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Francesco Toniolo

“Best before” dei Rimini Protokoll: la distanza partecipata del videogioco a teatro

Data di pubblicazione su web 16/10/2016
“Best Before” dei Rimini Protokoll: la distanza partecipata del videogioco a teatro

Teatro e videogioco condividono alcune analogie – dal possibile approccio procedurale[1] al rapporto spettatore/videogiocatore e attore/avatar,[2] passando per la catarsi come coinvolgimento in parte fisico ed in parte emotivo[3] – e problematiche, soprattutto terminologiche, come la necessità di ridefinire una performance generica rispetto ad una “performance artistica” e quali elementi qualifichino il teatro performativo come tale,[4] tanto più in relazione al digitale nel complesso[5] ed al videogioco (con la sua “performance videoludica”) nello specifico.[6] Fra i due media non mancano, inoltre, proficui interscambi, con videogiochi che si rifanno con differenti modalità al teatro[7] e a spettacoli che utilizzano elementi videoludici. Uno di questi spettacoli è Best Before[8] (2010) dei Rimini Protokoll, un collettivo formato nel 2000 da Helgard Haug, Stefen Kaegi e Daniel Wetzel, tre studenti di Applied Theatre Science & Performance Studies all’Università di Giessen. Tipica delle loro produzioni è la commistione di intrattenimento ed indagine sociale, in cui non viene proposta una verità unica “calata dall’alto”, ma lo spettatore è chiamato a vivere e a fruire la rappresentazione su differenti livelli, tra riflessione e divertimento.[9]

Calarsi in un ruolo a Bestland: essere attore di sé stesso

Assistendo a Best Before lo spettatore si trova fra le mani un controller con cui poter – e dover – interagire con il suo avatar sullo schermo, in base alle indicazioni che gli vengono fornite di volta in volta. Il compito di guidare e commentare le azioni degli spettatori è affidato a quattro figure sul palco. Non attori di professione, ma degli experts di altri settori professionali (un programmatore, un collaudatore di videogiochi, un politico e un ausiliario del traffico), “attori” del teatro del mondo. Questi “esperti”, qui come in altri spettacoli dei Rimini Protokoll, interpretano loro stessi: sono persone comuni con una determinata specializzazione che interagiscono con lo “spettacolo” che si svolge alle loro spalle, sul palco virtuale di Bestland, il mondo di gioco in cui l’avatar di ciascun giocatore trascorre la sua esistenza digitale.

Da questi elementi emerge una prima considerazione sul pubblico teatrale e videoludico. Nel teatro “tradizionale” il pubblico si configura come un “coro” che «non è il pubblico inteso come entità indifferenziata, ma un “gruppo” che sente la necessità di aggregarsi in un momento forte, offre la sua disponibilità a compiere un cammino, lasciandosi sollecitare da una immagine, in seguito ad un “atto di libertà” con cui ogni individuo ha scelto di entrare a far parte di questo stesso gruppo».[10] Nel videogioco il “pubblico” è sfaccettato e può costituirsi di un solo videogiocatore, di più videogiocatori in uno stesso luogo, di uno o più videogiocatori con a fianco spettatori non giocanti, oppure di numerose persone fisicamente separate che giocano on line ad uno stesso videogioco incontrandosi nel mondo virtuale tramite i loro personaggi. Se anche nel videogioco si ha l’irripetibilità di un evento,[11] ciò che manca è la necessità della compresenza fisica di attore e spettatore. Può essere possibile – ma non necessaria – la compresenza fisica di più videogiocatori, che in quel momento si configurano come attori e spettatori al tempo stesso. Attori perché è soltanto col loro intervento che la “scena” dello schermo prende vita; spettatori perché a quella scena assistono loro stessi.[12]

