita di tutti i giorni diventano il comfort e la praticità, una delle fibre sintetiche più all’avanguardia del secondo dopoguerra come il poliestere si colloca al vertice della loro dimensione funzionale grazie alla sua versatilità.

Sulla base di questi presupposti, esamineremo due serie di pubblicità televisive per Carosello degli anni Sessanta che promuovono i vantaggi del nuovo tessuto avvalendosi di un’efficace formula “ibrida”, basata sulla combinazione di riprese “dal vero” con inserti animati. A differenza dei comunicati promozionali per il cinema, queste produzioni sono concepite per un’audience generalista composta da persone di ogni età che guardano il “piccolo schermo” in spazi e momenti di svago e di riposo, spesso appartenenti all’orizzonte domestico e familiare. Com’è noto, nelle pubblicità televisive per Carosello convergono l’esigenza del nuovo medium di intrattenere ed educare il pubblico di massa e quella delle aziende di promuovere nuove abitudini d’acquisto. Aperto alla sperimentazione rappresentativa ma regolato secondo precisi presupposti, questo è il contesto per eccellenza in cui le principali aziende nazionali veicolano la posizione di innovativi prodotti tessili nel clima di modernizzazione, rendendoli interpreti di un’idea di progresso e di benessere. La pubblicizzazione di confezioni realizzate in fibre sintetiche fornisce esempi emblematici di come il disegno animato abbia in un certo senso capovolto lo statuto di estraneità delle materie prime, instaurando un rapporto di familiarità con il quotidiano degli spettatori. Prenderemo dunque le mosse da una breve ricognizione storica sul ruolo del film d’animazione nel favorire la commistione tra intrattenimento ed educazione del pubblico di massa; la formula italiana del Carosello ne costituisce a tutti gli effetti un’ulteriore declinazione. Concentreremo poi l’attenzione su due serie pubblicitarie della rubrica televisiva in cui simpatici personaggi “a due dimensioni” divengono eccellenti garanti di messaggi formativi destinati agli spettatori-consumatori.

L’educazione animata e la via italiana alla pubblicità

In virtù della sua libertà rappresentativa, dell’immediatezza e delle notevoli capacità comunicative, il disegno animato è molto più di un “medium della fantasia”, grazie al quale dare vita a favolosi racconti. L’animazione ha rappresentato un importante mezzo di formazione non soltanto in contesti specializzati, ma anche in senso didascalico e ideologico per il pubblico di massa. La sua portata educativa ed edificante si è manifestata soprattutto nel periodo bellico e interbellico, con un “movimento” che ha avuto origine oltreoceano e si è poi sviluppato anche in Europa. Lo ha ben messo in risalto Sébastien Roffat, che ha dedicato un ampio studio alla connotazione politica e ideologica di molte produzioni d’animazione realizzate tra gli anni Trenta e la prima metà degli anni Quaranta.[3] Rimarcando in primo luogo l’apporto di diverse opere di Walt Disney al “fronte interno” statunitense, lo studioso si è soffermato sulle modalità con cui gli altri paesi si sono riappropriati di tale modello con l’appoggio di produzioni a sostegno dello stato: secondo quanto ricordato, tuttavia, non sono stati soltanto i leader più autoritari del “secolo breve” a essere «affascinati»[4] dalle potenzialità del disegno animato, ma anche realtà governative situate in contesti socio-politici che riflettevano un differente clima culturale. Sia prima che dopo l’avvento delle dittature, infatti, le istituzioni statali hanno spesso fatto leva sull’immediatezza delle immagini animate allo scopo di educare e orientare a livello ideologico il pubblico di massa, anche con l’obiettivo di divulgare modelli di comportamento: è il caso, ad esempio, delle campagne igieniste nella Germania di Weimar, a cui hanno collaborato importanti registi d’avanguardia come Walter Ruttmann;[5] dei coevi “film-parabola” francesi volti alla formazione morale degli spettatori popolari;[6] infine, della «nuova scuola» di animatori sviluppatasi durante il regime di Vichy, a partire dal modello disneyano ma differenziata da esso.[7]

L’Italia non è esente da un simile uso del disegno animato. Al di là delle sue connotazioni politiche, esso è stato un pervasivo[8] strumento ideologico soprattutto nel periodo del miracolo economico, rappresentando una delle molteplici produzioni con cui promuovere al pubblico di massa un’idea di progresso e di benessere.[9] Questo aspetto riguarda principalmente una tipologia specifica di film d’animazione, espressione del «restringimento progressivo del formato» con cui si è passati dalle singole esperienze nel campo del lungometraggio e dalla pubblicità cinematografica a quella televisiva con Carosello.[10] Se già le produzioni d’impresa per il grande schermo hanno rappresentato un notevole spazio di sperimentazione, la fortunata trasmissione per il piccolo schermo è stata da sempre riconosciuta un emblematico laboratorio creativo per gli animatori di area nazionale. Andato in onda dal 1957 al 1977, il programma segna l’ingresso della pubblicità nella televisione italiana, subito istituzionalizzata con una formula fissa, che rispondeva al duplice obiettivo di intrattenere e, allo stesso tempo, educare gli spettatori sulla scia della funzione attribuita al medium. Fin dalla sua creazione, infatti, si stabiliscono regole ben precise per la scansione dei cortometraggi: com’è noto, viene imposta[11] la loro divisione in una prima parte più ampia, chiamata «pezzo», che doveva comprendere una scenetta priva di riferimenti al prodotto, e una seconda parte, più breve, dedicata al comunicato commerciale, per una durata totale di circa due minuti e mezzo.[12] La fortuna del programma è dovuta proprio alla sua particolare struttura, in virtù della quale la pubblicità viene accompagnata da sketch divertenti, sia “dal vero” che a cartoni animati: i protagonisti-testimonial sono celebri figure dello spettacolo o personaggi frutto della creatività degli animatori, che instaurano un rapporto di familiarità con il pubblico di massa. Alla luce del suo forte impatto nella cultura e nell’immaginario popolare, Carosello ha suscitato nel corso degli anni l’interesse di vari studiosi di diversa formazione, senza tuttavia estinguere gli spunti di riflessione offerti. Il programma, infatti, ha rappresentato un inedito crocevia di numerose storie, tra cui quella dell’animazione italiana e delle relative case di produzione, ovviamente della televisione e dei suoi artefici, ma anche in generale del proprio tempo.[13]

In particolare, l’aspetto riconosciuto alla rubrica televisiva più denso di ricadute per la presente riflessione è quello di essersi fatta interprete dei processi di modernizzazione in atto nel paese e, come ha notato Piero Dorfles, nella vita quotidiana degli spettatori.[14] Veicolando il coevo rinnovamento economico e industriale, i caroselli hanno posto i beni di consumo al centro di messaggi educativi ed edificanti rivolti al pubblico di massa, attribuendo in un certo senso qualità morali a oggetti prodotti industrialmente.[15] Allo stesso tempo, hanno accompagnato la transizione di statuto dell’audience di riferimento, dall’eterogenea collettività che si ritrovava spesso nei locali per vedere la televisione, a spettatori domestici composti da nuclei familiari: un aspetto di particolare rilievo, messo in luce da Fausto Colombo,[16] da porre in relazione con la portata pedagogica dei cortometraggi pubblicitari animati per Carosello.

