logo drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | I lettori scrivono | Link | Contatti
logo

cerca in vai

Bernadette Ferlazzo

Dialetti in scena ne Gli amorosi inganni di Vincenzo Belando

Data di pubblicazione su web 25/06/2010
Dialetti in scena ne "Gli amorosi inganni" di Vincenzo Belando

 

Premessa

La diversità delle lingue suole dare gran diletto nelle Comedie,

e che sia la verità fin da’ tempi de’ primi Romani si pratticò

(A. Perrucci, 1699 )[1]

 

È noto che l’intreccio di più dialetti e anche di dialetti e lingue straniere a tipizzazione caratterizzante (da intendersi come «strumento di variazione espressiva e linguistica»[2] in dipendenza gerarchica rispetto alla lingua letteraria) diviene di pertinenza teatrale nel XVI secolo fino a tutta la Commedia dell’Arte.

Il dialetto, sulla scena, caratterizza un livello che è al tempo stesso linguistico e sociale: dei modi in cui può mescolarsi alla lingua, come fermento interno in sottili miscele, o come tessera vistosa, il secondo è senz’ altro il modo attuato dalla commedia del Cinquecento, sempre più intensamente con lo scorrere dei decenni. Il dialetto, dunque, viene ad assumere la funzione di un “registro” diverso, rispetto alla lingua, così come le varie lingue straniere.[3]

Per questo il tipo di comicità prevalente nei testi della Commedia dell’Arte è, per utilizzare la nota definizione di Altieri Biagi, quella del significante, basata sull’utilizzo quasi esclusivamente ludico della lingua, mirato ad esaltarne i valori fonici e musicali mettendone in secondo piano l’aspetto semantico e la funzione comunicativa.

Nella lingua della commedia convivono, dunque, codici diversi per diversi personaggi seguendo una tendenza che finirà per cristallizzarsi nella Commedia dell’Arte ove, come è noto, gli innamorati parlano l’italiano della tradizione poetica, i vecchi il veneziano o il bolognese, il Capitano lo spagnolo, gli zanni il bergamasco, il napoletano o anche il siciliano: si accostano quindi, una componente dialettale e una aulica meno appariscente ma altrettanto importante.

Gli scenari si basano per la maggior parte su una vicenda amorosa che si sviluppa nel repertorio espressivo degli innamorati; questi,.pur non portando maschera in scena, hanno in comune con le maschere la stessa fissità. Il loro sentimento «considerato solamente nelle elementari variazioni psicologiche di amore corrisposto e amore non corrisposto, concepito secondo un modulo di stilizzata eleganza, trova nel monolinguismo d’impronta cruscante un registro tonale adeguato ai propri contenuti».[4]Agli innamorati Perrucci infatti raccomanda che

 

studino di sapere la lingua perfetta italiana con i vocaboli toscani; se non perfettamente, almeno i ricevuti, ed a questo conferirà la lettura, così dei buoni toscani, come gli Onomastici, Crusca, Memoriale della lingua del Pergamino, Fabrica del Mondo, Ricchezze della lingua ed altri lessici toscani […] così piano piano si farà la lingua pronta, facile e docile a proferire i concetti della mente.[5]

 

Il dialogo della Commedia dell’Arte prende dunque vita dalla proposta di un concetto da parte di un attore, al quale l’interlocutore deve «aver giudizio d’attaccarvi il suo per risposta»[6]; risposta cui non manca, però, la premeditazione (quello dell’improvvisazione è da considerarsi solo un mito che invece nasce paradossalmente dallo studio e dalla replica dato che la scrittura di monologhi e dialoghi, in realtà, ha alla base la lettura e il “saccheggio” di opere letterarie, la stesura di passaggi che poi gli autori si sforzavano di far divenire spontanei). È quindi nella scrittura drammaturgica un esercizio di stile mirante a mantenere nei dialoghi le caratteristiche del parlato ordinario, con esitazioni, fratture, ripetizioni (ma sempre di “simulazione di parlato”[7] si tratta).

La commedia in esame, Gli amorosi inganni di Vincenzo Belando, pubblicata nel 1609, può ben rientrare nei casi di plurilinguismo espressionistico a metà tra commedia dell’arte e teatro scritto.

 

1. Vincenzo Belando: cenni biografici

Poche e controverse le notizie biografiche sull’autore, sulle quali si è cercato negli ultimi decenni di far luce, anche a causa della confusione nata dall’errata identificazione del nostro con un altro commediografo siciliano,Vincenzo Errante (conclusione a cui era giunto E. Teza che aveva dedicato al Belando due articoli all’inizio del secolo[8]).

Secondo Claudio Meldolesi[9] è ipotizzabile che il nostro sia partito molto giovane dalla Sicilia, verso il 1565, e sia arrivato in terra francese intorno al 1580. A Parigi visse almeno fino al 1609, da esule naturalizzato. In questa città Belando pubblicò i due soli lavori che di lui conosciamo: il 27 febbraio 1588 viene firmato il privilegio che concede al’editore Abel l’Angelier di stampare le Lettere facete, e chiribizzose in lengua antiga, venitiana, et una a la gratiana, con alguni sonetti, e canzoni piasevoli venitiani, e toscani e nel fine trenta villanelle a diversi signori e donne lucchesi et altri, e nel 1609, presso David Gilio, vede la luce Gli Amorosi inganni, “comedia piacevole”, divisa in tre atti (e non in cinque) secondo l’uso spagnolo (l’autore all’incirca nel 1593 dichiara di iniziare “da scherzo” e finire “da vero” a scrivere la commedia che verrà pubblicata ben sedici anni dopo)[10].

È dunque nella capitale francese che gli attori italiani trovano casa ed «entrano in contatto con il mondo della cultura subendo quella lenta trasformazione che li portò al passaggio dai teatri ai libri».[11] Tra questi era pure Vincenzo Belando, la cui commedia è opera di un attore che da attore si esprime anche per iscritto, svincolando il teatro dalla letteratura e rivendicandone una libertà nei confronti di questa e della drammaturgia. Egli stesso si definisce un attore e aggiunge al proprio nome l’appellativo di Cataldo Siciliano, sotto il quale evidentemente era noto in teatro.

Da alcuni particolari linguistici è stata portata avanti l’ipotesi che il nostro fosse originario della provincia di Messina e in particolare di Naso, paese che egli cita più volte nella sua commedia.

Nella dedica di questa l’autore ricorda con ammirazione la sua “singolarissima, et antica padrona” Isabella Andreini, morta a Lione nel 1604.

Quanto alle vicende biografiche del siciliano prima del suo arrivo a Parigi, ci vengono in soccorso alcuni dati che ne Gli amorosi inganni riguardano i racconti delle proprie peregrinazioni fatti dallo zanni siciliano, personaggio in parte sicuramente autobiografico.

Dopo aver precisato che non c’è mestiere che egli non abbia fatto, il servo Catonzo dice di aver soggiornato un periodo a Napoli, poi a Roma e quindi a Milano; ricorda inoltre la fuga a Genova e di lì a Marsiglia, ad Avignone, poi a Lione, dove si finse pellegrino per San Iacopo di Compostella, e infine a Parigi. La commedia si chiude con l’agnizione del fratello di Catonzo, Cataudu Gangali, che avviene attraverso le parole di Cinzio; questa ci fa conoscere un personaggio che non ha alcuna importanza per l’azione drammatica (in realtà non compare nemmeno in scena), ma ne acquista se si cercano di intuire le motivazioni per cui l’autore ne parla.[12]

Infatti i dati forniti potrebbero riguardare Belando stesso: anch’egli si trova in Francia da diversi anni, ormai attempato, rovinato dai torbidi e dalle guerre, e si presenta col soprannome di Cataldo, forma italiana del siciliano Cataudo. Non può certo trattarsi di coincidenze, dato che, peraltro, ritroviamo nel personaggio di Catonzo quanto del nostro manca nella figura di Cataudo.

Nei racconti delle sue peregrinazioni Catonzo non nomina la città di Lucca, che sembra invece, dai vari riferimenti a personaggi della città, essere stata una  tappa importante del vagabondare dell’autore. In una delle Lettere, infatti, vi è la parodia di una maschera della Commedia dell’Arte, quella del dottor Graziano, e qui Belando si firma “Accademic balord” (Lettere, p. 31); a Lucca esisteva un’Accademia dei Balordi, che era poi la più antica della città[13].

Quanto poi alle relazioni di Belando a Parigi, l’autore indirizza lo Scudo d’Amanti, componimento poetico accluso alle Lettere, ad Arcangelo Tuccaro (che definisce suo compare), famoso acrobata abruzzese poi al servizio del re di Francia con la qualifica di “saltarin du roi”.

Fra coloro cui il nostro dedica i suoi scritti, comunque, compaiono diversi personaggi influenti, nobili o mecenati dai quali egli aveva ricevuto favori o sperava di ottenerne: Gabriel de Guénégaud, cui sono dedicati Gli amorosi inganni, segretario e tesoriere del re, da parte del quale Belando aveva ricevuto molte cortesie; Sebastien Zamet (lo stesso cui Isabella Andreini nel 1603 dedicò le Rime), celebre finanziere nativo di Lucca e molto conosciuto nell’ambiente di corte, cui vengono dedicate le Lettere, ognuna delle quali poi venne indirizzata a diversi personaggi in vista[14].

La lettura della commedia ci restituisce, insomma, una visione del mondo osservato con gli occhi di un “primo servitore”. Cataldo è il servo che si è spostato di città in città, e attraverso questa lunga peregrinazione servile ha avuto il suo percorso di formazione. L’appellativo “Cataldo”, dunque, poteva contenere un’allusione non tanto al patrono san Cataldo (un santo popolare nell’isola), o alla maschera di Flaminio Scala, quanto piuttosto al mestiere del castaldo, del maggiordomo.

