logo drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | I lettori scrivono | Link | Contatti
logo

cerca in vai

Pierre Klossowski

Fellini disegna i suoi sogni…

Data di pubblicazione su web 30/11/2015
.

Grazie alla segnalazione di Mariolina Bertini, francesista all’Università di Parma, pubblichiamo questo testo di Pierre Klossowski su Fellini. Il suo carattere in parte frammentario parrebbe valere anche come appunti per una più ampia riflessione sui rapporti tra l’universo onirico e il cinema del grande regista. Rapporti non certo sconosciuti o non trattati, ma che l’eclettico artista francese pare osservare con non poca originalità e sensibilità, da artista dai vari talenti. Il testo – scovato da Thierry Tremblay, drammaturgo e studioso di Pierre Klossowski – risulta inedito in italiano ed è stato finora pubblicato solo nel numero speciale della rivista «Europe» (nn. 1034-1035, giugno-luglio 2015) dedicato all’artista francese e curato da Tremblay, al quale vanno i nostri ringraziamenti per la segnalazione in origine. (Marco Pistoia) 

Non è strano che Pierre Klossowski si sia interessato al cinema di Federico Fellini: il gusto per il barocco, il circo, certe immagini infantili, la fantasmagoria, la discontinuità, lo humour e l’incongruo sono tutti punti di contatto tra il cineasta e lo scrittore. Probabilmente i due si sono conosciuti tramite Balthus che, dal 1961 al 1979, è stato Direttore dell’Accademia di Francia a Roma (Villa Medici) e che, a sua volta, conosceva bene Fellini. Questi frammenti vanno considerati insieme all’inchiesta dei «Cahiers du cinéma» Film et roman: problèmes du récit del dicembre 1966. Fellini è citato nella risposta di Klossowski. In un’epoca in cui la popolarità della rappresentazione cinematografica, grazie alla sua massiccia diffusione e al suo carattere di allucinazione condivisa, seduce sempre più, è in fondo paradossale che le opere meno conosciute di Klossowski siano probabilmente quelle alle quali ha partecipato a fianco di Robert Zucca o di Raoul Ruiz. (Thierry Tremblay)             

                                                               

Pierre Klossowski. “Fellini disegna i suoi sogni…”

Fellini disegna i suoi sogni. Visione di sogno: motivo disegnato. Un sogno sarebbe il residuo di una reminiscenza lontana. Istanti vissuti della sua infanzia: dunque la stessa materia che forma la trama dei suoi ultimi film.

[In margine:] Dice lui stesso che sono messaggi.

La visione [immagine] di un oggetto o di una fisionomia nel sogno non si presenta come l’immagine di qualcosa, ma come un certo oggetto o una certa fisionomia che noi subiamo in un altro spazio (come necessariamente). Non fosse per l’abitudine onirica che fa le veci della coscienza e che ci avvisa che si tratta soltanto di immagini – quando al risveglio cerchiamo di ricostituirle, ci possiamo dire il contrario: cioè che per qualche istante, dalla durata apparentemente lunga, probabilmente breve e senza comune misura con il tempo vissuto allo stato di veglia, ci siamo trovati in un’altra dimensione: immagine / o ombra di quel che siamo / in mezzo ad altre ombre – immagine o parola, nient’altro – vale a dire segno – segno che ha il suo contenuto di oscuro significato soltanto in quel contesto apparentemente fortuito di segni che sperimentiamo al risveglio,  contesto particolarmente ossessivo per il fatto che non ne cogliamo più il significato.

[In margine:] e allora accade che lo stesso sogno si ripeta nel sogno come uno spettacolo che ricomincia.

Il fatto di non descrivere più il sogno ma di riprodurlo graficamente, come fa per esempio Fellini – di cogliere mediante il disegno quelle figure (dapprima insignificanti) –, possiamo dire che equivalga per lui a reintegrare nelle sue preoccupazioni di creatore tutto quello che ha sconvolto con tanta forza la sua vita psichica fin dall’infanzia?

Questi disegni, a osservarli attentamente, non attestano soltanto l’espressione primitiva di una patologia più o meno accentuata – ma rivelano un dono pittorico perfettamente sicuro e cosciente, per esempio il disegno del maquereau, etc.

Dato che stavamo parlando del rapporto tra i momenti del sogno, la loro rappresentazione grafica e la creazione cinematografica di Fellini – non diciamo che Fellini si ispira al sogno per costruire i suoi film, ma che il suo metodo riproduce l’operazione onirica: non si tratta di far sognare lo spettatore, ma al contrario di risvegliare in lui, di riattivare in lui la funzione più preziosa della memoria: la reminiscenza recuperante di tutto quello che i segni quotidiani, i segni sociali costituiti, tendono necessariamente a occultare.

Vengono in luce simultaneamente l’operazione (l’intenzione) e la portata sociale e politica di Fellini: la sua vita, in particolare la sua prima giovinezza, ha coinciso in Italia con il periodo fascista – questo costituisce il suo passato, con i materiali stessi della sua creazione – vale a dire, a livello della ricettività del suo pubblico. È questo che nell’inconscio delle generazioni presenti dev’essere esorcizzato dalla sua creazione. Abbiamo un solo passato, non possiamo rifarcene un altro.

