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Siro Ferrone

Siro Ferrone, Scaramouche, Scaramuccia, Scaramouchi: l’attore Tiberio Fiorilli tra Francia, Italia e Inghilterra (1673-1683)

Data di pubblicazione su web 30/01/2012
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Pubblichiamo di seguito il contributo di Siro Ferrone al volume Il teatro inglese tra Cinquecento e Seicento. Testi e contestia cura di Susan Payne e Valeria Pellis (Padova, CLEUP, 2011).

Dopo la morte di Molière, avvenuta il 17 febbraio 1673 e il trasferimento, il 28 aprile di quello stesso anno, dell’uso del Palais Royal, esente da ogni gravame e gabella, a Giovan Battista  Lulli, gli attori francesi, orfani del loro drammaturgo e capocomico, decisero di prendere tempo e si arrangiarono a organizzare una stagione di ripiego ora spostandosi a recitare a Saint-Germain-en-Laye e ora ripiegando momentaneamente su Parigi. Gli italiani invece, nell’attesa che la questione della gestione delle sale parigine si chiarisse, decisero di andare a cercare fortuna e compensi, come avevano in altre epoche fatto i loro antenati, con un viaggio più lungo, verso l’Inghilterra presso la corte di Carlo II. Questi, subito dopo il suo accesso al trono (1660) aveva riaperto con notevole continuità agli attori provenienti dal continente – fossero questi rappresentati da compagnie italiane, francesi o miste – quelle porte che il governo repubblicano di Cromwell aveva ostinatamente tenuto chiuse a una merce peccaminosa come il teatro [1].

Nel 1673 il soggiorno dei comici italiani pare iniziare verso la fine di aprile (intorno al giorno 21) [2] e si conclude dopo il 12 settembre, come risulta dal documento che certifica l’esenzione dal pagamento del dazio in uscita dall’Inghilterra, ottenuta dagli attori italiani: potranno portare con sé  «proper and peculiar Clothes, Vestments, Scenes and other necessaryes without paying any duty or Custode for y esame» [3]. Facevano sicuramente parte della compagnia Domenico Biancolelli (Arlecchino) e Tiberio Fiorilli (Scaramouche). Come spesso accadeva in quella terra, ad una politica mecenatesca e di stampo rinascimentale, particolarmente sensibile alle ragioni del teatro – come nel caso di Carlo II ispirata a una tradizione culturale che risaliva almeno ai tempi di Elisabetta e Giacomo I, non priva di venature neoplatoniche che almeno in parte accomunavano quella corte alla tradizione europea e fiorentina in particolare – faceva tuttavia riscontro un’avversione rabbiosa e durevole dei rappresentanti della chiesa anglicana, petulanti censori nei confronti dei comici, soprattutto se stranieri e papisti [4]. Anche in questa circostanza gli avversari del teatro non mancarono di farsi sentire. Si legga quanto scriveva all’epoca Andrei Marvell nel suo The Rehersal Transpros’d: the second part (1673): «There were no less than six Scaramuccia togheter upon the Stage, all of them <of> the same gravity and behaviour, the same tone, the same habit, that it was impossibile to discern wich was the <true> Author of the Ecclesiastic Polity» [5]. Al contrario, la corte elargì a più riprese molti doni ai teatranti: il 4 settembre il re comandò «to be prepared and delivered unto Scaramouchi and Harlekin unto each of them a Medall and Chayne of Gold»; il 12 settembre ad altri membri della compagnia italiana vennero concesse altre 20 once d’argento quale «guift from his Majestie unto one of his Company»; il 21 settembre un’altra medaglia del valore di 50 pounds venne preparata per Scaramouche [6]. Si aggiungano a queste spese quelle relative alla costruzione di un palcoscenico che gli italiani vollero probabilmente modellare a misura delle loro esigenze [7]. Già il 22 agosto Scaramouche aveva chiesto al re d’Inghilterra di poter tornare a Parigi «their affaires requiring their presence att home» [8]: sicuramente era arrivata dalla Francia la notizia che la compagnia del defunto Molière era riuscita finalmente ad ottenere la gestione della sala della pallacorda dell’Hotel de Guénégaud e che il re aveva stabilito, tramite gli uffici di Colbert («ordonnance» del 23 giugno), che quella sala avrebbe dovuto essere condivisa con les Italiens. Sicuramente Lagrange e compagni avevano cominciato a recitarvi il 9 luglio [9] e gli italiani non potevano perdere tempo, con il rischio di lasciare troppo spazio ai colleghi francesi.

L’estate tuttavia non era la stagione più adatta per il teatro e per i teatranti nei miasmi della capitale, e dunque il ritorno fu rimandato all’autunno, durante il quale tuttavia l’unica notizia relativa a Scaramouche riguarda la nascita di «Tibere Franзois, fils de Tibere Fiorily Napolitain, officier du Roy, et de demoiselle Anne Doffan, sa femme, rue de l’Arbre Sec» [10]. Nel frattempo in Italia, un altro attore stava approfittando dell’assenza ormai definitiva di Tiberio Fiorilli dalla penisola per prendere il suo nome – un nome che ormai era evidentemente diventato un brand – in una compagnia attiva a Venezia ma sottoposta alle volontà mecenatesche della famiglia ferrarese dei Bentivoglio: si tratta di Giuseppe Antonio Fiala, un attore che per la maggior parte della vita fu noto come «Capitano Sbranaleoni» ma che in questa circostanza viene chiamato a evocare, in una partecipazione straordinaria, l’ormai mitico attore emigrato in Francia [11].

