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Emanuela Agostini

Zanni a Heidelberg

Data di pubblicazione su web 23/12/2011
Zanni

Pubblichiamo qui un articolo estratto dalla monografia Il Bergamasco in commedia. La tradizione dello Zanni nel teatro d’antico regime (Bergamo, Lubrina, 2012).

 

Se è vero che ancora troppo poco sappiamo della diffusione della commedia dell’Arte nei paesi di lingua tedesca non sarà priva di interesse la segnalazione della curiosa figura di tal Bartolomeo Bolla, autore di uno sparuto gruppo di opere risalenti ai primi anni del Seicento che ne segnalano i legami con la corte dell’Elettore Palatino Federico IV. Chi davvero fosse Bartolomeo Bolla resta ad oggi ancora un mistero. Tradizionalmente è considerato un poeta, ma ad alimentare l’interesse verso la sua sfuggente personalità è anche l’ipotesi (fragile perché fondata esclusivamente sulle sue stesse opere, ma affascinante) che fosse anche un performer. Alcuni dei volumi da lui dati alle stampe altro non sarebbero, in questo caso, che raccolte di testi occasionalmente prodotti per l’intrattenimento del pubblico[1].

Dalla bibliografia relativa a Bolla emerge la sua prevalente classificazione quale poeta e l’unanime disapprovazione per la qualità dei suoi scritti, in gran parte redatti in un latino maccheronico di infima qualità[2]. [...] Fin dal XVII secolo però Bartolomeo Bolla è anche descritto come un performer: Johann Leonhard Weidner lo inserì in uno studio dedicato ai buffoni definendolo «Kurtzweiliger Rath»[3]. Assumendo la stessa linea Karl Friedric Flögel, nei volumi Geschichte der Hofnarren e Geschichte des Burlesken[4], lo riteneva implicato in attività spettacolari[5]. Sottoscriveva la tesi anche Delepierre che mutuava da Libri la convinzione che fosse uno zanni[6]. Bartolomeo Bolla non sarebbe dunque stato uno scadente letterato, ma un buffone italiano vissuto a lungo a Heidelberg[7].

La prevalente fonte di informazioni su Bolla resta a tutt’oggi la sua produzione letteraria. Sotto il suo nome si collocano tre libretti (Nova novorum novissima, Thesaurus proverbiorum italico-bergamascorum, Quinta esentia) e due brevi testi tramandati separatamente (Admirabiles conclusiones de casei stupendis laudibus e Colbii Neuschlossiani Laudes). L’arco cronologico coperto dalle pubblicazioni, si concentra tutto intorno ai primi anni del 1600[8]. La sequenza cronologica delle stampe non fornisce quindi molti elementi ai fini della ricostruzione della biografia di Bolla di cui si postula l’attività negli anni a cavallo tra i due secoli.

Secondo le conoscenze attuali, l’opera più antica di Bolla è quella pubblicata nel 1603 in ottavo con il titolo di Nova novorum siue Poemata stilo Macaronico conscripta […] Accesserunt [...] poemata italica sed ex valle Bergamascorum. Una copia del volume (che riporta come nota tipografica «Stampatus in stampatura stampatorum») è conservata a Londra presso la British Library[9]. All’anno successivo, 1604, risale una seconda edizione, attestata da un numero più cospicuo di testimoni[10], intitolata Nova novorum novissima sive Poemata stilo macaronico conscripta quae faciunt crepare lectores ob nimium risum & saltare capras & semias, res nunquam ante visa, composita & iam de novo magna diligentia revisitata & augmentata per Bartolomeum Bollam bergamascum e anch’essa riportante la dicitura «Stampatus in stampatura stampatorum». Una successiva edizione in dodicesimo, della quale la British Library conserva una copia, risale al 1650 circa e riporta le seguenti note tipografiche: «In monte Parnaso, non procul a monte Gratiarum»[11]. Un’ulteriore ristampa, anch’essa prodotta «in Stampatura Stampatorum», risale al 1670 ed è inserita in un volume miscellaneo con il trattato di danza di Antoine Arena[12] De bragardissima villa de Soleriis, ad suos compagnones studiantes […][13] e il Poemate macaronico de bello huguenotico di Rémy Belleau[14]. Il raggruppamento delle tre opere, così diverse per contenuti, è fondato sulla loro comune natura maccheronica. La scelta dei primi due titoli e alcune caratteristiche tipografiche del volume lasciano pensare che fosse edito in Francia.

All’anno successivo alla prima apparizione dei Nova Novorum (ammettendo che l’editio princeps sia quella del 1603) risale il Thesaurus proverbiorum italico, bergamascorum rarissimorum, et garbatissimorum, nunquam antea stampatorum, in gratiam melancholiam fugientium, Italicae linguae amantium, ad aperiendum oculos editorum «Stampatus in Officina Bergamascorum» nel 1604. Una copia è conservata presso la Biblioteca Apostolica Vaticana a Roma[15]; altri esemplari, del 1605, riportano la nota tipografica «Stampatus in officina Bergamascorum, Francofurti, Prostat apud Ioannem Saurium»[16]. È questo l’unico riferimento tipografico completo dell’intera produzione di Bolla: Ioannem Saurium è infatti la forma latinizzata di Johann Saur, stampatore effettivamente attivo a Francoforte in quegli anni[17].

Della Quinta esentia operorum poetorum Sive operarum Poeticarum a Bartolomaeo Bolla Bergamasco cumpositorum si conosce esclusivamente l’edizione del 1606. La nota tipografica, «stampatus Cipada Que est patria Baldi, non Iuri Consulti Apud Cingarem Arcistampatorem Ducalem», è un richiamo giocoso al capolavoro folenghiano, il Baldus[18].

A questi libretti si aggiungono alcune composizioni “sciolte”. La prima edizione nota delle Admirabiles conclusiones de casei stupendis laudibus[19] risale al 1608, ma il testo circolava forse già da qualche anno prima, in quanto la dedica a Karl Fugger è datata «Parisii, 17 Augusti 1606». Un esemplare è localizzato presso la Bayerische Staatsbibliothek e un altro, con il titolo Admirabiles conclusiones de casei stupendis laudibus quas heroice defendebit Bartholomeus Bolla, dictus il Bergamasco praeside Baccho, presso la Bibliothèque Nationale de France. La stessa titolazione si ritrova in una versione olandese del 1668[20]. Il testo è anche tramandato dall’Amphitheatrum [...][21] di Kaspar Dornau (1577-1632), medico sassone noto anche con il nome latinizzato Dornavius, prima rettore del collegio di Görlitz poi di quello a Beuthen in Slesia. Di Bolla l’Amphitheatrum trascrive anche le Colbii Neuschlossiani Laudes, centotrentasei versi maccheronici dedicati alla descrizione di una pratica burlesca, preceduti da una prefazione Ad omnes galantur homines, sive sint supremae, sive mediocris, sive minoris conditionis e conclusi dal carme in lode di Venezia che si trova anche nei Nova Novorum[22]. Le Colbii Neuschlossiani Laudes erano però già apparse su un “foglio volante” pubblicato del 1607[23]. La pubblicazione di due testi diversi di Bolla su fogli volanti e nella raccolta di Dornavio fa pensare che Bolla possa aver scritto altri testi occasionali poi dispersi.

L’opera Nova Novorum è quella più ricca di riferimenti al loro autore: si tratta di una raccolta di brevi componimenti in latino maccheronico e in italiano, la maggior parte dei quali dedicati, quali omaggi svolti in forma poetica, a diversi protettori, prevalentemente nobili tedeschi, spesso in occasione di battesimi e matrimoni. A questi si aggiungono altri brani non direttamente encomiastici, come il Carmen extemporale in laude almae Venetiae e La Fantasia del Bergamasco ali poveri Amanti. La stessa struttura è ricalcata anche dalla Quinta esentia che ripropone tra l’altro buona parte dei testi inclusi nei Nova novorum[24].

Le dediche ai protettori sono firmate da Bolla molto spesso con il soprannome di «Il Bergamasco», cui si accompagnano degli attributi che rimandano alla tradizione letteraria antica («successor Martialis», «Il Martiale Bergamasco», «Bergamascus Alter Virgilius»), a Folengo e alla poesia maccheronica («Archipoeta Macaronicus», «Successor Merlini Coccaii»), in un unico caso a Petrarca («Il Petrarca Bergamasco»), talora alla poesia tedesca contemporanea («Bergamascus successor Melissi», dove Melissus è il soprannome del poeta Paul Schede nato a Melrichstadt in Baviera nel 1539 e morto a Heidelberg nel 1602). In molti passaggi interni ai testi Bolla afferma di provenire dalle vallate dei territori di Bergamo: rivolgendosi ai lettori si dice «natus et nutritus in valle Bergamascorum», indirizzandosi a James I «Natus in valle Bergamascorum».