Conferma dell’appartenenza di Belando a questa categoria sociale fu trovata da Meldolesi nel documento da lui rinvenuto presso le Archives de France che ha costituito fino a pochi anni fa l’unico atto noto pubblicato sul nostro autore: si tratta di un lungo documento datato 1607 nel quale vengono specificate le clausole di matrimonio della figlia del Nostro, Anne Belando[15].

Nuove informazioni ci giungono inoltre da altri due documenti pubblicati da W. Schrickx e di recente analizzati da S. Ferrone[16] .

Dal documento del 7 sett 1576 sappiamo che in quella data ad Anversa in un ufficio di polizia si presentarono due mercanti italiani e insieme a loro c’era uno dei Martinelli (Drusiano o Tristano, probabilmente Tristano) legale rappresentante di una compagnia di attori formata da sei uomini e tre donne tra i quali era “Vincentio Belando”. Ne possiamo dedurre che il gruppo era ad Anversa già da qualche tempo, che i componenti della compagnia erano noti per aver recitato commedie e passatemps. Inoltre in calce la data dell’8 ottobre indica che gli attori rimasero per un mese pronti per partire. Il documento è quindi una petizione con cui i comici girovaghi del pieno ‘500 chiedevano il riconoscimento dello statuto di attore professionista per sé e per il loro gruppo (in questo caso chiedono un lasciapassare verso la Francia).[17]

Dal documento che segue risulta che il soggiorno del gruppo nelle Fiandre è cominciato verso la fine di gennaio dello stesso anno. Questo è datato 27 marzo 1577 ed è particolarmente illuminante in quanto ci informa che Belando si è ammalato e per questo è stato lasciato indietro dagli altri membri della compagnia ed è rimasto qualche mese di più ad Anversa.

Dopo trent’anni, siamo nel 1607, la figlia di Belando, nata dal matrimonio con una francese, Anne Le Grand, andrà in sposa al francese François de Varenne, cameriere del duca di Genevois e di Nemours e diventerà così femme de chambre della duchessa di Nemours e Chartres.

È grazie a questa unione, dunque, che, dopo una lunga formazione, Belando diventa un bourgeois, perfettamente integrato nella società parigina. La sua ascesa sociale giunge all’apice.

La pubblicazione della commedia, due anni dopo l’evento, coincide col culmine del suo riscatto personale e costituisce una sorta di parziale consuntivo del suo passato di artigiano e di attore.

 

2. La struttura de Gli amorosi inganni

Lo schema di intreccio e il mansionario delle parti nella commedia rimandano “ad uno stadio primitivo della Commedia dell’Arte”[18]: abbiamo, infatti, otto personaggi innamorati ma simmetricamente non riamati; due delle relazioni amorose prevedono lo scambio dei partner; c’è un Magnifico che però non fa coppia con un altro vecchio, ma con uno Zanni; poi una servetta, Filicetta, e un secondo zanni siciliano, Catonzo. La simmetria non è perfetta: degli otto, cinque personaggi sono di condizione elevata e tre sono servitori; cinque sono gli uomini e tre le donne. Grazie a due agnizioni nell’ultima scena, per tre amori si avrà un lieto fine che asseconda, omaggio tipicamente cortigiano, i desideri dei personaggi femminili. A bocca asciutta rimangono, sentimen- talmente parlando, il Magnifico, che però ritrova una figlia nella donna di cui era innamorato non corrisposto, e Catonzo, respinto dalla desiderata Filicetta, ma consolato dalla notizia che un suo fratello vive a Parigi presso il duca di Nemours[19].

Lo spazio della commedia è ampio: dalla Sicilia, a Napoli, a Roma, Genova, Milano, Marsiglia, Avignone, Lione, S. Jacopo di Galizia; esso tocca le tappe dell’emigrante Belando, ma disegna anche “uno stereotipato baedeker del vagabondo e del cerretano”[20].

Diversi i luoghi parigini ove sono ambientate le scene: piazza della Greva e place Maubert, le osterie del «Bue coronato» e della «Poma de Pin», le taverne di Saint-Eustache. Qua e là affiorano ricordi “dei ricchi residenti italiani (i banchieri Bardi e Buonvisi), Anna d’Este e il figlio di lei, principe di Nemours, e poi Maria dei Medici, Carlo di Nevers del ramo francese dei Gonzaga”[21].

Per ciò che concerne le azioni, lo schema di seguito riportato costituisce una sintesi di quanto accade nella commedia e indica anche le lingue che si alternano nelle singole scene :

 

ATTO
e
SCENA

PERSONAGGI
e
RUOLI

AZIONI

LINGUE

NOTE

ATTO I

Scena 1

Dorotea

(innamorata)

Monologo sull’amore infelice e non corrisposto per Cinzio

Lingua letteraria (toscano)

Metafore del carcere amo- roso, delle ferite d’amore


Scena 2

Dorotea e

Filicetta

(serva di Dorotea)

Filicetta invita Dorotea a disamorarsi; lei cita amori famosi

Entrambe lingua letteraria (ma con notevole differenza diastratica)

Citazioni letterarie


Scena 3

Filicetta

Maledizione contro gli uomini e dichiarazione del suo amore per Zanni

Toscano popolare

Prima citazione di Catonzo come “nasone”


Scena 4

Capitano

Esalta le sue prodezze e poi il suo amore per Dorotea. Vede arrivare Catonzo

Spagnolo

Seconda definizione di Catonzo come “natigudo”


Scena 5

Capitano e Catonzo

Monologo di Catonzo che racconta i lavori da lui svolti fin da quando era bambino. Incontro col Capitano che gli chiede di mettersi a suo servizio.

Siciliano,

spagnolo

Tappe del peregrinare di Catonzo: Napoli , Roma, Milano, Genova , Marsi- glia, Avignone, Lione, Parigi


Scena 6

Cinzio,

Catonzo,

Capitano

Cinzio descrive Camilla, la donna amata che non ricambia; incontra il Capitano e Catonzo; il Capitano confida il suo amore per Dorotea che invece ama Cinzio; quindi quest’ultimo si offre di battere alla porta di lei per farla incontrare col Capitano e far vedere Filicetta a Catonzo

Lingua letteraria,

siciliano,

spagnolo

Catonzo è definito ancora nasone. Si presenta quale Catonzo Gangali “mezu gentilomu sicilianu


Scena 7

Filicetta,

Catonzo

Capitano (Cinzio, Dorotea)

Filicetta va alla porta e vede Cinzio ma al suo posto compare Catonzo e lei lo caccia

Toscano popolare,

siciliano,

spagnolo

Anche qui Catonzo è definito “nasonaccio”


Scena 8

Dorotea, Capitano, Filicetta, Cinzio

Dorotea si indigna alla vista del Capitano che si offre a lei e chiede invece a Cinzio di amarla , ma questo rifiuta

Lingua letteraria,

spagnolo




Scena 9

Catonzo,

Filicetta

Catonzo e Filicetta imprecano

Siciliano,

Toscano basso



Scena 10

Catonzo,

Capitano,

Cinzio

Mentre i due imprecano contro Cupido arriva Camilla

Siciliano, spagnolo, toscano



Scena 11

Camilla

Catonzo

Capitano

Cinzio

Camilla parla dell’Amore e prega il Capitano di amarla, lui la invita ad amare Cinzio. Lei preferirebbe morire. Il Capitano si reca con Cinzio e Catonzo in una taverna (escono di scena)

Lingua letteraria,

siciliano,

Spagnolo



Scena 12

Camilla

Camilla entra in casa con l’intenzione di uccidersi

Lingua letteraria




Scena 13

Magnifico,

Zanne


Il Magnifico discute con Zanne di cosa sia l’amore e dei suoi effetti. Zanne gli consiglia di occuparsi d’altro, ad esempio cercare la figlia, dato che da quando è innamorato di Dorotea ha perso la testa. Poi racconta al Magnifico che per amore è stato bandito dal suo paese avendo colpito un rivale. Aggiunge che nell’amore per Dorotea lui avrà come rivale il Capitano. Zanne bussa a Felicetta

Veneziano,

lombardo

(bergamasco)

Il Magnifico cita Petrarca e Burchielo.Zanne utilizza i termini “sonettacchià” e “scantacchià”,Petrarchì.

Zanne definisce il Magnifico Piantaliron


Scena 14

Filicetta

Apre a Zanne e chiama la padrona

Lingua letteraria



Scena 15

Dorotea, Zanne, Magnifico, Filicetta

Il Magnifico corteggia Dorotea e le dedica una lode; lei è disgustata anche per l’età avanzata dell’uomo (che chiama “Padre mio”).

Lingua letteraria, bergamasco, veneziano

Lode con lettere dell’alfabeto.

Alla Y: yior (con nota del Belando sulla pronuncia

fio” )


Scena 16

Filicetta, Zanne

Cacciato il Magnifico, Filicetta provoca Zanne che però risponde sgarbatamente

Toscano popolare, bergamasco

Molti gli alterati. Nota: “nasa, lecca e monta


Scena 17

Magnifico, Zanne

Il Magnifico si lamenta per l’ingratitudine della donna.

Su invito di Zanne poi si recano al ristorante

Veneziano,

bergamasco

Metafora di Amor che invita alle nozze dei mal contenti infiamai.

Indicazioni topografiche:. il ristorante è sul “pont di Nostra Dama


Scena 18

Catonzo,

Capitano, Magnifico,

Zanne

Il Capitano (con Catonzo) incontra il rivale d’amore, il Magnifico in compagnia di Zanne e li prende a bastonate; i due scappano

Siciliano, Spagnolo, Veneziano, Bergamasco


ATTO II


Scena 1

Capitano,

Catonzo


Il Capitano si vanta con Catonzo di dormire a casa su materassi “speciali” e racconta la sua fantastica nascita. poi chiede a Catonzo di chiamare il signor Cinzio per parlargli

Spagnolo,

siciliano

Cliché della nascita

straordinaria


Scena 2

Cinzio,

Capitano,

Catonzo

Il Capitano chiede a Cinzio di pregare da parte sua Dorotea; Cinzio prova a chiamarla

Lingua letteraria, spagnolo

Siciliano



Scena 3

Filicetta,

Cinzio,

Catonzo

Filicetta apre a Cinzio e Catonzo ne approfitta per recitare alla donna una canzone composta per lei; lei non la capisce e chiama fuori Dorotea

Lingua letteraria

(elevata e bas- sa), siciliano, spagnolo


La canzone di Catonzo è in rima alternata (metafora della Sicilia)


Scena 4

Dorotea,

Cinzio

Dorotea è felice di vedere Cinzio ma questo lo invita ad amare il Capitano. Lei si indigna e rientra in casa.