Pare che durante i primi mesi dell’anno seguente Scaramouche sia caduto ammalato. Questa sarebbe la spiegazione della sua assenza nelle prime rappresentazioni, a partire dal 10 gennaio, all’ Hфtel Guénégaud di un testo, Le Baron de fњneste, imitazione burlesca delle Aventures du baron de Foeneste di Agrippa d’Aubigné (1617-1630) con Arlecchino nella parte principale [12]. Ma è probabile che Tiberio Fiorilli si sia invece precipitato in Italia, in particolare a Firenze, presso la moglie legittima Isabella Del Campo, da cui viveva separato da qualche tempo, senza tuttavia essersi mai separato dalle proprietà che nel territorio mediceo avevano insieme accumulato. La nascita del figlio naturale a cui si è fatto cenno poteva infatti compromettere i diritti ereditari del legittimo figlio di Scaramuccia, Silvio, che qualche anno prima si era sposato con clausole precise circa la cessione, salvo l’usufrutto vita natural durante, di tutti i beni accumulati dai genitori. Tra questi beni figuravano anche le entrate derivanti dalla gestione del teatrino mediceo di Baldracca, destinato a ospitare spettacoli a pagamento dei comici dell’Arte: un privilegio che forse era ancora in vigore nei primi anni Settanta [13]. Le istanze di Silvio e forse anche quelle di Tiberio furono però respinte fermamente proprio dal principale protettore della famiglia Fiorilli, il cardinale Leopoldo dei Medici [14].

Scaramouche avrebbe ripreso il suo posto in compagnia solo nel successivo mese di aprile, dopo la pausa pasquale, nell’occasione della messinscena di quello che oggi definiremmo un sequel e cioè il seguito dello spettacolo di gennaio, con il titolo assai esplicito dell’Addition du Baron de Foeneste, avendo al suo fianco Arlecchino (Biancolelli), Ottavio (Giovanni Andrea Zanotti) , Cinzio (Marc’Antonio Romagnesi), Eularia (Eularia Coris Biancolelli), Diamantina (Patrizia Adami). Infatti nella cronaca “autorizzata” del tempo (7 aprile 1674) si legge che il teatro italiano  «Il accroоt son Train, d’un Boufon,\ Qui, par tout, est de grand renom,\ Sзavoir le fameux Scaramouche\ Qui si bien, le Risible, touche» [15].  La partecipazione di Tiberio Fiorilli si limita ad una scena che rimanda a un lazzo tradizionale della Commedia dell’Arte, imbastito ovviamente con il protagonista Arlecchino che pretende di esibire la sua improbabile ricchezza («J’ay nombre de villes qui m’appartiennent en propre dans le desert»). La scena di conclude con una serie di vicendevoli schiaffi, che entrambi salutano con ridicola educazione: «Ah, Monsieur – dit-il – je vous remercie de votre politesse» «Et moy – luy repons-je – de votre civilité».

Un altro sequel sembra fare la sua apparizione il mese seguente «chez les Italiens», dove si rappresenta a partire da lunedì 14 maggio l’Addition au Triomphe de la Médicine (ma non ci sono tracce della prima “puntata”, dedicata a un vero e proprio Triomphe de la Médicine). È invece certo – e lo si può verificare ad una lettura del canovaccio – che si trattava comunque di una parodia del Malade imaginaire di Molière visto che a partire dal 4 maggio, la troupe francese, sempre all’Hotel de Guenégaud, aveva cominciato a recitare quel testo terminando le rappresentazioni solo alla fine di luglio. Gli spettatori potevano quindi assaporare il piacere di assistere al recto e al verso della stessa commedia, secondo una ricetta spettacolare che faceva evidentemente gli utili dell’una e dell’altra compagnia con un effetto di reciproco richiamo. Gli attori dello spettacolo italiano furono Arlecchino (Biancolelli), Spezzaferro (Francesco Manzani) Scaramouche (Fiorilli), il Dottore (Angelo Lolli), Diamantina (Patrizia Adami) e Aurelia (Brigida Bianchi): quest’ultima compare menzionata solo nella parte finale del manoscritto Gueullette, recentemente  pubblicato da Gambelli; tuttavia nella successiva notizia fornita da Robinet il 19 maggio «Mademoiselle Aurelia» viene accreditata di una prova memorabile, non meno di Arlecchino davanti al quale «presque de rire l’on creve»; altisonanti elogi sono dedicati anche alla messinscena «qui par sa pompe les yeux frappe» [16]. Invece l’interpretazione di Scaramouche passa sotto silenzio. Eppure qui i protagonisti sono due. Arlecchino è il servo astuto e beffardo di un padrone, Scaramouche, afflitto dalla nevrosi del molieriano Argan. Se nella versione del canovaccio che ci è giunta la presenza scenica di Biancolelli pare prevalere, questo sarà dovuto anche al fatto che alla sua mano si deve la trascrizione a posteriori del copione che è giunta fino a noi. È molto probabile che questo consuntivo tradisca il significato spettacolare di rappresentazioni che proprio sul duello mimico e gestuale, alla pari, del presunto malato e del servo-infermiere, entrambi famosi e prediletti dal pubblico parigino, doveva fondare la sua attrattiva. Del resto, Scaramouche rivestiva i panni del protagonista en titre dell’opera molieresca e questo doveva avere il suo peso nella “distribuzione” delle parti. La conoscenza dei canovacci dell’Arte di area francese, appartenenti alla seconda metà del secolo XVII, è deformata dalla particolare trasmissione che ce l’ha consegnata. È noto che i manoscritti di Domenico Biancolelli, composti dall’attore come strumenti della sua personale pratica scenica, tenevano conto soprattutto della sua «parte scannata» e trascuravano, quando non utili a tale scopo, le parti altrui, di fatto sottovalutandole. Nel 1734 l’affidamento di questi manoscritti, per il tramite degli attori del Nouveau Théвtre Italien, diretto da Luigi Riccoboni, al notaio Thomas-Simon Gueullette che si fece copista e traduttore dei canovacci biancolelliani, salvò definitivamente quella memoria ma, come avviene spesso con la memoria, fissò anche una verità ingannevole che tutto delegò al punto di vista di Biancolelli mettendo in subordine ogni altra partecipazione non documentata per via diretta[17].