 

Sulla presunta origine bergamasca di Bolla non si posseggono né conferme, né smentite[25]. Le ricerche condotte presso l’Archivio di Stato e presso l’Archivio Vescovile di Bergamo non hanno riscontrato alcun Bolla[26]. L’unica notizia che apre uno spiraglio alla possibilità della provenienza del poeta dai territori bergamaschi proviene da un elenco manoscritto di famiglie bergamasche conservato presso la Civica Biblioteca Angelo Mai che registra un «Lazarino Bolla di Zogno» tra le carte del notaio «Donato di Crema» nel 1361[27]. Per il resto, ad oggi, non è stato rintracciato a Bergamo nessun altro indizio. Il cognome Bolla è tuttora piuttosto inusuale per l’area bergamasca. I repertori araldici segnalano la sua origine piemontese nella zona di Alessandria, e una successiva estensione anche al territorio astigiano e torinese[28].

In effetti, proprio a Tortona negli stessi anni del “nostro” poeta un omonimo Bartolomeo Bolla era tipografo e cartaio[29]. Le rare notizie biografiche a suo carico non sembrerebbero favorire la sua identificazione con il “bergamasco”, attivo in altre aree geografiche nello stesso giro di anni. [...] A complicare la questione giunge però un documento recuperato da Fechner, certamente riferito al “poeta” macaronico, dove gli si attribuisce proprio la professione di stampatore: ammesso, come probabile, che il Bolla di Bergamo non fosse lo stesso tipografo di Tortona, anch’egli si occupò di stampa. Il documento in questione è l’elenco degli abitanti di Heidelberg del 1588 in cui si legge:

Kleinn Augustiner Gaszlein

Leonhardt Hehler, Kärchler mit seim Weib, 2 Kinder, 4 [Personem],

Balthasar Rüell, Bender mit seim Weib, 2 Kinder, 4 [Personem],

Hatt bei sich Bartholme Bolei ein Italiäner, ein Buchtrücker, mit seim Weib und 1 Kindt, 3 [Personem]

Soll bei jetzigen Rectorn eingeschrieben sein[30].

Dalla lista si evince che Bolla era (con la moglie e il figlio) inquilino in subaffitto in Kleinn Augustiner Gaszlein. Allo stesso indirizzo abitava la famiglia di Leonhardt Hehler, definito «Kaerchler», “direttore d’impresa”, e quella di Balthasar Rüell, rilegatore. Il gruppo di coinquilini aveva dunque anche un legame professionale. La segnalazione di Bolla ha tutta l’aria di una novità («Hatt bei sich», «Soll bei jetzigen»). Probabilmente lo stampatore si trovava ad Heidelberg da poco tempo. Da dove era arrivato e perché?

Anche la risposta a questo quesito non offre certezze. Un Bolla o Bella Barthelemy effettivamente bergamasco compare fra i rifugiati italiani a Ginevra nel 1579[31]. Se si avesse la conferma che si trattasse proprio del “poeta” allora le dichiarazioni di provenienza da Bergamo contenute nelle sue opere non avrebbero solo valore metaforico. Si potrebbe pensare che Bolla appartenesse alla compagine di bergamaschi minacciati in Italia per la vicinanza al protestantesimo e costretti a emigrare in Svizzera[32]. Da qui il “poeta” avrebbe poi proseguito il suo viaggio per le terre tedesche. Questa congettura si avvale della constatazione che in un componimento dei Nova novorum dedicato a Enrico (Heinrich) e Maurizio (Moritz) di Orange-Nassau Bolla esprimeva avversione per gli inquisitori spagnoli («Et venga il cancharo ali spagnioli / Io parlo de quelli che amano la inquisitione»)[33]. L’uso del latino macaronico avrebbe inoltre assunto, secondo Delepierre, valore di derisione nei confronti della lingua della Chiesa[34]. Nelle Admirabiles conclusiones de casei stupendis laudibus, in cui Bolla svolge una parodia di convenzioni accademiche elencando con apparente rigore sapienziale le virtù del cacio, gli svizzeri sono citati più volte. Nella dedicatoria Bolla si dichiara pronto a difendere di fronte a un uditorio di Svizzeri l’eccellenza del cacio; alla sessantanovesima conclusione afferma che gli affari di Svizzera e dei Grigioni andrebbero meglio se amassero di più il cacio come fecero «i lor maggior» che misero da parte cibi delicati e stranieri; più avanti (LXVII) Bolla ammonisce gli Svizzeri e gli Olandesi che odiano il cacio e tradiscono le virtù «dei loro maggiori» che mangiavano formaggio come il pane; alla sesta conclusione infine Bolla include i formaggi svizzeri nella lista di quelli di cui ha esperienza. Franco Minonzio ritiene che l’insistita contrarietà verso gli Svizzeri, dimentichi della bontà del formaggio, indichi un’ostilità non compatibile con l’ipotesi di una fuga di Bolla dall’Italia verso la Svizzera per ragioni religiose[35]. Ammesso che non si tratti di un gioco che intende volontariamente provocare scherzosamente la componente svizzera dei propri “lettori”, le sfavorevoli allusioni agli Svizzeri non aggiungono né sottraggono niente alla tesi di una permanenza anteriore di Bolla nei loro territori. Al contrario potrebbero essere il segno di una conoscenza diretta di quel popolo.

Secondo Fechner lo spostamento da Ginevra ad Heidelberg di Bolla può essere messo in relazione con quello di Hieronymus (o Jerome) Commelin, giunto ad Heidelberg da Ginevra come stampatore per l’università proprio nel 1587[36]. Bolla sarebbe stato un suo collaboratore e proprio questa esperienza gli avrebbe fornito l’occasione e i mezzi per formarsi su molti testi classici in latino. Il legame di Bolla con l’ambiente universitario si desume del resto anche dai Nova novorum: uno dei brani è dedicato a tre studenti polacchi imprigionati per aver provocato le ire del rettore (probabilmente un medico, vista la tirata contro la medicina); nell’Egloga. Interlocutores Meliboeus et Bergamascus vengono inoltre ricordati gli studenti quali squattrinati fruitori della sua opera («Et scolares sunt plerunque oppignorati / Alioqui essent erga te valde grati»). Altro segno è la menzione, tra le personalità cui Bolla dedica le sue composizioni, di Federico IV, eletto Rettore a Heidelberg il 20 dicembre 1587, non ancora maggiorenne, e Ippolito da Collibus (Hippolytus a Collibus), suo Prorettore.

Fechner suggerisce la partenza di Bolla da Heidelberg dopo la morte di Jerome Commelin nel 1597. Ritrovatosi disoccupato Bolla sarebbe stato costretto a “mendicare” benefici di corte in corte, stampando in proprio alcuni suoi testi. Intorno al 1605 collaborò invece con il tipografo di Francoforte sul Meno Johann Saurium.

I contatti di Bolla con la nobiltà tedesca sono attestati dalle sue stesse opere, e in particolare dalle sue raccolte poetiche, Nova Novorum e Quinta essentia, in cui quasi ogni componimento è direttamente indirizzato a un protettore. Nota Fechner che, ad eccezione di pochi brani, tra cui la dedica a Giovanni Casimiro di Wittelsbach-Simmern (Johann Kasimir, reggente dell’Elettorato Palatino tra la morte di Ludovico VI nel 1583 e il raggiungimento della maggiore età del legittimo erede, Federico IV, incoronato nel 1592), gli omaggi di Bolla si riconducono a un ambiente relativamente unitario composto dall’aristocrazia calvinista legata a Federico IV. Tra i signori cui Bolla si rivolge compaiono ad esempio Maurizio d’Orange-Nassau (1567-1625, statolder dei Paesi Bassi dal 1584) e Enrico d’Orange-Nassau, appartenenti a una casata alla quale Federico IV era imparentato avendo sposato Luisa Giuliana (Louise Juliana) di Nassau-Oranien (1576-1644), figlia di Guglielmo I il Taciturno. Altri due testi che inseriscono Bolla nella cerchia dell’elettore palatino sono quelli per i battesimi di Maurizio Cristiano (Moritz Christian, forse il figlio dello stesso Federico IV, nato nel 1600) e della «principessa» Maddalena Elisabetta (nata nell’aprile del 1600 da Luigi V langravio d’Assia-Darmstadt e da Maddalena di Brandeburgo).

