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Gianni Poli

Cristoforo Colombo nel teatro lirico

Data di pubblicazione su web 03/05/2020
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Sono molte, di valore e generi diversi, le opere musicali intitolate a Cristoforo Colombo: dall’Ottocento a oggi spiccano quelle dei musicisti Francesco Morlacchi (1828), Alberto Franchetti (1892), Darius Milhaud (1928) e Leopoldo Gamberini (1988), affiancate dai ben più numerosi testi drammatici ispirati alla figura del navigatore e alla sua scoperta epocale. Costanti e/o differenze, compositive e strutturali, s’evidenziano in una comparazione che valuti estetiche e circostanze performative nei relativi ambiti storici e culturali. Opera tradizionale, quella di Morlacchi, prodotta con grande impegno dal Teatro lirico genovese; nel solco del grand opéra, quella di Franchetti.

L’opera è ambiziosa nel suo tentativo di rappresentare le tensioni di un’intera epoca: il suo scenario è quello di un mondo teso tra antichi pregiudizi e ansia della scoperta, tra intrighi e passioni. Imponente scenicamente, non è meno d’impatto per la sua scrittura musicale densissima, molto cesellata, fin preziosa. Franchetti sa unire un trattamento vocale pieno di sfaccettature a un impasto orchestrale anche sgargiante, senza rinunciare a saporose sfumature e alla coloritura anche psicologica di personaggi e situazioni.

Altrettanto grandioso e ambizioso il lavoro del musicista francese:

Milhaud tendeva ad amplificare e moltiplicare, in una sorta di “polidrammaturgia”, l’esaltazione lirica e mistica del testo epico-allegorico di Claudel, già di per sé complesso, volendo coniugare un gusto da kolossal, di ascendenza berlioziana, con un’intonazione quasi espressionista, nell’intento di “rendere visibili gli istinti e le energie irrazionali profondamente radicati nell’individuo” (Carner). […] Gli apparati richiesti sono in effetti tra i più elaborati e spettacolari di tutta la produzione operistica del XX secolo.[1]

Non opera, ma cantata, il Cristoforo Colombo. 12/10/1492 di Leopoldo Gamberini[2] aderisce alla sensibilità sincretica di fine Novecento, secolo nel quale il teatro musicale ha vissuto una decisiva crisi di genere e d’identità. Lavoro notevole per la continuità che stabilisce con le prove precedenti e per il significativo scarto formale introdotto, pure evidenziando vocazione alla teatralità.

Ottocento colombiano, da Morlacchi e David a Franchetti 

Il Teatro Carlo Felice di Genova presentava Cristoforo Colombo di Felice Romani con musica di Francesco Morlacchi il 21 giugno 1828. Le difficili condizioni del debutto, la distribuzione e l’accoglienza del pubblico sono documentate dalla stampa locale dell’epoca e riepilogate in un recente contributo storico-critico.[3] Il libretto del Romani stabilisce alcuni topoi che ritorneranno in quello di Illica, quali la natura “selvaggia” dei nativi e la storia d’amore tra una fanciulla indigena e un europeo: addirittura il figlio di Colombo, Fernando (nella storia musicata da Franchetti, è l’ufficiale spagnolo Guevara a innamorarsi d’una donna americana). I personaggi comprendono, oltre a Cristoforo Colombo (baritono), Fernando (contralto), Zilia, giovane americana (soprano), Jarico, cacico di Maima (basso), Zamoro, cacico d’Aiti, amante di Zilia (tenore) e Bartolomeo Fiesco, più il coro e numerose comparse. L’autore giustifica nel Proemio la scelta degli episodi del soggetto, circoscritto al momento, riepilogativo di tutti gli eroi e le situazioni, dell’ultimo viaggio in Giamaica. Vi inserisce l’amore di Fernando per la figlia d’un cacico:

amore episodico, ma talmente innestato coll’azione principale che senza di esso l’azione non avrebbe luogo; amore che aumenta i pericoli di Colombo e viemaggiormente lo dimostra magnanimo […]. L’invenzione non nuoce alla storia, né la storia all’invenzione; e quel che più preme in siffatti componimenti, se tutto non giova alla ragione poetica, giova almeno alla ragion musicale.

Dipinge i selvaggi «quali esser devono: feroci e senza alcun freno fuorché quello della propria superstizione»[4] e attribuisce ai nativi un’aulicità di linguaggio che è stata definita «incredibile dialogo».[5] Quanto a Fernando, per età implausibile testimone storico, sarà cronista della vita del padre; il loro dialogo, soppresso nel libretto «per motivi di economia musicale», è scrupolosamente riportato in calce al Proemio. Il «melodramma in due Atti» consta di dodici e quindici scene rispettivamente, in versi in rime baciate e/o alternate e rappresenta (escludendo stranamente scene in mare) una vicenda truce, con finale glorioso per il protagonista, dopo le vicissitudini d’amore contrastato della giovane coppia. Mostrata un’iniziale, apparente armonia fra i conquistatori e gli indigeni, le peripezie comportano poi drammatiche concomitanze legate al rapporto dei due innamorati, condannati per tradimento. Finché Zilia, avviata al patibolo, trova occasione per levare il suo patetico addio cantato. Il colpo di scena viene da Colombo che profetizza un’eclisse di luna, il cui avverarsi puntuale confonde e soggioga i selvaggi ostili. Sopraggiunta la flotta del Fiesco, Colombo può issare la sua bandiera vittoriosa, mentre gli “indiani” ravveduti chiedono perdono allo scopritore che si autosantifica: «A me si riserbi / l’impero dei cori: / se a me no ‘l consente /l’etade presente, / più santo dai posteri, / eterno l’avrò».[6]

