Teatro e videogioco condividono alcune analogie – dal possibile approccio procedurale al rapporto spettatore/videogiocatore e attore/avatar, passando per la catarsi come coinvolgimento in parte fisico ed in parte emotivo – e problematiche, soprattutto terminologiche, come la necessità di ridefinire una performance generica rispetto ad una “performance artistica” e quali elementi qualifichino il teatro performativo come tale, tanto più in relazione al digitale nel complesso ed al videogioco (con la sua “performance videoludica”) nello specifico. Fra i due media non mancano, inoltre, proficui interscambi, con videogiochi che si rifanno con differenti modalità al teatro e a spettacoli che utilizzano elementi videoludici. Uno di questi spettacoli è Best Before (2010) dei Rimini Protokoll, un collettivo formato nel 2000 da Helgard Haug, Stefen Kaegi e Daniel Wetzel, tre studenti di Applied Theatre Science & Performance Studies allUniversità di Giessen. Tipica delle loro produzioni è la commistione di intrattenimento ed indagine sociale, in cui non viene proposta una verità unica “calata dallalto”, ma lo spettatore è chiamato a vivere e a fruire la rappresentazione su differenti livelli, tra riflessione e divertimento. Calarsi in un ruolo a Bestland: essere attore di sé stesso Assistendo a Best Before lo spettatore si trova fra le mani un controller con cui poter – e dover – interagire con il suo avatar sullo schermo, in base alle indicazioni che gli vengono fornite di volta in volta. Il compito di guidare e commentare le azioni degli spettatori è affidato a quattro figure sul palco. Non attori di professione, ma degli experts di altri settori professionali (un programmatore, un collaudatore di videogiochi, un politico e un ausiliario del traffico), “attori” del teatro del mondo. Questi “esperti”, qui come in altri spettacoli dei Rimini Protokoll, interpretano loro stessi: sono persone comuni con una determinata specializzazione che interagiscono con lo “spettacolo” che si svolge alle loro spalle, sul palco virtuale di Bestland, il mondo di gioco in cui lavatar di ciascun giocatore trascorre la sua esistenza digitale. Da questi elementi emerge una prima considerazione sul pubblico teatrale e videoludico. Nel teatro “tradizionale” il pubblico si configura come un “coro” che «non è il pubblico inteso come entità indifferenziata, ma un “gruppo” che sente la necessità di aggregarsi in un momento forte, offre la sua disponibilità a compiere un cammino, lasciandosi sollecitare da una immagine, in seguito ad un “atto di libertà” con cui ogni individuo ha scelto di entrare a far parte di questo stesso gruppo». Nel videogioco il “pubblico” è sfaccettato e può costituirsi di un solo videogiocatore, di più videogiocatori in uno stesso luogo, di uno o più videogiocatori con a fianco spettatori non giocanti, oppure di numerose persone fisicamente separate che giocano on line ad uno stesso videogioco incontrandosi nel mondo virtuale tramite i loro personaggi. Se anche nel videogioco si ha lirripetibilità di un evento, ciò che manca è la necessità della compresenza fisica di attore e spettatore. Può essere possibile – ma non necessaria – la compresenza fisica di più videogiocatori, che in quel momento si configurano come attori e spettatori al tempo stesso. Attori perché è soltanto col loro intervento che la “scena” dello schermo prende vita; spettatori perché a quella scena assistono loro stessi. In Best Before le caratteristiche appena descritte coesistono in un unico spettacolo. Gli spettatori assistono contemporaneamente a due rappresentazioni allinterno di uno stesso evento. La prima è la rappresentazione “non-virtuale” dei quattro experts sul palco; la seconda è quella virtuale di Bestland, in uno schermo. Questultima è un mondo virtuale simulacrale, in cui ogni spettatore è chiamato ad agire per mezzo di un suo simulacro (o avatar, o protesi), lasciandosi coinvolgere dagli eventi che accadono al suo alter-ego e alle scelte cui è chiamato attraverso un processo di verisimulacratude. In questo agire, come detto, lo spettatore diviene anche attore della rappresentazione. Al tempo stesso gli attori, gli “experts”, vivono un movimento speculare e di segno opposto. Assistendo alla rappresentazione virtuale alle loro spalle, determinata dagli attori/spettatori in sala, ne divengono gli spettatori, avendo tanto più dinnanzi a loro, nel mondo non-virtuale, gli