Tra gli altri signori nominati da Bolla si riconoscono Ludovico II di Nassau (1565-1627); Ernesto Federico[37] (1560-1604), margravio di Baden-Durlach dal 1577 convertito al calvinismo nel 1599; Cristoforo, duca di Lituania[38]; Filippo II di Pomerania (Pommern) (1573-1618); Giovanni Giorgio[39] Hohenzollern (1525-1598), elettore del Brandenburg dal 1571 al 1598; Maurizio langravio di Hessen-Kassel (1592-1627); Enno Guglielmo di Innhausen e Knyphausen (1586-1656); Federico I in Mömpelgard, reggente di Württemberg dal 1593 al 1608; Georg Orttenburger, o Ortenburger (1570-1635); Filippo Ludovico[40] II di Hanau (1576-1612); i figli di Francesco (Franz) II duca di Sassonia-Lauenburg, Francesco Giulio (Franz Julius, 1584-1634), Giulio Enrico (Julius Heinrich, 1586-1665) e Ernesto Ludovico (Ernst Ludwig, 1587-1620). Ai principi si aggiungono poi cardinali, consiglieri, ambasciatori, e altre indefinite personalità: Johann Schweikhard di Kronberg (1553-1626), arcivescovo e principe elettore di Magonza (Mainz) dal 1604; George Hans (Johann) von Peblis (1577-1650), colonnello e diplomatico coinvolto nella Guerra dei Trent’anni; Cristoforo (Christoph) di Waldburg-Truchsess (1551-1612), inviato straordinario regio. Ancora: il Conte de Linar; il consigliere regio Antonio Streit; i funzionari di corte Hippolytus a Collibus (1561-1612) e Marquard Freher (1565-1614) (chiamati da Bolla «de Colli & Frere»); l’assessore Grin (probabilmente il consigliere Johann Georg del Gryn). Tramite la figlia Patietia (sposa nel 1603 di Johannes Christophorus Haller), Bolla omaggia indirettamente Justus Reuber (1542-1607), nel 1574 consigliere del Palatinato, nel 1593 consigliere della città di Strasburgo e dal 1598 consigliere e amministratore di Ettlingen per conto del langravio di Baden.

Se nelle sue “poesie” di norma Bolla si definisce poeta, frequentemente dice anche di essere uno zanni. L’acquisizione dell’identità zannesca da parte sua è in genere associata alla dichiarazione di provenienza da Bergamo: proclamandosi zanni bergamasco Bolla intendeva rifarsi al “mito”, all’archetipo comico popolareggiante del “facchino” che la maschera di Zanni aveva diffuso. Indipendentemente dall’effettiva nascita lombarda o meno di Bolla, non c’è quindi dubbio che l’ostentazione (se non l’appropriazione) di una provenienza bergamasca trovi corrispondenza nella qualità della sua produzione artistica: Bolla si fregia del “titolo” di Bergamasco in ossequio a una tradizione performativa, musicale e letteraria di antica memoria. Anche se fosse stato davvero bergamasco l’evidenziazione della propria appartenenza “nazionale” è funzionale alla sua arte. La connotazione “regionalistica” si estende infatti alla natura delle sue poesie ora definite «bergamascarie» (nella dedica a Ludovico di Nassau nei Nova novorum «Una sola Bergamascaria / Surpassa ogni anticha poesia»), ora chiamate «Bergamasce rime» e contrapposte alle «tosche lime» (nella dedica a Enrico d’Orange-Nassau). Dalla tradizione zannesca e “alla bergamasca” Bolla attinge certamente “lo spirito” complessivo della sua “letteratura”, improntata alla ricerca del riso e del piacere, ma anche immagini e stereotipi ricorrenti (sul formaggio, sul denaro, sul sesso) e probabilmente alcuni brani poi inseriti nei Nova Novorum.

Bolla sarebbe stato dunque un poeta che si diceva zanni bergamasco per esaltare il valore giocoso della propria effimera produzione e che stampava, spesso in proprio, le proprie opere per ricavarne un guadagno. Ma rileggendo i suoi componimenti viene il dubbio che la sua insistita auto-proclamazione a zanni non sia solo un’investitura letteraria, e che il “poeta” alludesse implicitamente al valore performativo del proprio operato, allora evidente ai destinatari delle sue dediche. Forse oltre a “poeta” e più che “poeta”, Bolla fu “poeta estemporaneo”, cantore, musicista, danzatore. Un intrattenitore più che un letterato.

Nelle composizioni di Bolla ricorrono frequenti menzioni di archetto e di lira. Nella dediche a James I, Alberto di Hanau[41] e Cristoforo di Lituania (solo per elencarne alcune) Bolla cita l’archetto e la lira con cui è solito cantare («Quam quod Soleam homines ralegare / cum meo archetto et mea lira / Super qua soleo cantare mira»; «Accepi liram et volui cantare»; «Ego qui ad liram meam cantavi»). Archetto e lira sono ricordati come strumenti di lavoro che garantiscono a Bolla la sussistenza. Indirizzandosi a Hippolytus a Collibus e a Marquard Freher, Bolla parla di se stesso e della sua lira (anzi del suo lirone, particolare che va in direzione di un maggior realismo) come di un’unica cosa; senza il lirone il Bergamasco è infatti come una campana senza il martello, un filosofo senza cervello, Marta senza Maria: «Ut campana sine martello / Et philosophi sine cervello / Ut Maria sine Marta / Et notarius sine carta / Ut chocus sine chocina / Et pistor sine farina; / Ut caecus sine bastone / Sic Bergamascus sine lirone». La profondità del legame non è di natura affettiva o ideale. La lira gli consente di esibirsi, dunque di mantenersi: «Lira me facit saltare / Lira me facit exilarare / Lira me facit mangiare / Lira me facit guadaniare».

La richiesta di un compenso è un esercizio di stile ricorrente nel maggior numero dei “pezzi” di Bolla, evidente motivo di divertimento per i ricchi signori a cui si rivolgeva. A Hippolytus a Collibus e Marquard Freher, Bolla chiede, in cambio del suo componimento, del denaro con cui comprarsi una nuova lira: «Ut igitur liram possim cumprare / Et nummos magistro numerare / Te rogo de Colli Teque Frerum / [...] / Ut quilibet michi det unum Tallerum». Giocando con Maurizio d’Orange-Nassau, Bolla punta sul proverbio secondo il quale i “quattrini fanno cantare gli orbi”. La qualità della sua esibizione musicale («Ut audiretis sonum meae lirae») è pertanto strettamente connessa al denaro che gli verrà dato: «Amate semper vestrum zanum / Sed aperite vestro more manum / Perche est dictum proverbiare / Quod quatrini faciunt orbos cantare». Nella Cantilena Ritmosa, in occasione di un matrimonio, Bolla chiede un tallero: «Dominum Reuberum / Qui tamen michi nunquam dedit tallerum». Al principe elettore una strenna: «Ut mihi detis bonam strenam». All’assessore Grin il denaro per pubblicare il suo libro. Ancora a Maurizio d’Orange-Nassau, per la nascita di un nipote, una buona mancia («Saltate et fate focho de Alegrezza / Et mandate in bordello la tristezza / Zi za Che si fazzi una bella danza / Et date al mesagier la bona manza»). A Anton Fugger i soldi necessari a ungere il suo archetto («Et io ridendo vi bascio le mani / Recomandandomi il povero zani /A chi farebbe bene un Scudetto / Per ongere le peli del archetto»). Esorta il ricco langravio di Kassel a essere generoso («Avendo di scudi à miliari / Achio che me poscino dar trei ò quatro pari») e il conte di Linar a mettere mano alla borsa («Che sete la perla Dei dotti e boni / Come io la gioia de poltroni / Del resto valente cum la lira / La qual ala borsa vostra mira»). Un intero carme è destinato a ricordare a Giovanni Giorgio di Brandeburgo un ritratto che gli era stato promesso: «Recordor enim tuam promissionem / De donando mihi tuam efigionem / Si efigies non est parato / Contentor uno atque altero duchato».