Qual è il ruolo ricoperto in proposito da importanti aziende tessili e chimiche italiane? In che modo queste hanno associato all’abbigliamento confezionato la promozione di nuovi stili di vita e di consumo? All’avanguardia dal punto di vista industriale e tecnologico, oltre che già molto attivo nel campo dei film d’impresa, il settore delle fibre sintetiche ha infatti contribuito con i propri caroselli d’animazione a veicolare ai consumatori i vantaggi delle loro proprietà in termini di comfort e di praticità. Questa prospettiva si rivelerà utile a porre l’accento su due aspetti, uno legato alle novità che stavano coinvolgendo la cultura della moda a livello nazionale e l’altro al recupero, da parte di tali pubblicità televisive, della combinazione tra intrattenimento ed educazione. Conferisce particolare risonanza a questi aspetti l’attribuzione di una funzione educativa ed edificante alle immagini animate, praticata ben prima dell’invenzione del cinematografo. Se, come ha riconosciuto Omar Calabrese, il Carosello può essere considerato una forma di «educazione serale»[17] istituzionalizzata, le scenette disegnate che introducono talvolta i comunicati ne hanno sospinto in modo significativo l’opera di divulgazione. Ne offrono un’efficace dimostrazione le creazioni su cui ci soffermeremo, nate dalla penna di alcuni tra i principali esponenti del cinema d’animazione italiano, ampiamente noti nel circuito commerciale.[18] Tornate alla loro arcaica configurazione di illustrazioni consequenziali, le immagini in movimento così impiegate alludono alla combinazione tra intrattenimento ed educazione popolare già tipica delle proiezioni pubbliche ottocentesche con lanterna magica, programmate proprio in orario serale: una pratica caratterizzata da approfondimenti multidisciplinari e da insegnamenti morali o edificanti, facilitati dall’inserimento di elementi finzionali per un’audience spesso non scolarizzata.[19]

Troviamo dei casi emblematici di combinazione tra intrattenimento e formazione popolare in alcuni caroselli d’animazione dedicati ad articoli tessili in fibre sintetiche. Il disegno animato ha svolto un ruolo di primo piano nella divulgazione di istanze associate alla modernizzazione, educando il pubblico di massa a scelte di consumo e a stili di vita volti alla funzionalità. Protagonisti assoluti, infatti, non sono semplicemente prodotti di moda confezionata, ma articoli tessili e abiti industriali in materie chimiche prodotte dalla Montecatini. Due serie di caroselli sono dedicate al poliestere, la fibra sintetica introdotta in Italia dalla Rhodiatoce (consociata della Montecatini) e accompagnata da un fortunato marchio di garanzia: la prima, creata dalla Gamma Film dei fratelli Gavioli, è incentrata sull’illustrazione delle proprietà della fibra chimica, particolarmente funzionali in prodotti tessili per l’arredamento domestico e nell’abbigliamento; la seconda, a cui ha collaborato Bruno Bozzetto, promuove la collezione della Marzotto denominata “Italian Style”. I disegni animati svolgono un’essenziale funzione di sostegno alla certificazione fornita dal marchio di garanzia istituito da Rhodiatoce, grazie a uno stile semplice e a personaggi divertenti che predispongono positivamente i telespettatori nei confronti del prodotto.

Queste pubblicità danno ragione dell’impatto culturale delle fibre sintetiche nella produzione e nella fruizione della moda, promuovendo nuove scelte di consumo e nuove forme di benessere nella vita quotidiana. Il poliestere diviene sinonimo di caratteristiche apprezzabili tanto per capi di vestiario comodi e pratici quanto per abiti più eleganti. Mettendo ormai in primo piano una concezione della moda più vasta e sfaccettata, che si vuole più “adattata” alla vita dei consumatori piuttosto che “adattabile”, le modalità rappresentative di questi caroselli manifestano un progressivo avvicinamento al pubblico di massa, ai suoi spazi e al suo immaginario.

Gamma Film per Rhodiatoce: un vessillo di garanzia

Prendiamo dunque le mosse dalla celebre serie di caroselli sponsorizzata direttamente dall’azienda produttrice, la Rhodiatoce, tanto apprezzata da essere andata in onda per ben dieci anni, dal 1960 al 1969.[20] Si tratta di Caio Gregorio, er Guardiano der Pretorio,[21] realizzata dalla già ricordata Gamma Film dei fratelli Gavioli[22] per promuovere il marchio “Scala d’Oro” con cui la ditta garantisce la qualità dei propri tessuti in poliestere: non un semplice logo d’impresa, bensì una certificazione introdotta dall’azienda già nel 1953 per attestare alcune caratteristiche di rilievo che dalle fibre sintetiche di sua produzione si riflettono sui capi che la includono nella composizione.[23] Se la messa a punto della rivoluzionaria fibra si deve all’americana Du Pont,[24] è la società del gruppo Montecatini a introdurla sul mercato italiano in un periodo caratterizzato da un crescente interesse verso il sintetico e da un conseguente aumento nella sua fabbricazione. L’operazione commerciale rappresenta la più importante concepita all’epoca per attestare il pregio dei tessuti composti con materie chimiche, associandoli ad alti criteri di fabbricazione: una strategia pubblicitaria di grande efficacia, avente il duplice obiettivo di valorizzare la qualità del tessuto alla luce della sua stessa produzione e di permetterne la riconoscibilità, spiegando ai consumatori come distinguerlo dalle eventuali imitazioni.[25] Stabilite le denominazioni della fibra commercializzata (“Terital”)[26] e del suo marchio di garanzia (“Scala d’Oro”), alla Rhodiatoce non resta che “educare” la clientela al loro utilizzo e all’apprezzamento dei vantaggi che le relative proprietà conferiscono a svariati articoli tessili con essa realizzati, secondo una tendenza ricorrente nel settore.[27]

A coadiuvare l’impresa nella sua iniziativa ad ampio raggio interviene dunque questa popolare serie di caroselli e, soprattutto, il personaggio protagonista da cui le pubblicità prendono il titolo, una guardia dell’antica Roma intenta a sorvegliare un’area con statue e colonne decorate. Si tratta di Caio Gregorio, che in ogni episodio racconta in modo umoristico vicende legate a personalità dell’epoca classica e più recenti, reali o immaginarie. Contraddistinta da tratti semplici e caricaturali (fig. 1), la buffa figura creata dalla fantasia degli animatori accompagna infatti scenette che ripercorrono celebri aneddoti entrati nell’immaginario collettivo, rielaborati in chiave comica. Un aspetto evidente sia per il fatto che la narrazione è impostata interamente in rima sia perché nelle divertenti rivisitazioni si investe sull’idea secondo cui una maggiore attenzione alla situazione avrebbe determinato esiti ben diversi da quelli entrati nella storia: dall’attraversamento del Rubicone di Cesare alla campagna d’Egitto di Napoleone, dalla pazzia di Amleto al suicidio di Madama Butterfly – solo per citarne alcuni –, di ciascun avvenimento si rimarca come, in un certo senso, a innescare la tragedia siano state grandi o piccole negligenze. Negli episodi dei primi cicli trasmessi, invece, le storie prendono spunto dai bassorilievi sulle colonne vicine al protagonista, raffiguranti fenomeni quali lo sport e le vacanze, il progresso e il divismo, i cui motivi ricorrenti si riflettono dal passato all’attualità.