In Best Before le caratteristiche appena descritte coesistono in un unico spettacolo. Gli spettatori assistono contemporaneamente a due rappresentazioni all’interno di uno stesso evento. La prima è la rappresentazione “non-virtuale” dei quattro experts sul palco; la seconda è quella virtuale di Bestland, in uno schermo. Quest’ultima è un mondo virtuale simulacrale, in cui ogni spettatore è chiamato ad agire per mezzo di un suo simulacro (o avatar, o protesi), lasciandosi coinvolgere dagli eventi che accadono al suo alter-ego e alle scelte cui è chiamato attraverso un processo di verisimulacratude.[13] In questo agire, come detto, lo spettatore diviene anche attore della rappresentazione. Al tempo stesso gli attori, gli “experts”, vivono un movimento speculare e di segno opposto. Assistendo alla rappresentazione virtuale alle loro spalle, determinata dagli attori/spettatori in sala, ne divengono gli spettatori, avendo tanto più dinnanzi a loro, nel mondo non-virtuale, gli attori umani che stanno dietro ad ogni singolo avatar di Bestland. C’è un continuo interscambio fra azione e visione, in un gioco fra le parti in cui l’elemento di “interazione su schermo” provoca un rimescolamento continuo dei ruoli. Le modalità e i mezzi sono differenti rispetto a quelli delle sperimentazioni del secondo Novecento caratterizzate dalla ricerca di un nuovo coinvolgimento del pubblico, attraverso un teatro realmente vissuto e non rappresentato dagli attori.[14] La presenza di un video, di uno schermo, non può non porre una barriera, o più precisamente una barriera “a specchio”, in cui anche in presenza di un teatro vissuto il medium (nel suo specifico significato di “mezzo”) si fa tramite necessario fra i soggetti presenti; un tramite che raccoglie e ridistribuisce gli impulsi ricevuti, moltiplicandoli e soprattutto moltiplicando le interazioni relazionali, per la sopra citata mescolanza fra “pubblico” e “attore”. Una nuova tipologia “artificiale” di quarta parete che invece di separare il palco e la sala riunisce entrambi in un unico spazio digitale, differente da entrambi gli elementi di partenza e caratterizzato da rapporti diversificati.

Il (video)gioco delle scelte e la sua libertà

Finora è stato impiegato il termine “videogioco” senza alcuna connotazione particolare. Tuttavia non sarà inutile fornire alcune precisazioni. Mauro Salvador osserva come i due termini che compongono la parola, “video” e “gioco”, siano da soli in grado di fornire alcune indicazioni sul campo di indagine.[15] Da un lato essi escludono diversi prodotti ibridi non legati alla componente video – alcuni anche relazionabili al teatro[16] –; dall’altro il termine “gioco” contiene molteplici significati, il più comune dei quali è legato al concetto di “divertimento”; il che può portare a considerare il videogioco solo nel senso di passatempo leggero (più specifico è l’inglese, con la sua suddivisione fra game e play). Marco Accordi Rickards ha invece proposto la definizione di OMI (Opera Multimediale Interattiva).[17] Tale acronimo pone l’accento sugli elementi di multimedialità ed interattività del videogioco.

In questa sede si intende considerare il videogioco anzitutto come “opera”. Ciò significa esplicitare come esso non sia un prodotto «necessariamente finalizzato al mero intrattenimento inteso come passatempo piacevole, ma possa avere fini didattico-scientifici, esclusivamente artistico-sperimentali o semplicemente semi-ludici».[18] Che si utilizzi il termine OMI o quello, più classico, di “videogioco”, o che si assuma la nozione di fun come divertimento serio (così Ian Bogost),[19] bisogna tener presente che il videogioco non ha necessariamente o esclusivamente finalità di svago.