Molti brani di Bolla celebrano lieti eventi, nozze, nascite e battesimi. Bolla si indirizza ad esempio a James I in concomitanza con la sua incoronazione a re d’Inghilterra e Irlanda il 24 marzo 1603, a Maurizio d’Orange-Nassau per il battesimo del figlio e la nascita di un nipote (forse il futuro Federico V), a diversi principi tedeschi per l’arrivo del nuovo anno. Alcuni testi permettono di congetturare i suoi spostamenti. Meta certe delle sue pellegrinazioni in Germania furono Hanau, Spira, Heidelberg e Ettlingen. Dubbio un suo viaggio oltre la Manica: nella dedica a James I il “poeta” manifesta l’intenzione di partire dalla Germania per congratularsi di persona per la sua incoronazione («Ego cum istos versus paravi / Statim ex Germania perambulavi / Ut veatrae maestatis congratularem»), ma non è detto che alle parole siano seguiti i fatti. Sicura invece la sua permanenza in Francia, in particolare a Parigi, dove si trovava nel 1603 o dove era già stato in precedenza, visto che nei Nova Novorum, pubblicati in quell’anno, ringrazia tale signor Ernesto «Per avermi sempre favorito / Da poi che à Pariso me son ito». Certamente era nella città francese nel 1606, come testimoniano le Admirabiles conclusiones de casei stupendis laudibus[42]. La Quinta esentia, anch’essa del 1606 e indirizzata soprattutto a principi tedeschi, non chiarisce la durata dei soggiorni francesi e tedeschi di Bolla, ma ribadisce la sua “fama” internazionale: «Bergamascum ille subtilissimus / In Germania et Gallia celebratissimus».

Quello che più conta è che alcune composizioni di Bolla certificano la sua presenza di persona come performer ai festeggiamenti in onore degli eventi cantati dalle sue “poesie”. Il Bergamasco promuove la propria arte come fonte di spensieratezza, cura ai mali della vita, terapia della malinconia, indispensabile a far trascorre in allegria dei momenti conviviali[43]. Anche volendo pensare a “lira” e “canto” come ad espressioni impiegate per indicare una generica attività poetica, i riferimenti a precise occasioni di festa dichiarano la funzione di Bolla quale intrattenitore. I testi inoltre raccolgono e conservano chiare tracce di un’arte effimera destinata a essere consumata nell’immediato. Bolla ricorda ad esempio al signor «Vandefels» di aver cantato per lui a Spira Bergamasche e Napolitane («Non ve recordate che una volta a Spira / Vo fatto sentir questa mia lira / Cantandovi varie canzonette / Napolitane et Bergamascette»). Nella dedica a Filippo Ludovico II dice di essere venuto appositamente da Bergamo per allietare una festa ad Hanau («Volevate questa festa senza me finire / Ma la cosa non vi vol reusire / Perche avendo questa pompa intenduto / De Bergamo à posta il zani è venuto / Per volervi cum la lira mea / Farvi passar la fantasia»). Ripete la stessa formula al battesimo della figlia del langravio di Kassel («De Bergamo cum la lira el suo fiasco / Qui è arivato zani il Bergamasco»). Esplicito è soprattutto il valore consuntivo dei Carmina alegratoria Bergamasci che furono «ex improviso recitata in praesentia multorum nobilium dum erant in mensa»: prima di essere destinati alla carta stampata, erano stati recitati “all’improvviso”, ovvero secondo le forme del canto estemporaneo.

Ancora. Le maccheronee nuziali segnalano la partecipazione fisica di Bolla a feste di matrimonio. I testi si compongono di una prima e di una seconda «introductio», probabilmente corrispondenti a due diversi “ingressi” del “dicitore” forse nel corso di banchetti. Al brano per le nozze di tali Christiano Angelo e Barbara, che inserisce l’incontro degli sposi in un contesto di rinnovamento primaverile della fertilità, è premesso un saluto a «tota ista bella Compagnia», immediato richiamo al pubblico. Il dialogo premesso al componimento per il matrimonio di Giovanni e Anna Maria Pastor ad Heidelberg, ha tutta l’aria di un’introduzione recitata nel quale il Bergamasco si dice giunto con la sua lira per festeggiare e chiede agli spettatori di stare ad ascoltare («State atenti»). Nel dialogo tra Melibeo e il Bergamascus (che ricalca la formula dell’egloga maccheronica folenghiana), lamentandosi dei suoi pochi guadagni, Bolla dichiara la prassi di cantare alle tavole dei signori («Melius esset liram fracassare, / Et versus quos compono strazare / Quam esse in ista urbe versificatorem / Vel apud Doctores liratorem / Preterito mense multos versus cantavi / Et vix unum tallerum guadagniavi»). La Secunda Introductio Bergamasci della maccheronea in onore delle nozze tra Guglielmo Leininger e la sua sposa Christina («In nuptijs iuris et medicinae doctorum / Omnia sunt plena carminorum / Sed quae sunt adeo pedantilia / Ut nulli sint intelligibilia / Nisi prius consulat Chalepinum») conserva invece un saluto orale al pubblico («Bona dies Domini et pulcrae puellae») e soprattutto le tracce di un canto o di una danza («La ridumdella, la ridumdum»). Le ultime parole, «Alacriter fratres mei», sono un incoraggiamento a altri musicisti o ai danzatori ad aumentare il ritmo.

La scadente qualità dei versi di Bolla, così propensi alla “rima facile”, si spiega con la loro, almeno parziale, destinazione musicale. Vero oggetto della dedica, preclusa al lettore odierno ma evidente ai destinatari, non sarebbe tanto il singolo “pezzo” quanto la prestazione artistica dal vivo di cui Bolla recupera il ricordo, o che tenta di ottenere ingraziandosi possibili committenti. I suoi canti erano forse accompagnati da danze. Lo lasciano pensare tra gli altri il Carmen saltatorium Bergamasci (in cui Bolla afferma: «Chapriolas feci etter saltavi / Vivat dixi princeps serenissimus») e il componimento dedicato a Filippo Ludovico II (in cui Bolla dice di essere stato avvisato dalle ninfe per arrivare a Hanou con la sua lira e far ballare e cantare tutti quanti: «E cum quella qui à Anou io son arivato / Perche dal nimphe io son stato avisato / Achioche tutti in questa stanz / Ci alegriamo cum una danza / Et cantiamo alegramento / Del felice nascimento»)[44]. La dedica contenuta nella Quinta essentia per il matrimonio di Giorgio Giovanni[45] de Peblis e di Gertrude di Hamerstein, avvenuto il giorno di san Michele 1605, descrive le danze eseguite alla festa di nozze: «Venit dico tempus nuptiarum / In questa corte omnibus gratissimarum / In quibus non valde relegrabimus / Et varias saltationes danzabimus / Galiardas, voltas et saltarellos / Corrantas, passamezosque bellos / Cum torchia danzas Todeschas / Faciamus nobis facere gambas freschas / Magnificos et bravos vestimentos». Mentre gli ospiti mangiano e si divertono il Bergamasco canta e danza per il piacere degli sposi: «Ego interea vobis lirabo / Et circa mensem saltabo».

A rafforzare l’ipotesi che i brani del Nova Novorum siano un saggio delle abilità di intrattenimento di Bolla contribuiscono anche quei testi non direttamente prodotti per compiacere un protettore. Alcuni di questi circolavano in altre sedi, e dunque probabilmente non erano produzioni originali, ma “pezzi di repertorio”. I Versus Bergamasci de Italiae civilitatibus ad esempio sono molto simili a un frammento del cinquecentesco Giardinetto delle cose spirituali[46]. Per quanto riguarda i Dicta excellentissima de omnibus Italiae Nationibus (aggiunti dall’edizione del 1604), che elencano le qualità di città e popolazioni italiane, ricorrono anche nella rubrica De moribus italorum di Gioacchino Camerario il Vecchio (pubblicata postuma in Variorum in Europa Itinerum deliciae [...] digesta a Nathane Chytraneo[47]). Il Dialogo del bergamasco interlocutori Huomini et Donne, in cui le voci maschili e femminili si contrappongono nel descrivere le dinamiche delle “giostre d’amore”, compare anche nella stampa, priva di note tipografiche, Giostra amorosa nuovamente posta in luce, cosa diletteuole & bella con alcuni Sonetti amorosi, e stanze non mai più Stampate. Opera degna di esser letta da ogni spirito gentile[48]: qui era seguito da un Sonetto amoroso, un Sonetto di contrarietà, alcune Stanze amorose e infine una Canzon alla Bergamasca e una Canzone alla Napolitana. Non è noto il legame con il testo di Bolla (che però sappiamo, dalla dedica a «Vandefels» capace di cantare «canzonette Napolitane et Bergamascette»). Il Carme extemporale in laudem almae Venetiae con cui si apre il Nova novorum (replicato anche nella Quinta esentia e nelle Colbii Neuschlossiani Laudes) si fonda su un topos diffuso nelle stampe popolari e tra i cantimpanca veneziani. Si veda ad esempio il Capitolo in lode del bocal, con un sonetto di un viaggio del Zani a Venetia[49], e soprattutto i Due bellissimi sonetti, in lingua bergamascha, nel primo di quali si dichiara la bellezza di Venetia, e nel secondo la dottrina del Zani. Cosa dilettevole da legere stampati a Venetia, «In Frezzaria al Segno della Regina», nel 1580[50]. L’ultima parte del secondo sonetto è in latino maccheronico, ragione per cui Fumagalli ipotizzava un’attribuzione a Bolla in età giovanile.