Qualunque ne sia l’argomento, il filmato offre sempre l’occasione per introdurre per contrasto il “codino”, che inizia con un’esortazione di Caio Gregorio, munito di lente d’ingrandimento, a fare attenzione.[28] È questa la parte più interessante, perché segna il passaggio dai generici avvertimenti contenuti nelle scenette a precise raccomandazioni commerciali, nelle quali si invitano i telespettatori-consumatori a scegliere con accortezza i prodotti tessili: qualunque sia l’articolo che si vuole comprare, a guidare la scelta dovrebbe essere il marchio di garanzia “Scala d’Oro Rhodiatoce”. Secondo una modalità ricorrente nei caroselli a cartoni animati, il codino comincia e termina sempre con un intervento del personaggio-testimonial, comprendente brevi slogan semplici da ricordare; al centro, invece, si colloca il messaggio pubblicitario vero e proprio, dove la presentazione del prodotto sfrutta le riprese dal vero per mostrarne l’aspetto reale. In alcuni casi, l’inizio e la fine del comunicato sono segnati dalla comparsa della certificazione, risultante dalla trasformazione degli strumenti del personaggio da armi di difesa in “vessilli commerciali”: una soluzione visiva di immediata evidenza, espressa ora attraverso la metamorfosi della lancia nell’asta di una bandiera con al centro il logo, ora con la più diretta transizione a quest’ultimo dallo scudo circolare (fig. 2). Poiché il poliestere può avere molteplici applicazioni, quattro diversi codini illustrano cosa significhi l’attribuzione del marchio tanto negli articoli di abbigliamento quanto in quelli per l’arredamento domestico. Ad accomunarli, in collegamento con la gestualità esortativa di Caio Gregorio, è il fatto che tutti prendono avvio dal primo piano del prodotto con il cartellino in vista, su cui una mano indica il logo della certificazione (fig. 3).

Scendendo nel dettaglio delle modalità rappresentative di ciascuna tipologia, iniziamo da quest’ultimo contesto, entrato a tutti gli effetti nel campo di interesse della moda e del design, come ben dimostrano coevi spot pubblicitari e caroselli di altre aziende tessili. È il caso del comunicato sulle tende, disponibili in un’ampia gamma di fantasie: a tal proposito, il commento sonoro evidenzia come il marchio garantisca la luminosità e la morbidezza del tessuto, la sua resistenza, la praticità nel lavaggio, l’inutilità della stiratura. Si invita infine il pubblico femminile[29] a controllare il bordo del prodotto, perché solo quelli certificati “Scala d’Oro” vi riportano una prova aggiuntiva del loro pregio, un numero che identifica il fabbricante, indicato dal personaggio con la lancia (fig. 4). Gli altri codini, invece, sottolineano la validità di simili caratteristiche conferite dai tessuti Rhodiatoce a diversi capi di vestiario avvalendosi di una struttura ben ordinata. Ne fornisce un esempio il messaggio promozionale dedicato in generale all’abbigliamento per uomo e per donna, dove l’iniziale triplicazione del marchio dà avvio alla presentazione dei tre livelli di controllo attuati in fase produttiva dalla ditta (fig. 5). La spiegazione di ciascuno è anticipata ogni volta dalla ripetizione del logo: una soluzione che, ricorrendo a una precisa scansione visiva e discorsiva, recupera l’efficacia di modalità usate anche nei film didattici allo scopo di massimizzarne l’impatto e la memorizzazione da parte del pubblico. Si procede dunque dal globale al particolare, anche mediante riprese che attuano un progressivo avvicinamento ai dettagli degli indumenti. Viene menzionato in primo luogo il controllo sul tessuto, il quale deve distinguersi come “anticaldo” e ingualcibile; poi quello sulla confezione, che assicura una linea perfetta; infine la verifica sulle finiture, affinché siano curati anche i minimi particolari.

Meritano codini a sé due capi che, sebbene declinati in queste pubblicità al maschile, in quegli anni andavano assumendo ampia popolarità nel guardaroba unisex sulla scia della modernizzazione delle tendenze, ovvero gli impermeabili e le camicie. Anche in questi casi, la scansione in tre parti già evidenziata diviene funzionale a rimarcare la loro partecipazione agli stessi criteri qualitativi, sebbene le modalità di presentazione siano differenti: ai primi sono dedicate riprese decontestualizzate, probabilmente girate in studio, su cui vediamo di lato e in trasparenza il logo e una striscia di tessuto certificato (figg. 6-7);[30] le camicie, invece, sono mostrate in prevalenza indosso a uomini intenti in attività ricreative o impegnati in campo professionale, concludendo poi con un nuovo intervento animato, dove Caio Gregorio accompagna il riepilogo sonoro delle proprietà pubblicizzate.

Questa popolare serie di caroselli si rivela un efficace strumento con cui la Rhodiatoce promuove al grande pubblico i vantaggi dei propri tessuti in terital, istruendolo sulle sue caratteristiche. In particolare, l’insistenza sul motivo del confronto tra antico e moderno, declinato come abbiamo visto sull’asse del racconto aneddotico, costituisce un’introduzione molto efficace al messaggio pubblicitario vero e proprio. La rivisitazione umoristica di fenomeni culturali di ogni epoca o di vicende legate a personaggi entrati nella storia sembra proprio “dare il la” al codino, dove, come abbiamo visto, si forniscono informazioni precise sulle proprietà dei tessuti certificati: mentre le storielle narrate da Caio Gregorio rielaborano in termini di negligenza e distrazione avvenimenti reali o immaginari, evidenziandone l’esito negativo, il comunicato commerciale rivolge ai telespettatori buoni consigli per gli acquisti. Non sbagliare, in tal senso, significa controllare la provenienza del prodotto e, nello specifico, “fare attenzione” che riporti il marchio con cui si certifica il pregio dei tessuti impiegati e, soprattutto, l’aderenza ai criteri qualitativi dettati dall’azienda. Le indicazioni del codino hanno l’obiettivo di invitare i consumatori a riconoscere il logo e il relativo significato, spingendolo a confidare nella sua validità. Data la crescente presenza sul mercato di prodotti realizzati con fibre sintetiche, e soprattutto la versatilità del poliestere, la strategia pubblicitaria della Rhodiaceta mira a far emergere i tessuti di propria fabbricazione, assicurandone l’alta qualità e l’aderenza alle principali necessità del pubblico di massa.

L’operazione commerciale dell’azienda incentrata su aspetti qualitativi assume una maggiore risonanza proprio considerando l’aumento quantitativo di articoli tessili di questa categoria. È in tal senso che il marchio “Scala d’Oro” viene proposto come un indicatore-guida, un vero e proprio garante di una buona scelta in fatto di tessuti impiegati, riflesso con grande efficacia dal personaggio creato dalla Gamma Film, un guardiano appunto. All’esigenza di dare sostanza al simbolo risponde l’insistenza sul fatto che le concrete proprietà attribuite ai prodotti dalla fibra sintetica sono sempre “garantite” da un ciclo produttivo controllato a tutti i livelli: un aspetto, quest’ultimo, valorizzato tanto nei film industriali quanto nelle pellicole per l’istruzione professionale, da un lato nella regolazione del lavoro grazie alla concertazione di operai, macchine e strumenti di misurazione; dall’altro in termini di razionalizzazione e disciplinamento delle fasi realizzative. È nei comunicati pubblicitari a conclusione del Carosello che questi aspetti trovano una concreta esemplificazione attraverso l’illustrazione di prodotti tessili “messi alla prova” sia con singoli trattamenti in studio, sia nell’utilizzo in diversi contesti di vita quotidiana. Il ruolo di primo piano del poliestere certificato “Scala d’Oro” risiede proprio nella sua capacità di rispondere alle esigenze diffuse dalla nuova cultura della moda promossa anche in Italia dall’abbigliamento “pronto”: sono soprattutto le caratteristiche delle fibre sintetiche a conferire tanto agli abiti quanto ai tessuti d’arredamento confezionati la loro qualità e la praticità d’uso, quindi una particolare aderenza alle necessità dei consumatori nella vita di tutti i giorni.