Si torni a Best Before. Lo spettacolo, ripeto, è basato su un inedito videogioco in cui ciascuno spettatore può controllare un avatar e diventare un cittadino di Bestland. Nel corso della rappresentazione si susseguono le decisioni che lo spettatore/videogiocatore è chiamato ad assumere, dalla scelta iniziale del proprio sesso alla possibilità di farsi una famiglia, di legalizzare la droga, acquistare un’arma, ecc. Una versione semplificata di quella che è la vita di una comunità non-virtuale nel corso del tempo. E che questa comunità sia composta dagli spettatori, chiamati a decidere insieme, è anche un modo per affermare l’immagine di un pubblico «che si fa comunità, che vive il teatro come una attesa collettiva, un momento forte».[20] Ad ogni rappresentazione nasce (e muore) una nuova Bestland, differente dalle precedenti, perché differenti sono i duecento personaggi che vanno a costituirla con le loro scelte e le loro biografie digitali, in base alle azioni dei controllori-osservatori al di fuori dello schermo.

In una prospettiva teorica è semplice classificare Best Before come un videogioco “serio”, finalizzato a simulare, in un ambiente chiuso, l’esercizio della democrazia con le sue possibilità di scelta. Ma dobbiamo chiederci se, all’atto pratico, questo spettacolo-videogioco sia in grado di produrre un suo messaggio, una sua “retorica”, sulla base non di discorsi o immagini, ma dei suoi stessi procedimenti videoludici o, in altri termini, dei suoi modelli procedurali efficaci.[21] Occorre stabilire, insomma, se Best Before sia soltanto un simpatico e bizzarro esperimento a cavallo fra teatro e videogioco, senza particolari potenzialità comunicative, o se al contrario esso vada oltre la dimensione del “gioco” per proporsi come esperienza simbolica e reale (un reale insieme “virtuale” e “non-virtuale”). Una parte della critica sembra avallare la prima opzione:

La trama del gioco è abbastanza fresca e coinvolgente, ci si rilassa e si partecipa divertendosi. Ottima l’idea, ma resta il sapore di una certa distanza tra l’intento – far riflettere sul valore delle proprie scelte e sulla loro influenza – e il risultato finale, un po’ frettoloso e annacquato. Partendo da premesse di un certo spessore, è rimasto un leggero passatempo che non supera le due ore di effettiva durata. Troppo frettolosi anche la rincorsa verso un inutile finale e le parentesi seriose che cozzano con il clima di generale briosità che viene a crearsi. Insomma piacevole, ma nulla di più.[22]

La risposta non è univoca, soprattutto perché gli spettacoli dei Rimini Protokoll tendono a non presentare una morale evidente, offrendo invece stratificate chiavi di lettura, secondo cui è anche legittimo fruire lo spettacolo come un semplice divertimento, un “leggero passatempo”. Al tempo stesso però la vita a Bestland può presentarsi come mezzo retorico efficace, perché le sue regole interne sono indirizzate con sufficiente chiarezza verso una “morale” in senso lato appesa alla decisione singola e comunitaria. La “leggerezza”, con cui i videogiocatori attraversano, per mezzo dei loro avatar, gravidanze giovanili,[23] consumo di eroina e dinamiche capitalistiche, potrebbe far pensare a un prodotto disimpegnato; tuttavia la sopra citata “morale” non risiede nelle singole scelte ma nella possibilità stessa della scelta. A Bestland tutti nascono uguali: una condizione non sperimentabile nel mondo reale ma che può essere simulata attraverso il videogioco per mostrare come le scelte di un individuo indirizzino il suo percorso specifico, insieme a quello della collettività.