Fellini è evidentemente un pittore nato: come non vedere che il suo dono pittorico è sbocciato nell’espressione cinematografica – e che la messa in scena destinata allo schermo ha approfittato vantaggiosamente del suo senso per la struttura del quadro, mediante una trasposizione nella quale non è andato perso nulla della sensibilità pittorica originaria?

Questa trasposizione dell’immagine, disegnata o dipinta, nello spettacolo cinematografico è preceduta dalla trascrizione che trasforma l’immagine onirica in figura disegnata. Fellini nega che la sua notazione grafica di una visione onirica possa mai servire alle sequenze dei suoi film; ma resta il fatto che il margine d’improvvisazione al quale è soggetta la messa in scena di una sceneggiatura è in qualche modo analogo alla trascrizione grafica o pittorica di una visione onirica: il non-senso apparente della scena onirica, nel momento in cui è disegnata o dipinta allo stato di veglia, dà luogo alla sua interpretazione in funzione di un contesto di segni significante [in margine: «spaesamento con la sua integrazione in un contesto razionale: in tale contesto quell’immagine significa un contenuto intelligibile»]: le frasi che Fellini scrive su questo o quel disegno, ne fanno la sequenza (frammentaria) di una serie che resta ignota, ma che implicitamente la contiene. In generale i film di Fellini, di carattere pseudo-autobiografico, sono tutti caratterizzati dallo sviluppo discontinuo delle sequenze: qual è il loro filo conduttore? Mi sembra che l’arte di Fellini consista nel suscitare nello spettatore una facoltà seconda di partecipazione a certi contenuti d’esperienza;  in modo tale che i frammenti autobiografici di Fellini (per quanto possano essergli estranei) provocano immediatamente nello spettatore delle reminiscenze autobiografiche.

Se cerchiamo il filo conduttore, lo troviamo, mi pare, nella reazione stessa dello spettatore. L’arte di Fellini consisterebbe nel suscitare nello spettatore una facoltà di partecipazione seconda; nell’esercitare lo spettatore a rivivere la sua stessa discontinuità affettiva [in margine: «o piuttosto a sospendere la sua continuità razionale a favore dell’oscura continuità dei suoi affetti»], dunque  nell’avvicinare lo spettatore al livello del suo fondo emozionale liberato da ogni concatenazione storicamente e socialmente logica, nel permettergli di riafferrarsi al di qua di ogni significato e di conoscere così un istante puro, non contaminato da nessuna intrusione del codice dei segni quotidiani del linguaggio. E tuttavia – in tutto quello che Fellini ci mostra – non c’è proprio nulla che sfugga alla designazione del linguaggio quotidiano, nulla che appartenga a un fantastico fabbricato in opposizione al quotidiano. / La realtà quotidiana, gli eventi più quotidianamente tragici o grotteschi, quelli più familiari, assumono un’importanza, un’insistenza schiacciante: non l’arbitrario della produzione surrealista, ma una necessità che ha del sortilegio.

Sortilegio che nasce dall’inversione dei segni quotidiani, non dalla loro soppressione: vale a dire dall’inversione dello specchio – propriamente onirico – oppure da un uso al contrario del linguaggio, da una risalita alla fonte, oppure da una ri-discesa fino al fondo del nostro sostrato emozionale.

Quando per esempio assisto a una scena dei Clowns (o di Amarcord), e precisamente a una di quelle di carattere più banale, mi sento contemporaneo all’atmosfera di quella scena, per ragioni che materialmente non hanno nulla a che fare con il contenuto accidentale della scena. Ma perché io vi aderisca, perché quel quadro trattenga la mia attenzione, bisogna pur che racchiuda qualche cosa di me stesso, che faccia uscire dall’oblio qualche cosa di molto lontano della mia stessa esistenza, qualche cosa che corrisponde a quella disposizione delle figure e dei luoghi.

Il non-senso apparente della scena onirica quando viene disegnata in stato di veglia dà luogo alla sua interpretazione in funzione di un contesto di segni che non è più quello del sogno, ma quello dei segni quotidiani: le frasi che scrive Fellini su questo o quel disegno per descrivere il carattere inintelligibile della scena fanno di quel disegno la sequenza isolata di una serie ignota ma che vi è implicitamente contenuta.

In generale i film di Fellini, quelli di carattere pseudo-autobiografico, sono tutti più o meno concepiti secondo uno sviluppo discontinuo delle sequenze, una sorta di giustapposizione di tranches de vie, a diversi livelli, in cui l’importanza della situazione rappresentata, degli eventi, dei tipi, delle fisionomie, è accentuata a volte dal discorso del narratore, e in cui la parola risuona un po’ come la didascalia posta sotto un’illustrazione o all’interno di un fumetto. Questo carattere di sviluppo discontinuo mi sembra la riproduzione non del sogno ma del processo onirico in quanto operazione spettacolare: ha l’effetto di mettere in moto nello spettatore una facoltà di reminiscenza […].

(Traduzione di Mariolina Bertini)




© drammaturgia.it - redazione@drammaturgia.it

 

multimedia Pierre Klossowski sulla copertina della rivista «Europe», giugno-luglio 2015

 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013