Il valore performativo dell’attività di Bolla è infine avvalorato da alcuni testi presumibilmente destinati a una base musicale. La Fantasia del bergamasco ali poveri amanti, definita da Torrefranca una bergamasca, sarebbe un testo per musica incentrato sul tema del sogno[51]. I brani più interessanti da questo punto di vista sono però certamente quelli che chiudono il volume, gli unici ad avere una coloritura dialettale. Il primo, Una scarseletta del Bergamasco, è dedicato ai piaceri del carnevale, dal vino al cibo. L’altro è la canzonetta bergamasca De bala le oche, che si suppone destinato al ballo. In un opuscolo della metà del XVI sec. scritto da «Simeon Zuccollo da Cologna» per combattere la passione per la danza, La pazzia del ballo, si trovano alcuni riferimenti molto interessanti al «ballo delle oche»: «Conoscendo appresso la gran leggerezza et il pochissimo cervello di molte di queste cervelline et cianciatrici in ballo et fuor di ballo, le dicono a buona ciera su la faccia, ch’elle sono ocche con quel verso loro: ballan le ocche Et perché sanno molte povere et meschine haver bisogno di pane, et di vino in casa loro, et ciò ch’elle si trovano al mondo haverlo in dosso, con questi tai balli, suoni, et versi sbefeggiar le sogliono, cioè: tò sù la strazza furfante, tal va alla farza, tò su il mazzollo, porta via le tattare, sguizzere, brescianine, burati chiari, et mill’altre villanie le dicono, ch’hora non mi sovengono»[52]. Il testo bolliano De bala le oche è inoltre affine a quello contenuto nel Maridazzo di M. Zan Frogniocola con Madonna Gnignocola Alla Bergamasca Con il suo Baletto alla Romana, e con altre Bizarie, composte dal Sivello. Emilio Lovarini segnalava altri due componimenti simili: il Balla salta con le ocche sul sabione, trascritto in un Centone bolognese, e un altro citato da Giulio Cesare Croce nell’Indice universale di Libraria [...][53]. Le origini del “ballo delle oche” dovevano però essere più antiche se è vero, come segnala Claudio Gallico, che Bala le oche compariva con Fa la danza (zuan piero) tra i testi trascritti nel codice marciano 11699 (It. cl. IV, 1227), di aerea veneta, databile intorno al 1520[54].

L’Enciclopedia dello Spettacolo riteneva i due ultimi brani dei Nova Novorum i primi esempi di bergamasca[55]. Considerata una danza di origine popolare, la bergamasca avrebbe trovato la sua prima descrizione trattatistica intorno nel 1620 ad opera di Giulio Cesare Mancini che la menziona tra le danze in voga, almeno tra Roma e Firenze, nel tardo Cinquecento[56]. A questa altezza cronologica del resto la bergamasca aveva già oltrepassato la Manica, come attesta una citazione in A Midsummer Night’s Dream di William Shakespeare (andato in scena nel 1595 e stampato nel 1600)[57]. L’inconsistenza delle fonti documentarie rende difficile immaginare il rapporto tra coreografia, musica e testo ai suoi albori, e in particolare la connessione con la tradizione tardo Quattrocentesca “alla bergamasca” e con la commedia dell’Arte. Ungarelli ad esempio sosteneva che «non poche danze presero il nome dalla provincia o dalla località da cui originarono o in cui divennero famose, come la veneziana, bergamasca, fiorentina, romana, siciliana che nel secolo XVI si ballavano già in tutta Italia»[58]. Il fenomeno degli zanni “bergamaschi” fa piuttosto immaginare che anche l’origine della bergamasca vada messa in relazione non tanto con Bergamo, quanto con il fenomeno dei performer “alla bergamasca”, come ipotizzava anche Paolo Minucci già nel 1688 commentando alcuni versi del Malmantile di Lorenzo Lippi in cui si faceva cenno alle capriole delle Bergamasche: «Chiamiamo bergamasca un ballo composto tutto di salti e capriuole [...]. Il nome è tratto dalla città di Bergamo, e il ballo è composto sopra una canzone che si dice la Bergamasca, che si cantava tempo fa in Firenze, introdotta forse da qualche Zanni, che in commedia rappresenta un servo ridicolo di quella città»[59]. Non verrà sviluppato oltre il problema della connessione tra la commedia dell’Arte e lo sviluppo della danza diffusa tra Cinque e Seicento denominata bergamasca. È però opportuno notare come l’esperienza di Bolla, fino a oggi per lo più ritenuta limitata all’esercizio della scrittura, pone più di una questione agli storici dello spettacolo.

Al di fuori dei Nova novorum e della Quinta essentia, altri due volumi di Bolla, Colbii Neuschlossiani Laudes e Thesaurus proverbiorum, pur non avendo valore “drammaturgico”, assecondano l’ipotesi del coinvolgimento del suo autore in attività di tipo spettacolare. Sotto il titolo di Colbii Neuschlossiani Laudes il “poeta” descrive un’usanza buffonesca cui era sottoposto ogni nuovo arrivato a Neuschloss (in tedesco “castello nuovo”, forse un castello del palatinato e dimora di caccia dell’elettore, secondo Fechner lo stesso castello di Heidelberg rinnovato da Federico IV). Il malcapitato era obbligato a fare un giro del castello portando sulle spalle una pesantissima clava (Kolbe). Al momento in cui l’ospite giungeva finalmente a riappendere al chiodo la mazza, dei buontemponi gli rovesciano addosso alcuni mastelli d’acqua, completando in questo modo la beffa. Bolla si occupa di questa tradizione come di un evento di spettacolo. Il piacere procurato dall’esibizione della fatica della vittima di questo scherzo è infatti giudicato superiore a quello offerto da istrioni e mimi: «Vadant à spasso omnes histriones et mimi, sive farciarum giocatores, quamuis ridiculosissimi». Non solo la beffa, ma anche la descrizione dell’usanza tedesca costituisce una forma di intrattenimento per la quale Bolla non manca di richiedere un compenso: «Istud supra passat omnes Comoedias, ut videbitis ex descriptiones mea poetica, quam vobis dedico et inscribo, con questa conditione, ut si, inter legendum, feci vos ridere, post lectionem faciatis per medium liberalitatis, et magnificentiae vestrae me saltare. Secundum illum antiquum, si vobis placui, plausum date, at ego dico, si vobis placui, tallerum date».

Il Thesaurus è infine, tra le produzioni di Bolla, quello dai contenuti più omogenei e consiste in un lungo elenco di proverbi e modi di dire italiani, ordinati alfabeticamente e tradotti in latino, cui segue una lista di massime. Talvolta la traduzione latina fraintende il significato del proverbio italiano, osservazione che induceva Fumagalli a non ritenere Bolla artefice della traduzione. A dispetto di quanto annunciato dal frontespizio i proverbi, venati di sfumature genericamente settentrionali, non sono affatto marcati in direzione bergamasca. Anche in questa sede Bolla firma la dedica a Maurizio (Moritz) langravio di Assia-Cassel (Hessen-Kassel)[60] come il «Bergamasco». Il contenuto dei proverbi (una cui definizione è fornita a tergo del frontespizio, «Proverbi è un parlar leggiadro et breve comunamente usato, per utilità della vita») spazia su diversi temi. Non mancano sentenze misogine, interventi osceni e a sfondo sessuale come: «Perché le donne hanno più apiacer che li huomini? / Perché la festa si fa in casa loro, e li resta le reliquie». Altri proverbi menzionano singole città italiane, tra cui Venezia («Si puol ben dir una busia e star a Venetia», «Venezia, chi non la vede non la prezia»). Per i suoi contenuti il volume di Bolla ha in passato attirato l’attenzione di studiosi di storia locale bergamasca e di tradizioni popolari che, sulla scorta delle discipline di loro interesse, hanno ritenuto il Thesaurus la produzione più apprezzabile di Bolla[61]. La puntuale registrazione di sentenze e detti proverbiali non è contraria alla tesi del valore performativo del materiale raccolto da Bolla: modi di dire e frasi fatte sono del resto registrati anche nei generici di comici, come ad esempio in quello di Stefanelo Botarga. Il Thesaurus dunque, contribuisce indirettamente ad affermare la tesi secondo la quale Bartolomeo Bolla non era un pessimo letterato, ma uno dei tanti Bergamaschi in viaggio, tra Cinque e Seicento, per le strade d’Europa.