La ricezione dello spettacolo, considerati l’assenza dell’autore e le prove ridotte, fu discreta secondo il Ghiglione, che nota il contributo dei cantanti alla recita, in cui Antonio Tamburini era Colombo, Adelaide Tosi era Zilia e Fernando interpretato en travesti da Brigida Lorenzani-Nerici. Diversamente rileva il Carboni: «il successo mancò. La musica fu giudicata dotta: che è quanto dire noiosa; piacque agli intelligenti, al pubblico no. […] Malgrado il superbo allestimento scenico ed i magnifici scenari del Canzio».[7] Il genovese Carlo Andrea Gambini compose in seguito un’ode-sinfonia – genere creato dal francese Félicien David, autore di un Christophe Colomb – la cui esecuzione fu data a Firenze, nel giugno 1851, con libretto tradotto dal francese da Giuseppe Torre. Lo stesso Ghiglione segnala quali elementi musicali di spicco in Gambini l’aria della Madre, Sul tronco solitario; in David, la Canzone del mozzo, per voce di soprano.[8] Giovanni Battista Polleri partecipava alle Celebrazioni Colombiane con un Colombo fanciullo, melodramma in musica dato a Genova nel 1892. A Rio de Janeiro, puntualmente il 12 ottobre dello stesso anno, si eseguiva la cantata Colombo di Carlos Gomes.[9] Poi ancora un florilegio di prove, fra le quali è stata recuperata, con lodevole operazione filologica ed editoriale, l’opera del David.

Alberto Franchetti, nel quarto centenario colombiano 

Composto su commissione della municipalità di Genova (avendo Giuseppe Verdi declinato l’invito rivoltogli dalla città), il Cristoforo Colombo di Franchetti s’avvale del libretto di Luigi Illica, in quattro atti e un epilogo (edizione 1892) desunto principalmente dalla Historia de las Indias di Bartolomé de Las Casas.[10] Tema e trama sono svolti in due parti e un epilogo: La Scoperta (a Salamanca, 1487 e nell’oceano, 1492) e La Conquista (a Xaragua, 1503 e a Medina del Campo, 1506). Molti gli elementi extrastorici, quali l’amore fra la principessa indigena Iguamota e Guevara (Capitano del re), con episodi folkloristici e di maniera, volti alla spettacolarità in «un repertorio – segnala Zoppelli – programmaticamente popolare che ci appare oggi pesantemente condizionato dalle contingenze del mercato».[11] D’altro canto, i responsabili della proposta più recente enfatizzano il valore della riscoperta e il suo effetto: quando «andò in scena questo capolavoro, assistemmo a una grandiosa metamorfosi […]. Indimenticabile la scena della rivolta e delle sorde preghiere quando la Santa Maria è sballottata dai venti! Scena in cui si attendeva con impazienza il grido dalla Pinta, “Terra, terra!”».[12] Fra i caratteri musicali la critica (Faverzani) ha notato la mancanza di ouverture e l’enucleazione di temi, quali il Notturno di Colombo, da sfruttarsi anche come “impressione sinfonica” (Nella foresta nera, dall’opera Germania) per Rostagno.[13] I personaggi principali della versione ridotta (tre atti e un epilogo, rappresentazione del 27 luglio 1992), oltre a Colombo (baritono) sono: Isabella (soprano), Anacoana (mezzosoprano), Iguamota (soprano), Guevara (tenore), Roldano (Basso), Marguerite (baritono), Diaz (tenore), Roderigo (basso), Maheos (tenore), I Tre Romei (basso, tenore, baritono), Bobadilla (basso), Vecchio cacico (basso); nell’epilogo, Colombo, Guevara e Una Villanella.

Tuttavia forme e tecniche musicali mostrano «la proliferazione di brani di musica di scena di taglio estremamente caratteristico. […] Rinvia a modi d’epoca (la Ballata dei Romei, le preghiere) o aspetti esotici (le musiche degli indiani nel terzo Atto)», col risultato d’una «dimensione esotica francamente un po’ naif».[14] Il Navigatore ne emerge quasi a modello d’una “santità” fantasiosa, mentre l’ideologia (anticlericale) della narrazione denuncia la barbarie dei colonizzatori,[15] al contrario di quanto accadeva nel testo del Romani. Si possono ravvisare ancora «forte vitalità musicale e drammatica, sonorità orchestrali magistralmente condotte», nelle quali «l’uso delle localizzazioni spaziali genera alcuni tableaux di grande suggestione». La fantasia di Illica spinge la Storia di Las Casas verso la leggenda, se pure «in prima istanza […] è un libretto improntato al realismo storico, alla rappresentazione verosimile di mondi reali […] mediata attraverso l’elaborazione della memoria».[16] Altre fonti provengono dalle Historie di Fernando  Colombo, dalle quali sono desunte le preoccupazioni religiose del navigatore, evocata la leggenda di San Brandano e introdotto l’amore (qui funzionale “all’utile politico”) fra Anacoana (indigena) e Roldano (ufficiale castigliano) e fra Iguamota e Guevara. La grandiosità d’impianto comporta disfunzioni e lungaggini che suggeriscono in seguito sostanziose riduzioni del terzo e quarto atto (detti “americani”).