Lingua letteraria

Lei utilizza prima molti vezzeggiativi per Cinzio, poi lo attacca con una serie di interrogative retoriche


Scena 5

Catonzo,

Cinzio,

Capitano

Cinzio chiede al Capitano di fare lo stesso per lui; quindi lui si offre di chiamare Camilla

Siciliano,

lingua letteraria, spagnolo

Catonzo utilizza l’agget- tivo “scantusu” tradotto da Belando “asino”


Scena 6

Camilla,

Capitano,

Catonzo

Il Capitano propone a Camilla l’amore di Cinzio al posto del suo. Lei risponde che si ama quel che piace e che lei ama lui. Poi entra in casa.

Lingua letteraria,

spagnolo, siciliano

Catonzo paragona il dire di Camilla a “un autru Bovu d’Antona”


Scena 7

Capitano,

Catonzo,

Cinzio

Catonzo invita i due uomini ad andare in una taverna ad ubriacarsi per non pensare alle donne. Il Capitano racconta un’altra sua impresa e poi vanno insieme

Spagnolo, siciliano, lingua letteraria

Il Capitano cita l’Ariosto


Scena 8

Catonzo

Dice tra sé che il Capitano in realtà è un poltrone ma che non lo lascia perché innamorato come lui.

Siciliano

Abbassamento del ruolo del Capitano


Scena 9

Zanne

Dice che è ridicolo avere un padrone vecchio innamorato e che vuol diventar ruffiano. parla dell’arte del “ruffià”. Vede venirgli incontro Filicetta.

Bergamasco



Scena 10

Filicetta

Zanne


Filicetta indica il tipo d’uomo che preferisce; vede Zanne e lo cerca. Al suo rifiuto esprime la sua opinione su cosa siano le donne, etc.; scambio di battute tra i due

Lingua letteraria,

bergamasco (entrambe di livello basso)

Vocaboli “osceni” di lei, relativi alla sfera sessuale


Scena 11

Zanne

Decide di cominciare a ordire la tela del ruffiano

Bergamasco

A’come pronome di prima persona


Scena 12

Magnifico,

Zanne

Zanne propone al Magnifico un rimedio per il suo mal d’amore: la ruffianeria.

Il Magnifico acconsente così Zanne si avvia

Veneziano, bergamasco

Zanne fa la “traduzione” del termine “ruffiano” in più lingue: tosca, berga-masca, infranzosada, spa- gnola, latino. Il Magnifico utilizza modi di dire popolari (“moriva de fame in un forno de pan”) e espressioni latine (“non solum in verbis ma in operibus” ). Zanne cita modi di dire volgari.


Scena 13

Magnifico solo

Loda Zanne

veneziano

Numerosi modi di dire


Scena 14

Cinzio,

Magnifico

Cinzio si lamenta tra sé della sua situazione sentimentale; incontra il Magnifico e gli chiede aiuto. Al rifiuto di questo dice che andrà a rivolgersi al Capitano

Lingua letteraria, veneziano

Metafora della nave e della navigazione.

Il Magnifico sottolinea a Cinzio il suo essere italiano


Scena 15

Magnifico

Dice che se avesse incontrato Cinzio a Venezia l’avrebbe picchiato

veneziano

Compare il luogo della commedia:“qui a Parisi”


Scena 16

Catonzo,

Capitano, Magnifico

Catonzo si lamenta col Capitano perché non sa portare la spada; incontrano il Magnifico e il Capitano chiede a Catonzo di farlo avvicinare per parlargli.

Il Magnifico non ne ha alcuna intenzione.

Il Capitano gli chiede di dire lui una parola in sua vece a Dorotea.

Il Magnifico si rifiuta e vuole nascondersi e bastonarli con un legno lì trovato. Lo fa.

Con Catonzo che scappa dietro al padrone si chiude l’atto.

Sicilano,

spagnolo,

veneziano

Il Capitano indica nella Sicilia il paese di origine di Catonzo. Catonzo chiama il Magnifico col richiamo dell’ asino: “Arri”. Utilizza anche il possessivo enclitico: “patrunuma”.Il Magnifico lo appella “Cognome d’Ovidio” alludendo al suo naso e ancora “prior di nasi” e “nasazzo”

ATTO III


Scena 1

Cinzio,

Filicetta


Filicetta invita Cinzio ad accettare l’amore della sua padrona e racconta la sua storia giovanile. Cinzio se ne va ribadendo di non poter amare Camilla.

Lingua letteraria

(registro alto e registro popolare)

Filicetta cita versi di Testino l’Arcademico , di Stefanza da Spelle e di Calidonia de Montefalco. Utilizza espressioni scurrili


Scena 2

Filicetta

Va all’Hostel della Regina Madre

Lingua letteraria

(registro basso)


Scena 3

Dorotea

Invoca la morte e sta per uccidersi

Lingua letteraria



Scena 4

Zanne,

Dorotea

Zanne impedisce a Dorotea di uccidersi e dicendole che ha il rimedio al suo male. Lei si consola e torna in casa

Bergamasco, lingua letteraria

Assonanza:

Cinzio/ cinto


Scena 5

Zanne

Mentre esalta la sua arte vede arrivare Camilla

Bergamasco



Scena 6

Camilla,

Zanne

Camilla si dispera per l’amore non corrisposto del Capitano e vuol morire col veleno. Zanne la ferma e offre anche a lei aiuto

Lingua letteraria,

bergamasco



Scena 7

Capitano,

Zanne,

Catonzo,

Cinzio,

il Capitano dice a Cinzio di esser pronto ad attaccare ed è tutto armato. Cinzio gli fa capire che non serve e che è meglio cercare un ruffiano. Zanne vien fuori e si offre a loro per denaro.Tutti gli innamorati sono pronti a seguirlo.

Spagnolo,

bergamasco siciliano,

lingua letteraria

Onomatopee: “tappatà patà, tubutù, butù, tarara tarara…”.

Cinzio cita Petrarca.

Catonzo cita la sua terra: Naso ( Messina)


Scena 8

Dorotea,

Zanne

Dorotea ringrazia Zanne per l’aiuto che le darà

Lingua letteraria,

bergamasco



Scena 9

Camilla,

Dorotea,

Zanne

Le donne dicono a Zanne che farebbero di tutto per lui pur di essere accontentate

Lingua letteraria, bergamasco

Zanne utilizza un termine toscano e ne sottolinea l’origine; dice infatti: “ve darò una sguanciata, per parlà toscà”


Scena 10

Zanne

Gode del fatto che ha reso schiave 5 persone con la sua arte. Si nasconde vedendo arrivare il Magnifico

Bergamasco



Scena 11

Magnifico,

Zanne

Zanne dice al Magnifico che di là a due ore avrà quel che vuole

Veneziano, bergamasco


Scena 12

Zanne

Vede arrivare Filicetta e si nasconde

Bergamasco



Scena 13

Filicetta,

Zanne

Filicetta fa a Zanne una proposta molto esplicita. Lui la bacia e abbraccia, dicendo che adesso ricambia il suo desiderio per pietà. Lei non ci crede e lui per convincerla la fa “toccare con mano”. Convintala, la invita a recarsi a casa del suo padrone e ad aspettare al buio. Lei va felice

Lingua letteraria (registro basso), bergamasco

Entrambi ricorrono a modi di dire volgari. Lei cita i versi di Tina da Maremma.

Lei lo invita all’Hostel di Nivers


Scena 14

Zanne

Esplicita al pubblico l’idea di mandare il Magnifico al posto suo con Filicetta spacciandola per Dorotea

bergamasco



Scena 15

Dorotea,

Zanne

Mentre Dorotea pensa che è un bene non essersi uccisa incontra Zanne e subito dopo arriva Camilla

Lingua letteraria,

bergamasco



Scena 16

Camilla,

Dorotea,

Zanne


Si salutano, invitano Zanne a mangiare. Zanne invece invita Dorotea ad andare in casa di Camilla e Camilla a casa di Dorotea in camere al buio in attesa degli amanti ingannati. Le due vanno

Lingua letteraria,

bergamasco

Modo di dire osceno di Zanne


Scena 17

Zanne

Vede arrivare il Magnifico e si nasconde per ascoltare

Bergamasco



Scena 18

Magnifico

Zanne

Il Magnifico chiede a Zanne quando comincerà il suo piano. Lui dice che la morosa lo aspetta in camera ed è cotta . Lui entra felice

Veneziano,

bergamasco

Rileviamo una sorta di consonanza (effetto, detto, ditto, stretto). Il Magnifico parla per modi di dire

Scena 19

Zanne

Zanne si nasconde alla vista del Capitano

Bergamasco

Riprende la metafora del mare usata dal Capitano


Scena 20

Capitano,

Zanne,

Cinzio

Il Capitano e Cinzio sono grati a Zanne per il suo lavoro. Zanne li invita a recarsi al buio a casa delle donne. I due entrano

Spagnolo,

bergamasco,

lingua letteraria

Cinzio cita un protagonista di un romanzo cavalleresco del ciclo bretone. Zanne utilizza un’altra metafora e un altro modo di dire;

Cinzio ricorre ad un’ espressione latina


Scena 21

Zanne

Zanne spera che il suo piano vada a buon fine; dice che si vestirà da procuratore per assistere alla fine della Commedia


Utilizza il termine “comedia” due volte. Dice che la comedia è degna d’esser messa in comedia (quindi evidenzia la consapevolezza del suo autore)