Una obiezione: in un videogioco non viene mai sperimentata una libertà completa. Anche in presenza di scelte multiple ed esplorazione libera il videogiocatore compirà sempre una azione prevista dal game designer.[24] Può essere discusso fino a che punto il “potenziale ideologico” del videogioco, o di una sua scelta specifica, derivi da una voluta scelta autoriale;[25] non può essere negato d’altronde che l’impianto delle possibilità offerte al videogiocatore sia stato predisposto a monte. Nel caso specifico di Best Before, inoltre, insieme alla presenza invisibile del game designer, bisogna tenere conto della presenza concreta degli “experts” – in particolar modo l’ausiliaria del traffico – che oltre a commentare la vita di Bestland ne scandiscono i momenti decisionali. Ma ciò non costituisce necessariamente una limitazione; al contrario, anche rimanendo in un’ottica di spettacolo “democratico” questa libertà guidata rappresenta un punto di contatto ulteriore con la società non-virtuale. Se al di fuori di Bestland non tutti nascono uguali, né hanno la possibilità di scegliere il proprio sesso, o la possibilità di fare particolari esperienze – e molti altri elementi che è potenzialmente utile ritrovare “condensati” nello spettacolo – è pacifico che una persona, consapevolmente o meno, deleghi a specifiche componenti sociali alcuni elementi della propria libertà personale, per ricevere in cambio un servizio o per garantire il vivere civile. Una società democratica (e non solo) implica delle regole condivise per poter esistere, regole che limitano la libertà individuale assoluta per garantire però – almeno in teoria – l’esistenza stessa della comunità. Per “giocare” alla vita in Bestland bisogna seguire le regole del gioco; per far parte della sua comunità e compiere un esercizio decisionale occorre che l’esperienza sia incanalata in una certa direzione.

Perché il videogioco

Ma perché proprio il videogioco è “utile” in uno spettacolo teatrale? Lo schermo, il controller nelle mani di ciascun giocatore, i simulacri nel mondo digitale sembrerebbero più elementi di allontanamento, che non di vicinanza, fra attore e spettatore. Inoltre si è appena visto come le scelte a Bestland non siano mai libere, ma sempre sottoposte alle regole del gioco e alla guida degli experts.

Roberta Carpani, per parlare del processo creativo dei Rimini Protokoll, recupera le parole di Peter Brook secondo cui «life in the theatre is more visible, more vivid than outside it. Life in the theatre is more readable and intense because it is more concentrated».[26] In vista di questa “leggibilità” i Rimini Protokoll portano la vita nel teatro, anche in maniera concreta attraverso la presenza degli “esperti”, ma al tempo stesso pongono questi attori non professionisti in un determinato contesto spaziale e drammaturgico, così da rendere “teatrale” e dunque “vivido” ciò che caratterizza la vita; la separazione stessa fra il palco e l’auditorio pone uno “schermo” che circoscrive e definisce il luogo della teatralità, esplicitandone la natura.[27] Lo spettatore, a partire dall’atto stesso del suo ingresso a teatro, è chiamato a ridefinire ciò che ha di fronte: sul palco viene portata la “vita”, ma proprio perché collocata sul palco essa si rivelerà in una prospettiva differente.

Nel videogioco il medium è a sua volta una barriera e al tempo stesso un canale, che porta fra le altre cose il videogiocatore ad una differente percezione di “corporeità”, parola che richiama il teatro. Il videogiocatore «è chiamato a ridefinire i propri schemi di percezione, azione, cognizione, i quali vengono ri-semantizzati nel gioco, acquistando un nuovo senso e portando il giocatore a vivere un’esperienza nuova».[28] La percezione – la visione, la fruizione – è doppiamente mediata in un videogioco, sia dalla presenza del mondo virtuale (in questo caso Bestland) sia dall’impiego di una interfaccia (il controller fornito a ciascuno dei presenti).[29] Al tempo stesso però il corpo del videogiocatore si sdoppia fra un osservatore/attore nel mondo diretto e un attore/osservato nel mondo indiretto.[30]