Nell’analisi delle varianti, Erkens mostra il difficile, precario equilibrio fra musica e drammaturgia proprio del grand opéra. Anche l’opera di Milhaud subirà una notevole riduzione, sia nel libretto sia nella partitura, passando da 3465 a 2949 misure.[17] La “prima” genovese resta un evento unico. Già la ripresa alla Scala del dicembre 1892 recava modifiche in partitura, come altre ne intervennero nelle esecuzioni di Filadelfia (1913) e di Chicago (1914).[18] Oltre allo studio della genesi e delle varianti, Erkens propone un’analisi della “forma ciclica” nell’opera (versione primitiva) e si sofferma sulla scena della “follia”, quale stilema (o topos) ricorrente nel melodramma ottocentesco come sfoggio del virtuosismo belcantistico.[19] Lo specialista di Franchetti mostra, nel concetto di cyclical forms, l’elemento ritornante wagneriano che influenzerà sia il cinema sia il teatro con il leitmotiv o tema.

Alla “prima” genovese (versione integrale), il cronista si esprime sulla resa musicale, giudicando «lo strumentale dei primi due atti e dell’epilogo di una varietà di impasti meravigliosa», mentre negli altri atti «la ricerca dell’originalità e del colore locale» avrebbero nuociuto un po’ al livello dell’orchestrazione. Tuttavia Depanis notava che «l’estrema famigliarità del maestro colle risorse strumentali lo spinge talvolta ad abusarne», cosicché l’orchestra in qualche occasione tende a soverchiare le voci, anche perché «il maestro non tratta le voci con la stessa perizia con cui tratta gli strumenti». Considera che l’uso del leitmotiv sia moderato nei temi che intervengono a contraddistinguere i personaggi e ritornano all’occorrenza ma che non «costituiscono l’ossatura dell’edificio», e apprezza soprattutto il secondo atto, che «si svolge in un ambiente marinaresco delizioso. […] Dopo il Wagner nessuno ha espresso magistralmente come lui la poesia del mare». Un giudizio anonimo su «Il Caffaro»: «Questa musica è quanto si può ideare di più grande, di più alto, di più commovente. Kaschmann fu cantante e attore inarrivabile. Quale artista!», mentre Lorenzo Parodi denunciava la «musica troppo scolastica, massimamente nella parte corale».[20]

La scenografia del Colombo (dopo quelle di Aida, 1879, e di Manon Lescaut, 1893) fu affidata da Ricordi a Ugo Gheduzzi e i costumi furono commissionati ad Adolf Hoenstein. Per i canoni del tempo, la scena avrebbe dovuto rappresentare l’ambiente storico reale della vicenda e soddisfare un’esigenza di “colore locale”, nel gusto di L’Africaine di Meyerbeer. La collaborazione della coppia fornì «esiti di grande efficacia visiva e di abile invenzione strutturale». Gheduzzi deviò alquanto dal repertorio iconografico in voga: nel raffigurare il convento di Salamanca e nella scena marina (L’oceano dalla Santa Maria) riprodusse una caravella in navigazione, sempre inquadrati in una “piantazione” che prevedeva molteplici accessi praticabili ai cantanti.

La messa in scena originale si può in parte immaginare grazie al recente ritrovamento dei bozzetti delle scene presso l’editore Ricordi.[21] Sulle modifiche e la carriera del Colombo di Franchetti si diffonde il Ghiglione ricorrendo a cronache e aneddoti. Cita l’intervento d’un cronista che si lagna della scomodità dei posti a sedere (costo d’una poltrona, trenta lire) ma che sancisce il successo di pubblico con la richiesta di bis e ovazioni.[22] Sulla composizione, un dualismo irrisolto fra le due parti (La scoperta – La conquista) è ripetutamente segnalato dalla critica, giustificato dai successivi tagli e rifacimenti mai definitivi per l’autore. Il Ghiglione concorda con Allan Mallach nel ritenere che si tratti di due entità accostate: la prima (i primi due atti originali) è in stile “oratoriale” (con la presenza costante del coro), mentre terzo e quarto atto richiamano la tradizione del Verdi di metà carriera e di Ponchielli.[23] Più meritoria, dunque, la ripresa del 1992, cui seguono studi che nel nuovo secolo potranno costituire basi storiografiche e critiche più adeguate. Intanto attraverso quell’ultima edizione si è potuto verificare la coerenza dell’impianto e la validità di tante parti sia cantate che orchestrate.