Scena 22

Catonzo

Medita di tornare in Sicila quando sente provenire dalle case rumori di baci e carezze

Siciliano

Ripete di essere andato via da Naso; precisa che la sua famiglia è quella dei Gangali


Scena 23

Cinzio,

Dorotea

Cinzio crede di aver colto la sua donna e lei lo invita a guardar bene

Lingua letteraria



Scena 24

Capitano,

Camilla,

Catonzo

Lo stesso succede tra il Capitano e Camilla. Catonzo capisce

Spagnolo,

lingua letteraria, Siciliano



Scena 25

Filicetta,

Magnifico,

Catonzo

Filicetta non è felice della prestazione fiacca dell’ amante che invece è soddisfatto. Catonzo preso dalla rabbia grida “a fuoco”

Lingua Letteraria (bassa) Toscano basso, veneziano, siciliano

Modi di dire siciliani


Scena 26

Capitano,

Camilla,Cinzio,

Dorotea,

Filicetta, Catonzo

Gli uomini sono disperati per l’inganno, le donne felici. Filicetta è furiosa, e considera Zanne un traditore. Anche Cinzio e il Capitano ce l’hanno con Zanne. Il Capitano insulta Camilla; lei racconta la sua storia

Spagnolo, lingua letteraria (doppio registro), siciliano

I agnizione: Camilla scopre di essere sorella di Cinzio


Scena 27

Zanne (vestito da procuratore), Cinzio,

Catonzo,

Filicetta,

Dorotea,

Magnifico, Capitano,

Camilla

Zanne teme la situazione e rimane nascosto. Anche Dorotea racconta la sua storia. Cinzio l’accetta come sposa: il Capitano accetta come sposa Camilla. Filicetta svela la sua storia e Catonzo scopre che è sua cugina. Cinzio dice di conoscere il fratello di Catonzo. Zanne si toglie il travestimento e vuole una ricompensa. Tutti lo ringraziano, il Magnifico gli da Filicetta in sposa

Bergamasco, lingua letteraria (doppio registro) siciliano, veneziano, spagnolo

II agnizione: Dorotea è figlia del Magnifico

III agnizione: Filicetta è cugina di Catonzo

Catonzo chiede a Filicetta dove ha imparato il parlar toscano. Lei definisce il toscano “dolce lingua”.

L’atto si conclude con la dichiarazione di Zanne di aver dato il titolo alla commedia

 

Le modeste capacità di orchestrazione dell’autore possono anche spiegarci il numero esiguo dei personaggi; un po’ più vivace e movimentato nelle entrate e uscite degli attori è infatti solo l’ultimo atto (nella maggior parte delle scene l’orditura delle azioni è affidata a Zanne). Per il resto ne Gli amorosi inganni prevalgono monologhi, assoli, tirate.

Per quanto riguarda le maschere, è proprio di una più antica fase della Commedia dell’Arte la sovrapposizione del ruolo del Capitano[22] e dell’ innamorato. Lo Zanni siciliano non sembra ancora dotato delle caratteristiche acrobatiche che aveva introdotto l’Arlecchino di Tristano Martinelli e che erano conosciute da alcuni anni, ma ricorda, piuttosto, “il buffone delle origini, che mette in scena se stesso e la sua vita debitamente trasfigurata (in questo caso è la vita dello stesso Belando), preceduta da un immaginario viaggio nell’aldilà, sul monte Parnaso, secondo quanto insegnava la tradizione”[23]. Gli innamorati si esprimono tramite monologhi mimetizzati da apparenti dialoghi e coloriti da qualche momento melodrammatico (vedi tentativi di suicidio). Tra il Magnifico e Zanne, quasi sempre in coppia, non vi è mai un dialogo ma la classica gara di reciproca sopraffazione. Della servetta Filicetta possiamo seguire le evoluzioni erotiche che passano dalla semplice battuta, al racconto, al lazzo osceno, all’area platonica delle «amorose», fino al colpo di scena conclusivo del coitus interruptus collettivo.

Come nota A. Migliori[24] è presente nella commedia anche qualche riferimento alle teorie letterarie dell’autore: ad esempio Belando si dichiara indipendente dalle regole perché, dice “Dio m’ha fatto libero, in paese libero” (dedica finale al signor Cesare Udin) onde la scelta, libera appunto, di dividere la commedia in tre atti; nell’introduzione al Benigno lettore definisce dunque la sua opera uno “spasso” più che una commedia nel senso classico del termine in quanto “non cade (come gli è vero) sotto regola” (anche nella Lettere vi è, nell’avviso al lettore, un’apologia della letteratura comica dato che l’autore difende la sua “non pensata novità di senso, et in forma insieme di parlare”). Belando non è ignorante come si professa perché conosce i maggiori autori della nostra letteratura e non gli sono estranei il pensiero di Cicerone o le dispute del suo secolo sulla natura dell’amore. La sfoggiata mancanza di cultura può quindi considerarsi una adesione al mondo della commedia antiletteraria retta comunque da sue regole ben precise.

Certo nel nostro la personalità dell’attore domina quella dello scrittore, condizionandone l’attività poetica. Le piacevoli, scoppiettanti tirate, gli agili accostamenti atti a suscitare il riso, il fuoco d’artificio delle metafore scoprono in lui una vena comica e un’abilità che è l’esatta trasposizione letteraria del gioco scenico di un attore della commedia improvvisa. Così come dal repertorio degli attori del tempo provengono la volgarità a volte sconcertante, i doppi sensi, i lazzi.[25]

Belando, dunque, non segue le regole aristoteliche, preferisce l’esempio venuto dalla Spagna (distanziandosi così dalla tipologia di commedia che si iniziava a coltivare allora in Sicilia, ossia la commedia erudita del Della Porta e dei suoi imitatori[26]) e rivendica una autonomia e una diversità nei confronti della letteratura e della drammaturgia”[27].“Il tasso d’inquinamento letterario è quindi minimo, tanto che la sintassi e l’ortografia lasciano molto a desiderare”[28] e il nostro può definirsi nel Prologo «un balordo, un che non sa a pena leggere» e che non si preoccupa di darci una commedia “osservata” ma un “miscuglio”.

Mancano, insomma, nel testo, quegli elementi di coesione che sono propri della commedia erudita e che realizzano l’intelaiatura della fabula (questa sembra qui presente solo nell’ultimo atto, al momento dello scioglimento finale) e Belando ne è cosciente (lo dimostra, appunto, la non volontà di adeguare il suo lavoro ai canoni della commedia letteraria). È come se si trattasse di singole esibizioni, di generici, tra loro accostati in modo artificioso; come se i personaggi fossero esclusiva- mente attori che entrano in scena solo per recitare la propria parte, far leva sul pubblico e poi uscire.

I due elementi portanti sono dunque plurilinguismo e sesso che non a caso sono accostati in una Commedia dell’Arte stampata in Francia, “a confermare un binomio nativo che sta alla base del successo pratico di quel teatro”[29].

 

3. Il genere teatrale tra scritto e parlato

Quello teatrale è un genere ambivalente, in quanto, “condivide aspetti e tratti sia dello scritto che del parlato”[30] e per le sue peculiarità può considerarsi “uno dei più poderosi ponti gettati tra i mondi della cultura scritta e della cultura orale”.[31]

Il filone linguistico teatrale risulta autonomo rispetto a quello letterario in quanto, dovendosi per necessità confrontare con le dinamiche della comunicazione dialogica, gli autori di commedie ricorrono spesso in maniera spregiudicata a tratti linguistici che si ispirano alla lingua parlata.

Alcuni di questi tratti, nonostante siano stati delegittimati dalla norma classicista, spesso affiorano nel corso dei secoli in testi di carattere informale e a volte si affermano nell’italiano scritto moderno. Nella lingua della commedia, quindi, emerge in parte una tradizione linguistica alternati-va al modello letterario codificato dal Bembo; anche se è ovvio che il parlato del testo teatrale, basandosi comunque su un testo scritto, ha un grado di elaborazione maggiore rispetto al parlato reale poiché differenti sono i presupposti e gli scopi (a proposito a C. Lavinio si deve la definizione della scrittura drammaturgica come “scritto per essere detto come se non fosse scritto”[32], a G. Nencioni quelle di “parlato scritto per la recitazione”[33] e di “esecuzione di un parlato program- mato”[34], e a P. Trifone quella di “scritto per l’esecuzione orale nella finzione scenica”[35]).

Prendendo le mosse da queste considerazioni, nelle pagine che seguono si analizzano quegli strumenti utilizzati dai commediografi per riprodurre i fenomeni del parlato che ricorrono più di frequente nei testi teatrali del Cinquecento e in particolar modo ne Gli amorosi inganni, iniziata nel 1593, in un’epoca, cioè, in cui, sussistendo una netta distinzione diamesica tra lingua parlata e lingua scritta, ai commediografi non è dato di imitare, ma piuttosto di inventare un parlato che ancora non esiste (i commediografi si limiteranno quindi a operare delle scelte fonetiche, morfosintattiche e lessicali per caratterizzare in senso “parlato” i loro testi teatrali; per cui, precisa P. Trifone, “le vicende del parlato teatrale si svolgono parallelamente a quelle del parlato reale, senza identificarsi mai con esse”).[36]

È stato precisato che “in una commedia cinquecentesca non si ha mai una situazione comunicativa unitaria: ogni testo appare segmentato in un certo numero di situazioni, all’interno delle quali variano non solo il tipo di lessico e di sintassi, ma anche le funzioni illocutorie e perlocutorie di determinati elementi linguistici”[37], seguendo una sorta di repertorio-base di tipi linguistici riconoscibili e ripetitivi che viene elaborato dagli scrittori teatrali dell’epoca[38].