Alcuni studiosi, peraltro in genere ben documentati, hanno escluso la presenza di Scaramouche e degli italiani in Inghilterra la successiva estate del 1675. Tra questi studiosi c’è Orrell [18] che cita un documento del 24 luglio, in cui si può leggere l’autorizzazione che il re concede agli attori del duca di Windsor perché restino sul posto (cioè nella residenza regale estiva, appunto a Windsor) «better part of the summer»: e questo potrebbe essere in contrasto con la presenza dei comici italiani. Orrell, in particolare (pp. 92-93), fa riferimento alle informazioni [datate 3 agosto 1674] trasmesse alla corte medicea dall’agente fiorentino a Londra, Giovanni Salvetti, nelle quali nessun cenno è fatto degli italiani. Va tuttavia rilevato che un documento del 27 luglio 1674, contenente il mandato di pagamento per vari materiali teatrali, tra cui una tela marinara lunga 155 piedi e larga 40 probabilmente destinata al palcoscenico, contiene una notazione marginale a «Scaramouchi» [19] Anche Eleonore Boswell è propensa ad accogliere l’ipotesi della presenza di Scaramouche. In ogni caso, la mancanza di riferimenti a una compagnia proveniente dalla Francia potrebbe stare a indicare che in questa occasione Tiberio Fiorilli si sia recato alla corte d’Inghilterra da solo, come solista di prestigio aggregato ad una formazione inglese. E questo non sarebbe stato in contrasto con la sua storia personale né con quella della tradizione italiana, fin dalle origini caratterizzata da un disinvolto meticciato artistico delle diverse maestranze impegnate all’interno delle compagnie professionali [20].

Nella nuova stagione all’Hotel de Guenégaud di Parigi, Scaramouche partecipa, a partire dal 20 ottobre, alla rappresentazione di un canovaccio, A fourbe, furbe et demy, composto e messo in scena da Marcantonio Romagnesi, a sua volta impegnato nel solito ruolo di Cinzio [21], e affiancato da Arlecchino (Domenico Biancolelli), il Dottore (Angelo Lolli), Spezzaferro (Francesco Manzani), Aurelia (Brigida Bianchi), Eularia (Eularia Coris Biancolelli), Diamantina (Patrizia Adami). A quanto risulta dal  testo che ci ha lasciato Biancolelli, il ruolo di Tiberio Fiorilli appare decisamente minore: si segnalano un suo travestimento al femminile, una prestazione d’opera assai modesta come “servo di scena” chiamato a aprire e chiudere un siparietto, oppure quella in cui è chiamato a sostenere con Arlecchino un breve duetto, condito di qui pro quo, svolgendo la funzione che nell’avanspettacolo di molti secoli dopo sarà definita «di spalla». La stesura distesa di questo canovaccio, probabilmente testimonianza di una versione arricchita da successive integrazioni (si riferisce infatti a una serie di rappresentazioni avvenute fra il 1684 e il 1685) consente di avere qualche informazione sull’ipotetico mansionario di Scaramouche, anche se la cautela è d’obbligo perché quel testo può contenere interpolazioni estranee alla volontà di Biancolelli come di Fiorilli.. Vale la pena di segnalare in quel contesto un’accentuazione delle coreografie danzate o acrobatiche create insieme da  Arlecchino, Scaramouche e dal Capitano Spezzaferro, invece sottaciute nella versione del manoscritto biancolelliano [22].

Un altro canovaccio dovuto all’ideazione di Marcantonio Romagnesi va in scena a partire dal 10 novembre 1674, Arlequin Berger de Lemnos: uno spettacolo eroicomico, misto di canto e recitazione, recitato in italiano e in francese, dominato dalla presenza di Arlecchino in una interpretazione di genere “pastorale”. Al suo fianco, Scaramouche, il Dottore (Angelo Lolli), lo stesso Marcantonio Romagnesi nella solita veste di Cinzio, Eularia (Eularia Coris Biancolelli), Diamantina (Patrizia Adami), e poi un Flaminio e una Lisetta. Lo spettacolo dovette avere un grande successo se fu replicato ancora nel gennaio 1675 quando nella compagnia venne integrato Giovanni Gherardi nella parte di Flautino, impegnato in un divertente “solo” musicale in cui metteva in opera un felice virtuosismo imitando con la bocca il suono del flauto [23]. La funzione di Scaramouche pare anche qui confinata in due scenette caratterizzate dalla forte carica mimica che nella trascrizione pratica di Biancolelli vengono segnalate in maniera sintetica. Nel primo caso prevale il lazzo della bastonatura: «Dans ce momment arrive Scaramouche qui paroist fasché; ensuite, apres quelques lazzis il me fait confidence qu’il va se marier mai qu’il craint les coups de baston […]; nous faisons les lazzis des coups de baston, il crie, […]; enfin, apres luy avoir donné bon nombre de coups de baston, il s’en va […]»; nel secondo caso la coreografia e i travestimenti sollecitano la collaborazione di piedi, ginocchia, testa in un concertato di musica e danza: «Je viens en toreau – scrive Biancolelli – et quand j’entends les violons, je me mets à danser […] je menace Scaramouche avec ma jambe, ensuite je luy tire un coup de pied. Lizette pleure, je veux l’embrasser, et le sacrificateur [che minaccia di uccidere Arlecchino] aussy. Il se met à genoux, ansy que Scaramouche, je m’y mets aussy et je joins les mains […]. Le sacrificatuer s’approchant pour me sacrifier, je luy donne des coups de corne, et à tous les bergers»: tutti credono allora che Arlecchino sia nient’altro che Giove e s’inginocchiano al suo cospetto mentre Scaramouche è costretto a diventare il suo servitore: «Allons, fripon – esclama Arlecchino – prens ma queüe!» Scaramouche prende la coda, Arlecchino offre la zampa a Lisette che gli dà la mano e tutti e tre escono di scena «avec beaucopu de gravité» [24].