[1] La segnalazione di Bartolomeo Bolla quale ipotetico performer si deve a Anna Maria Testaverde, nell’ambito di un censimento degli attori bergamaschi e lombardi.

[2] Per una rassegna bibliografica su Bolla cfr. G. Fumagalli, Bartolomeo Bolla da Bergamo e il «Thesaurus proverbiorum italico-bergamascorum», in «Archivio storico lombardo», XX (1893), pp. 167-199 e la più recente voce redazionale Bolla, Bartolomeo, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, vol. XI, 1969, p. 285. L’ultimo incisivo contributo su Bolla proviene dallo studioso Jörg-Ulrich Fechner, al quale spetta anche il merito della riscoperta della pressoché unica testimonianza archivistica in proposito: J.U. Fechner, Bartolomeo Bolla, ein makkaronischer Dichter am Heidelberger Hof an der Wende des 16. und 17. Jahrhunderts, in D.H. Green-L.P. Johnson-D. Wuttke, From Wolfram and Petrarch to Goethe and Grass. Studies in Literature in Honour of Leonard Forster, Baden Baden, Koerner, 1982, pp. 381-399 (di seguito abbreviato FECHNER 1982).

[3] J.L. Weidner, Teutscher Nation Apophthegmatum, [...], in J.W. Zincgref, Teutscher Nation Apophthegmatum, das ist Der teutschen Scarfsinnige kluge Spruche, Amsterdam, Elzeviern, 1653, vol. III, rist. an. Hildesheim, Weidmann, 2006, pp. 340-341.

[4] Cfr. K.F. Flögel, Geschichte der Hofnarren, Liegnitz, Siegert, 1789 e K.F. Flögel, Geschichte des Burlesken, Leipzig, Schwickertschen Verlage, 1794, p. 270.

[5] Le considerazioni di Flögel sono fatte proprie da F.W. Genthe, Geschichte der macaronischen Poesie, und Sammlung ihrer vorzüglichen Denkmale, Halle-Leipzig, Reinicke et Compagnie, 1829, pp. 140-142.

[6] O. Delepierre, Macaronéa ou mélange de littérature macaronique des différents peuples de l’Europe, Paris, G. Gancia, 1852, p. 56 e pp. 111-113. Octave Delepierre affermava che Bolla aveva assunto la carica di consigliere di corte a Heidelberg nel 1570. La notizia è del tutto infondata e frutto di una erronea traduzione di «Kurtzweilligen Rath». Anche la datazione proposta non è confortata da alcuna prova. Probabilmente Delepierre riprendeva e correggeva Flögel che, nel Geschichte der Hofnarren, riportava la data del 1670 forse per banale refuso, forse perché a conoscenza dell’edizione del 1670 del Nova novorum novissima.

[7] Tra le altre segnalazioni di Bartolomeo Bolla cfr. C. Nopitsch, Literatur der Sprichwörter. Ein Handbuch für Literarhistoriker, Bibliographen und Bibliothekare, Nürnberg, F. v. Ebner, 1833, pp. 277-278; J.G.T. Graesse, Trésor de livres rares et précieux, Dresdeno, Kuntze, 1859, 7 voll., vol. I, p. 185; J.C. Brunet, Manuel du libraire et de l’amateur de livres, Paris, Firmin Didot frères, fils etc., 1860., col. 1076; G. Brunet, Bolla, Barthélemy, in Nouvelle Biographie générale depuis les temps les plus reculés jusqu’à nos jours, Paris, Firmin Didot frères direction de M.le D.r Hoefer, 1862, vol. VI, col. 504.

[8] Anche le riedizioni non varcano i confini seicenteschi, se si eccettuano le due copie anastatiche eseguite presso le Arti Grafiche di Bergamo al principio del XX secolo dei Nova Novorum Novissima e del Thesaurus proverbiorum italico-bergamascorum che si trovano alla Civica Biblioteca Angelo Mai di Bergamo (poi CBM).

[9] Il catalogo on-line della British Library di Londra (di seguito indicata come BLL) registra la variante latinizzata del nome proprio (Bartholomeus). Per verificare la diffusione delle opere di Bolla sono stati consultati il catalogo SBN, i cataloghi on-line delle principali biblioteche europee, tra cui la Biblioteca Apostolica Vaticana (BAV), della Bibliothèque Nationale de France di Parigi (poi BNFP), il Katalog des Bibliotheksverbundes Bayern mit Online-Fernleihe, Aufsatzdatenbank (poi BSB-Katalog)e i cataloghi della Harvard University.

[10] Due esemplari del 1604 sono conservati presso la BAV (collocazioni Stamp.Pal.V.1357 e Stamp.Ferr.V.5516); una copia presso la Staatsbibliothek di Berlino (SB), una presso la Bayerische Staatsbibliothek di Monaco (poi BSM). Le copie registrate nel catalogo della Bibliothèque Sainte Geneviève di Parigi (poi BSG) e della BNFP riportano un titolo leggermente diverso: Nova novorum novissima, sive poemata stilo macaronico conscripta [...] accesserunt ejusdem autoris poemata italica sed ex valle Bergamascorum, Stampatus in stampatura stampatorum, 1604. Circa il luogo di stampa del volumetto nei cataloghi delle due biblioteche tedesche si ipotizza Frankfurt am Main sulla base dell’affinità con altre opere di Bolla, mentre in quelli delle biblioteche francesi Bergamo (a mio avviso infondatamente).

[11] Il Dizionario Biografico degli Italiani (poi DBI) considera questa copia una seconda edizione della Poemata Italica pubblicata per la prima volta nel 1603. Il titolo Poemata Italica è però una contrazione del più esteso Nova novorum sive […] poemata italica sed ex valle Bergamascorum la cui prima edizione del 1603 è appunto conservata presso la BLL, 11431.a.9. Quella del 1650 non è pertanto un’altra opera, ma una riedizione della stessa.

[12] Nome latinizzato di Antoine Arèn Solliès (1500 circa-ante 1550), maestro di danza e scrittore provenzale.

[13] Titolo completo: De bragardissima villa de Soleriis, ad suos compagnones studiantes, qui sunt de persona friantes, bassas dansas; et branlos practicantes, nouvellos quamplurimos mandat. His posterioribus diebus grassis augmentatus et a mandatis conardorum abbatis yo, de Rothomago, in lucem envoyatus. Il trattato fu pubblicato intorno al 1520 circa; da allora fino al 1770 ebbe ben quarantadue ristampe. L’edizione di Parigi del 1758 lo associava ancora una volta al Poema macaronicum de bello Huguenotico di Rémy Belleau. Cfr. A. Pontremoli, Storia della danza, Firenze, Le Lettere, 2002, pp. 49-50.

[14] Una copia è conservata alla CBM, Sala 1 L.4.85(I) e alla Biblioteca del Conservatorio Statale di Musica Giuseppe Verdi di Milano, RISER.a.13. Altri esemplari sono alla Bibliothèque d’Etudes et de Conservation de Besançon e alla Bibliothèque Municipale de Dole. I cataloghi delle due biblioteche non segnalano l’abbinamento dell’opera di Bolla a quella di Arena e di Belleau.

[15] Collocazione: Stamp. Pal.V.435. Si segnala anche la copia della BSG che antepone al Thesaurus un frontespizio e un componimento non attestato altrove: Melancholifugium, id est Bertolamei Bollae Bergamasci opera omnia... in quibus continetur Thesaurus proverbiorum, s.n.t., 1604.

[16] Si veda la copia conservata alla Biblioteca della Fondazione Marco Besso di Roma, 010.B.026. Una riproduzione anastatica di questa edizione s.t., s.n., 1890 è alla CBM, CONS.H CONS.43. Altri esemplari sono presso la BSG, la BNFP e la SB.