Per mezzo del videogioco i Rimini Protokoll ripropongono ciò che hanno realizzato in altri lavori – l’inserimento della “vita” nel “teatro” attraverso una separazione spaziale e drammaturgica che isola, e isolando definisce – ma al tempo stesso offrono qualcosa in più. La contemplazione di un evento in un rapporto di estraneità con la percezione chiara dello spazio teatrale e il conseguente distacco rimanda al teatro epico di Bertolt Brecht, con le sue tecniche di straniamento e la sua lontananza dall’evento osservato. Quest’ultima componente è presente nella pratica comune del videogiocare, affiancata da un movimento concomitante ma opposto di identificazione.[31] Controllare una sorta di ovetto colorato (così sono rappresentati i cittadini di Bestland) su uno schermo acuisce una distanza fra la vita di questo “ovetto” e quella del videogiocatore, come ulteriore aggiunta alla lontananza spaziale che separa il mondo virtuale da quello non-virtuale, e la distanza dell’interfaccia che deve porsi come tramite necessario fra videogiocatore e simulacro. Al tempo stesso, però, calarsi in un avatar significa mettersi in ruolo e dunque accettare, consapevolmente o meno, non solo di stare “alle regole del gioco”, ma anche di identificarsi con il proprio simulacro o di proiettare su di esso il proprio vissuto, con gradienti variabili a seconda della tipologia di personaggio. In breve: calarsi in un personaggio già strutturato, ad esempio Lara Croft della serie Tomb Raider, significa adeguarsi al suo modello di comportamento, mentre calarsi in un personaggio “lavagna” come gli “ovetti” di Bestland implica immaginare e pianificare un ruolo da interpretare, derivato o meno dalla vita o dai sogni del videogiocatore.[32] Si potrebbe parlare di “distanza partecipata” del videogiocatore, uno sguardo che in qualche modo ricorda il pathos della distanza di Italo Calvino, presente ad esempio nel Barone rampante (1957) in cui il protagonista, salendo sugli alberi, continua a partecipare alla vita del “mondo” ma osservandolo da lontano, con uno sguardo distaccato che rivela differenti prospettive.

Questo è forse uno dei punti di maggior interesse in Best Before: tramite il videogioco i Rimini Protokoll hanno amplificato il binomio di unione e distanza dell’evento teatrale, portando lo spettatore/videogiocatore ad essere al tempo stesso osservatore distaccato e attore partecipe, per rappresentare i meccanismi comunitari e invitare a una riflessione sulla libertà e sulla scelta. Rappresentare Bestland dal vivo avrebbe potuto ridurre l’elemento partecipativo, mentre invitando il pubblico a partecipare si sarebbe potuta ridurre la “distanza” spaziale ed emotiva. La presenza del videogioco, barriera e specchio ma al tempo stesso ponte, sembra essere invece un tentativo nuovo e “libero” di unificare questi due movimenti contrapposti.



[1] «Essere procedurale e drammatico significa produrre un insieme di situazioni che, anche se possono essere personalizzate da chi ne fa esperienza in un determinato momento, sono guidate da una struttura definita che tende a modellare il coinvolgimento emotivo dello user. Il paradigma procedurale si basa su un qualche modello dal quale è possibile procedere a una rappresentazione computazionale». A. PIZZO, Interactive drama tra videogioco e teatro, in ID., Neodrammatico digitale. Scena multimediale e racconto narrativo, Torino, Accademia University Press, 2013, pp. 162-163. Si vedano anche I. BOGOST, Procedural Literacy: Problem Solving with Programming, Systems & Play, in «Journal of Media Literacy», LII, 2005, 1-2 e J. MURRAY, Hamlet on the Holodeck, Cambridge, MIT Press, 1997.