attori umani che stanno dietro ad ogni singolo avatar di Bestland. Cè un continuo interscambio fra azione e visione, in un gioco fra le parti in cui lelemento di “interazione su schermo” provoca un rimescolamento continuo dei ruoli. Le modalità e i mezzi sono differenti rispetto a quelli delle sperimentazioni del secondo Novecento caratterizzate dalla ricerca di un nuovo coinvolgimento del pubblico, attraverso un teatro realmente vissuto e non rappresentato dagli attori. La presenza di un video, di uno schermo, non può non porre una barriera, o più precisamente una barriera “a specchio”, in cui anche in presenza di un teatro vissuto il medium (nel suo specifico significato di “mezzo”) si fa tramite necessario fra i soggetti presenti; un tramite che raccoglie e ridistribuisce gli impulsi ricevuti, moltiplicandoli e soprattutto moltiplicando le interazioni relazionali, per la sopra citata mescolanza fra “pubblico” e “attore”. Una nuova tipologia “artificiale” di quarta parete che invece di separare il palco e la sala riunisce entrambi in un unico spazio digitale, differente da entrambi gli elementi di partenza e caratterizzato da rapporti diversificati. Il (video)gioco delle scelte e la sua libertà Finora è stato impiegato il termine “videogioco” senza alcuna connotazione particolare. Tuttavia non sarà inutile fornire alcune precisazioni. Mauro Salvador osserva come i due termini che compongono la parola, “video” e “gioco”, siano da soli in grado di fornire alcune indicazioni sul campo di indagine. Da un lato essi escludono diversi prodotti ibridi non legati alla componente video – alcuni anche relazionabili al teatro –; dallaltro il termine “gioco” contiene molteplici significati, il più comune dei quali è legato al concetto di “divertimento”; il che può portare a considerare il videogioco solo nel senso di passatempo leggero (più specifico è linglese, con la sua suddivisione fra game e play). Marco Accordi Rickards ha invece proposto la definizione di OMI (Opera Multimediale Interattiva). Tale acronimo pone laccento sugli elementi di multimedialità ed interattività del videogioco. In questa sede si intende considerare il videogioco anzitutto come “opera”. Ciò significa esplicitare come esso non sia un prodotto «necessariamente finalizzato al mero intrattenimento inteso come passatempo piacevole, ma possa avere fini didattico-scientifici, esclusivamente artistico-sperimentali o semplicemente semi-ludici». Che si utilizzi il termine OMI o quello, più classico, di “videogioco”, o che si assuma la nozione di fun come divertimento serio (così Ian Bogost), bisogna tener presente che il videogioco non ha necessariamente o esclusivamente finalità di svago. Si torni a Best Before. Lo spettacolo, ripeto, è basato su un inedito videogioco in cui ciascuno spettatore può controllare un avatar e diventare un cittadino di Bestland. Nel corso della rappresentazione si susseguono le decisioni che lo spettatore/videogiocatore è chiamato ad assumere, dalla scelta iniziale del proprio sesso alla possibilità di farsi una famiglia, di legalizzare la droga, acquistare unarma, ecc. Una versione semplificata di quella che è la vita di una comunità non-virtuale nel corso del tempo. E che questa comunità sia composta dagli spettatori, chiamati a decidere insieme, è anche un modo per affermare limmagine di un pubblico «che si fa comunità, che vive il teatro come una attesa collettiva, un momento forte». Ad ogni rappresentazione nasce (e muore) una nuova Bestland, differente dalle precedenti, perché differenti sono i duecento personaggi che vanno a costituirla con le loro scelte e le loro biografie digitali, in base alle azioni dei controllori-osservatori al di fuori dello schermo. In una prospettiva teorica è semplice classificare Best Before come un videogioco “serio”, finalizzato a simulare, in un ambiente chiuso, lesercizio della democrazia con le sue possibilità di scelta. Ma dobbiamo chiederci se, allatto pratico, questo spettacolo-videogioco sia in grado di produrre un suo messaggio, una sua “retorica”, sulla base non di discorsi o immagini, ma dei suoi stessi procedimenti videoludici o, in altri termini, dei suoi modelli procedurali efficaci. Occorre stabilire, insomma, se Best Before sia soltanto un simpatico e bizzarro esperimento a cavallo fra teatro e videogioco, senza particolari potenzialità comunicative, o se al contrario esso vada oltre la