[17] Su Johannes o Johann Saur, o Sauer cfr. J. Benzing, Die Buchdrucker des 16. und 17. Jahrhunderts in Deutschen Sprachegebiet, Wiebaden, Harrassowitz, 1963, pp. 121, 213-214 e 307, e i profili biografici sintetici ad vocem in Hessisches Buchdrucker-buch, enthaltend Nachweis aller bisher bekannt gewordenen Buchdruckereien des jetzigen Regierungsbezirks Cassel und des Kreises Biedenkopf, hrsg. v. [...] G. Könnecke, Marburg, [s.e.], 1894 e Franckfurter Biographie: personengeschichtliches Lexicon, hrsg v. W. Klötzer, Frankfurt am Main, Kramer, 1996, 2 bde.

[18] Cipada, frazione di Mantova, è la patria di Baldus, nelle cui avventurose peripezie è coinvolto anche il personaggio chiamato Cingar.

[19] Una traduzione è proposta da Alessandro Gatti, «Il formaggio biasmato» / Bartolomeo Bolla, «Mirabili conclusioni del formaggio» / Giulio Cesare Croce, «L’alfabett in lod dol buon formai», a cura di F. Minonzio, Milano, Grana Padano, 1994, pp. 109-120 (di seguito indicato come MINONZIO 1994)

[20] Un esemplare in -4° è alla Biblioteca Nazionale Braidense di Milano, poi BNBM (A. 04. 00810/024). Si segnala inoltre che il testo J. de Rebensafft, detto Toubacensis, Novæ Regulæ Sanitatis Medico-Physicæ, sive Disputationes inaugurales de esculentis et poculentis, ad usum mundi moderni: quas præside [...] Hilario Fresbauch [...] suffumabit per Tabacum Iucundus Weis: et Rothwein de Rebensafft, Toubacensis [...] Quibus mixtæ sunt admirabiles Conclusiones de Casei stupendis laudibus, etc, Gratianopoli, 1657, conservato presso la BLL, potrebbe essere debitore di quello di Bolla.

[21] Cfr. Amphitheatrum sapientiae socraticae joco-seriae, Hoc est, Encomia et commentaria autorum, qua veterum, qua recentiorum prope omnium: quibus res, aut pro vilibus vulgo aut damnosis habitae, styli patrocinio vindicantur, exornantur: opus ad mysteria naturae discenda, ad omnem amoenitatem, sapientiam, virtutem, publice privatimque utilissimum: in duos tomos partim ex libris editis, partim munuscriptis congestum tributumque, à Caspare Dornavio philos, et medico, Hanoviae, Typis Wechelianis, Impensis Danielis ac Davidis Aubriorum et Clementis Schleichii, 1619, t. II, pp. 624-627.

[22] Cfr. ivi, pp. 665-667.

[23] Una copia è conservata alla Kongelige Bibliotek di Copenhagen (178 III, 60).

[24] Sono ripetuti i seguenti testi: Ad lectores, Ecloga. Interlocutores Meliboeus et Bergamascus, Macaronia Nuptialis in gratiam Domini Dn. Guilielmi Leiningeri [...] Et Dominae Dominae Christinae, Cantio Macaronica in Nuptias Domini Domini Christiani Angeli Sponsi Et Dominae Dominae Barbarae Sponsae, e infine il componimento nuziale dedicato a Johann Christophor Haller e Patientia Reuber.

[25] Lo considera senza dubbio bergamasco C. Bizioli, Bartolomeo Bolla Bergamasco “zanni” poeta, in «Gazzetta di Bergamo-Nuova Rivista di Bergamo», III (maggio 1852), n.5, pp. 25-28. L’articolo è riproposto con altro titolo, Uno “zani” alla corte di Heidelberg, in «Bergamo oggi», 26 ottobre 1985.

[26] A futura memoria si rende conto delle ricerche svolte. Per verificare la presenza di una famiglia Bolla a Bergamo è stato consultato, presso l’Archivio di Stato di Bergamo (poi ASBG), l’Indice delle parti, che elenca gli atti notarili in ordine alfabetico per nome di battesimo dell’esecutore dell’atto a partire dal 1639 (registri n. 301, 304, 307, 310, 313, 316, 319, 322). Sono poi stati visionati i registri di battesimi, matrimoni e cresime, celebrati in parrocchie diverse di Bergamo tra Cinque e Seicento conservati presso l’Archivio Storico Diocesano. Questa sede custodisce però solo una porzione estremamente esigua del materiale prodotto nell’arco cronologico di interesse, in quanto ciascuna parrocchia dell’area bergamasca possiede tuttora i propri documenti.

[27] Nel manoscritto del XVIII secolo, attribuito a G. Angelini, Famiglie Bergamasche-Elenco di nomi in ordine alfabetico con l’indicazione dei documenti dove sono citati (conservato alla CBM, coll. AB 436) si legge: «Bolla di Zogno. Lazarino Bolla di Zogno 1361. In Donato di Crema Not.». Per verificare la presenza di una famiglia Bolla a Zogno sono stati consultati gli Estimi dell’Archivio Storico Comunale di Bergamo, Antico Regime. La maggior parte delle filze, risalenti a un’epoca posteriore al 1361, si trovano presso la CBM: Zogno e Sedrina (1554-1555) s. 30, 425; Prima vallis Brembanae ex filtia montanearum (1575-1583) s. 30, 541; Filtia vallis Serianae (1575-1583) s. 30, 552; Zogno (Zonio), Val Brembana Inferiore e Val Taleggio (1537-1538) s. 30, 321; Filcia bonorum civium de foris estimandorum a consolibus de foris respective delatorum nec non valerianorum (1537) s. 30, 330; Polizze delle valli (1575-1581) s. 30, 539; Zogno (Zonio, Zognio) (1575-1583) s. 30, 556; Polizze dei beni stimati con la città (1575-1583) 30, 558. A queste si aggiungono le filze depositate presso l’ASBG: Polizze, Zogno (1590, 1602, 1608), 252; Estimo Veneto, Vallium 1640. Il limite di questa ricerca, che ha dato esito negativo, è il fatto che gli estimi del Comune riportano esclusivamente i beni dei cittadini bergamaschi, eventualmente abitanti a Zogno, che possedevano beni a Zogno. L’archivio possiede anche una filza di estimi di cittadini di Zogno residenti a Zogno che non contiene però il cognome Bolla (ASBG, Materiale non inventariato: Zogno 1529-1550, filza 620).

[28] Cfr. F. Guasco, Tavole genealogiche di famiglie nobili alessandrine e monferrine, Casale, Cooperativa Bellatore/Bosco e C., 1934, vol. VIII, n. 4.

[29] Precedentemente, tra Duecento e Trecento, dei Bolla provenienti dall’astigiano erano usurai nella Francia settentrionale e nei Paesi Bassi (cfr. Araldica astigiana, a cura di R. Bordone, Asti, Allemandi & C., 2001). Altri Bolla registrati nel DBI sono tale Bernardo (capo garzone occupato intorno al 1597 nella fortificazione di Hartberg in Stiria), Giacomo (lapicida attivo a Judenburg in Stiria) e suo fratello Abundio (chiamato, insieme a Giacomo, nel 1644 a Mariazell dall’abate Benedikt per lavorare alla costruzione del santuario). Giacomo Bolla continuò a svolgere la sua professione, per la quale pare fosse molto apprezzato, sempre in Stiria almeno fino al 1667. Non sono noti eventuali contatti o legami con il “poeta” attivo sempre in territori di lingua tedesca, ma in altre aree.

[30] FECHNER 1982, pp. 382-283.

[31] Cfr. J.B.G. Galiffe, Le refuge italien de Genève aux XVIme et XVIIme siècle, Genève, H. Georg, 1881, p. 145 che attinge all’archivio della borsa italiana e ai Registre de réceptions à l’habitation genevoise detto Registre des habitants, di cui rimangono solo 3 volumi.

[32] Sull’asse Bergamo-Valtellina-Svizzera, corridoio di scambi commerciali e veicolo di diffusione di idee riformate in Italia cfr. S. Honegger, Gli svizzeri di Bergamo, Bergamo, Junior, 1997. Lo stesso Honeger si sofferma sui profughi religiosi bergamaschi in Svizzera, affermando che «tra i profughi bergamaschi a Ginevra, non ci sono soltanto singoli individui, ma interi nuclei familiari: Marchisio, Vitale, Jolina, Bolla, Longanella» (ivi, p. 12). Honeger non precisa però la fonte della sua notizia (forse lo stesso volume di Galiffe?).

[33] Su questa tesi vedi la voce Bolla, Bartolomeo, in DBI.

[34] Cfr. O. Delepierre, Macaronéa ou mélange de littérature macaronique des différents peuples de l’Europe, cit., pp. 111-113.

[35] Cfr. MINONZIO 1994, p. 124, n. 19.