Pietro Trifone ne L’italiano a teatro seleziona dodici commedie per analizzare i rapporti tra scritto e parlato; tra queste (quattro sono opere dei comici dell’Arte) è anche Gli amorosi inganni nell’edizione del 1985 curata da Siro Ferrone.[39]

Lo studioso premette che esistono tre aspetti che per la loro alta specializzazione diamesica possono considerarsi buoni indici del rapporto tra parlato teatrale e parlato reale e sono: “1) lo stretto legame con la situazione o deitticità; 2) la forte frammentarietà; 3) il frequente ricorso a segnali discorsivi per organizzare il testo o per gestire l’interazione”.[40]

Per ciò che concerne il primo è utile sottolineare che la deissi costituisce senza dubbio uno degli strumenti più adatti ad ancorare il discorso al contesto pragmatico ed è per questo che il genere teatrale la sfrutta in misura molto superiore rispetto agli altri[41] (la deitticità del testo teatrale si lega quindi strettamente con la sua performatività) e che anche Belando ne fa ampiamente ricorso.

Non può dirsi lo stesso per i fenomeni di frammentarietà, assai poveri ne Gli amorosi inganni.

Più numerosi i segnali discorsivi, che rispondono a bisogni immediati della conversazione e ne supportano la funzione fatica. Tra questi le interiezioni, ad esempio, come specifica E. Testa, possono considerarsi “costanti tonali dello scambio rapido ed informale di tutte le commedie cinquecentesche”[42] (sono, al contrario, molto meno presenti nella novellistica contemporanea) e inoltre possono conferire una coloritura di tipo sociolinguistico alla parlata di un personaggio (per i registri più elevati si preferiscono deh, ahimè, ahi , mentre in quelli bassi prevalgono ah, oh), o possono aver puro scopo ludico. Anche le ripetizioni assolvono a scopi pragmatici come l’amplificazione, il rimprovero, la mise en relief di un elemento della frase. 

È però nella morfosintassi che sono da evidenziarsi, ancora secondo P. Trifone, le aperture maggiori dei commediografi dato che “l’autonomia” del testo teatrale permette di ricorrere di frequente a paratassi, brachilogie, frasi segmentate, etc. Ne Gli amorosi inganni Belando ricorre, ad esempio, alle dislocazioni, che rispondono allo scopo di dare evidenza maggiore ad un termine rispetto agli altri (sappiamo, però, che non è del tutto corretto considerarle mero stilema di riproduzione del parlato), alla frase nominale, utilizzata per la sua connotazione enfatica che ne fa un efficace mezzo per trasmettere il senso di rapidità o di definizione icastica della situazione rappresentata, e ancora a tratti che possono considerarsi, invece, propri del parlato quali il “che” relativo indeclinato e/o  polivalente e il “ci” attualizzante.

 

 

4. Il siciliano

 

4.1. Cenni sulla maschera

Premetto che quanto analizzato in questo paragrafo è già stato oggetto di un mio intervento all’ VIII Convegno internazionale di “Storia della lingua italiana e dialettologia” di Palermo (29-31 ottobre 2009) e che quindi molti saranno i punti in comune fra questo articolo e quello preparato per gli Atti in via di pubblicazione. A quest’ultimo rimando per ciò che concerne le caratteristiche della maschera di Catonzo sulle quali in questa sede non mi soffermo[43]. Basti concordare con Carmelina Naselli che vede nel servo «una creatura viva, forse la sola creatura viva della commedia»[44] e ricordare che secondo alcuni studiosi la commedia di Vincenzo Belando può considerarsi «un archetipo nel processo di regolarizzazione “teatrale” delle maschere del Capitano (Basilisco) e del servo (Catonzo)»[45].

 

4.2 Fenomeni linguistici: Lessico e sintassi

Ad un’analisi del linguaggio di Catonzo è bene premettere che nella commedia dell’arte le battute dei servi sono spesso modellate su schemi sintattici ed espressivi (ellissi, ripetizioni, ingiurie, etc..) che appartengono al paradigma boccacciano di simulazione dell’oralità bassa e che

 

la particolare tensione pragmatica di questo segmento del testo teatrale, il suo esasperato effettismo comico, fanno

si che la mimesi del parlato vi sia attuata in modo più esteso, articolato e vivace che nella narrativa, con una specifica                 insistenza su procedimenti “massimali” quali la frase priva di verbo (…), l’anacoluto (...), la struttura ad

eco (...), l’imprecazione scurrile (…).[46]

 

La formazione delle parole, soprattutto, presenta una varietà e una ricchezza maggiore rispetto alle novelle. Si affida al lessico il compito di «graduare i registri, e in primo luogo di caratterizzare l’espressività bassa dei servi»[47] attraverso storpiature, epiteti, termini scurrili etc...

Nelle battute dello zanni siciliano si rilevano i fenomeni più evidenti che attuano la mimesi del parlato e che devono considerarsi caratteristici proprio della lingua teatrale.

Inizio dai deittici[48], a cui si fa ampio ricorso nel testo in oggetto (qui si riportano solo quelli che rivestono maggior interesse e che presentano una forte implicazione mimico-gestuale):

«Cui è chistu gentil’huomu?» (I 5, p. 25); «quilla, chi mi xippa lu xiatu» (I 6, p. 36); «sta spatazza»; «è qua quel Capitan» (II 16, p. 92 ); «Eccu la spata persa» (II 16, p. 94); «stu vecchiazzu cani» (II 16, p. 93); «stu Capitaniu è chiu pultruni di mia» (III 7, p. 112); «eccuti st’cchiu di culu» (III 7, p. 114) «su cà per servirvi comu ijzzu»; (III 7, p. 115); «comu per non mi sciarriari cu chisti» (III 22, p. 132); «chi Diavulu è chistu?» (III 24, p. 133); «Patrunuma è cu chilla chi no ama»; «lu signuri Cintiu è cu chilla chi nun voli beni»; «stu vecchiu carrusu» (III 26, p. 136); «stu vecchiu cani» (III 27, p.138); «st’occhiu di culu»; «chistu tocca a mia» (III 27, p. 141); «sti selli di natichi»; «che fa illu?» (III 27, p.142); «sti francisi» (III 27, p. 143).

Nella commedia la funzione fatica, propria della conversazione, è rivestita da segnali discorsivi o connettivi funzionali all’interazione tra i personaggi: interiezioni, verbi, avverbi o formule varie inseriti con lo scopo di mutare o aggiustare la linea espositiva, sottolineare enfaticamente qualche passaggio, modulare o tenere vivo il rapporto con l’interlocutore; tra le interiezioni:

   «Ohimé non ndi pozzu chiù» (I 5, p. 28); «ò li belli minzogni sgarrati» (I 6, p. 33); «Ah’ signuri Capitanu gioia mia» (I 6, p. 36); «Oh chi fussi in Sicilia»; «Oh Mamma mamma!» (I, 18, p. 58); «O la bella citella ch’è» (II 5,p. 72); «oh chi mi faciti gran placiri»; «Oh chi sij tagliatu dintra» (III 7, p. 113); «o mischinu mia, o malagrusu»  (III 25, p. 134).

Molti i verbi funzionali all’azione scenica:

   «Mi vogliu appartari, per intendiri quillu chi dici» (I 5, p. 25); «mi ritiru» (I 5, p. 28); «iamunindi signuri» (I 11, p. 44); «iu mi ritiru na picca» (I 17, p. 59); «Dicitilu, ca v’ascutu cu attenzioni» (II 1, p. 62); «Vi lu dirrò iu»; «Nutati chi»; «ascutati a mia» (II 7, p.75); «Trasiro in casa a mirindari» (II 8, p. 79); «Hora lu fazzu»; «Arri cà veni à parlari a patrunuma»; «Ven cà» (II 16, p. 93); «e tempu di minari li pedi [...] Marcia marcia Catonzu» (II 16, p. 95); «Iamunindi, ch’a’ vegnu appressu comu lu chiù tintu» (III 7, p.115); «mi pari sintiri rumuri», «vogliu accustari l’aurichia per sintiri megliu», «Sentu vasari, sentu fari carizzi» (III 22, p. 132); «s’imbiscanu inzemula e fannu chilla cosa» (III 24, p. 133); «voghiu accominzari à gridari a lu focu», «vicini curriti tutti» (III 25, p.134); «cu siti vui? comu vi chiamati?Di che terra siti? Cui è vostru patri?» (III 27, p.141); «audi na picca», «abbrazzami», «chi fa illu? Dicitimi na picca» (III 27, p. 142), ancora «abbrazzami» (III 27, p. 143).

Presenti locuzioni e formule varie:

   «Mali per mia» (I 5, p. 25); «Aspetta mammuzza gioia mia» (I 10, p. 40); «O’ Mammuzza gioia mia» (I 11, p. 42); «per l’Arma mia» (II 5, p. 72); «O là vecchiu carrusu?» (II 16, p. 93).

Colorano il linguaggio di Catonzo, come si conviene al ruolo, anche numerose imprecazioni ed epiteti ingiuriosi:

   «O Santu Diavulu» (ricorre più volte, ad iniziare da I 5, p. 25, I 9, p. 40 in poi); «ma curpa a Diu»; «AhAmuri, chi sij scannatu» (I 9, p. 40); «O’ Mammuzza gioia mia» (I 11, p. 42); «Chi diavulu vuliti ch’iu fazza» (I 17, p. 58); «chi diavulu c’è dintra?» (II 1, p. 61); «O Giesu non parlamu di sti cosi» (II 1, p. 62); «Gesu haiu paura»; «tuttu mi scantu»; «Ohimè li stintini» (II 2, p. 68); «o santu tali» (II 3, p. 69); «stu curnutu d’Amuri» (II 8, p.79); «stu vecchiaz del me patrù» (II 9, p. 80); «o santu Vitu» (III 7, p. 110); «o chi sij tagliatu dintra» (III 7, p. 113); «chi Diavulu è chistu?» (III 24, p. 133); «o mischinu mia, o malagrusu!» (III 25, p. 134); «O Santu tali chi inborghiu è chistu?» (III 26, p.136); «Ah’ curnutu Zanni»; «stu vecchiu cani, carrusu, murritusu, vauusu, pilusu, quallarusu, tignusu, zollarusu, malagrusu» (III 27, p. 138); «Adaxiu santu Tali» (III 27, p. 141); «sti selli di natichi» (III 27, p. 142).

