Questo intervento intende fare il punto sulloperato di Scamozzi nel teatro Olimpico di Vicenza per valutare al giusto la sua grandezza scenica. Considerarlo, come di recente e` stato proposto, «the best architect-stage designer of his time»[1] e` forse eccessivo a fronte del genio scenotecnico di Vasari e Buontalenti, nonché dellimportanza di precedenti esperienze, rimaste troppo a lungo in un cono dombra, che consentiranno di ridisegnare la storia della scena cinquecentesca. Si pensi al dinamico palcoscenico bolognese di Prospero Fontana.[2] Comunque, Scamozzi fu un protagonista assoluto della architettura teatrale e della scenografia del XVI secolo. Il ruolo decisivo di questultimo nellavventura edificatoria come nellinaugurazione del teatro degli accademici Olimpici e` ormai documentato.[3] Larchitetto fu attivo in quel cantiere a seguito delle decisioni prese nella risolutiva tornata accademica del 6 maggio 1584.[4] A lui vanno attribuiti la scenografia prospettica e lilluminotecnica per lEdipo tiranno, nonché tutti gli altri lavori post 6 maggio: la copertura delludienza; la messa in opera del piancito del palcoscenico e di «cortine, et tende»,[5] cioè di un ampio sipario a caduta che occultava a tempo debito il piano di calpestio del palco, la scenafronte e le prospettive; il portale profilato a bugnato di sapore serliano del vestibolo e la razionalizzazione del sistema di ingressi e del palcoscenico; e, infine, la secentesca edificazione dellodeo. Per non dire del suo più che probabile interesse allacustica di tale ambiente e del contiguo teatro.[6] Lentità dellintervento fu dunque notevolissima, nel Cinquecento come nel secolo seguente. Costruendo la porta sul cortile, che si affiancava a quella palladiana sul prospetto sud-ovest della fabbrica, Scamozzi non solo snelliva le entrate e le uscite del pubblico ma creava un sistema di accessi coerentemente speculare a quello da lui ideato per il vestibolo. Osserviamo, “calata” sulla più antica e preziosa planimetria del teatro Olimpico, della sede accademica e del contiguo palazzo del Territorio (fig. 1),[7] questa ipotesi di ricostruzione del sistema cinquecentesco dingressi allOlimpico: le frecce segnate in nero indicano gli accessi al peristilio, ai soprastanti “Poggi per gli spettatori” e alla cavea, mentre quelle in bianco indicano gli accessi allorchestra. A Scamozzi spetta inoltre la progettazione del retropalco (portale daccesso incluso) che, comunque lo si voglia immaginare in quello scorcio degli anni Ottanta – (fig. 2): cosi` Edoardo Danzi nel 2011; (fig. 3): cosi` Tancredi Carunchio e léquipe del Corpus palladiano nel 1992[8] – migliorava in modo sostanziale lorganizzazione del palcoscenico. Si sa che si discusse a lungo a partire dal Settecento circa la tipologia originaria della copertura che celava le capriate:[9] integralmente a velario? A lacunari sulla scena e a velario sulla cavea? In breve: credo si possa concludere economicamente ipotizzando che la copertura delludienza fu attuata proprio da Scamozzi con un velario in stoffa. Lo attestano sia la soluzione neutra visibile nellaffidabile monocromo di Alessandro Maganza eseguito nel 1596 nel vestibolo del teatro e raffigurante la serata inaugurale; sia, soprattutto, la minuziosa descrizione dovuta a Inigo Jones che nel 1613 visito` la sala. Il sottovalutato ma ineludibile riferimento di Jones a «un telone» (“canvas”) superiore e` da intendersi, stimo, quale allusione alla tipologia a velario posta da Scamozzi sopra ludienza e probabilmente già prevista da Palladio.[10] La scenafronte disponeva invece, come dimostrano il ricordato monocromo del 1596 e la prima testimonianza incisoria relativa allOlimpico (1620), di un soffitto a lacunari sopra il piancito del palcoscenico: una struttura che richiamava la copertura canonica della scenafronte romana. Una tipologia da assegnare allideazione palladiana per la struttura di derivazione vitruviana dappoggio dei cassettoni: la frons e le “ali” delle versurae. Di conseguenza, non e` inutile ribadirlo, va espunto dal catalogo scamozziano lembrionale boccadopera dellOlimpico (larchitrave e le due grandi ante murarie parallele alla scenafronte separanti la cavea dal palcoscenico), di norma assegnato a Scamozzi ma da ricondurre senza esitazioni a Palladio.[11] Dopo il 6 maggio 1584, mentre si lavorava al “cielo” del teatro, iniziava la costruzione della scenografia che fu conclusa ante 30 gennaio 1585.[12] Una scena tragica «di architettura finissima, e di legname sodo per dover sempre durare».