dimensione del “gioco” per proporsi come esperienza simbolica e reale (un reale insieme “virtuale” e “non-virtuale”). Una parte della critica sembra avallare la prima opzione: La trama del gioco è abbastanza fresca e coinvolgente, ci si rilassa e si partecipa divertendosi. Ottima lidea, ma resta il sapore di una certa distanza tra lintento – far riflettere sul valore delle proprie scelte e sulla loro influenza – e il risultato finale, un po frettoloso e annacquato. Partendo da premesse di un certo spessore, è rimasto un leggero passatempo che non supera le due ore di effettiva durata. Troppo frettolosi anche la rincorsa verso un inutile finale e le parentesi seriose che cozzano con il clima di generale briosità che viene a crearsi. Insomma piacevole, ma nulla di più. La risposta non è univoca, soprattutto perché gli spettacoli dei Rimini Protokoll tendono a non presentare una morale evidente, offrendo invece stratificate chiavi di lettura, secondo cui è anche legittimo fruire lo spettacolo come un semplice divertimento, un “leggero passatempo”. Al tempo stesso però la vita a Bestland può presentarsi come mezzo retorico efficace, perché le sue regole interne sono indirizzate con sufficiente chiarezza verso una “morale” in senso lato appesa alla decisione singola e comunitaria. La “leggerezza”, con cui i videogiocatori attraversano, per mezzo dei loro avatar, gravidanze giovanili, consumo di eroina e dinamiche capitalistiche, potrebbe far pensare a un prodotto disimpegnato; tuttavia la sopra citata “morale” non risiede nelle singole scelte ma nella possibilità stessa della scelta. A Bestland tutti nascono uguali: una condizione non sperimentabile nel mondo reale ma che può essere simulata attraverso il videogioco per mostrare come le scelte di un individuo indirizzino il suo percorso specifico, insieme a quello della collettività. Una obiezione: in un videogioco non viene mai sperimentata una libertà completa. Anche in presenza di scelte multiple ed esplorazione libera il videogiocatore compirà sempre una azione prevista dal game designer. Può essere discusso fino a che punto il “potenziale ideologico” del videogioco, o di una sua scelta specifica, derivi da una voluta scelta autoriale; non può essere negato daltronde che limpianto delle possibilità offerte al videogiocatore sia stato predisposto a monte. Nel caso specifico di Best Before, inoltre, insieme alla presenza invisibile del game designer, bisogna tenere conto della presenza concreta degli “experts” – in particolar modo lausiliaria del traffico – che oltre a commentare la vita di Bestland ne scandiscono i momenti decisionali. Ma ciò non costituisce necessariamente una limitazione; al contrario, anche rimanendo in unottica di spettacolo “democratico” questa libertà guidata rappresenta un punto di contatto ulteriore con la società non-virtuale. Se al di fuori di Bestland non tutti nascono uguali, né hanno la possibilità di scegliere il proprio sesso, o la possibilità di fare particolari esperienze – e molti altri elementi che è potenzialmente utile ritrovare “condensati” nello spettacolo – è pacifico che una persona, consapevolmente o meno, deleghi a specifiche componenti sociali alcuni elementi della propria libertà personale, per ricevere in cambio un servizio o per garantire il vivere civile. Una società democratica (e non solo) implica delle regole condivise per poter esistere, regole che limitano la libertà individuale assoluta per garantire però – almeno in teoria – lesistenza stessa della comunità. Per “giocare” alla vita in Bestland bisogna seguire le regole del gioco; per far parte della sua comunità e compiere un esercizio decisionale occorre che lesperienza sia incanalata in una certa direzione. Perché il videogioco Ma perché proprio il videogioco è “utile” in uno spettacolo teatrale? Lo schermo, il controller nelle mani di ciascun giocatore, i simulacri nel mondo digitale sembrerebbero più elementi di allontanamento, che non di vicinanza, fra attore e spettatore. Inoltre si è appena visto come le scelte a Bestland non siano mai libere, ma sempre sottoposte alle regole del gioco e alla guida degli experts. Roberta Carpani, per parlare del processo creativo dei Rimini Protokoll, recupera le parole di Peter Brook secondo cui «life in the theatre is more visible, more vivid than outside it. Life in the theatre is more readable and intense because it is more concentrated». In