Non si hanno notizie di altre prove teatrali – che comunque dovettero esserci nel corso della stagione primaverile – fino alla nuova tournée, segnalata a partire dal 20 giugno 1675, quando all’ingresso della dogana inglese appaiono altri attori italiani carichi di masserizie. Ci sono numerosi costumi  e scenografie dipinte: «severall Vestments Habits Scenes and other Necessaries belonging to ye Italian Comedians», provenienti «from ffrance in the Portsmouth and Ann yachts» [25]. Scaramouche è accolto con speciali attenzioni e favori, a cominciare dalla concessione dello spazio teatrale in cui potrà recitare, il teatro edificato da Inigo Jones in Whitehall, la sontuosa Banketing House. Qui erano stati fatti lavori di adattamento per favorire la troupe straniera e la pedana destinata a sostenere il trono reale era stata divisa in tre palchi ognuno dei quali dotato di quattro sedili mentre un loggione da dodici penny era stato aggiunto «for the convenience of his majesty’s poor subjects» [26], con la licenza – inaudita e inaccettabile per gli attori inglesi – di riscuotere anche lì il biglietto d’ingresso come in un qualunque teatro commerciale: «There is arrived Scaramouchy, ye famous Italien comedian with his crew, to act againe, and are to have ye King’s theatre in Whitehall for their use during their stay, and all people are allowed to come there and see them, paying as they doe at other houses, so that now a Papist may come to Court for halfe a crown. This is not much lik’d by our other players, for it will half break both our houses» [27].  La protesta per l’introduzione di ingressi a pagamento in una sede istituzionale si colora, oltre che dei connotati tipici dei moralisti protestanti, anche di venature sociali e demagogiche: «Scaramuccio acting dayly in the Hall of Whitehall, and all Sorts of People flocking thither, and paying their Mony as at a common Playhouse; nay even a twelve-penny Gallery is builded for the convenience of his Majesty’s poorer subjects» [28]; un altro testimone aggiunge di avere visto «the Italian Scaramucchio act bifore the King at Withe-hall; People giving monye to come in, wich was very Scandalous, and never so before at Court Diversions: having seene him act before in Italy many yeares past, I was not averse from seeing the most excellent of that kind of folly» [29].

Ovviamente gli acidi commenti si inseriscono nella più vasta e ininterrotta – anche se parzialmente sopita durante il regno di Carlo II Stuart – polemica antiteatrale, come al solito venata di nazionalismo anticattolico. E non si tratta solo di forzature di osservatori anglicani. Anche un testimone italiano, il residente mediceo Salvetti, segnala, in una missiva alla corte fiorentina, le rimostranze degli attori e anche del pubblico inglese nei confronti di attori stranieri che venivano a fare soldi nella loro madrepatria e in un edificio la cui commercializzazione era stata proibita ai sudditi inglesi: lo smacco era tanto più grave in quanto agli spettacoli avevano assistito la regina e la duchessa di York, quasi significando una sanzione dinastica dell’ingiustizia [30]. Nessuno pare preoccuparsi dei contenuti, fossero questi osceni o irriguardosi, delle opere rappresentate. La questione economica prevale su tutto il resto: su questo punto i moralisti di Londra concordavano probabilmente con il punto di vista, se non con l’interesse, dell’attore italiano.

In ogni caso, tenuto conto dell’ampio spazio scenico a disposizione in Whitehall, questi spettacoli dovettero contemplare, accanto alle solite rappresentazioni di canovacci, molte farciture musicali e danzate, secondo quanto era caratteristico del repertorio degli italiani e come confermano alcuni mandati di pagamento datati gennaio 1676 nei quali vengono registrati i compensi destinati a tal Nicholas Staggins, «master of the King’s Music», per avere eseguito le musiche per i masks e la ciaccona in cui si erano esibiti  Scaramouche e compagni [31]. Quale sia stato il repertorio esatto non è dato di sapere. Sembra però confermata la natura complessa delle performances di Tiberio Fiorilli, attore ballerino e anche cantante sui generis. Una perizia tale, la sua, da lasciare il segno anche nell’assetto dello spazio scenico, visto che in un documento del febbraio seguente, al momento di allestire nuovamente i locali situati dentro Whitehall, le disposizioni scenotecniche fanno riferimento al prototipo italiano: lo spazio scenico sarà «as it was for Scaramouch’s Acting and his Majesty’s seate to be placed and made as then it was» [32]. Anche se di seguito si legge che gli attori che reciteranno saranno francesi, pare poco verosimile che fra questi ci fosse di nuovo Scaramouche; proprio la sua assenza indicherebbe invece il valore antonomastico del suo mestiere: esisterebbe insomma un’idea, almeno artigianale, di spazio scenico per spettacoli “alla Scaramouche”: unità di misura empirica che fa probabilmente riferimento a una profondità e ampiezza non usuali per la scena inglese.

La tournée degli italiani si era conclusa dopo il 4 ottobre 1675, quando era stata rilasciata ai nostri comici la licenza di trasferire sul continente l’attrezzeria usata per le loro commedie senza alcun pagamento di dazio («their proper and peculiar Cloaths vestments scenes and other necessaries without paying any duty or Custode») [33]. Nelle successive notizie relative all’assetto materiale e alle attività artistiche del teatro di Whitehall non si parla più degli italiani [34].

Per il periodo 27 novembre – 6 dicembre 1677 fonti inglesi riferiscono di attori francesi e «Etalians» [italiani] operanti sul suolo britannico, ma non è possibile appurare di chi esattamente si tratti. Una notizia del 4 dicembre fa pensare che una loro presenza sia stata relativamente recente poiché, dovendo innalzare il solito palcoscenico con le tribune in Whitehall, i funzionari inglesi fanno ancora una volta riferimento all’esperienza appena consumata con i nostri comici: «after ye same Manner as it was for ye Italian Player, and ye seate for ye King to be made as that tyme, and ye Coming in for ye Company to be as it was then» [35]. Analoghi documenti relativi al periodo novembre 1678 – febbraio 1679 segnalano la presenza di attori italiani, ma non è dimostrabile che fra questi ci sia stato Tiberio Fiorilli [36]. Tuttavia vale la pena rammentare – come è stato notato da Delia Gambelli [37] – che nella scena finale del canovaccio intitolato L’auberge d’Arlequinjuge, partie, avocate t tesmoin, non datato ma copiato di seguito a Arlequin dogue d’Angleterre et medecin du temps (recante la data del giugno 1679), si allude a un attraversamento della Manica effettuato l’8 ottobre: la precisazione cronologica, solitamente estranea a qualunque canovaccio di questa e altre raccolte, fa pensare a un dato di cronaca riconducibile alla probabile tournée dell’anno precedente. D’altra parte una lettera del 17 febbraio 1679, dell’attore Giovanni Antonio Lolli al suo protettore, il duca di Modena, segnala che la propria compagnia ha trascorso «tre mesi infruttuosi appresso questa Real Corte» d’Inghilterra. Le date più o meno corrispondono e sembrano escludere una contemporanea attività di Scaramouche nello stesso luogo [38].