[36] Brevi profili biografici su questa personalità in Neue Deutsche Biographie, Berlin, Duncker & Humblot, 1957, bd. III, 1957, 334 e ad vocem nei repertori C.G. Jöcher, Allgemeines Gelehrten-Lexicon. Darinne die Gelehrten aller Stände [...] vom Anfange der Welt bis auf ietzige Zeit [...] Nach ihrer Geburt, Leben, [...] Schrifften aus den glaubwürdigsten Scribenten in alphabetischer Ordnung beschrieben werden, Leipzig, Gleditsch, 1750, bd. II; A.F. Eckstein, Nomenclator philologorum, Leipzig, Teubner, 1871; P. Heichen, Taschen-Lexikon der hervorragenden Buchdrucker und Buchhändler seit Gutemberg bis auf die Gegenwart, Leipzig, M. Schäfer, 1884; Deutsche Biographische Enzyklopädie, hrsg. v. W. Killy, München, Saur, 1996, 2 bde.

[37] Ernst Friedrich.

[38] Forse uno degli appartenenti alla famiglia Radvila (Radziwill) come Krysztof Mikolaj Radwill o Krzysztof II Radziwill (in lituano Kristupas Radvila)?

[39] Johann Georg.

[40] Philipp Ludwig.

[41] Albrecht Hanau-Münzenberg-Schwarzenfel.

[42] Le “lodi del formaggio”, sebbene pubblicate solo nel 1608, riportano infatti una dedica a Karl Fugger datata «Parisii, 17 Augusti 1606».

[43] Negli stessi anni un atteggiamento analogo, l’insistenza burlesca nella richiesta di un compenso, era proprio anche dell’Arlecchino Tristano Martinelli. Nella Compositions de Rhétorique il comico non mancava di ricordare ai reali di Francia la natura “commerciale” del loro rapporto: «Arlecchino fornisce la buffoneria. Il re e la regina devono pagarla in moneta pesante d’oro zecchino» (S. Ferrone, Attori mercanti corsari, La commedia dell’Arte in Europa tra Cinque e Seicento, Torino, Einaudi, 1993, p. 192).

[44] Fausto Torrefranca ipotizza che, secondo una consuetudine attestata per altri testi, i primi versi di questo componimento potessero essere declamati, mentre la seconda parte potesse essere musicata. Cfr. F. Torrefranca, Il segreto del Quattrocento. Musiche ariose e poesia popolaresca, Milano, Hoepli, 1939, rist. an. Bologna, Forni, 1979, p. 244.

[45] Georg Johann o Georg Hans.

[46] Sulla stampa (edita In Foligno, per Agostino Colaldi, a presso a Vincentio Cantagallo) cfr. le osservazioni di Michele Faloci Pulignani in «Giornale degli eruditi e dei curiosi», II (1984), n. 4, p. 308.

[47] Variorum in Europa Itinerum deliciae [...] digesta a Nathane Chytraneo, Herbonae Nassoviorum, s.t., 1594, pp. 820-824. Natan Kochhaff detto Chytraneo (1515-1598) era rettore dell’Accademia di Brema.

[48] Una copia alla Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, misc. 2233.4. Sulla stampa cfr. L. Stoppato, La commedia popolare in Italia, Padova, Draghi, 1887, p. 156 e scheda p. 113 e A. Segarizzi, Bibliografia delle stampe popolari italiane della R. Biblioteca di S. Marco di Venezia, Bergamo, Istituto Italiano di Arti Grafiche, 1913, n. 281.

[49] S.n.t., una copia della stampa è conservata alla BLL (11431.b.11). Cfr. A. Freri, De avri l’us o Balsarina. Il tipo del Bergamasco in Commedia, Bergamo, Sistema Bibliotecario Urbano, 1996 («Quaderni dell’archivio della cultura di base», n. 26), n. 9.

[50] Una copia è presso la Venerabile Biblioteca Ambrosiana di Milano (S.B.u.VII, 58). La stampa è trascritta in appendice a P. Tosi, Maccheronee di cinque poeti italiani del secolo XV, Milano, G. Daelli e C., 1864, pp. 127-143. Cfr. A. Freri, De avri l’us o Balsarina. [...], cit., n. 33.

[51] Cfr. F. Torrefranca, Il segreto del Quattrocento. Musiche ariose e poesia popolaresca, cit., p. 224-225. Torrefranca individuava un suo antecedente nello strambotto Stanotte lo sognai che quello che fusse, ora in S. Ferrari, Biblioteca di letteratura popolare italiana, Firenze, Tipografia del Vocabolario, 1882, rist. an. Bologna, Forni, 1967, vol. I, pp. 86 e 100.

[52] E. Lovarini, Studi sul Ruzzante e la letteratura pavana, a cura di G. Folena, Padova, Antenore, 1965, p. 211 trae la citazione da La Pazzia del ballo composta da M. Simeon Zuccollo da Cologna, Padova, Giacomo Fabriano, 1549.

[53] Cfr. G.C. Croce, Indice universale di Libraria, o studio del celebratissimo, eccellentissimo, eruditissimo et plusquam opulentissimo arcidottor Gratian Furbson da Francolin, Opera curiosa, e utilissima per tutti i Professori della Scienze matematiche, e per i Studiosi delle Opere bizzare, e capricciose. Raccolto per Maestro Acquedotto dalle Sanguettole, riformatore della famosissima Hostaria del Chiù, Bologna, Eredi del Cochi, 1623, ad vocem e, su questo, S. Ferrari, Documenti per servire all’istoria della poesia semipopolare cittadina in Italia pei secoli XVI e XVII, in «Il Propugnatore», t. XIII, parte I, 1880, p. 435.

[54] Cfr. C. Gallico, Rimeria musicale popolare italiana nel Rinascimento, Lucca, LIM, 1996, p. 29.

[55] Cfr. G. Tani, Bergamasca, in Enciclopedia dello spettacolo, Roma, Le maschere, 1958, vol. II, coll. 283-285.

[56] Giulio Cesare Mancini è autore del manoscritto Del origin[e] et nobiltà del ballo, probabilmente inedito, conservato presso la BAV (Barb. Lat. 4315, cc. 157-186) oggetto delle indagini di Barbara Sparti. Per la bergamasca, la danza diffusa almeno dalla metà del Cinquecento, si rimanda alla tesi K.L. Ciampo, La Bergamasca. Analisi e confronto tra il repertorio dei secoli XVI e XVII e quello dei balli saltati dell’Appennino bolognese, Tesi di Laurea in Etnomusicologia, Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, rel. N. Staiti, corel. E. Pasquini e P. Staro, a.a. 2005-2006. Tommaso Garzoni la inseriva in un elenco di balli di origine popolare nella Piazza universale di tutte le professioni del mondo: «le moresche, il mattacino, il passamezo, il saltarello, la gagliarda, la chiaranzana, la chianchiara, la paganina, la baldosa, l’imperiale, il ballo del cappello, la fiorentina, la bergamasca, la pavana, la siciliana, la romana, la veneziana».

[57] «Bottom: […] Will it please you to see the Epilogue, or to hear a Bergomask dance between two of our company? Teseo: No epilogue […]. But come, your Bergomask; let your epilogue alone». (V, 1). Si ricordi che lo spettacolo fu rappresentato nel 1595 e che il testo venne stampato per la prima volta nel 1600.

[58] G. Ungarelli, Le vecchie danze ancora in uso nella provincia bolognese, Roma, Forzani e C., 1894, rist. an. Bologna, Forni, 1974, p. 15.

[59] L. Lippi, Il Malmantile racquistato. Poema di Perlone Zipoli, con le note di Puccio Lamoni [Paolo Minucci], Firenze, [s.t.], 1688, rist. an. Empoli, Rotary Club di Empoli, 2005, pp. 554-555.

[60] Figlio del langravio Guglielmo IV d’Assia-Kassel e di Sabina di Württemberg, fu langravio dal 1572 al 1632. Educato ai principi luterani, nel 1605 si sarebbe convertito al calvinismo.

[61] Cfr. ad esempio V. Mora, Uno “scapigliato” d’altri tempi Bartolomeo Bolla, in «Bergamo Arte», I (dicembre 1970), n. 4, pp. 7-10. Lo stesso Fumagalli si era accostato a Bolla proprio tramite la raccolta di proverbi essendosi imbattuto nella sua personalità durante la compilazione del saggio G. Fumagalli, Bibliografia paremiologica italiana, in «Archivio per le tradizioni popolari», V (1886), pp. 317-350, che intendeva offrire una bibliografia di testi dedicati ai proverbi.





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