Il caso di p.138 è uno tra i tanti di accumulazione presenti nel testo; si elencano di seguito gli altri:

   «Mi pigliau a spitati, a cucchiaraci , & à mascillati» (I 5, p. 24); «sacciu squartari ricotti, scannari crastati, bruxiari mundalori, scurciari agnelli, inspitari capuni, vugliri carni, tagliari sasizzuni, pirciari pulpeti, partiri minestri, mettiri in pezzi cunigli, xippari cori alli gallini d’India» (I 5, pp.27-28); «Lanzumi? Iettumi? Arrificumi?» (II 3, p. 69); «ficcamuci e manciamu, e biuemu tantu fina chindi imbriacamu» (II 7, p. 75); «su cà per servirvi comu ijzzu, incatinatu, landuniatu, lardiatu, cinghiatu» (III 7, p. 115); «havemu auliviti, Giardini, e casi, e buon credito, anchora» (III 22, p. 132); «stu vecchiu cani, carrusu, murritusu, vauusu, pilusu, quallarusu, tignusu, zollarusu, malagrusu» (III 27, p. 138).

Seguono le ripetizioni, tipiche anche esse del linguaggio parlato:

   «Hù, hù, largu largu» (I 6, p. 33); «E, e, e, cuntintatila» (I 11, p. 43);«Oh Mamma Mamma» (I 17, p. 58);«Marcia marcia Catonzu» (II 16, p. 95); «A lu focu, a lu focu, a lu focu!» (III 25, p. 134).

Frequente nelle commedie del genere è il ricorso a accrescitivi, diminutivi o peggiorativi che aumentano la forza illocutoria di un enunciato ricorrendo, anche in questo caso, all’emotività.

Ecco dunque gli alterati, tipici del linguaggio del popolano:

   «Vi farò un honuri stupendissimu» (I 5, p. 28); «spiranzella mia, stintinelli di lu miu corpu» (I 6, p. 37); «mammuzza gioia mia» (I 10, p. 40); «sta spatazza ruginusa» (I 16, p.58); «è cussi bestiali, anzi bestialissimu» (II 2, p. 67); «aucillazzu» (II 3, p. 69);«lu fagunazzu» (II 6, p. 72); «sta spataz- za» (II 16, p. 92); «stu vecchiazzu cani» (II 16, p. 93); «scavuzzu» (III 7, p.115 e (III 27, p. 144).

Ricorrono proverbi e soprattutto numerosi modi di dire prettamente regionali messi in bocca al servo di cui si riportano i più interessanti. Ecco i proverbi: 

   «Quandu li leti mancianu li miseri cucinanu»; «Cui sfortunatu naxi cusì mori» (I 5, p. 23); «Se l’amuri non si conduci per chillu che fa cantari l’orvi, lu pòi dari a manciari a li corvi» (III 22 , pp. 131-132), «non bisogna diri di cà non passir?, ne di st’acque non bevirò» (III 22, p. 132).

Seguono i  tanti modi di dire:  

«A puntapedi e sucuzzuni» (I 5, p. 23); «mindi dunau quantu li beati pauli», «in ordini comu san Paulinu», «c’una licenzia d’asinu (ossia a calci), di primu volu», «a primu pidochiu» (per i più avari); «cogliri li violi» (nel gergo furbesco: cambiare aria); «facendu l’arti Catolica», «scupertu lu triunfu» (l’inganno); «scappai tantu ch’annettai lu paisi» (I 5, p. 24); «La chigava comu littri», «in galera a bastunari li pisci», «ci vutai lu culu», «mali per mia», «mi xippa lu cori», «la necessitati mi sforza» (I 5, p. 25); «si non suspiru mi nexi lu xiatu» (I 5, p. 28); «calu mancu vidirò quilla, chi mi xippa lu xiatu», «aiu tuttu lu mundu per amicu», «ma curpa a Dio!» (I 6, p. 36); «S’iu divissi parlari a/cu lu culu», «Mammuzza, gioia mia», «Che diavulu vuliti» (I 9, p.40); «Non su’razza di struzzu per manciari ferru» (II 1, p.62); «comu la viju tuttu mi spagnu», «Sautari supra com un aucillazzu» (II 3, p. 69); «Rusicàti la catina, e cuntati li chiova» (abbiate pazienza) (II 5, p. 72); «pari un’autru Bovu d’Antona», «Un porcu, chi s’ama squartariatu» (II 5, p. 74); «a laudi di Diu» (II 16 , p. 92); «è tempu di minari li pedi» (II 16, p. 95); «fici vutu à centu santi» (III 7, p. 111); «su’ comu lu tizzuni, chi l’unu pizzu abbruxia e l’autru chiangi», «Non importa chi bene, e male, è vita d’huomo», «Moriri a lu lettu di l’onuri»; «Mi fannu lu mussu stortu» (III 22, p. 132); «S’imibiscanu inzembula» (III 24, p. 133) ; «Iu fazzu la scuma, comu la mula» (III 24, p. 134); «ridirò à bucca china», «li casi su’ sudumiti» (III 25, p. 134); «Casta comu la porta di San Iacupu», «Ch’e cosa di ridiri» (III 26 , p. 13); «Si fannu gabbu di mia» (III 27, p. 143).

In ultimo si noti che l’ordine sintattico della frase in molti casi risultata modellato sull’italiano (probabilmente con l’intento di non rendere troppo ostiche al pubblico le battute); diverse sono, infatti, le costruzioni o le espressioni che poco hanno di dialettale; tra le più vistose:

    «E per vintura era la stati» (I 5, p. 24); «in quantu alla fami[...]e in quantu a lu manciari» (I 5, p. 28) «in quantu a mia» (I 17, p. 58); «per paura chi non vi rumpiti li collu in passandu», «Io mi disperava» (II 1, p. 61), «viniri in cognitioni» (III 22, p. 132).

Spicca tra le battute del servo anche un interessante caso di “ci attualizzante”, fenomeno ritenuto proprio dell’italiano parlato: «ficcamuci intra na taverna» (II 7, p. 75).

 

4.3. Fenomeni linguistici: Tratti fonetici

Dalla lettura delle battute di Catonzo si evince con facilità che la componente lessicale è nel parlato di costui molto più caratterizzata rispetto a quella fonetica e morfologica.

Si osservi, infatti, che alcuni fenomeni tipici del dialetto siciliano non sono riscontrabili nella commedia di Belando. Non è presente, ad esempio, l’assimilazione progressiva nel nesso vibrante più dentale sonora; troviamo infatti: parlari (I 5, p. 25; due volte I 9, p. 40 ove è anche parlar; II 16, p. 93) parlamu ( II 1, p. 62), parla (II 6, p. 74);

Rimane immutato anche il digramma g+l in luogo di altre soluzioni grafiche rispecchianti un’eventuale pronuncia velare:

più volte pigliatu (I 5, p. 24 e p. 25), e ancora pigliau, cogliri (I 5, p.24), vogliu (I 5, p. 25; III 22, p. 132; III 25, p.134); vugliri, tagliari, cunigli (I 5, p. 28); taglia (II 3, p. 70), megliu (III 22, p. 132; III 27, p. 143); pigliarimi (III 25, p. 134). Si noti però il caso di oghiu e non ‘ogliu’ (II 3, p.70).

Anche per ciò che riguarda i fenomeni di cacuminizzazione, troviamo attestata la doppia < l > in luogo della doppia < d > (come accade nel siciliano):

   quilli, mascillati (I 5, p. 24) più volte quilla (I 5, p. 25; I 6, p. 36; II 3, p. 70), cappellu, citella, quillu (I 5, p. 25; l’ultimo anche in II 16, p. 92 e in III 22, p. 132); agnelli, gallini (I 5, p. 28); spiranzella, stintelli (I 7, p. 37); collu (II 1, p. 61); aucillazzu (II 3, p. 69), mascilli, capilli, belli (II 3, p. 70); bella (II 5, p. 72 e II 16, p. 93), citella (II, 5, p. 72); mixilli (II 16, p. 93); due volte chillu (III 22, p. 131 e p.132), e poi illu, scutelli (III 22, p. 132), due volte chilla (III 24, p. 133 e 26); guallarusu, zollarusu (III 27, p. 138).

Più interessante è, invece, la mancata assimilazione progressiva della dentale sonora nel nesso nasale+dentale sonora in quanto caratteristico proprio del dialetto messinese rispetto agli altri dialetti siciliani, che conserva -nd- così come -mb- . Leggiamo infatti:

   quandu (due volte in I 5, p. 23 anche in II 8, p. 79); non ndi (I 5, p. 23), ripetutamente in tutti e tre gli atti mindi (I 5, p. 23, p. 24, p. 25; III 22, p. 132) , più volte facendu (I 5, p. 23, p. 24);, mundari (I 5, p. 23)  vidédu, ripetuto più volte nella stessa scena, mundu, dimandandu (I 5, p. 24); fuiendu, fingendu, rubbandu, havédu, anche dopo (II 8, p. 79) d’undi, intendiri, intendu (I 5, p. 25); mundalori (I 5, p.27); iamunindi (I 11, p. 42); essendu (II 1, p. 60); passandu, sindi (II 1, p. 61); rispundiri (II 6, p. 74); facendi, mirindari (II 8, p. 79), standu (III 7, p. 113), fundu, (III 7, p. 114), sindi ijra (III 22., p. 132).

I nessi -mb- ed -nd-, come precisa Alberto Varvaro[49], devono considerarsi indigeni e ciò dimostra che il messinese, più che innovatore, è un dialetto conservatore che ha difeso la propria identità.

D’altra parte si riscontra anche una metatesi più volte ricorrente (I 11, p. 42; II 8, p. 79 e II 16, p. 93): palori per ‘paroli’; è impiegato anche il termine mundalori da mundari (I 5, pp.27-28).