Le ultime notizie circa l’attraversamento della Manica da parte di Tiberio Fiorilli è della primavera del 1683, ma si tratta di un atto mancato. La trattativa è avviata da Carlo II d’Inghilterra, confidando nella tradizionale complicità della corona francese nel patrocinio degli spettacoli teatrali soprattutto nel periodo estivo, stagione nella quale gli attori erano meno vincolati dal servire Luigi XIV.

Questa volta però Scaramouche fa il difficile nonostante che il re di Francia abbia autorizzato  la partenza degli attori italiani. Come spiega Lord Preston incaricato di trattare l’affare, «to attend the King our master at Windsor this summer. Scaramouche hath been with me this morning, and I told him […] he should  have the same conditions wich his Majesty gave him before». Ma Scaramouche, nonostante un assenso di massima, avanza qualche obiezione: «but he said that they could get nothing at Windsor, and therefore they hoped the King would consider them; that there was an hundred pounds of an old arrear due to them which he hoped his Majesty would order to be paid. He also desired that they might have, as they had the last time, some money advanced to them here [a Parigi], otherwise some of their company could not get away [and] a yacht coming for them to Diep[p]e»: solo in tal caso gli attori italiani avrebbero potuto essere presenti in dieci o dodici giorni. La trattativa venne probabilmente rallentata da Fiorilli fino all’estate quando la congiuntura luttuosa della morte della regina Maria Teresa il 20 luglio, con la successiva sospensione delle attività teatrali a Parigi, riaccese le speranze degli inglesi di vedere i comici italiani “liberati” dagli impegni parigini. Tuttavia la ripresa delle recite già nel mese di agosto, dopo solo trenta giorni di lutto, troncò definitivamente una trattativa che il vecchio Scaramouche aveva probabilmente considerato chiusa fin dall’inizio [39].

La successiva morte di Carlo II Stuart, nel febbraio del 1685, rallentò ulteriormente il mercato teatrale attraverso la Manica. Il nuovo re, Giacomo II, ebbe altro cui dedicarsi su un trono che avrebbe peraltro occupato solo per tre anni prima di essere costretto all’esilio da Guglielmo d’Orange. Scaramouche era troppo vecchio e alle prese con questioni familiari non meno complicate per prendersi cura di un mercato teatrale morente.

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[1] In Inghilterra sono segnalate con continuità presenze di attori continentali dal 1660 al 1664, un’interruzione fra il 1664 e il 1669, e  di nuovo una lunga sequenza di immigrazioni stagionali di comici tra il 1669 e il 1679; poi, dopo un’altra sospensione, un’altra serie di recite fra il 1683 e il 1684: l’anno dopo, la morte di Carlo II avrebbe riaperto  questioni politiche sopite e richiuso le speranze dello spettacolo.

[2] Cf. la licenza di importazione di averi e bagagli concessa dal re agli attori italiani arrivati sul suolo inglese in Calendar of Treasury Papers and Books, ora  catalogato in A Register of English Theatrical Documents 1660 – 1737. a cura di J. Milhous and R.D. Hume, Southern Illinois University Press, Carbondale and Edwardsville 1991, vol. I, pp. 149-150, n. 771: «His Majestie having been pleased to command mee that all such Cloathes, vestments, Scænes, Ornaments, Necessaryes and Materialls directly designed for the proper use of a Company of Italian Comædians Lately arrived here, should bee permited to bee Imported without being lookt upon as Contraband or prohibited, and without paying any Duty or Customes. These are therefore to desire and direct you to give Order that his Majesties said Command may bee obeyed».

[3] Cf. Ivi, vol. I p. 154, n. 800.

[4] Sulle polemiche antiteatrali si veda nel recente volume collettaneo La guerra dei teatri. Le controversie sul teatro in Europa dal secolo XVI alla fine dell’Ancien Régime, a cura di D. Pallotti e P. Pugliatti, Pisa, Edizioni ETS 2008, con saggi di M. Domenichelli (a lui è dovuta sia l’Introduzione. Potere del Teatro e Teatro del Potere nell’antico regime. Il campo di battaglia che il saggio Lo specchio della natura e il leone di carta), J. Clare (Banishing Ovid: Elizabethan Antitheatrical Polemic and its Replies), A. Deidda, ‘Unlawfull Concomitants of Stage-playes’. Le broadside ballads  e la polemica antiteatrale nell’Inghilterra della prima età moderna),C. Dente, Dibattere per orientare. The Rehearsal nel teatro della Restaurazione), R. Mullini (‘Paid not to Play’. La politica della dissuasione in Inghilterra prima del 1642, B. Kreps (ThE Mechanism and the Mechanics of Theatrical Cotrol in Early Modern England), D. Pallotti (‘Under the colour of Pastime’. La censura della danza nell’Inghilterra della prima età moderna), M.G. Dongu (In ‘a room wainscotted with looking glass’. Il dibattito sul teatro nei sermoni di John Donne).