[13] Plastica, fissa, a fuochi multipli e sviluppata in profondità, tale scenografia rinnovava la tipologia monofocale serliana dei «telari» e si differenziava dal tecnologico palco mediceo a scena girevole e dalla fiorentina complessità macchinistica vasariano-buontalentiana, impalcando una suite di edifici policromi in legno e stucco raffigurante, si sa, le sette vie di una metaforica Vicenza-Tebe splendente di luci in cui i committenti si riconoscevano nel segno della cinquecentesca idea dimpero, chiave ermeneutica del programma iconografico dellOlimpico. Si aggiunga che luso di materiali «leggeri, o leggerissimi» contribuì con ogni probabilità alla buona resa acustica del teatro.[14] Asserì lideatore delle prospettive a sintetico bilancio della propria attività di architetto-scenografo: Scena Tragica varia secondo il soggetto. Vedi la Scena dello Scamozzi con sette [strade] nel theatro di Vicenza. Telari con tele sadoprano per fare i casamenti delle Scene: secondo lo Scamozzi le Scene de importanza loda, che siano fatte di legnami, come egli ha ordinato la Scena della Academia di Vicenza, & a Sabionetta.[15] Lignee scene di «importanza» quelle dellOlimpico. Destinate a rimanere nella storia e di sapore scamozziano, al pari dei cinque disegni autografi stilati per esse da Vincenzo.[16] Eppure vi e` stata differenza di opinione circa la paternità della scenografia,[17] ma poi il rinvenimento tra le carte dellaccademia della risolutiva testimonianza di Pompeo Trissino, nipote del grande Giangiorgio e testimone oculare degli eventi, ha provato che davvero le prospettive dellOlimpico vennero «fatte – come scrive Pompeo nella sua nervosa grafia (fig. 4) – per opera del Signor Vicenzo Scamocio, compatrioto nostro in bella et artificiosissima maniera».[18] La nuova fonte ha consentito inoltre di smantellare finalmente lerroneo riassunto settecentesco di Bartolomeo Ziggiotti circa il palladiano «modello […] e disegno parimenti delle Prospettive»,[19] ritenuto per lungo tempo dalla storiografia prova fondamentale dellesistenza di un articolato progetto del maestro patavino per le scene prospettiche. La storia dellOlimpico si e` liberata cosi` di un referente archivistico assente nelle fonti originali. Davvero economico pensare che il sopra citato «modello» sia da identificarsi con il progetto di massima per il teatro Olimpico disegnato da Palladio.[20] Sicché e` stato possibile affrontare in modo diverso il problema della scenografia prospettica prevista da questultimo, ipotizzando con buone ragioni che egli, condizionato dallesiguità dello spazio a disposizione dellaccademia mentre stilava il progetto della scena Olimpica tra il 1579 e il 1580, prevedesse prospettive plastiche solo nella ianua regia e pannelli dipinti negli hospitalia.[21] Si vedano (fig. 3) le assonometrie del teatro Olimpico con, in alto, linnovativa ipotesi di ricostruzione dellassetto esterno del palcoscenico palladiano formulata negli anni Novanta del secolo scorso e frutto di un accurato rilievo architettonico delledificio,[22] nonché della mai abbastanza lodata intelligenza di Magagnato. Ipotesi in larga misura confermata anche da studi recenti (fig. 5).[23] Le «prospettive di dentro fatte dal Tamoscio […] non illuminate non son niente, illuminate paiono ogni cosa», affermava uno spettatore della recita inaugurale.[24] Quella sera, dico cose note, lilluminotecnica fu un elemento saliente per la resa visiva della scenografia (e della frons) accordando la vivace policromia e le decorazioni scultoree delle prospettive e valorizzando i movimenti di attori e figuranti e lo squillante cromatismo dei loro costumi. Anche in questo caso Angelo Ingegneri esercito` una funzione importante. Ma davvero possiamo individuare solo in lui il direttore delle luci?[25] Più economico pensare che al corago sia da attribuire un ruolo di coordinamento. Logico che Ingegneri si sia occupato del problema in linea generale. Ciò non toglie che abbia fatto ricorso a uno o più tecnici specializzati. Dobbiamo allora pensare proprio a Scamozzi, architetto sapiente della luce naturale e artificiale,[26] che si attribuisce lilluminotecnica dello spettacolo.[27] Lautoattribuzione, suffragata da altri documenti,[28] e` attendibile. Lo staff comprendeva, oltre a Scamozzi, «Montagna da Ferara per lilluminatione»,[29] id est lingegnere, architetto e scenografo carpigiano Marco Antonio Pasi, alias Montagna, stimato da Alfonso II dEste, raccomandato agli Olimpici da Battista Guarini[30] e già impegnato a Ferrara nel 1569, a fianco di Pirro Ligorio e di Giovan Battista Verato, in uno spettacolo tecnologicamente complesso quale LIsola beata.[31] Scamozzi – coadiuvato da Guarini e dal corago – fu linventore dellilluminotecnica, non lesecutore. Il tecnico qualificato per la messa in opera di specchi rifrangenti, lumi a olio, superfici metalliche parafuoco fu il citato ingegner Pasi «eccellente di inventioni per illuminare».