Bruno Bozzetto per Marzotto: le nuove frontiere dell’eleganza

Una serie di caroselli meno longeva ma altrettanto significativa alla luce del messaggio che associa al poliestere Rhodiatoce è L’epoca della carta,[31] sponsorizzata dalla Marzotto[32] per promuovere la propria linea femminile ideata da significativi esponenti della moda italiana. Si tratta della collezione denominata “Italian Style”, risultato della collaborazione tra l’industria tessile di Valdagno con rinomati stilisti nazionali, i cui capi di abbigliamento avvicinano l’ambito della fabbricazione in serie con quello della creazione sartoriale. Illustrata all’interno delle pubblicità televisive, l’iniziativa della Marzotto attesta un altro importante snodo nella moda nazionale, le cui ricadute si sono avvertite tanto nella produzione quanto nella fruizione dell’abbigliamento. Mentre dieci anni prima la ditta si era distinta per il suo “pronto” investimento nella confezione in serie, negli anni Sessanta la ritroviamo in prima fila tra i fautori di un momento che Elisabetta Merlo definisce di «qualificazione stilistica del prodotto industriale».[33] È questo, infatti, un periodo difficile seguito alla creazione della Camera Nazionale della Moda Italiana, che mirava a eguagliare il modello francese dietro l’impulso dei principali centri urbani della moda:[34] l’istituzione si trova presto in forti difficoltà economiche, ma un notevole sostegno viene fornito dalle maggiori aziende tessili e chimiche, le quali promuovono collaborazioni con il settore dell’alta moda, avvicinando materialmente e idealmente la produzione in serie alla creazione sartoriale.[35] Il primo importante accordo viene raggiunto, nel 1964, proprio tra la Camera e la Rhodiatoce, con cui si stabilisce che in cambio del suo contributo finanziario le case di alta moda avrebbero dovuto impiegare i suoi tessuti sintetici per alcune creazioni.[36] L’iniziativa della Marzotto si situa a pieno titolo in tale contesto, prevedendo in un certo senso una collaborazione tra industrie e alta moda su “asse quadruplo”, poiché vi partecipano, oltre alle proprie fabbriche tessili e di confezioni, l’industria chimica, il settore sartoriale e importanti stilisti.

Prodotta dalla Cinetelevisione e realizzata da Attilio Vassallo – che già aveva girato per la Marzotto il film pubblicitario A colpo d’occhio[37] due anni prima –,[38] la serie si basa su scenette che combinano riprese dal vero con numerosi inserti animati disegnati da Bruno Bozzetto. La compresenza nel «pezzo» di un testimonial già famoso nel mondo dello spettacolo e di un personaggio animato rende questi caroselli emblematici delle principali impostazioni diffuse nel programma. Lo stesso si può dire per l’assoluta centralità conferita al prodotto reclamizzato nel codino, composto interamente da riprese dal vero.

Protagonista è l’attore comico Aroldo Tieri nelle vesti di un ironico insegnante, che in ogni episodio spiega l’importanza della carta nella vita dell’uomo, soffermandosi sulle sue funzioni in diversi contesti; nel frattempo sulla superficie della lavagna accanto a lui un buffo omino stilizzato ne offre divertenti illustrazioni. Notiamo subito che, nonostante le due parti siano assemblate in fase di montaggio, si trasmette un’idea di simultaneità tra di esse ricorrendo a diversi momenti di interazione simulata tra il personaggio in carne e ossa e quello a due dimensioni. Si menzionano, ad esempio, la vita militare e i viaggi tra i molteplici ambiti in cui la carta si rivela essenziale per organizzare il tempo e stabilire gli impegni, certificare la propria identità e, soprattutto, studiare le lingue allo scopo di comunicare in altri paesi (figg. 8-10).[39] Non mancano episodi dedicati a contesti di utilizzo già in sé spensierati e vivaci, come quello sulle forme di divertimento, dove rientrano gli aquiloni amati dai bambini, le maschere per travestimenti, ma anche le carte da gioco, che negli adulti possono determinare fortune o sfortune economiche. Particolarmente riuscita, poi, la puntata sull’utilità della carta nei diversi mestieri, sia in ambito professionale che artistico. Se nel primo è lo strumento con cui, tra le tante, si stabiliscono orari e tragitti ferroviari, evitandone un’organizzazione caotica, nel secondo è uno dei principali “ferri del mestiere” per la creatività di scrittori e pittori, come anche di disegnatori: come afferma Tieri, infatti, senza la carta non esisterebbe il personaggio animato che vediamo.

L’umorismo che percorre questi episodi, dunque, si accompagna ad allusioni più o meno esplicite a vizi e inclinazioni umane senza tempo, sintetizzati sul piano tematico da frequenti riferimenti conclusivi al denaro,[40] motore della società del consumo e a sua volta centro propulsore degli stessi caroselli. Nell’omino coi baffi intento a stampare o falsificare la carta moneta, si inscrive un esplicito richiamo all’ossessione sviluppata nel tempo verso il suo possesso e all’incidenza che possiede nella vita dell’uomo. Simili critiche al consumismo contenute implicitamente nella prima parte degli episodi vengono poi stemperate con l’inizio del codino, che prende sempre avvio dalle parole di Tieri che, come in apertura, sottolinea il ruolo indispensabile della carta. Lo slogan del messaggio pubblicitario, infatti, insiste sull’idea secondo cui senza di essa non nascerebbero i modelli della linea Italian Style, ideati “su carta” da rinomati stilisti italiani quali Emilio Schubert, le sorelle Fontana e Germana Marucelli.[41]

Su questa affermazione comincia quindi la promozione vera e propria della collezione sponsorizzata dalla Marzotto, suddivisa sostanzialmente in due parti, una di impostazione più fortemente pubblicitaria e l’altra definibile “dimostrativa”. Nella prima viene mostrata anzitutto l’esibizione di alcuni modelli in studio, mediante una breve sfilata ripresa in figura intera (figg. 11-12); poi la creazione di uno dei relativi figurini, mentre su di esso compare la firma di uno stilista italiano che ha partecipato al progetto (fig. 13). L’inizio della seconda e, quindi, del passaggio dalla pubblicizzazione enfatica a una comunicazione informativa è segnata, come nel caso precedente, da un intervento sonoro preso in carica non più dall’interprete dei caroselli ma da una diversa voce maschile. Stavolta, tuttavia, le sue parole esplicitano subito come il pubblico di riferimento sia quello femminile.[42] Si spiega dunque alle telespettatrici che per ottenere questi abiti esclusivi è sufficiente acquistare un taglio di tessuti Marzotto in misto lana merinos e terital Rhodiatoce, certificato con il marchio “Scala d’Oro”: si riceverà, infatti, in omaggio un cartamodello[43] a scelta tra quelli realizzati da alcuni tra i principali stilisti italiani, che potrà essere realizzato su misura dal proprio sarto di fiducia. L’illustrazione dell’iniziativa si avvale di riprese che in primo luogo conducono le telespettatrici in un verosimile spazio di vendita, con scene ambientate in un negozio di tessuti ricostruito in studio e uguali in tutti i codini; poi tali riprese mostrano ogni volta alcuni risultati, attraverso inquadrature in interni domestici dove la donna che ne indossa un modello suscita la sorpresa di una coetanea (fig. 14).