Nasce da un “Libro” il Christophe Colomb di Milhaud e Claudel

La collaborazione per l’opera deriva da precedenti lavori comuni del poeta col musicista. La richiesta del regista Max Reinhardt a Claudel di fornire un soggetto drammatico per una rappresentazione con musica avvia un’impresa complessa, resa più difficile dal condizionamento che il testo poetico eserciterà sul risultato complessivo. Il maggiore esperto dell’argomento ricostruisce l’evoluzione dell’opera, dalla prima richiesta al poeta, alla composizione (1928) e alla rappresentazione (1930).[24] Il lavoro deve armonizzare due tendenze: per Claudel, l’ideale è formulato in una «musica allo stato nascente» sorta dal potere della parola drammatica ad alimentare la musica, al contrario di quanto insito nell’idea di Wagner e del musicista:

Avant même d’achever l’écriture de son texte, Claudel a demandé à Milhaud de venir dans son château de Brangues […]. Sa réalisation a tiré le projet de Claudel davantage dans le sens de l’opéra que de celui d’un théâtre musical : en dehors de l’Explicateur, tous les autres rôles sont chantés. Les scènes sont traitées pour la plupart indépendamment les unes des autres, selon la forme traditionnelle de l’opéra à numéros. Très souvent, elles obéissent au même schéma : le debut de la scène, généralement confié à l’Explicateur, est traité en parlé rythmé avec percussions, […] avant que l’orchestre et le chant ne dominent.[25]

Infatti spiega come Claudel (al pari d’altri autori) abbia in seguito concepito il suo dramma in forma radiofonica, per soddisfare esigenze non realizzate con Milhaud. Finché nel 1952 il drammaturgo chiede la musica di scena per la creazione teatrale del Livre (1953), che il compositore reinventa e di cui sottolinea la novità in «une partition reduite, avec des moyens reduits, destinée à illustrer une certaine mise en scène. La musique alors doit être à son service, doit aider ses mouvements scéniques, jouer le rôle d’une espèce de projecteur pour le rythme comme un projecteur aide, de son efficacité lumineuse, l’éclairage du décor».[26] Per il biografo di Milhaud, l’opera sarebbe fusione di opéra e oratorio, pure considerando la storicizzazione dell’oratorio (d’ambito sacro) nella vicenda ottocentesca da Mendelssonh e Berlioz a Wagner.[27] Studi più recenti rilevano la modernità della forma:

è un piano drammaturgico di decisa modernità […] che non ricerca il coinvolgimento diretto del pubblico mediante l’annullamento della “quarta parete”, ma considera il dramma come un libro da sfogliare (il Narratore sfoglia effettivamente il libro della storia di Colombo) e come un “rito” cui il pubblico prende parte attiva attraverso il coro (Claudel); da qui l’inserimento di sezioni simboliche, che trasformano la storia in evento celebrativo. Il tratto allegorico e visionario è accentuato dalla moltiplicazione della figura di Colombo, presente sulla scena come personaggio ma anche con il proprio alter ego (la coscienza), nonché come fantasma, mostrato in età giovanile e avanzata.[28]

Tali ricerche incrociano le idee attorno all’opera d’arte “totale” d’ascendenza wagneriana, inseguita da Claudel e dal suo principale interprete, Jean-Louis Barrault.[29]

Lo specifico musicale implica la modalità compositiva politonale e richiede un organico strumentale poderoso e maestria nel governare la complessità della messa in scena (di Franz Hörth, nella creazione di Berlino) che prevede proiezioni cinematografiche in sincronia con azioni sceniche. La costruzione e le modifiche alla partitura e allo spettacolo risultano in diverse riflessioni recenti. Lécroart le osserva negli esiti finali per risalire al manoscritto originale (non pubblicato) depositato alla Bnf: «originellement, la musique était constante, réduite à la percussion soutenant le discours de l’Annoncier au début de la plupart des scènes […]. En reprenant son œuvre en 1954, Milhaud a opéré des coupures et a laissé une petite place au parlé seul, par exemple pour le texte de l’Annoncier au début de la nouvelle première partie».[30] Pertanto, la durata della prima versione (1928) risulta di un’ora e quaranta minuti (corrispondenti a 3465 misure), contro l’ora e venticinque minuti (2949 misure) della seconda versione (1954). Sui caratteri musicali e la struttura “modulare” s’è soffermato lo stesso musicologo:

indeed, precisely this modularity is what allowed Milhaud to make several changes to the running order of the scenes after the premiere of the first version. The most drastic of these revisions is Milhaud’s decision to switch the final scene from Columbus’s death (as it was in the Berlin premiere) to his discovery of the New World […]. Compared with many of Milhaud’s other works, the polytonality of Christophe Colomb is relatively subdued, with melismatic melodic lines predominating often almost homophonic harmonic textures. Still, there are many moments of harmonic exuberance and even bombast, especially in the scene in which exotic gods whip the ocean into a frenzy to prevent the “Christ-bearer” (Columbus) from crossing […]. Many of the dramatic scenes are structured in a manner that could be described as entropic: beginning with a melodic line enunciated with simple rhythm then gradually accumulating layers of increasingly complex ostinati until finally exploding into resolution and silence. One of the more inspired instances of this form is the mutiny scene, with the increasingly deranged and dissonant shouts of sailors suddenly switching to a B flat major proclaiming the first sight of land.[31]