[2] Per uno studio recente: L. FAZIO, Dall’Avatara agli Avatar, dal Natyasastra a “Contact”, tesi di laurea in Teatri Orientali, Università di Bologna “Alma Mater Studiorum”, corso di laurea in DAMS, a.a. 2013-2014, relatore Dott. Matteo Casari. Il lavoro di Fazio, per certi aspetti embrionale ma non privo di spunti, parte da studi come quello di Massimo Maietti sulla messa in ruolo videoludica e l’attore simulacrale (Semiotica dei videogiochi, Milano, Edizioni Unicopli, 2004, pp. 124-133) o quello di Bruno Fraschini sulle protesi digitali (Videogiochi & New Media, in Per una cultura dei videogames. Teorie e prassi del videogiocare, a cura di M. BITTANTI, Milano, Edizioni Unicopli, 20042, pp. 110-117). Per le nozioni di simulacro e di ruolo attanziale del videogiocatore, si veda E. D’ARMENIO, Mondi paralleli. Ripensare l’interattività nei videogiochi, Milano, Edizioni Unicopli, 2014, pp. 29-39.

[3] Cfr. V. CARMINATI, Gioco e finzione. Un percorso di media education sui videogame, in Educare per i media. Strumenti e metodi per la formazione del media educator, a cura di P.C. RIVOLTELLA, Milano, EDUCatt Università Cattolica, 2005, pp. 241-258.

[4] Queste problematiche sono discusse ad es. in A. CASCETTA, Introduction, in Il teatro verso la performance, a cura di ID., «Comunicazioni sociali», XXXVI, 2014, 1, pp. 5-9; e in M. DE MARINIS, Storia e teatro. Dall’attore al performer, e ritorno?, ivi, pp. 29-48.

[5] Si veda ad esempio il cosiddetto “Gollum problem”, così chiamato in riferimento alla performance di Anthony Serkis nel ruolo di Gollum nel film Il Signore degli Anelli: Le due torri (The Lord of the Rings: The Two Towers di Peter Jackson, 2002), che ha portato a domandarsi – vista la forte componente digitale di questo personaggio – fino a che punto si possa ancora parlare di una performance attoriale. Cfr. D.A. BURRILL, Performance, Drama, and Interactive Software, in «Modern Drama», XLVIII, 2005, 3, pp. 492-512.

[6] Si vedano, fra gli altri, J.R. PARKER, Games are Art: Video Games as Theatrical Performance, relazione presentata alla Games Innovation Conference (Vancouver, 23-25 settembre 2013), pubblicata on line per IEEE, pp. 203-208; R. HAND, Theatres of Interactivity: Video Games in the Drama Studio, in Digital Gameplay: Essays on the Nexus of Game and Gamer, a cura di N. GARRELTS, Jefferson, McFarland, 2005, pp. 208-220; N. CORBETT, Digital Performance, Live Technology: Video Games and the Remediation of Theatrical Spectatorship, in Performing Adaptations: Essays and Conversations on the Theory and Practice of Adaptation, a cura di M. MACARTHUR, L. WILKINSON e K. ZAIONTZ, Newcastle upon Tyne, Cambridge Scholars Publishing, 2009, pp. 11-24. Per una prospettiva di travaso dal (video)gioco al non-virtuale: J. MCGONIGAL, Supergaming! Ubiquitous Play and Performance for Massively Scaled Community, in «Modern Drama», XLVIII, 2005, 3, pp. 471-491.

[7] Ad es. The Gunstringer, TWISTED PIXEL GAMES-MICROSOFT STUDIOS, 2011, Xbox 360 e Puppeteer, SCE JAPAN STUDIO-SONY COMPUTER ENTERTAINMENT, 2013, PlayStation 3 si rifanno principalmente al puppet theatre, mentre Paper Mario: Il portale millenario, INTELLIGENT SYSTEMS-NINTENDO, 2004, GameCube mescola una serie di suggestioni fra cui quelle provenienti dai teatrini di carta. Si pensi anche a Pathologic, ICE-PICK LODGE-BUKA ENTERTAINMENT, 2005, PC, con il suo sdoppiamento fra videogioco e rappresentazione teatrale, la rottura della quarta parete e la struttura che per certi aspetti richiama l’Orlando Furioso (1969) di Luca Ronconi.