[32] Una consulenza artigianale esercito` forse il poco noto Alessandro Tessame autore di una nota lettera a Ingegneri nella quale informa tra laltro di aver investigato e ritrovato il segreto delloglio tanto tenuto celato dal duca e da questi che se ne fanno auttori; anzi di piu` vi aggiungo questa parte, che sara` di gran beneficio per lintento della Accademia: che con spessi ordini di canalletti si guarniranno per di dentro le due ale della scena e con un vaso di oglio o due al piu` per ciascuna si distribuira` lumore a tutti i canali.[33] Leffettiva partecipazione di Tessame allo spettacolo non e` attestata dalle fonti. Ma non e` da escludere se consideriamo che il suo progetto era stato elaborato con il patrocinio del corago.[34] Tenendo presente, in caso affermativo, che gli «spessi ordini di canalletti» in cui fare scorrere lolio non sono da immaginare ne´ disposti a vista sulla frons ne´ occultati nelle prospettive lignee (dotate di una soluzione tradizionale e sicura: mensole di appoggio con parafuoco e ganci di sostegno per lumi rispettivamente in latta e in vetro), e nemmeno nel festone illuminotecnico aereo sospeso tra il cielo della scena e quello del teatro.[35] Bensì, come dice Tessame, «dentro le due ale della scena», ossia allinterno degli “appoggi” in muratura dellarchitrave-boccascena palladiano che inquadravano il sipario a caduta e incorniciavano la scenafronte. La monumentale scenafronte, con attico colonne statue ianua regia hospitalia, ideata da Palladio non quale un iperbolico arco trionfale, come talvolta stancamente si ripete, bensì, lo ha mostrato limpidamente Magagnato, come parte di una piazza dei greci recuperando genialmente, anche sul versante classicista, lidea simbolica di citta`, asse portante della scena cinquecentesca.[36] Idea declinata invece da Scamozzi nella chiave prospettico-romanza della scena di citta`. E` capitale la distinzione storico-filologica tra la «coppia di opposizioni» tradizione scenica pratico-romanza e tradizione classicistica o pseudo-vitruviana.[37] Furono questi i due differenti vettori che, convergendo nelle multiformi prassi del teatro di corte e accademico, determinarono la riformulazione dellidea di teatro in Italia in età umanistico-rinascimentale. E occorre puntualmente distinguerli quei vettori onde non ingenerare equivoci ermeneutici perniciosi. Non lo si dirà mai abbastanza a fronte di una storiografia talvolta disarmante. Di li` a pochi anni Scamozzi fu impegnato in unaltra “impresa” vicentina: la realizzazione dellodeo accademico. Nuovi documenti hanno attestato che la sontuosa «stantia nova» non fu costruita nel Cinquecento.[38] Si osservi un particolare della già citata pianta dellOlimpico nel 1585 (fig. 6) e si noti lo spazio denominato «Locho per li Musichi per cantar». Un ambiente raggiungibile dal vestibolo del teatro. Costruito in funzione della scena. Impiegato da musici e cantori durante lo spettacolo inaugurale e in diretta comunicazione per una delle versurae con il palcoscenico.[39] Nel 1585 la sala dellodeo non esisteva. Venne commissionata e portata a compimento, nei lineamenti architettonici essenziali, dal giugno 1608 al marzo dellanno seguente essendo Pompeo Trissino «Regente e Governatore della accademia […] in vece et loco di Prencipe».[40] Sono cadute cosi` le precedenti ipotesi attorno alla data di conclusione dellodeo[41] e sono state smentite le argomentazioni di chi ancorava al 1584 lesecuzione della sala negando la paternità scamozziana dellaula. Anche a questo proposito e` attendibile lautoattribuzione avanzata da Scamozzi nel settembre-dicembre 1615 nellIdea della Architettura Universale in quella dedica riservata agli «illustri signori» Olimpici che tanto avevano contribuito al suo prestigio professionale ma, si badi, escludendolo dal rango accademico. Vale la pena rimeditarla: dedico, e consacro alla nobilissima Citta`, et Academia, nella quale risiede la Virtù, e nobiltà, non solo questo Ottavo Libro, ma` tutta lOpera, et anco me stesso, per testimonio della mia antica osservanza […]. Degnandosi parimente di haver a` memoria, che quanto la Magnifica Citta` di Vicenza hebbe di honore, e di gloria nel ricevere con solennissima pompa la Maestà dellImperatrice Maria dAustria, e nella nobilissima fabrica del Odeo dellAcademia (che forsi non ha pari,) e specialmente nellinventare, et ordinare le Prospettive, et illuminare la Scena per lapparato Tragico, et altre cose, che io non racconto; il tutto e` proceduto dallingegno, et industria mia, per honorar quella Citta` nella quale io ho` avuto i miei antenati, e genitori, la mia nascita, et educatione giovenile.[42] Rivendicazione autocelebrativa, ma anche fierezza intellettuale di un uomo sapiente che si definiva «Cittadino del Mondo»[43] e bilancio puntuale dellattività di un architetto-scenografo ambizioso cui ormai andava stretto il ruolo di mero tecnico esecutore al servizio di unambiziosa committenza.[44]
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