Così l’analisi musicologica conferma certe procedure d’una

scrittura orchestrale a fasce timbriche estremamente dissonante. Le possibilità schiuse dalla “politonalità” (ottenuta sovrapponendo linee melodiche diatoniche, che appartengono a tonalità differenti oppure sono già intrinsecamente politonali), vengono sviluppate a fondo con un’accorta distribuzione dei timbri e una condotta delle parti basata sulla tecnica dell’“ostinato” (i vari temi entrano uno dopo l’altro e si accumulano in forme iterate). La staticità armonica derivante dalla condotta politonale dissonante viene compensata dalla vitalità ritmica; l’effetto globale è monumentale e riceve un ulteriore risalto nei momenti consonanti che chiudono le varie sezioni.[32]

La struttura a tableaux “espressionisti”, conta nella prima parte diciannove scene sulle ventisette totali. Rispetto alle opere precedenti, s’incontrano interessanti analogie ricorrenti nei momenti di ambientazione marina: il Colombo di Franchetti mostrava una caravella in mare, come nella creazione teatrale del Libro di Cristoforo Colombo di Claudel (Genova, 1951, scene di Giulio Coltellacci, musica di Fiorenzo Carpi); una nave volgeva la prua al pubblico, sormontata da una grande vela, emblematica poi nella messa in scena di Barrault.[33] Somiglianze tematiche, riscontrabili in scena, basate sull’esperienza tedesca comune agli autori, segnala Camillo Faverzani nel confrontare Franchetti e Milhaud, per cui «l’œuvre de Milhaud finit pour parachever, d’une certaine manière, le discours premièrement proposé par Franchetti». I rapporti fra i personaggi di Colombo e di Isabella mostrano un tono più prosaico in Franchetti che non in Milhaud: «le reseau des relations entre le héros et Isabelle est en effet très complexe et chargé de symboles dans les deux œuvres», ma in entrambe il protagonista appare “antieroico” e consonante è la purezza distintiva di Isabella. La fine di Colombo appare più naturale in Franchetti che in Milhaud: nella scena del delirio del primo, sorge una preghiera quale richiesta di perdono; nel secondo, agisce una più mistica tensione alla resurrezione, che in realtà significa espiazione e che impedisce a Colombo di riunirsi alla regina diletta in Paradiso. In nessuna di queste opere, però, secondo lo studioso, la figura di Colombo raggiunge lo statuto del mito, come avviene nel Don Giovanni di Mozart.[34] Fors’anche da tale limite dipende l’accesso così saltuario in repertorio delle opere studiate.

L’ultima edizione (Berlino, 1999) ha suscitato attenzione particolare, in particolare rispetto alla regia di Peter Greenaway. Un critico ritiene che 

cette mise en scène puisse s’imposer avec le temps comme l’une des plus marquantes de cette fin de siècle […]. D’un point de vue strictement musical, Christophe Colomb n’est pourtant pas un chef d’œuvre absolu. Peut-être en raison de la fameuse “polytonalité”, méthode de Milhaud quelque peu opportuniste (contre Wagner, contre Debussy, contre l’École de Vienne). […] Il s’agit incontestablement d’une partition très forte et Milhaud se montre tout à fait à la hauteur de ce sujet a priori trop épique pour lui. Malgré un effectif orchestral assez réduit, certains passages sont d’une indéniable puissance, en particulier la révolte des matelots juste avant l’arrivée au Nouveau Monde et surtout le voyage du retour […]. D’une manière générale on admire également la réussite des scènes mélodramatiques où intervient le Récitant et qui donnent lieu à de véritables tours de force rythmiques. Il est peu d’oeuvres lyriques où se marient de façon aussi naturelle les conventions pourtant si opposées du Chant et de la Déclamation.

Sull’originalità della regia, il critico titola Un spectacle phare e precisa:

la mise en scène atteint vraiment des sommets dans l’assez incroyable troisième tableau du deuxième acte, où sous le regard goguenard de Christophe II assis à l’avant-scène, Christophe I et le Commandant se démènent sous la forme d’ombres chinoises projetées derrière l’écran lui même submergé d’images de tempête. Du très grand art.[35]

Sull’uso delle proiezioni cinematografiche su nove schermi, s’è espresso Jochen Breiholz:

Since nothing really happened onstage, the audience could concentrate on the nine (!) screens on which various films were shown simultaneously. Most annoying were the sequences of Columbus writing in his diary - on more than one screen at a time, and in several colors and sizes, sometimes on top of one another. Disappointingly, the other films had nothing in common with Greenaway's familiar style, turning out instead to be an absurd compilation of archival footage.[36]

Il culmine del ventesimo secolo offre una ricerca sull’opera come forma artistica sincretica, se non ‘totale’. Recuperato uno sguardo d’insieme, oltre quello specialistico musicale, l’opera esibisce la potenzialità di prodotto multiforme e polivalente nel quale l’apporto registico appare sempre più determinante. Lo hanno mostrato Faverzani, col recupero della funzione del libretto, e Gerardo Guccini in notevoli studi sul campo, migliorando la comprensione d’una drammaturgia definibile “creativa”, tipica del secondo Novecento e forse all’origine d’un possibile rinnovamento, anche strutturale, dell’opera nel tempo cosiddetto postmoderno.[37]


Ringraziamenti: Museo Biblioteca dell’Attore, Genova. Fondazione Mario Novaro, Genova. Fondazione I Teatri, Reggio Emilia.   