[8] Best Before di Helgard Haug e Stefan Kaegi (Rimini Protokoll), con Duff Armour, Brady Marks, Ellen Schultz e Bob Williams; Dramatic art: Tim Carlson; Video design: Candelario Andrade; Set design: Andreas Kahre; Sound design: Stefan Smulovitz; Lighting design: John Webber; Game design: Brady Marks; Character animation and Modeling: Carl Emil Carlsen, John Warner; Game programming: Dan Coburn; Gaming project e Sound effects: Sean Arden; Stage e Tour management: Dani Fecko e Ben Cheung; Light operator e Technical support: Sarah Mansikka; Production: DK; Technical direction: James Foy; Music: Ron Samworth. Debutto al PuSh Festival, The Cultch, Vancouver, 29 gennaio 2010.

[9] Cfr. R. CARPANI, Performing History. Presence, Storytelling, Testimony and Theatre in “Bodenprobe Kazachstan” by Rimini Protokoll, in Il teatro verso la performance, cit., pp. 81-92 e Experts of the Everyday. The Theatre of Rimini Protokoll, a cura di M. DREYSSE e F. MALZACHER, Berlino, Alexander, 2008.

[10] S. LOCATELLI, Lo spettatore, in Ingresso a teatro. Guida all’analisi della drammaturgia (2003), a cura di A. CASCETTA e L. PEJA, Firenze, Le Lettere, 20092, p. 98.

[11] Soprattutto nel caso del multigiocatore, online oppure offline – ma vale anche per una larga parte dei videogiochi per un singolo giocatore – è sostanzialmente impossibile che due sessioni di gioco siano del tutto identiche. Anche solo attivare un comando un attimo prima o un attimo dopo farà deviare, e non necessariamente di poco, i percorsi di quei due “racconti ludici”. Questo differenzia il videogioco da altre forme multimediali caratterizzate da maggior staticità, avvicinandolo invece all’idea teatrale di evento irripetibile, pur con le differenze fra i due ambiti su cui si tornerà in seguito.

[12] Sia consentito su questo punto il richiamo a F. TONIOLO, Mario il performer. Il teatro e la performance in “Paper Mario 2”, in Il teatro verso la performance, cit., pp. 194-201.

[13] Il termine è di Zack Waggoner e definisce nel loro complesso una serie di fenomeni e processi riguardanti l’identificazione del videogiocatore con il proprio avatar in un mondo virtuale, specialmente nei GDR (giochi di ruolo). Di Waggoner è anche la definizione di “mondo non-virtuale” al posto di “mondo reale”: My Avatar, My Self: Identity in Video Role-Playing Games, Jefferson, McFarland, 2009.

[14] Un esempio “da manuale” è The Brig (1963) del Living Theatre. Rifacendosi al “teatro della crudeltà” di Antonin Artaud, la compagnia allestì uno spettacolo basato sulla violenza della prigionia, trattando gli attori come veri prigionieri anche durante le prove, per creare un clima autentico capace di contagiare lo spettatore e di costringerlo a partecipare emotivamente alla violenza in scena, come catarsi per la violenza del mondo esterno.

[15] Cfr. Il videogioco, Brescia, La Scuola, 2013, pp. 9-12.

[16] L’argomento porterebbe lontano; sia sufficiente un breve accenno ai giochi di ruolo dal vivo, ad esempio, in cui ciascun partecipante è chiamato a recitare la parte del proprio personaggio (la visione dell’attore come interprete che si immedesima nella vita del suo personaggio).

[17] M. ACCORDI RICKARDS-F. VANNUCCHI, Il videogioco: mercato, giochi e giocatori, Milano, Mondadori, 2013, pp. 108-111.

[18] M. ACCORDI RICKARDS, Storia del videogioco: dagli anni Cinquanta a oggi, Roma, Carocci, 2014, p. 12.