[5] Cf. A. MARVELL, The Prose Works, Yale University Press, New Haven 2003, p. 252 e nota 152. Sempre Marvell (ivi, vol. II, p. 68) contrappone alle peccaminose scene dei professionisti del teatro il recente edificio costruito allora dall’arcivesco di Canterbury (lo Sheldonian Theater in Oxford) e ricorda che in questo «no Apish Scaramuccia, no Scenic Farces, no Combat of Wild-Beasts among themeselves, or with men condemn’d, is presented to the People; but the modest Skirmish of Reason». Quello stesso anno, in occasione della rappresentazione di The Silent Woman, John Dryden compose alcuni versi che toccano la questione della moralità teatrale e facendo allusione, oltre che agli attori olandesi e francesi, anche agli italiani, abbozza una scena di teatro dell’Arte che lascia intravedere un’esperienza visiva legata al canovaccio Il giudizio del duca d’Ossuna che risulta rappresentato per la prima volta a Parigi il 13 giugno 1671. Con tono canzonatorio Dryden parla di avere visto «two Hobby-Horse Fight,\ Stout Scaramoucha with a Rush Lance Rode in,\ And ran a Tilt at Centaure Arlequin»: è questo il pezzo forte del citato canovaccio che infatti si conclude con una giostra a cavallo descritta da Biancolelli (Arlecchino): «Dans la joute à cheval après tous les lazzis que j’y fais […] Scaramouche, tombé à terre, se releve, nous nous battons de nouveau, il me terrasse, je me mets en un monca avec mon cheval sur celuy de Briguelle, qui m’emporte en crouppe» (per il canovaccio cf. D. GAMBELLI, Arlecchino a Parigi. Lo scenario di Domenico Biancolelli, Bulzoni, Roma 1993, vol. III, tomo II, pp. 561–565). Cf. su questo V. SCOTT, The Commedia dell’Arte in Paris. 1644-1697, University Press of Virginia, Charlottesville 1990, pp. 159 – 160.

[6] Cf. A Register of English Theatrical Documents cit., vol. I, pp. 154 – 155, nn. 797 e 801; ma cf. anche Letters addressed from London to Sir Joseph Williamson, while Plenipotentiary at the Congress of Cologne, in the years 1673 and 1674, a cura di W.D. Christie, Camden Society, London 1874, vol. II, p. 16.

[7] Cf. l’11 settembre il pagamento di Ј 52, espressamente richiesto dagli attori italiani, per la costruzione del palcoscenico. Registrato in Calendar of Treasury Book, 4 (1672-1675), p. 392 e p. 837, ma cf. anche il Calendar of Treasury Book, 5 (1676-1679), p. 234, 24 giugno 1676. Ora repertoriato in A Register of English Theatrical Documents cit., vol. I p. 154, n. 799. Un’altra traccia della presenza italiana alla corte di Londra si trova, il 29 maggio di quell’anno, in The Diary of John Evelyn, ora edito da E.S. De Beer, Oxford, Clarendon Press, 1955, vol. IV, p. 12: «I saw the Italian Comedie act at the Court this afernoon ».

[8] Cf. Calendar of State Papers, Domestic Series (mss originale in Public Record Office, Chaucery Lane, London WC2A 1LR) 1673, p. 505. Poi stampato in Letters addressed from London cit., vol. I pp. 180-181. Ora catalogato in A Register of English Theatrical Documents cit., vol. I, p. 153, n. 794.

[9] La notizia dell’«ordonnance royale» è riportata in G. MONGRÉDIEN, Recueil des teste et des documents du XVII siècle relatifs à Molière, Editions du Centre National de la recherche Scientifique, Paris 1973, vol. II, p. 483, ma si veda anche il ben noto Registre de La Grange (1658-1685), J. Clay Imprimeur-editeur, Paris 1876, p. 148.

[10] Cf. Archivio battesimale di Saint-Germain l’Auxerrois (8 novembre 1773), cit. in A. JAL, Dictionnaire critique de biographie et d'histoire, Plon, Paris 1867, p. 578.

[11] Cf. lettera del 25 novembre 1673 di Francesco Bembo, da Venezia, a Ippolito Bentivoglio, in S. MONALDINI, L’Orto dell’Esperidi. Musici, attori e artisti nel patrocinio della famiglia Bentivoglio (1646–1685), Libreria Musicale Italiana, Lucca 2000, pp. 283–284; per altre lettere e notizie relative al Fiala cf. ivi, passim. Ma per una più ricca documentazione su questo attore cf. A. MARETTI, Profili d’attori e ‘piazze’ teatrali: Serena Mansani, la famiglia Fiala e lo “Stanzone” di Livorno. Documenti sulla Commedia dell’Arte (1642–1666), in Lo spettacolo nella Toscana del Seicento, a cura di S. Mamone, «Medioevo e Rinascimento», XI, n.s. VIII, 1997, pp. 395–416.

[12] Cf. C. ROBINET, Lettre en vers, 6 e 10 febbraio 1674, in Les continuateurs de Loret. Lettres en vers de La Gravette de Mayolas, Robinet, Boursault, Perdou de Subligny, Laurent et autres (1665–1689), recueillies et publiées par le Baron J. de Rothschild, Morgand et Fatou, Paris 1881–1889, 2 tomi, e W. BROOKS, Le théвtre et l’opéra vus par les gazetiers Robinet et Laurent (1670–1678), textes établis, présentés e annotés par W. B., Papers on French Seventeenth Century Literature, Paris–Seattle–Tübingen 1993, pp. 147–148. Il testo del canovaccio si può leggere in GAMBELLI, Arlecchino a Parigi cit., vol. II, parte II, pp. 607–620.