[1]  Da Dizionario dell’Opera, a cura di P. Gelli, Milano, Baldini & Castoldi, 1996 (cfr. anche http://www.operamanager.com/cgi-bin/process.cgi; ultimo accesso: 27 febbraio 2020). Fra le precedenti opere musicali dedicate a Colombo, si ricordano B. PASQUINI, Colombo ovvero l’India scoperta, 1690 e V. FABRIZI, Il Colombo o la scoperta delle Indie, 1788. Inoltre si confrontino G. DONIZETTI, Cristoforo. Colombo, cantata per baritono e orchestra, 1845 (balletto omonimo: Milano, Teatro alla Scala, 1992, musica di Gaetano Donizetti, coreografia di Alberto Mendez, drammaturgia e regia di Beppe Menegatti; i personaggi femminili erano tratti dal Colombo di Franchetti); W. WALTON, Christopher Columbus, musiche per il radiodramma di Louis MacNeice, 1942; P. GLASS, The Voyage, Metropolitan Opera, 12 ottobre 1992. Sul “mito” relativo a Colombo, Cfr. Christophe Colomb et la découverte de l’Amérique: mythe et histoire. Atti del convegno internazionale (Besançon, 21-23 maggio 1992), a cura di J. HOURIEZ, Besançon, Université de Franche Comté, 1994. I testi drammatici sono inventariati in P. CARBONI, Cristoforo Colombo nel teatro, Milano, Treves, 1892 e commentati in D.G. MARTINI, Cristoforo Colombo, l’America e il teatro, Genova, ECIG, 1988.

[2]  Partitura originale a stampa, Genova, SVEM, 1991. Prima esecuzione: 28 settembre 1990, Teatro Carlo Felice - Sala Margherita. Libretto: Leopoldo Gamberini e Carlo Cormagi (dal Giornale di bordo di Colombo), leggibile nella partitura (in italiano e in inglese, traduz. di Benito Poggio) e nel Programma della “prima” genovese. Cfr. G. POLI, Cristoforo Colombo in musica alle soglie del Duemila. Una “cantata scenica” di Leopoldo Gamberini, relazione al convegno su Leopoldo Gamberini tenuta presso l’Università di Genova nell’aprile 2017 (in preparazione).

[3]  Cfr. M. GHIGLIONE, Nuovo mondo in… cantato, in «New Magazine Imperia», XXV, 2014, 4, p. 49.

[4]  F. ROMANI, Cristoforo Colombo, melodramma serio in due atti, Genova, Tipografia Ponthenier, 1828 (l’edizione è reperibile on line, a cura di D. ZANOTTI: http://www.librettidopera.it/zpdf/colombo.pdf; ultimo accesso: 27 febbraio 2020). Cfr. C. MAEDER, Il Carlo Felice di Genova, Cristoforo Colombo e due libretti ottocenteschi: il buon navigatore narrato da Felice Romani e Luigi Illica, in L’Italie et l’Amérique latine, a cura di B. DE JONGE e W. ZIDARIC, «E-CRINI», 2, 2010, pp. 175-188.

[5]  M. GHIGLIONE, Nuovo mondo in… cantato, in «New Magazine Imperia», XXV, 2014, 6, p. 40.

[6]  ROMANI, Cristoforo Colombo, cit. Il testo – il cui stile veniva addirittura paragonato a quello di Metastasio – verrà ripreso ed esaltato da molti altri compositori, fra i quali Luigi Ricci (Regio di Parma, 1829), lo spagnolo Carnicer (Madrid, 1831) e Donizetti, che non compì il progetto. In traduzione tedesca, rappresentato al Reale Teatro di Sassonia (Dresda), nel 1829. CARBONI, Cristoforo Colombo, cit., p. 239, segnala il tentativo mancato di ripresa a Genova nel 1839.

[7]  Cit. GHIGLIONE, Nuovo Mondo in... cantato (in «New Magazine Imperia», XXV, 2014, 6), cit., p. 44.

[8]  Ivi, pp. 48-49. Cfr. F. DAVID, Christophe Colomb ou la Découverte du Nouveau-Monde (1847), ode-symphonie in quattro parti, libretto di Joseph-François Méry, Charles Chaubet e Sylvain de Saint-Étienne. Esecuzione recente al Festival Berlioz nel 22 agosto 2014; cfr. F. DAVID, Christophe Colomb, Venezia, Palazzetto Bru Zane, 2017, con 3 Cd-Rom.