Alla luce di questa analisi, non si può che riconoscere come il «pezzo» dei caroselli introduca con grande efficacia il messaggio promozionale al centro della serie, concepita per valorizzare l’inedito avvicinamento dell’alta moda al pubblico femminile di massa. Se già la presentazione pubblicitaria, come abbiamo visto, si declina come una sorta di illustrazione dell’iniziativa promossa dalla Marzotto, gli episodi che vedono per protagonisti Aroldo Tieri e la figura animata predispongono a questa modalità situandosi in un contesto visibilmente educativo. Seppur di norma “dimenticato” nei testi dedicati a Bruno Bozzetto, il buffo personaggio da lui creato per questa serie amplifica l’intento pedagogico dell’interprete in carne e ossa, partecipando in tal senso alla tendenza riflessiva riconosciuta in tutte le sue opere animate. Non è certo stata soltanto la lunga familiarità del disegnatore con la carta a dar vita a scenette così riuscite, ingegnose e allo stesso tempo dalla presa mordace sulla realtà. Né tutto l’interesse in questo senso risiede nelle numerose gags o nel riferimento meta-cinematografico all’origine “cartacea” del disegno animato. Muovendosi sulla superficie dello strumento didattico per eccellenza, l’omino che fa “da spalla” a Tieri visualizza con grande immediatezza la capacità critica del suo autore e l’impegno verso il proprio presente manifestato in varie produzioni, già evidenziati in diversi studi. Pur nella limitata risonanza rispetto ad altre creazioni, questo personaggio a due dimensioni deve la sua presa sulla realtà alla combinazione tra la stilizzazione del tratto e il carattere “istintivo” delle scene raffigurate: un aspetto tipico delle opere di Bozzetto.[44] Anche stavolta, la mancanza di orpelli figurativi non si traduce mai in approssimazione, come dimostra il fatto che gli inserti animati sono sempre accompagnati da una cura notevole per l’aspetto sonoro, e in particolare rumoristico, perché parte integrante del loro effetto comico.[45] Altrettanto emblematica dello sperimentalismo di Bozzetto è l’ibridazione tra riprese dal vero e animazione che, se da un lato risponde al desiderio di avvalersi sia dell’apporto di un testimonial che dell’immediatezza del disegno, dall’altro costituisce una formula impiegata dall’artista in vari progetti.[46]

Condividendo alcuni aspetti del carattere riflessivo delle sue opere, ne L’epoca della carta l’interazione tra le due modalità rappresentative accompagna e amplifica le istanze mosse dalla collaborazione fra abbigliamento pronto e alta moda alla base della collezione Italian Style. Proposta come un’esclusiva per il pubblico femminile, d’altra parte, essa pone in luce il fatto che tra gli anni Cinquanta e Sessanta l’introduzione degli abiti “pronti” in Italia si rivolge prevalentemente agli uomini.[47] Nonostante fosse comune anche in ambito maschile, come Ivan Paris, all’epoca la produzione sartoriale continua a essere per le donne la principale modalità di realizzazione di vestiti di ogni tipo, in particolare se eleganti o da cerimonia.[48] Risiede qui la risonanza culturale dell’operazione della ditta e la sua capacità di sintonizzarsi sui desideri del pubblico, indirizzandosi a consumatrici già abituate a rivolgersi a sarte di professione, presso laboratori specializzati o a domicilio. Attribuendo centralità ai tessuti, inoltre, la Marzotto non valorizza soltanto il contesto produttivo in cui ha costruito la propria tradizione d’impresa, bensì con il riferimento alla loro composizione denota uno sguardo rivolto alle più recenti innovazioni: le stoffe dell’inedita collezione Italian Style, come si è visto, sono sempre realizzate in pregiata lana merinos mescolata al poliestere “terital” certificato dalla Rhodiatoce.

Tale strategia commerciale risulta particolarmente rilevante per chiudere il presente percorso con una riflessione che dal caso dell’industria vicentina si estende più in generale alla risonanza culturale delle fibre sintetiche alla luce della loro versatilità. Sulla base di quanto rilevato, infatti, da un lato con questa linea femminile la Marzotto evidenzia e anticipa il proprio programmatico interesse in questo settore, allo scopo di conferire ai prodotti tessili delle qualità che più facilmente avrebbero potuto rispondere alle esigenze quotidiane dei consumatori.[49] L’impiego del poliestere garantito “Scala d’Oro” assume in tal senso una notevole importanza, in quanto, prima dell’investimento della ditta nel trattamento antimacchia, associa alla nota qualità delle stoffe firmate Marzotto tutte le proprietà pubblicizzate negli stessi anni dalla Rhodiatoce. Dall’altro lato, i vantaggi del sintetico vengono associati all’orizzonte dell’eleganza, divenendo in un certo senso un ulteriore elemento di distinzione per capi già di per sé d’eccezione, perché ideati in contesti inaccessibili alla maggior parte delle telespettatrici. Risiede qui, invece, la portata rivoluzionaria dell’operazione della ditta, poiché pur legando ancora la confezione femminile al lavoro sartoriale, propone in un certo senso di mettere le creazioni dell’alta moda alla portata di comuni consumatrici.

Le due serie di caroselli considerate hanno dunque svolto un ruolo importante nella promozione della versatilità della fibra chimica più all’avanguardia nel secondo dopoguerra, rendendola protagonista di messaggi edificanti rivolti agli spettatori del piccolo schermo. In entrambi i casi, le pubblicità televisive sfruttano l’impatto visivo e l’efficacia del disegno animato per “preparare” i consumatori a comunicati che li istruiscono sulle caratteristiche dei prodotti. Tanto nel recupero di miti ed eventi del passato nella serie della Gamma Film quanto nell’illustrazione dell’odierno ruolo della carta in quella di Bozzetto, la loro rilettura umoristica diviene utile ad afferrarne il legame con il reale e gli insegnamenti rivolti agli spettatori. Si è cercato di mettere in luce come i caroselli, infatti, risultino calibrati “su misura” del target di riferimento: nel primo caso soprattutto maschile, perché più spesso potenziale cliente di abiti pronti; nel secondo esclusivamente femminile, destinatario privilegiato di questi capi. L’impostazione pedagogica delle figure protagoniste, reali o animate, ha contribuito a promuovere le principali tendenze della moda dell’epoca, che grazie alle innovative fibre sintetiche manifesta un crescente avvicinamento alle esigenze dei consumatori di massa. Il poliestere soprattutto diviene un interprete emblematico di questi aspetti grazie alla sua inedita versatilità, attribuendo proprietà come il comfort e la praticità a numerosi articoli tessili, ma anche maggiori qualità a stoffe pensate per realizzare capi d’eccezione. È in tal senso che le due serie di caroselli considerate hanno unito la promozione dei vantaggi della fibra tessile della Rhodiatoce alla diffusione di una coscienza tra i consumatori per indirizzarli nei propri acquisti e dare così impulso al mercato nazionale.

Seguendo alcune tracce del marchio di garanzia “Scala d’Oro” e i messaggi a esso associati, dunque, si è potuto individuare come esso abbia sorretto il crescente interesse per una moda sempre più orientata sulle esigenze quotidiane dei consumatori: un aspetto di notevole importanza nel processo di modernizzazione, che si è espresso nella forma dell’avvicinamento del lusso al pubblico di massa e della funzionalità d’uso, per un abbigliamento confortevole, pratico e di qualità da indossare in qualsiasi situazione.