[13] Il 4 settembre 1666 il figlio di Tiberio, Silvio aveva sposato nella parrocchia di Saint-Eustache, Marie de Roussel de Lamy et de Cloyes; l’atto, firmato, fra gli altri, anche da Tiberio Fiorilli è trascritto per  intero da E. CAMPARDON, Les Comédiens italiens, Slatkine Reprints, Genève 1970 [Ia ediz. 1880],vol. I, pp. 226-uesto documento che Jal cita soltanto,230. Nel documento si precisa che gli sposi avranno beni in comune, anche quelli « en autres royaumes, pays étrangers, loix et costumes contraires». Insieme a molte altre complicate precisazioni sulle rispettive doti, si certifica che Silvio diventa erede universale dei beni posseduti da «Tiberio […] soit tant en Italie qu’en France et autres pays estrangers ». Tiberio e la moglie ne conservano l’usufrutto. Per parte sua Tiberio si impegna nei confronti dei due sposi a « les nourrir, loger et entretenir, leurs enfants et domestiques soit en leurs maisons de Florence en Italie ou en leur maison de campagne proche la dite ville et leur fournir tous les meubles, entretenemens et nourrutures nécessaires, sans leur demander aucune chose et selon leurs condition ». Se i due sposi non potranno stare nella casa di Parigi con i Fiorillo « jouiront de la maison de Cafag[g]io, scituée dans le [Valdarno], proche la ville de Florence, consistant en prèz, terres, bois, vigne set olliviers et appartenance et despendances de ladite maison estant à vingt mil de Florence, ensemble jouiront des revenus et interets de  [teatro di Baldracca] de la comédie en la ville dudit Florence » L’atto è firmato al 16, rue des Petits-Champs, in casa di Monsieur Lamy, il 4 settembre 1666. Sulle relazioni di Fiorilli con Firenze e con la corte medicea si vedano i documenti menzionati da G. CHECCHI, Debiti e ricchezze di un attore, «Biblioteca Teatrale», 12, 1989, pp. 85–97.

[14] «Altra volta ho cooperato alla quiete della Casa de’ Fiorilli a loro istanza, et adesso l’Isabella Fiorilli avendo cossì a Persignano per un lodo approvato dal Magistrato de’ Consiglieri una Villa con alcuni Poderi suoi proprij, amministrato gli altri beni appartenenti al marito, e suo figlio, essendosi risoluto per maggiore e più sicura quiete e soddisfattione raccomandare a Lei [testo cancellato] Io approvo questa resolutione per che ho notizia della di lei persona, e per che ho cara nelle cose giuste la quiete e soddisfatione della detta Isabella: et ella può esser sempre certa del mio affetto anche le cose sue proprie e dio la prosperi […]» (cf. ASF, Mediceo del Principato, f. 6415, c. 10. Cause e interessi di particolari, trattati dal cardinale Leopoldo).

[15] Cf. ROBINET, Lettre en vers  (7 aprile 1674), cit. in W. BROOKS, Le théвtre et l’opéra cit., p. 148. Per il testo del canovaccio cf. GAMBELLI, Arlecchino a Parigi cit., vol. II, tomo II, pp. 617–624.

[16] Cf. ROBINET, Lettre en vers (12 e 19 maggio 1674) cit., p. 149. Per il testo cf. GAMBELLI, Arlecchino a Parigi cit., vol. II, parte II, pp. 621–631.

[17]  Cf. GAMBELLI, Arlecchino a Parigi cit., vol. I, pp. 295–383.

[18] J. ORRELL, A New Witness of the Restoration Stage 1660-1669, «Theatre Research International», II, 1, October 1976, pp. 16-28; vol. II, 2, February 1977, pp. 86-97: il documento del 24 luglio 1676 si trova alla British Library (BL Add. MS 27, 962 V, fol. 278v.) ed è menzionato anche da A Register of English Theatrical Documents cit., vol. I, p. 167, n. 856.

[19]  Cf. A Register of English Theatrical Documents cit., vol. I, p. 168, n. 857.

[20]  Per altri documenti relativi a questa stagione teatrale estiva cf. anche ivi, vol. I, p. 165, n. 845 (2 giugno 1674) e p. 166, n. 852 (8 luglio 1674); cf. anche E. BOSWELL, The Restoration Court Stage (1660–1702) with a particolar account of the production of «Calisto», G. Allen and Unwin Ltd, London 1966 [prima ediz., 1932], p. 60.

[21] Cf. ROBINET, Lettre en vers (20 ottobre 1674) cit., p. 152 : «C’est Cynthio qui l’a traité,\ Et sur le théвtre ajusté,\ Et qui l’a manié de sorte\ Qu’argent et los en emporte.\ Monsieur et Madame l’ont vu,\ Et digne d’y rire ils l’ont cru ». Non siamo certi di disporre del testo corrispondente a questa epoca. Nota biografica di M.A. Romagnesi.

[22] Lo scenario A fourbe, fourbe et demy è pubblicato da S. SPADA, Domenico Biancolelli ou l’art d’improviser […], Institut Universitarie Oriental, Naples 1969, pp. 251-260; cf. anche G. COLAJANNI, Les Scénarios Franco-Italiens du Ms. 9329 de la Bibliothèque Nationale Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1970, pp. 349-363. Per un’attenta analisi del canovaccio si veda R. GUARDENTI, Gli italiani a Parigi. La Comédie Italienne (1660–1697). Storia, pratica scenica, iconografia, Bulzoni, Roma 1990, vol. I, pp. 59–61 e note 41 e 42. La versione sicuramente attribuibile a Biancolelli, anche se nella solita forma abbreviata della «parte scannata», secondo la lezione trasmessaci dal Gueullette e risalente al 1674, è leggibile in GAMBELLI, Arlecchino a Parigi cit., vol. II, tomo II, pp. 633–650. Intorno a Marcantonio Romagnesi e alla sua ricca drammaturgia si attedne ancora uno studio capace di illustrare un capitolo non secondario della migrazione europea della Commedia dell’Arte.

[23] Cf. le notizie fornite da Robinet, Lettre en vers (10 novembre  e 24 novembre 1674, nonché 5 gennaio 1675) cit., pp. 152-153 e 155. Nella notizia del 5 gennaio 1675 Robinet commenta così lo spettacolo: « Tout en la pièce est galant,\ Et mesme pompeux et brillant;\ C’est un divertissant meslange,\ Dont l’autheur meritte louange ;\ On y voit leur Flautin nouveau, \ Qui sans flutte ny chalumeau, \ Bref sans nul instrument quelconque, \ Merveille que l’on ne vit oncque,\ Fait sortir de son seul gozier\ Un concert de fluttes entier.\ A ce spectacle on court sans cesse,\ Et pour le voir chacun s’empresse».  Il testo è pubblicato da GAMBELLI, Arlecchino a Parigi cit., vol. II, tomo II, pp. 651-662; cf. ivi, p. 655, le note 416–418 sull’attribuzione delle parti di Flaminio, Lisetta e sulla presenza eventuale di Flautino (Giovanni Gherardi) nello spettacolo del novembre 1674.