[9]  C. GOMES, Colombo. Poema corale sinfonico in quattro parti, libretto di Albino Falanca. Le Colombiane di Genova, nell’ottobre 2012, riproporranno brani delle opere di Gomes e di Gamberini.

[10]  B. De Las Casas, Historias de las Indias, 1875. Cfr. F. Colombo, Le Historie della vita e dei fatti di Cristoforo Colombo, a cura di R. CADDEO, Milano, Alpes, 1930. L. ZOPPELLI, Cristoforo Colombo: un mito laico per la nuova Italia, in Alberto Franchetti. L’uomo, il compositore, l’artista. Atti del convegno (Reggio Emilia, 18-19 settembre 2010), a cura di P. GIORGI e R. ERKENS, Lucca, LIM, 2015, p. 373.

[11]  Ivi, p. 379. Cfr. M. BOTTARO, Genova 1892 e le celebrazioni colombiane, Genova, Pirella, 1984. L’evento partecipava a celebrazioni colombiane comprensive di varie attrazioni spettacolari.

[12]  Il direttore Festival Radio France e Montpellier R. KOERING nel Cd-Rom allegato a A. FRANCHETTI, Cristoforo Colombo, Reggio Emilia, Fondazione I Teatri, 2004.

[13]  C. FAVERZANI, Christophe Colomb héros d’opéra en France et en Italie entre XIX et XX siècle, in Christophe Colomb et la découverte de l’Amérique, cit., pp. 17-34, e A. ROSTAGNO, Alberto Franchetti nel contesto del sinfonismo italiano di fine Ottocento, in Alberto Franchetti, cit., pp. 46-47.

[14]  ZOPPELLI, Cristoforo Colombo, cit., p. 379. Cfr., per certe analogie, il coro femminile nel Prologo di The Voyage (1992) di Philip Glass.

[15]  R. ERKENS, Cyclical forms in Musical Dramaturgy, in Alberto Franchetti, cit., p. 79; ZOPPELLI, Cristoforo Colombo, cit.

[16]  V. BERNARDONI, Luigi Illica e il libretto, nota allegata al CD-Rom Cristoforo Colombo di Alberto Franchetti, Reggio Emilia, Fondazione I Teatri di Reggio Emilia-Manodori, 2004, p. 21. E v. Alberto Franchetti, cit., pp. 379 e 383.

[17]  Sull’intervento di Milhaud sull’originale del 1928, cfr. P. LÉCROART, in http://www.paul-claudel.net/oeuvre/claudel-et-la-musique (ultimo accesso: 27 febbraio 2020). V. inoltre R. ERKENS, A. Franchetti. Werkstudien zur italienischen Oper der langen Jahrhundertwende, Frankfurt am Main, Peter Lang, 2011 e C. FAVERZANI, Christophe Colomb, héros d’opéra en France et en Italie entre XIX et XX siècle, in Christophe Colomb et la découverte de l’Amérique, cit., pp. 16-32.

[18]  Cfr. ERKENS, Cyclical forms in Musical Dramaturgy, cit., p. 80, nota 12. E v. D. CERIANI, The Reception of A. Franchetti’s Works in the United States, ivi, pp. 288-292. Le esecuzioni più recenti impiegano la versione in tre atti ed epilogo, per la quale subentrava il librettista Arturo Rossato. L’esecuzione dell’Orchestra Filarmonica di Montpellier, diretta da G. Masini e registrata il 27 luglio 1992, è stata pubblicata nel 2004 a cura della Fondazione I Teatri di Reggio Emilia da Manodori (2 Cd-Rom, con note critiche e libretto, ediz. fuori commercio). Si ringrazia la Fondazione per il dono del documento.

[19]  R. ERKENS, Libretto of the Madness-Scene, in Alberto Franchetti, cit., pp. 98-103. Cfr. R. MELLACE, Il racconto della musica europea, Roma, Carocci, 2017, p. 286: «il belcanto italiano esige un’agilità spericolata, ampiamente condivisa dall’opera francese e tedesca […] proprio in corrispondenza del topos melodrammatico della scena di follia, luogo in cui si approfondiscono i recessi più segreti e intimi della psiche, il virtuosismo conferisce intensità drammatica alla situazione». L’opera di Gamberini ha un momento onirico nel finale che conferma il simbolismo del suo Colombo.

[20]  Cit. in un articolo di G. DEPANIS su «La Stampa» dell’11 ottobre 1892. Alla terza esecuzione genovese, il direttore Luigi Mancinelli cedeva il podio ad Arturo Toscanini.

[21]  M. VIALE FERRERO, La visione scenica di Cristoforo Colombo, nel Programma accluso nel CD-Rom Cristoforo Colombo di Alberto Franchetti, cit. (con riproduzione di bozzetti di costumi); poi in Alberto Franchetti, cit., p. 390. I documenti mostrano la ricorrenza dell’oggetto-simbolo della nave, da Franchetti a Milhaud. Per l’occasione, il Teatro genovese veniva dotato di illuminazione elettrica.