[1] Si tratta della denominazione con cui vengono indicati i film non-fiction e non-entertainment, che negli ultimi anni hanno ottenuto un notevole rilievo in sede critica, illuminando un ambito di indagine in continua espansione. In proposito, si possono citare gli studi Films that Work. Industrial Film and the Productivity of Media, a cura di V. HEDIGER e P. VONDERAU, Amsterdam, Amsterdam University Press, 2009; Useful Cinema, a cura di C.R. ACLAND e H. WASSON, Durham, Duke University Press, 2011; E. MASSON, Watch and Learn. Rhetorical Devices in Classroom Films after 1940, Amsterdam, Amsterdam University Press, 2012; M. COWAN, Walter Ruttmann and the Cinema of Multiplicity. Avant-garde - Advertising - Modernity, Amsterdam, Amsterdam University Press, 2014.

[2] Sull’interesse per il cinema pubblicitario nel recente contesto dei film e media studies, si veda in partic. Films that Sell. Moving Pictures and Advertising, a cura di B. FLORIN, N. DE KLERK e P. VONDERAU, London, BFI - Palgrave Macmillan, 2016.

[3] Di seguito le pubblicazioni di Sébastien Roffat sull’argomento: Animation et propagande: les dessins animés pendant la Seconde guerre mondiale, Paris, L’Harmattan, 2005; Propagandes animées: le dessin animé politique entre 1933 et 1945, Paris, Bazaar & Co, 2010; Histoire du dessin animé français entre 1936 et 1940: une politique culturelle d’État ?, Paris, L’Harmattan, 2014, 3 voll.; Histoire politique et économique du dessin animé français sous l’Occupation, 1940-1944: un âge d’or?, Paris, L’Harmattan, 2014; Esthétique et réception du dessin animé français sous l’Occupation, 1940-1944: l’émergence d’une école française?, Paris, L’Harmattan, 2014. In Propagandes animées, cit., l’autore non manca tuttavia di riconoscere come l’impiego ideologico e propagandistico del disegno animato si possa riscontrare già nelle produzioni dei decenni precedenti.

 

[4] È l’autore a parlarne in questi termini. Ivi, p. 10.

  

[5] Cfr. COWAN, Walter Ruttmann and the Cinema of Multiplicity, cit. Sul ruolo del cinema nella promozione di campagne igieniste promosse a livello governativo, a cui ha collaborato anche Walter Ruttmann insieme ad altri registi d’avanguardia, si veda ivi, cap. 3: Statistics and Biopolitics: Conceiving the National Body in Ruttmann’s Hygiene Films (1930-1933), pp. 98-132.

 

[6] Il riferimento è allo studio di P. LABORDERIE, Le Cinéma éducateur laïque, Paris, L’Harmattan, 2015. Come viene ricordato in apertura del testo, tale contributo costituisce uno sviluppo della tesi di dottorato dal titolo Le film-parabole dans les offices du cinéma éducateur en France dans l’entre-deux-guerres: histoire d’un cinéma de propagande et étude d’un genre cinématographique, École doctorale Arts et médias, Université Paris 3 - Sorbonne Nouvelle, 2009, tutor: prof. Michel Marie.

 

[7] Cfr. ROFFAT, Esthétique et réception du dessin animé français sous l’Occupation, 1940-1944: l’émergence d’une école française?, Paris, L’Harmattan, 2014.

 

[8] “Pervasivo” nel senso di ampiamente diffuso, al punto da ricoprire un ruolo dominante, anche perché diversamente configurato. Quest’idea è alla base del testo di Suzanne Buchan, che raccoglie diversi saggi dedicati alle molteplici declinazioni dell’animazione, recenti e passate. Cfr. Pervasive Animation, a cura di S. BUCHAN, New York, Routledge, 2013.

 

[9] Sul ruolo dei film non-fiction di produzione italiana, sia istituzionali sia sponsorizzati da alcune grandi industrie, nella promozione del processo di modernizzazione in atto nel secondo dopoguerra, soprattutto a seguito dell’intervento statunitense con il Piano Marshall, si veda lo studio di P. BONIFAZIO, Schooling in Modernity. The Politics of Sponsored Films in Postwar Italy, Toronto, University of Toronto Press, 2014.

 

[10] A. ANTONINI-C. TOGNOLOTTI, Mondi possibili. Un viaggio nella storia del cinema d’animazione, Milano, Il principe costante, 2008, p. 95.

 

[11] Principale responsabile è la SACIS (Società per Azioni Commerciale Iniziative Spettacolo), istituita proprio con il compito di controllo e di coordinamento dei film da trasmettere per la Rai. In proposito, si veda per esempio la ricostruzione in Carosello story: la via italiana alla pubblicità televisiva, a cura di L. BALLIO e A. ZANACCHI, Roma, ERI, 2009 (seconda edizione aggiornata).

 

[12] La durata del «pezzo» non rimane invariata nel corso del ventennio, indirizzandosi verso una progressiva riduzione, a favore di un ampliamento del «codino», finché il ruolo predominante attribuito al messaggio pubblicitario determina la fine di Carosello e della sua formula irripetibile. Alla “morte” del programma – più volte oggetto di riflessione e di riconsiderazioni nelle monografie a esso dedicate – contribuisce anche l’incidenza delle modalità pubblicitarie estere, che al contrario investono su spot brevi, incentrati quasi totalmente sulla presentazione del prodotto. Per un quadro schematico delle oscillazioni nella durata del Carosello si veda, anzitutto, il testo di M. GIUSTI, Il grande libro di Carosello. E adesso tutti a nanna…, Milano, Sperling & Kupfer Editori, 1995. Si veda la tabella Dati e date a p. 23.

 

[13] La bibliografia dedicata a Carosello è molto ampia, quindi ci limitiamo a riportare alcuni studi più significativi e trasversali, oltre al libro di Marco Giusti. Cfr. L. BALLIO, Carosello Story: la via italiana alla pubblicità televisiva raccontata da Laura Ballio e Adriano Zanacchi, Torino, Eri, 1987; Carosello 1957-1977: non è vero che tutto fa brodo, a cura di P. AMBROSINO, D. CIMORELLI e M. GIUSTI, Cinisello Balsamo, Silvana editoriale, 1996; M. MELEGARO, Carosello: genio e pubblicità all’italiana, Milano, Novecento, 2017. Non mancano, ovviamente, approfondimenti su Carosello nel volume curato da Gianni Canova dedicato più in generale alla pubblicità televisiva: Dreams: i sogni degli italiani in 50 anni di pubblicità televisiva, Milano, Bruno Mondadori, 2004.

 

[14] Cfr. P. DORFLES, Carosello, Bologna, il Mulino, 2011 (in proposito, si veda soprattutto il cap. 3).

 

[15] Un aspetto innescato in risposta al crescente ruolo sociale e culturale delle forme di consumo e dei suoi protagonisti, le merci, al centro delle riflessioni di pensatori quali Arjun Appadurai ed Emanuele Coccia. In proposito si vedano The Social Life of Things. Commodities in Cultural Perspective, a cura di APPADURAI, Cambridge, Cambridge University Press, 2014; COCCIA, Il bene nelle cose. La pubblicità come discorso morale, Bologna, il Mulino, 2014.