[24] GAMBELLI, Arlecchino a Parigi cit., vol. II, tomo II, pp. 658.

[25] Cf. A Register of English Theatrical Documents cit., vol. I, p. 180, n. 926.

[26] Cf. E. BOSWELL, The Restoration Court Stage cit., pp. 49 e 121.

[27] Il brano, datato 21 giugno 1675, si legge in The Bulstrode Papers, vol. I (1667–1675), p. 302, 1667-1675, vol. I (stampa in circolazione limitata, solo un vol. uscito; è la continuazione di The Collection of Autograph Letters and Historical Documents formed by Alfred Morrison, II serie), ma trascritto in A Register of English Theatrical Documents cit., I, pp. 180-181, n. 927.

[28] Cf. la lettera, datata 24 luglio 1675, di Andrew Marvell a William Popple, edita in The Poems and Letters of Andrew Marvell, a cura di H.M. Margoliouth, rivista da P. Legouis, con E. Duncan-Jones, Clarendon Press, Oxford 1971, vol. II, p. 320; lettera cit. anche in  A Register of English Theatrical Documents, cit., vol. I, p. 181, n. 931. Cf. quanto scrive lo stesso Marvell che nel suo poema The Statue at Charing Cross (Muse’s Library edition, vol. II, p. 98) fa riferimento al «booth» (baraccone): «Twere to Scaramouchio too great disrespect \ To limit his troop to this theatre small;\ Besides the injustice it were to eject\That mimic so legally seized of Whitehall».Cf. anche The Diary of John Evelyn, a cura di E.S. De Beer, Clarendon Press, Oxford 1955, vol. IV, p.  75.

[29] Si tratta di un brano del 29 settembre 1675 tratto da The Diary of John Evelyn, cit. vol. IV, p. 75, cit.  in  A Register of English Theatrical Documents cit., I p. 182, n. 934. Nel gennaio seguente una lettera del già citato e implacabile  Andrew Marvell, indirizzata a William Pope (cf. The Poems and Letters of Andrew Marvell, cit., vol. II, p. 308) si legge: «[…] the Court is at highest Pitch of Want and Luxury, and the People full of Discontent».

[30] Il documento, datato 1 luglio 1675, è conservato in British Library, Add. MS 27,962 V c. 401v., trascritto da J. Orrell, art. cit., p. 95 e repertoriato in A Register of English Theatrical Documents cit., vol. I,  p. 181, n. 930.

[31] Il 27 gennaio 1676 il pagamento dei musicisti, per una prestazione datata «July 1675» è così segnalato: «For the fair writing of a Chaccon with severall others that was played at Scaramoucha from the fowle Original in score the foure parts together and the prickers’ dyet… 06.05.00»; ma cfr. anche un’altra nota di pagamento, datata novembre 1675: «For ye faire writeing of ye Aires composed for ye Maske from ye foule Originall…13.10.00». Tutto questo è citato in The King’s Musick. A Transcript Records Relating to Music and Musicians, 1460-1700, a cura di H.C. de Lafontaine, Da Capo, New York 1973 (reprint dell’ediz. 1909) , pp. 297-298; ma cf. anche BOSWELL, op. cit., p. 122, citato in A Register of English Theatrical Documents cit., vol. I,  pp. 186, n. 936.

[32] La disposizione per l’allestimento del teatro in Whitehall è citato in BOSWELL, The Restoration Court Stage cit., p. 237, ma si legge ora anche in A Register of English Theatrical Documents cit., vol. I, p. 193, n. 995.

[33] Registrato in Calendar of Treasury Book, 4 (1672-1675), p. 826, citato in A Register of English Theatrical Documents cit., vol. I, pp. 182-936, n. 936.

[34] Cf. ivi, p. 183, nn. 937, 938, 940, 941.

[35] Il documento è menzionato ivi, p. 202, n. 1036.

[36] Per il periodo 27 novembre–6 dicembre 1677 cf. ivi, pp. 201-202, nn. 1033, 1034 e 1036; per il periodo novembre 1678–febbraio 1679, ivi, pp. 207-209 (nn. 1064, 1065, 1073, 1074, 1075, 1078); per A. Nicoll, Masks Mimes and Miracles. Study in the Popular Theatre, London–Bombay–Sidney, G.G. Harrap & c., 1931, p. 339, sarebbe da attribuire proprio a Fiorilli quest’ultima presenza. Cf. anche SCOTT, The Commedia dell’Arte in Paris cit., p. 160 e BOSWELL, The Restoration Court Stage cit., p. 124.

[37] GAMBELLI, Arlecchino a Parigi cit., vol. II, tomo II, p. 828; per i due canovacci menzionati cf. ivi, pp. 793–807 e  pp. 823–831.         .

[38]  Cf. L. RASI, I comici italiani, Lumachi, Firenze 1905, vol. II, p. 31.

[39] Lettera di  Lord Preston a Earl of Sunderland in Lord Preston’s Letter Books, vol. II, cit. in A Register of English Theatrical Documents cit., vol. I, p. 240. Per tutto questo periodo (14 aprile 1683- 25 agosto 1683) cr. ivi, pp. 239-242, documenti n. 1199, 1200, 1201, 1203, 1204 (in questa, datata 20 aprile 1683, si danno ordini per la costruzione di un nuovo teatro nella sala delle armature del castello di Windsor), 1214. In particolare in quest’ultima (datata 25 agosto 1683) si riassume la questione e si ricorda che il reclutamento riguardava «some persons capable of representig an opera in England» e che la possibilità «to treat again with the Italian players» era legata all’interruzione delle rappresentazioni francesi in occasione dei giorni di lutto reale, ma il fatto che le rappresentazioni siano ricominciate fa ritenere che sia difficile per «those people to leave their places this winter».

 

 


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