vista di questa “leggibilità” i Rimini Protokoll portano la vita nel teatro, anche in maniera concreta attraverso la presenza degli “esperti”, ma al tempo stesso pongono questi attori non professionisti in un determinato contesto spaziale e drammaturgico, così da rendere “teatrale” e dunque “vivido” ciò che caratterizza la vita; la separazione stessa fra il palco e lauditorio pone uno “schermo” che circoscrive e definisce il luogo della teatralità, esplicitandone la natura. Lo spettatore, a partire dallatto stesso del suo ingresso a teatro, è chiamato a ridefinire ciò che ha di fronte: sul palco viene portata la “vita”, ma proprio perché collocata sul palco essa si rivelerà in una prospettiva differente. Nel videogioco il medium è a sua volta una barriera e al tempo stesso un canale, che porta fra le altre cose il videogiocatore ad una differente percezione di “corporeità”, parola che richiama il teatro. Il videogiocatore «è chiamato a ridefinire i propri schemi di percezione, azione, cognizione, i quali vengono ri-semantizzati nel gioco, acquistando un nuovo senso e portando il giocatore a vivere unesperienza nuova». La percezione – la visione, la fruizione – è doppiamente mediata in un videogioco, sia dalla presenza del mondo virtuale (in questo caso Bestland) sia dallimpiego di una interfaccia (il controller fornito a ciascuno dei presenti). Al tempo stesso però il corpo del videogiocatore si sdoppia fra un osservatore/attore nel mondo diretto e un attore/osservato nel mondo indiretto. Per mezzo del videogioco i Rimini Protokoll ripropongono ciò che hanno realizzato in altri lavori – linserimento della “vita” nel “teatro” attraverso una separazione spaziale e drammaturgica che isola, e isolando definisce – ma al tempo stesso offrono qualcosa in più. La contemplazione di un evento in un rapporto di estraneità con la percezione chiara dello spazio teatrale e il conseguente distacco rimanda al teatro epico di Bertolt Brecht, con le sue tecniche di straniamento e la sua lontananza dallevento osservato. Questultima componente è presente nella pratica comune del videogiocare, affiancata da un movimento concomitante ma opposto di identificazione. Controllare una sorta di ovetto colorato (così sono rappresentati i cittadini di Bestland) su uno schermo acuisce una distanza fra la vita di questo “ovetto” e quella del videogiocatore, come ulteriore aggiunta alla lontananza spaziale che separa il mondo virtuale da quello non-virtuale, e la distanza dellinterfaccia che deve porsi come tramite necessario fra videogiocatore e simulacro. Al tempo stesso, però, calarsi in un avatar significa mettersi in ruolo e dunque accettare, consapevolmente o meno, non solo di stare “alle regole del gioco”, ma anche di identificarsi con il proprio simulacro o di proiettare su di esso il proprio vissuto, con gradienti variabili a seconda della tipologia di personaggio. In breve: calarsi in un personaggio già strutturato, ad esempio Lara Croft della serie Tomb Raider, significa adeguarsi al suo modello di comportamento, mentre calarsi in un personaggio “lavagna” come gli “ovetti” di Bestland implica immaginare e pianificare un ruolo da interpretare, derivato o meno dalla vita o dai sogni del videogiocatore. Si potrebbe parlare di “distanza partecipata” del videogiocatore, uno sguardo che in qualche modo ricorda il pathos della distanza di Italo Calvino, presente ad esempio nel Barone rampante (1957) in cui il protagonista, salendo sugli alberi, continua a partecipare alla vita del “mondo” ma osservandolo da lontano, con uno sguardo distaccato che rivela differenti prospettive. Questo è forse uno dei punti di maggior interesse in Best Before: tramite il videogioco i Rimini Protokoll hanno amplificato il binomio di unione e distanza dellevento teatrale, portando lo spettatore/videogiocatore ad essere al tempo stesso osservatore distaccato e attore partecipe, per rappresentare i meccanismi comunitari e invitare a una riflessione sulla libertà e sulla scelta. Rappresentare Bestland dal vivo avrebbe potuto ridurre lelemento partecipativo, mentre invitando il pubblico a partecipare si sarebbe potuta ridurre la “distanza” spaziale ed emotiva. La presenza del videogioco, barriera e specchio ma al tempo stesso ponte, sembra essere invece un tentativo nuovo e “libero” di unificare questi due movimenti contrapposti.
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