 

[16] Della transizione dal “consumo collettivo”, spesso in locali pubblici come caffè e bar, al “consumo familiare” della televisione, divenuta nel tempo più accessibile all’acquisto, parla Fausto Colombo in Industria culturale e industria del consumo, in Storia del cinema italiano, IX. 1954-1959, a cura di S. BERNARDI, Roma, Edizioni Bianco e Nero-Marsilio in collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, 2004, pp. 324-326.

 

[17] Molti studi si sono soffermati sulla portata pedagogico-didascalica del programma, ma il sintagma utilizzato si riferisce nello specifico alla centralità di questo aspetto nello studio di Omar Calabrese, Carosello o dell’educazione serale, Firenze, CLUSF, 1975. Nel testo, infatti, lo studioso indaga le formule narrative e commerciali della trasmissione televisiva da un punto di vista semiologico, evidenziando la possibilità di rintracciare formule di linguaggio ricorrenti pensate per rendere accessibile al pubblico di massa messaggi di impostazione morale ed educativa.

 

[18] La principale “base operativa” a livello nazionale è stata la città di Milano, con le sue importanti agenzie pubblicitarie e case di produzione di film d’animazione create da importanti artisti. Per una panoramica sul contesto milanese si veda, in particolare, C. GHIRARDATO-E. MOSCONI, Il cinema d’animazione, in Un secolo di cinema a Milano, a cura di R. DE BERTI, Milano, Il Castoro, 1996, pp. 274-294.

 

[19] Cfr. J. PERRIAULT, Mémoires de l’ombre et du son: une archéologie de l’audio-visuel, Paris, Flammarion, 1981. Agli usi educativi della lanterna magica è dedicato il terzo cap., L’Éducation à la lanterne, dove l’autore dedica un ampio spazio proprio alle programmazioni serali per il pubblico di massa.

 

[20] Una serie molto “longeva” nella programmazione di Carosello quasi quanto quella di Calimero per il sapone da bucato Ava, curata dalla Pagot Film. Come ricorda Marco Giusti, la prima serie con protagonista il pulcino nero, dal titolo La costanza dà sempre buoni frutti, è andata in onda nel 1961, mentre l’ultima, intitolata Calimero, il pulcino nero o Le disavventure di Calimero, è stata programmata per ben nove anni, dal 1963 al 1974. Cfr. GIUSTI, Il grande libro di Carosello, cit., pp. 366-368.

 

[21] Cfr. Caio Gregorio, er Guardiano der Pretorio (Gamma Film). I primi cicli della serie sono andati in onda nel 1960 e gli ultimi nel 1969. Cfr. ivi, pp. 462-463. La presente riflessione sulla serie della Gamma Film si basa, in particolare, sui tredici caroselli conservati e digitalizzati dall’Archivio Nazionale del Cinema d’Impresa di Ivrea, liberamente visionabili nel canale YouTube dell’archivio (playlist del Fondo Montecatini-Edison).

 

[22] Sul ruolo di rilievo di questa fortunata creazione della Gamma Film, si veda M. ZANE, Scatola a sorpresa. La Gamma Film di Roberto Gavioli e la comunicazione audiovisiva in Italia da Carosello a oggi, Milano, Jaca Book-Fondazione Luigi Micheletti, 1998, pp. 46-47.

 

[23] Ricordiamo che già l’anno successivo alla creazione del celebre marchio di garanzia, la Rhodiatoce si era avvalsa della creatività dell’altra grande casa di produzione di film d’animazione italiana, la Pagot Film, sponsorizzando un film a cartoni animati per il cinema (Scala d’oro, 1954, nulla osta n. 17532 del 16 ottobre 1954). In questo e nei casi successivi, le informazioni sui visti di censura sono desunte dal database on line Italia Taglia. Progetto di ricerca sulla censura cinematografica in Italia, promosso dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, realizzato dalla Cineteca di Bologna in collaborazione con l’A.N.I.C.A. (http://www.italiataglia.it/).

 

[24] Alla Du Pont, com’è noto, si deve anche lo sviluppo e l’introduzione sul mercato della prima vera fibra sintetica, il nylon, nel corso degli anni Quaranta. Com’è avvenuto nel caso di quest’ultimo, anche la commercializzazione del poliestere conosce una notevole fortuna, prima negli Stati Uniti poi nei principali paesi europei, venendo incluso sempre più spesso nella composizione di svariati prodotti. Sul ruolo di alcune sperimentazioni tessili dell’azienda nella cultura materiale moderna si veda K. O’ CONNOR, Anthropology, Archaeology, History and the Material Culture of Lycra, in Writing Material Culture History, a cura di A. GERRITSEN E G. RIELLO, New York-London, Bloomsbury, 2014, pp. 83-88. Impegnata anche nella produzione di materie plastiche, d’altra parte, l’americana Du Pont ha avuto inoltre un ruolo non trascurabile nel parallelo sviluppo dell’industria bellica del paese. Si veda in proposito lo studio di P.A. NDIAY, Nylon and Bombs: DuPont and the March of Modern America, Baltimore, The Johns Hopkins University Press, 2007.

 

[25] Cfr. M. GAROFOLI, Le fibre intelligenti. Un secolo di storia e cinquant’anni di moda, Milano, Electa, 1991. L’autrice dedica ampio spazio a questo aspetto: si vedano in partic. i paragrafi I controlli di qualità, pp. 51-55, e Propaganda e uffici stile, pp. 55-63.

 

[26] Messa in commercio con il nome di “Dacron” in ambito statunitense, la fibra chimica assume in Italia questa denominazione forse perché maggiormente affine al registro fonetico della lingua.

 

[27] È particolarmente interessante, infatti, che Maura Garofoli apra il paragrafo sui controlli di qualità affermando: «La storia delle fibre artificiali e sintetiche è stata sempre caratterizzata dalla necessità di “educare” la clientela tessile al loro utilizzo». Cfr. ivi, p. 51. In questo caso, si può dire, anche alle concrete scelte di acquisto.

 

[28] Al motto di «Ben guardare è l’importante!».

 

[29] Per restringere il target di riferimento, infatti, la voce over introduce l’ultima indicazione dicendo «E se volete essere più sicure…».

 

[30] Si può notare, inoltre, che l’ambientazione decontestualizzata sembra aver invitato al recupero dell’efficacia di uno strumento ottico per avvicinarsi ai dettagli, presente anche in altre pubblicità cinematografiche d’animazione dell’epoca. Si tratta della lente d’ingrandimento, la cui cornice viene utilizzata come una sorta di mascherino attraverso il quale gli spettatori possono quasi “ispezionare” la superficie del capo come se fossero a esso vicini.

 

[31] Cfr. L’epoca della carta (Attilio Vassallo, 1962 [ciclo 2], Cinetelevisione). La presente riflessione sulla serie si basa, in particolare, sui quattro caroselli conservati e digitalizzati dall’Archivio Nazionale del Cinema d’Impresa di Ivrea, liberamente visionabili nella playlist del fondo Marzotto. Poiché quest’ultimo è ancora in fase di catalogazione e di digitalizzazione, è possibile che il numero di caroselli della serie aumenti con il suo completamento.

 

[32] Negli stessi anni la Marzotto dedica un’intensa campagna pubblicitaria alla promozione delle proprie linee di abiti maschili confezionati, sia per il circuito televisivo che per quello cinematografico. Anche queste produzioni filmiche dell’azienda sono liberamente accessibili sul canale YouTube dell’Archivio Nazionale del Cinema d’Impresa (playlist Fondo Marzotto).