[19] Cfr. Unit Operations. An Approach to Videogame Criticism, Cambridge, MIT Press, 2006. La sua definizione di fun deriva a sua volta da quella di alternate fun di Raph Koster: A Theory of Fun for Game Design, Scottsdale, Paraglyph Press, 2004. Altre definizioni sono quelle di serious games o di applied games, per indicare particolari videogiochi che hanno come obiettivo primario l’apprendimento, l’educazione o la riflessione su un determinato tema.

[20] LOCATELLI, Lo spettatore, cit., p. 97.

[21] Si veda I. BOGOST, Persuasive Games. The Expressive Power of Videogames, Cambridge, MIT PRESS, 2007.

[22] O. MANINI, I Rimini Protokoll portano l’interattività a teatro con Best Before, in «Whipart», 3 novembre 2010, lnx.whipart.it/news/7602/teatro-rimini-protokoll-best-before.html (data di consultazione: 22 settembre 2016). Corsivo mio.

[23] «E a 15 anni fate sesso o no? Beh ragazze, se proprio sante non siete, di tutte voi una percentuale rimarrà senz’altro incinta. È matematico. Volete tenere il bambino o abortire? Niente moralismi, è un gioco. Pochi istanti per decidere. E via. La vita continua». D. ARCUDI, Coi Rimini Protokoll siamo tutti avatar, in «Krapp’s Last Post», 27 ottobre 2010, http://www.klpteatro.it/rimini-protokoll-best-before (data di consultazione: 22 settembre 2016).

[24] Fanno eccezione, ovviamente, situazioni particolari come la presenza di un glitch, un piccolo errore non previsto, che un videogiocatore può sfruttare per ottenere un vantaggio, una volta scopertolo.

[25] Gli elementi di un videogioco possono, almeno in forma potenziale, richiamare una determinata ideologia. Un esempio fra i molti possibili è quello dei missili Scud di Command & Conquer (Command & Conquer: Generals, EA LOS ANGELES-EA GAMES, 2003, PC), che possono essere visti sia come caratteristica “neutra” del videogioco sia come richiamo ideologico alla guerra del Golfo, a Saddam Hussein, ecc., viste anche le somiglianze fra il conflitto proposto dal videogioco e alcuni reali scenari geopolitici. Si veda G. KING, Giocare con la geopolitica. L’ideologia ludica di “Command and Conquer: Generals” e “Delta Force: Black Hawk Down”, in Gli strumenti del videogiocare. Logiche, estetiche e (v)ideologie, a cura di M. BITTANTI, Milano, Costa & Nolan, 2005, pp. 214-228.

[26] P. BROOK, The Open Door (1993), New York, Anchor, 20052, pp. 11-12.

[27] Cfr. CARPANI, Performing History, cit., p. 90, cit. in CARPANI, Performing History, cit., p. 90.

[28] A. MENEGHELLI, Il risveglio dei sensi. Verso un’esperienza di gioco corporeo, Milano, Edizioni Unicopli, 2011, p. 28.

[29] Cfr. D’ARMENIO, Mondi paralleli, cit., p. 154.

[30] Il “mondo percepito direttamente” ed il “mondo percepito indirettamente” sono ripresi da R. EUGENI, Semiotica dei media. Le forme dell’esperienza, Roma, Carocci, 2010, p. 44, e derivano a loro volta dalla psicologia della percezione artistica.

[31] Fazio individua la questione in un rapido accenno (Dall’Avatara agli Avatar, cit., pp. 32-35) che meriterebbe ulteriori approfondimenti.

[32] Lara Croft è una “protesi digitale personaggio”, percepita dal videogiocatore come altro da sé, mentre il simulacro di Bestland è una “protesi digitale maschera”, perché ha appunto la funzione di una maschera da indossare, caratterizzata da una componente esterna “vista” dagli altri personaggi del videogioco, ma che mantiene al suo interno il videogiocatore. Cfr. FRASCHINI, Videogiochi & New Media, cit., pp. 113-117.



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