[22]  G.G. DOBRSKI, in «Il Caffaro», cit. in M. GHIGLIONE, Nuovo mondo... incantato, in «New Magazine Imperia», XXV, 2014, 5, pp. 46-56. Cfr. Il Teatro Carlo Felice di Genova. Storia e progetti, a cura di I.M. BOTTO, Genova, SAGEP, 1986.

[23]  GHIGLIONE, Nuovo mondo... incantato (in «New Magazine Imperia», XXV, 2014, 5, p. 54), cit., che cita A. MALLACH, The Autumn of Italian Opera: from Verismo to Modernismo 1890 /1915, Boston, Northeastern University Press, 2007. Anche Erkens giudica che «the second part could be understood as an indipendent drama inserted in a primarily epic dramaturgy of parts one and three»: Alberto Franchetti, cit, p. 80, nota 12.

[24]  P. LÉCROART, Paul Claudel et le Livre de Christophe Colomb”: vie et évolution d’une œuvre, in Paul Claudel. Il libro di Cristoforo Colombo: Genova 1951, una prima mondiale. Atti della giornata di studio (Genova, 19 marzo 2009), Genova, Provincia di Genova, 2009, pp. 32-52.

[25]  LÉCROART, Paul Claudel et le Livre de Christophe Colomb, cit., p. 39.

[26]  D. MILHAUD, Mes deux partitions pour Christophe Colomb, in «Cahiers Renaud-Barrault», I, 1953. Per i dati tecnici organico-orchestrali e per le misure dei brani: P. LÉCROART, Œuvres musicales inspirées par Claudel, in www.paul-claudel.net/ressources/claudel-en-musique/musiciens-de-claudel (ultimo accesso: 28 febbraio 2020). Cfr. W. EGK, Columbus. Bericht und Bildnis, opera radiofonica, 1932 e A. HONEGGER, Christophe Colomb, radiodramma con musica, libretto di W. AGUET, 1940.

[27]  Cfr. M. GIANI, Fede e teatralità nella musica sacra dell’Ottocento, in Enciclopedia della Musica, Milano, Il Sole 24 Ore, 2006, vol. II, p. 835.

[28]  Dizionario dell’Opera, cit. Cfr. P. COLLAER, Darius Milhaud, Anversa, Nederlandsche Boekh, 1947 (2a ediz. Aggiornata: Genève-Paris, Slatkine, 1982) e J. DE LABRIOLLE, Les “Oratorios” dramatiques de P. Claudel, in «La Revue des Lettres Modernes», 180-182, 1968.

[29]  O. ASLAN, Le “Christophe Colomb” de Claudel, du théâtre “complet” à l’acteur “total”, in L’Œuvre d’Art total, a cura di D. BABLET e E. KONIGSON, Paris, CNRS, 1995 e G. POLI, Scena francese nel secondo Novecento, I. J. Vilar – J.-L. Barrault, Genova, Il melangolo, 2007, pp. 196-198. 

[30]  LÉCROART, Œuvres musicales inspirées par Claudel, cit.

[31]  M. ERWIN, Preface alla partitura dell’opera nel catalogo disponibile al sito https://repertoire-explorer.musikmph.de/en/product/darius-milhaud/ (ultimo accesso: 28 febbraio 2020).

[32]  Dizionario dell’Opera, cit.

[33]  POLI, Scena francese nel secondo Novecento, cit., e G. POLI, Claudel in Italia: “Le Livre de Christophe Colomb”, una prima mondiale, in «Teatro e Storia», XXIX, 2008, pp. 383-397.

[34]  FAVERZANI, Christophe Colomb, cit., pp. 19 e 30 (poi in C. FAVERZANI, Ginevra e il Cardinale. Libretti italiani da Salieri a Ponchielli, Lucca, Libreria Musicale Italiana, 2015).

[35]  T. SIMON, Recensione a una replica dell’opera del novembre 2002, in https://www.concerto.net/. Locandina: traduzione libretto di Rudolf Stephan Hoffmann (da Paul Claudel); regia di Peter Greenaway e Saskia Boddeke; scene di Gerhard Benz; costumi di Emi Wada. Orchestra e Coro dello Staatsoper Unter den Linden, diretti da Philippe Jordan.

[36]  J. BREIHOLZ, Berlin: Christophe Colombe, in «Opera News», marzo 1999, http://www.publicopera.info/opera199900/criscol_berl_recensioni.html (ultimo accesso: 8 febbraio 2020). La rassegna contiene altre recensioni da periodici tedeschi relative alla creazione dell’ottobre 1998.

[37]  Cfr. V. COLETTI, Prefazione a FAVERZANI, Ginevra e il Cardinale, cit., e M.G. VITALI-VOLANT, Recensione a C. FAVERZANI, Ginevra e il Cardinale, cit., 11 avril 2016, altritaliani.net/libretti-dopera-italiani-ginevra-e-il cardinale-di-c-faverzani-recensione (ultimo accesso: 29 febbraio 2020). Cfr. G. GUCCINI, Verdi regista, in Enciclopedia della Musica, Milano, Il Sole 24 ore, 2006, vol. II, pp. 937-948 e ID., L’opera come teatro: percorsi e prospettive della regia lirica, in «Il Saggiatore musicale», 17, 2010, 1, pp. 83-90. 



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