 

[33] E. MERLO, Moda italiana. Storia di un’industria dall’Ottocento a oggi, Venezia, Marsilio, 2003, p. 94. A questo importante periodo per i rapporti tra industria tessile, chimico-tessile, di abbigliamento e alta moda, l’autrice dedica un apposito paragrafo, Moda e industria, pp. 91-101.

 

[34] Cfr. ivi, pp. 96-97 e I. PARIS, Oggetti cuciti: l’abbigliamento pronto in Italia dal primo dopoguerra agli anni Settanta, Milano, Franco Angeli, 2006, pp. 237-241.

 

[35] Cfr. PARIS, Oggetti cuciti, cit., pp. 274-279.

 

[36] Cfr. MERLO, Moda italiana, cit., p. 97.

 

[37] Cfr. A colpo d’occhio (Attilio Vassallo, 1960), nulla osta n. 31507 del 23 marzo 1960.

 

[38] Nell’Italia del “miracolo economico”, non è soltanto la produzione industriale a basarsi sulla realizzazione “in serie”, ma anche la pubblicità audiovisiva, per la quale le équipe tecniche e gli stessi registi collaborano per un certo periodo con una stessa casa di produzione. Nel caso di Attilio Vassallo, ad esempio, è lo stesso Marco Giusti a ricordare il suo lungo contratto con la Cinetelevisione, che appunto si occupava sia di pubblicità cinematografica che di quella televisiva. Cfr. GIUSTI, Il grande libro di Carosello, cit., p. 15.

 

[39] Le immagini scelte si riferiscono a una divertente scenetta dell’episodio sul viaggio, seguita alle parole di Tieri a proposito del ruolo insostituibile della carta per la pubblicazione dei vocabolari. Non appena il personaggio animato gliene chiede una motivazione, questi dichiara che «un uomo che non conosce le lingue, è un uomo senza gambe»: perse le gambe in conseguenza a questa affermazione, l’omino si “nutre” dei contenuti presenti nei tomi che compaiono accanto a lui; subito dopo riacquista le gambe e, insieme a esse, una valigia perché grazie alle conoscenze acquisite è realmente pronto a viaggiare. Lo sketch, ovviamente, rimarca l’importanza dello studio per poter comunicare con gli altri, oltre che per un’attività ricreativa e formativa come il viaggio.

 

[40] Nonostante il ristretto corpus di caroselli della serie considerati, questo aspetto è piuttosto evidente, dato che si può notare in tre episodi su quattro.

 

[41] Sono questi, infatti, i nomi riportati nei codini dei quattro caroselli considerati per la presente analisi.

 

[42] La voce over inizia infatti il proprio messaggio pubblicitario dicendo: «Signore…».

 

[43] Strumento ampiamente impiegato negli atelier sartoriali, il cartamodello, con i suoi tracciati stilizzati, diventa un ausilio essenziale anche per le clienti più abili in questa attività a livello non professionistico. Si tratta di una pratica diffusa e familiare tra il pubblico di massa degli anni Sessanta: già nel ventennio fascista, infatti, numerose riviste specializzate pubblicano periodicamente guide corredate da cartamodelli pensate per le lettrici che vogliano realizzare autonomamente la confezioni di abiti. Su questo aspetto si sofferma il saggio visuale di M. LUPANO-A. VACCARI, Una giornata moderna. Moda e stili nell’Italia fascista, Bologna, Damiani, 2009, pp. 32-35.

 

[44] Cfr. A.V. BOSCARINO, L’estetica di Bruno Bozzetto: teoria e prassi tra movimento e spettacolo, Roma, Bulzoni, 2002. Si veda, in particolare, l’Introduzione e p. 20.

 

[45] Un aspetto che non stupisce, se si considera che in un’intervista il rumorista che più a lungo ha collaborato con Bozzetto ha confermato come, in sede realizzativa, la cura del dettaglio non variasse a seconda del tipo di produzione. Cfr. V. BRANCIA, Molti effetti, e sonori. Intervista con Giancarlo Rossi, in La fabbrica dell’animazione. Bruno Bozzetto nell’industria culturale italiana, a cura di G. BENDAZZI e R. DE BERTI, Milano, Il Castoro, 2003, pp. 140-141.

 

[46] È lo stesso Bozzetto a mettere in risalto l’utilità di questa ibridazione, dunque la scelta di non limitare le possibilità rappresentative secondo schemi rigidi: l’ibridazione tra disegni animati e riprese dal vero si configura come una scelta “funzionale” a cui si può ricorrere a seconda delle esigenze e del tipo di messaggio che si intende veicolare. Cfr. l’intervista a Bruno Bozzetto a cura dell’autore in BOSCARINO, L’estetica di Bruno Bozzetto, cit., pp. 140-141. Altrettanto emblematica, a tal proposito, la successiva collaborazione tra Bozzetto e Piero Angela per la realizzazione di brevi cortometraggi d’animazione pensati per accompagnare la spiegazione di alcuni fenomeni complessi e utilizzati all’interno del noto programma televisivo di divulgazione scientifica Quark. Si veda in proposito il saggio di E. MOSCONI, Ludendo docere. Gli educational della leggerezza, in La fabbrica dell’animazione, cit., pp. 78-86.

 

[47] La stessa Marzotto si specializza soprattutto nella produzione di abiti confezionati per il pubblico maschile. Una delle eccezioni più note all’epoca è sicuramente quella della linea femminile Cori del Gruppo Finanziario Tessile, l’azienda divenuta celebre per aver introdotto in Italia un “sistema delle taglie” che ha incoraggiato lo sviluppo della confezione industriale di qualità, con la linea di abiti pronti per uomo denominata Facis. Cfr. E. MERLO, “Size Revolution”: The Industrial Foundations of the Italian Clothing Business, in «Business History», LVII, 2015, 6, pp. 919-941. Creata alla fine degli anni Cinquanta con l’intento di combinare un gusto di classe con la qualità dei particolari, la collezione Cori ha inoltre potuto contare sulla collaborazione con una celebre stilista dell’epoca, Biki. Cfr. PARIS, Oggetti cuciti, cit., p. 109. Spot e caroselli del Gruppo Finanziario Tessile sono liberamente accessibili sul canale YouTube dell’Archivio Nazionale del Cinema d’Impresa (playlist Fondo GFT – Gruppo Finanziario Tessile).

 

[48] Cfr. ivi, pp. 92-98. Ripercorrendo anche su basi statistiche l’ingresso dell’abbigliamento confezionato in Italia, Paris evidenzia come nel secondo dopoguerra la situazione nazionale rifletta la tendenza comune a livello europeo, dato che anche qui, in generale, l’abito “pronto” viene più facilmente comprato dal pubblico maschile: mentre negli Stati Uniti le “sartine” erano pressoché sconosciute, anche grazie al loro ruolo di primo piano almeno fino alla metà degli anni Sessanta le donne italiane prediligono far realizzare i propri vestiti su misura. Un cambiamento tra le consumatrici avviene nel decennio 1956-1965, quando «alla mutata mentalità della popolazione si aggiunse il miglior livello qualitativo della produzione sia in termini di eleganza che di vestibilità». Cfr. ivi, p. 97.

 

[49] Come dimostrano numerosi film per il cinema e per la televisione sponsorizzati da Marzotto, l’innovazione tecnologica applicata al settore tessile rappresenta un aspetto molto caro alla ditta, tanto da averla spinta a realizzare un’ampia campagna pubblicitaria per promuovere i vantaggi del trattamento antimacchia conferito alle proprie confezioni.


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