 

4.4. Dichiaratione dei vocaboli oscuri

È indispensabile ricordare che in appendice a Gli amorosi inganni è presente una “Dichiaratione dei vocaboli oscuri spagnuoli e siciliani per Alfabeto”, un ingenuo tentativo, lacunoso e scorretto, di apparato alla commedia (composto da circa 60 vocaboli nella sezione dedicata al siciliano e di un numero più cospicuo di vocaboli spagnoli) che l’autore aggiunge dopo una lettera conclusiva (nella premessa al “benigno lettore” aveva precisato che il siciliano è la sua lingua materna e che nelle cinque lingue del testo ha scelto “i più chiari vocaboli” che gli “son parsi più intellegibili”).

Tra i termini in siciliano si nota la presenza di vocaboli ormai desueti o dall’incerta etimologia.

Per esempio la voce verbale arrancari, più comunemente usato per indicare ‘il camminare che fanno con fretta gli zoppi o sciancati, quasi che si tirino e si strascinino dietro l’anche’ (Mortillaro, Nicotra) qui inteso nel senso attivo, meno frequente, di ‘metter mano alla spada’(‘estrarre la spada dal fodero’ in VS); o il termine boffa, tradotto dal Belando come ‘guanciata’ da cui è probabilmente ‘mmoffa’; e ancora il sintagma avverbiale “na picca” (un poco) o scavuzzu per schiavo.

A proposito di “picca” si noti che questo è stato l’elemento linguistico grazie al quale gli studiosi del passato hanno ipotizzato l’origine messinese di Belando: C. Naselli scriveva nel 1933: «colpisce l’avverbio picca usato sostantivamente con l’articolo al femminile. Quest’uso, ignorato negli altri luoghi dell’isola, è tuttora vivente nella provincia di Messina».[50]

Particolarmente interessante la presenza del termine ‘scantusu’ tradotto da Belando come ‘asino’ (deriverebbe, secondo il Gioeni, dal greco ??????), e non come ‘pauroso’, ‘pavido’, nell’accezione più comune con la quale viene utilizzato anche oggi il termine (è presente nella  stessa Dichiaratione, tra l’altro, anche la voce ‘mi scantu’ tradotta ‘ho paura’), facendoci supporre (le ipotesi attendono conferma) un etimo diverso per i due significati del vocabolo e una probabile sovrapposizione di questi in un periodo successivo.  Nel dizionario del Traina[51] sono presenti le due definizioni: ‘che ha paura, che di leggieri teme: pauroso’ e ‘asinello’ (con riferimento a Caruso); troviamo la definizione di ‘asinello’ anche nel VS[52] nel quale si rimanda pure al femminile ‘scantusa’ ‘asina’ (fonti indicate: l’Antico anonimo Vocabolario siciliano italiano[53], il Traina sopracitato e lo Spatafora[54] per il termine al maschile e solo l’AA per il femminile).

È il Gioeni[55] nel saggio sulle etimologie siciliane a parlare di “anfibologia” tra l’aggettivo scantusu e il sostantivo ??????. La definizione non è presente nè sul Battaglia nè sul DEI.

 

 

5. Il lombardo

 

5.1. Zanne: cenni sulla maschera

“Il primo servo o Zanni si può fare in qualsivoglia lingua: si pratica però farlo in milanese, bergamasco, siciliano o altre maniere, che abbia dell’astuto, convenendo ai napoletani, e bergamaschi e l’astuzia e la sciocchezza per lo parlar goffo e per l’astuzie del trattare. Il suo officio sarà tirar l’intrigo, ed imbrogliar le Carte” (A. Perrucci, 1699).[56]

Si introduce il paragrafo dedicato al dialetto bergamasco (definito più genericamente lombardo) con la “regola” che A. Perrucci fissa per gli attori che devono vestire i panni del primo zanni in quanto questa maschera ha già ne Gli amorosi inganni diversi dei requisiti che diventeranno istituzionali nel corso del XVII secolo[57]. A Zanne, servitore del Magnifico, ruffiano all’occorrenza, è affidata, infatti, l’orditura della trama dell’azione soprattutto nel terzo atto (esattamente in ventidue scene su ventisette totali). È lui che, esercitando l’arte del ruffiano, riesce ad accontentare i desideri amorosi femminili che risulteranno, al momento dello scioglimento finale, i più convenienti anche per gli uomini. Il suo dialetto, il bergamasco; risulta meno caratterizzato e soprattutto meno caratterizzante rispetto al siciliano dell’altro servo, Catonzo (Belando stesso nella premessa al Benigno lettore ci tiene a precisare che “se’l Zanne non parlerà tutto bergamasco, parlerà mezzo lombardo, ma più intelligibile”); In base a queste considerazioni, e a seguito dell’analisi fonetica e morfologica, si è preferito definire il suo dialetto più genericamente lombardo.

 

5.2. Fenomeni linguistici: Lessico e sintassi

Incontriamo Zanne per la prima volta nella tredicesima scena del primo atto, in compagnia del Magnifico che parla forbitamente dell’Amore e della difficoltà di capirne l’origine e l’essenza; egli fin dall’inizio beffa il padrone per il sentimento, non consono all’età, che prova per una donna troppo più giovane di lui. A tal proposito di seguito si riportano le numerose battute del servo utili a meglio individuare i suoi rapporti col Busnatico e anche con gli altri personaggi che egli manovra esercitando l’arte di ruffiano. Al Magnifico così si rivolge sin dal primo atto:

  «Quest’è quel che mi voleva dir messir, che quest’Amor v’hà fatt pusellanem» (I 13, p. 47); «Mes- sir nouf ve despere, che fors haveri trovate el medego al voster mal d’Amur. Mi a dirvel a no voi stà più» (II 12, p. 87); «Signur? Quest el’ho fat per amur voster», «Andè, e stè insperanza, lassè far à mi», «Signur? Lassè andà via prima a mi», «andaro speculand, nel me mazzuch el mod ca possi fa azzò che vegni all intent voster»,«me recomand; ti sta fresch, bon scommenzament» (II 12, p. 88).

Poi alle donne raccomanda:

  «a vorro, che una de vù me lava i pe, e l’otra me i’asciuga, e po besognerà, che mi dorma in mez de vu dò, altrament e me disruffianero»(III 9, p. 117);

e ancora al e del padrone dice:

    «A des stava à pensa el mod’ch’a pudiva tegni per farvi content»; «Andè via, e torne de quà a dò hore, ch’haverì tuch quel che desiderè, ma con quest’, che v’arecorde, del voster servitur Zanne» (III 12, p. 120); «e burlà sto vecchias mat» (III 14, p. 123); «Ave rengraci, Messir; O’l gran liberal : no tardè piu patrù c’ho fach tant che ho condott la vostra amurusa in casa vostra»( III 18, p. 128); «entrè senza dir olter ma guardè no ghe fa mal» (III 18, p. 129).

 Il vecchio padrone non viene nemmeno dispensato da un buon numero di appellativi ingiuriosi da parte del servitore, che utilizza le stesse maniere brusche pure con la serva Filicetta di lui innamorata. A lui così Zanne si rivolge: 

    «Si più avar che Mida, e vecch come l’Inprincipio» (I 13, p. 48); «vu sé vecch per dà el nas del cul à Caronte» (I 13, p. 48); «ch’aspendi trop, no corrompi la vostra natura» (I 13, p. 49); «vu si vecch, e n’havì gratia à fa l’amur, no vedì ch’a pari un invod, o ‘l barba del  temp» (I 16, p. 57); «sto vecchiaz del me patru [… ] l’è la più redicula cosa del mond’» (II 9, p. 80); «A n’incaghi Pantalù con tutta la soa pantalunaria» (III 5, p. 104); «Andef a farve squartà» (III 5, p. 105).

Alla donna invece: 

  «Fam un piasi? và in casa e pia una gratta formai e scomenzatel à grattà; ò và in Greva, e fat calcà el pellizzù da trenta Crucettui, che ti passerà la foia» (I 15, p. 56).

Ovviamente non potevano mancare nemmeno le imprecazioni che contribuiscono a evidenziare l’origine popolare del servo:

«o Diavol» (II 9, p. 81); «Cancar a deventerò» (III, 5, p.105); «al corpo del diavol» (III 6, p. 108); «Al sangue de santa Slora (Flora)» (III 7, p. 109); «al corpo de io» (III 9, p. 117); «o’ andeuf a squartà vù olter» (III 10, p. 118); «và à bas Mambrin» (III 16, p. 127);«Cancar»» (III 17, p. 127); «Cancar ve magna» (III 27, p. 143).

Rivelano un’origine umile anche la maggior parte dei numerosi modi di dire e delle sentenze presenti nel testo, a volte marcatamente popolari:

   «Ve sta be’, come la sella a i Asini» (I 13, p. 48); «come i steccadent inanz’al past», «dar el nas in del cul à Caronte» (I 13, p. 48); «amur è una fantastega bestia, e dolce, che lasa legà con un fil ver- de inzucarat, e daspò no se pol deslegà» (I 13, p. 49); «ne amor ne regn’ no cerca compagnia» (I 13, pp. 49-50); «mi cred che ti pensi che mi fia razza de Can; che subito nasa, lecca e monta» (I 15, p. 56); «Po’ c’havi fat un past per openiù» (I 16, p. 58); «mi non so bon Asen per te sfoià»,« Tu rutti come le vacche?», «Douf stà una vacca, no ghe pol stà un’Asen?» (II 10, p. 84); «cognos che i zentilhomen se governa al contri, che dous besoga allenta i tira, e douf besogna tirà i allenta» (II 12, p. 86); «come se sol dir per paraverb, à chigarola, non ghe vol cul stret» (II 12, p. 88); «à tuch el gh’è remedi, ecett a la mort?» (III 6, p. 107); «s’a’ volì la caren, a’ pagherì la salsa» (III 6, p. 108); «stavolta sborseri in gros, e d’avantaz» (III 7, pp. 109-110); «i parla de ruffià, son com’i Bracchi», «Voi compari franch, com’un tabacchi» (III 7, p. 11); «el me basta l’anem di corrompì non solament un romit, ma cent Monasteri, e l’istessa Castitat», «Dopo farem basà Marte con vener» (III 7, p. 113); «el ghe vol quel, che fa cantà i orbi, idest daner»,«senza parlà per parabola» (III 7, p. 114); «vu ch’anda al lavaiu per pescà de perle, vù che sol che dal lovant ala polenta per farve ricch» (III 10, p. 118); «han trovat el tesor tra le barbe de le donne» (III 10, p. 119); «com’el se sol di ch’affitta el cul, no pol sentà quand ghe pias», «che me possa anegà in mar com’un pes», «Tel farò toccà con la man» (III 13, p. 122); «O ades voi scomenzà a tesser la tela, che l’ezà tramada» (III 14, p. 123); «mi fari mover i vermi; và à bas Mambrin», «Questa non è erba per la toa bocca» (III 16, p. 127); «i farà una gran scargada de balestra»,«Ghe farà del brod sta volta», «ti penserà de scarda lana spagnola, e ti pettenerà mataraz de contadi» (III 17, p. 127); «v’aspetta con più voluntat, che i zaltru n’aspetta el di dei mort», «A l è più cotta de vù, che vù no se cruda d’essa» (III 18, p. 128); «l’è de latt, rose, e zuccar» (III 18, p. 129); «come dis el ratt a le nos, senza rumor» (III 20, p. 130); «penserà d’esser alozà in val strettura e farà in contrà laga», «Avaghi per la più curta con la paura appres», «salva panza pro fichis» (III 21, p. 132); «à so che la paura el se m’è stampada in tal modo à dos che no’saref segur in dul castel de Milà» (III 27, p. 138).

Molte delle metafore pronunciate da Zanne evidenziano il suo ruolo di ruffiano, artefice del destino altrui, anche di persone appartenenti ad un livello sociale superiore (risponde al Magnifico con la stessa metafora continuata legata al gergo marinaresco):

   «E ve digh signor Pintaliron, che quest vostr’battel, quãd ch’a penseri d’esser arivat in port, el se leverà una tempesta che’l farà andà in ti scoi, e apres à veghi descargà una borrasca de bastonadi solennal, che ve farà perder el timù, e la bossola» (I 13, pp. 50-51); «el vent de la presunti, che spenzerà nel port de legnagh» (I 14, p. 52); «vu no podi ?ntrà nel castel de le dolcezze, senza la scala de Zan bocca d’or» (II 12, p. 88); «vu havè chi lò medego, che ve farà guarir senza sal» (III 4, p. 104); «non dubitè che cco sant’Elmo, ch’appar alla vostra tempesta» (III 6, p. 107); «i vostri Ganimedi in le braz», «Andeve a lavà le botteghe ch’havere più caren che pan» (III 9, p. 118); «le vacche son in le stalle, che aspettan i tori» (III 20, p. 130).

Non mancano nel testo nemmeno due riferimenti alla lingua messi in bocca allo zanni. Eccoli:

  «Son ruffiano in lingua tosca, tabachì in lingua bergamasca, macareu in lengua infrazosada , alcahueto in lengua spagnola, lenon in latin, et in rispettivo modo: porta pollastrei cortesanesco, e cazzador de puttane d’honor» (II 12, p. 87); «ve daro una sganciata, per parlà toscà, alias schiaffaz» (III 9, p. 117).

Così come è stato fatto per la maschera di Catonzo, si considerano adesso quei fenomeni che attuano la mimesi del parlato, in primis i deittici:

   «Quest’è quel che mi voleva dir; quest’Amor» (I 13, p. 47); «lassa quest’Amur», «questi negotij (I 13, p. 48); «quest’è la vera quinta (ò più tost la sesta) essentia, quest’è la vera piera philosofal» (III 5, p. 104); «ma chi è questa somna?» (III 5, p. 105); «sto vecchiaz pultrù; ste povere fomne» (III 6, p. 108); «sto Capitani», «Quei soldai del Tenca» (III 7, p. 110); «quest’è la vera Alchimia, quest’è ‘l ver tesor, quest’e la vera ricchezza» (III 10, p. 118); «questa bugada» (III 12, p. 120); «Quest’è stat» (III 13, p. 122); «e burlà sto vecchias mat» (III 14, p. 123); «ades ch’è assai nott» (III 16, p. 126); «me voi retirà in sto cantù» (III 19, p.129); «la fin de sta Comedia» (III 21, p. 132); «quest’ inganni; sta volta» (III 27, p.143); «Quest’ch’è seguit; à sta Comedia; sta brigada» (III 27, p. 145).

Non disgiunti sono quegli enunciati non verbali costituiti da interiezione+deissi, tipici del parlato teatrale (è facile constatare dalla lettura della commedia che il costrutto ecco+sostantivo si conferma come modulo stereotipico di presentazione del personaggio che sta per entrare in scena):

  «O eccol, chilò» (II 11, p.85); «o ecco chilo el messir» (III 10, p. 119); «o ecco chilò Filicetta» (III 12, p. 120); «o eccon, chi lo unà» (III 14, p. 124); «o ecchilo la signora Camilla» (III 15, p. 124); «o ecco chilò el Messir » (III 17, p. 127) «o l’è chilò tutta la canaia» (III 27, p. 138).

Anche nelle battute dello zanni la funzione fatica è affidata soprattutto a verbi che risultano funzionali all’interazione tra i personaggi o rispondenti all’ esigenza di aggiustare l’esposizione, sottolineare enfaticamente qualche momento o ravvivare il rapporto con l’interlocutore, come negli esempi che seguono:

   «A ve dirò Signur» (I 13, p. 49); «a batterò» (I 13, p. 51); «andem realment a manghià» (I 16, p. 58); «Vederò de partim de pantalù escovert ruffià», «guadagnerò e me i farò tuch servidori», «olvè verso de mi Filicetta a voi senzer de farghe bon vis, che fors la me servirà a sto lavor».( II 9, p. 80); «o a des a voi scomenzà à ordi la tela. Adomanderò licentia», «a voi sta à senti quel che ‘l dis» (II 11, p. 85); «Signur à ve dirò», «Segui el voster discurs, ch’ave respondero fidelment» (II 12, p. 86); «Tornè de quà a do hore», «andè, e stè in speranza», «Lassè andà via prima a mi, che andaro speculand» (II 12, p. 88); «A vaghi speculand», «Che voli fa?», «Che voli perder l’Anima, e ‘l corp? Andè in bordel» (III 4, p. 103); «Ande povera fomna» (III 4, p. 104); «Andè pur signura» (III 5, p. 104); «A la voi stà à sentì» (III 5, p. 105); «al voi roversà» (III 6, p. 107); «Ande e fideu de mi», «A’ vòi stà a sentì quel, che i’ dis» (III 6, p. 108); «sta volta sborseri ingros, e d’avantaz, a ve voi ingannà» (III 7, pp. 109-110); «a no me voi anca descovrì» (III 7, p. 110); «a voi senti el fin», «a’ pagherì el montù per corduà» (III 7, p. 111); «vegnidrè de mi», «spazzem sta beretta, forbim ste scarpi, nett? sto mantel, grat? el co»,«andè, e tornè de qua a do hore, che ve serviro da scopeter» (III 7, p. 115); «lassè fà à chi sà fà» (III 8, p. 116); «ve daro una sganciata» (III 9, p. 117); «Andè in casa» (III 9, p. 118);«A voi stà a senti quel che’l dis» (III 10, p. 119); «a me voi discovri», «a des stava à pensa el mod’ch’a pudiva tegni per farvi content», «andè via, e torne de quà a dò hore» (III 11, p. 120); «O el bisogna ades filosofà», «à voi stà à senti el so discors» (III 12, p. 120); «a te voi contentà in ogni mod’», «e con tuch el cor t’abraz, e basi con affetiù», «vegnim alla prova ch’a tel faro toccà con la man» (III 13, p. 122); «entra in casa del me patrù e aspettam in quella camera», «ti vegnerò a trovà» (III 13, p. 123); «O ades voi scomenzà a tesser la tela», «ghe mandero el me patrù» (III 14, p. 123); «a voi aspettà le fomne, per metter in esecutiù el me lavor» (III 14, pp.123-124); «stè in orden, perche a ve faro prest contenta» (III 15, p. 124); «gl’ho condott’e’l me patrù», «e gh’ho fatt spender», «Oh vegnim a la conclusiù », «Ande in casa de la signura Camilla, e vu signura Camilla ande in casa de la signura Dorotea»,« ve farò vegni i vostri amanti; perche a voi ingannà i homin, per contentà vù olter pettegole», «Corri dentra acchiappà el boccù, e fem brindis» (III 16, p. 126); «Andè in bordel, no m’abbrazzè», «Andè nò stè più» (III 16, p. 127); «à te ghe farò stà questa volta», «o voi stà à senti quel che’l dis» (III 17, p. 127); «ho condott la vostra amurusa in casa vostra e v’aspetta» (III 18, p.128); «entrè senza dir olter» (III 18, p. 129); «Va pur là», «O à veghi el Capitan che i ven verso de me, a me voi retirà in sto cantù» (III 19, p. 129); «Capitan entré», «vu signor Cintio entrè da la signura Camilla» (III 20, p. 131); «ho intrigat tuch tre i homin», «Voi anda à vesti da porcoradur, e incognit intender la fin de sta Comedia» (III 21, p. 132); «A voi stà retirat» (III 27, p. 138); «A v’ingannè fradei, eccomi discovert, à son Zanne» (III 27, p. 143); «Entrè tuch in casa», «Fazzand segn d’allegrezza» (III 27, p. 145).

Presenti alcune ripetizioni, proprie dei registri colloquiali:

   «Ohidè ohidè» (I 13, p. 49); «Vive vive pur in speranza sorella» (II 10, p. 84); «Ralegref, ralegref» (III 6, p. 107); «A la fe a la fe» (III 7, p. 109).

Colorano il linguaggio di Zanne (così come quello di Catonzo) anche diverse accumulazioni:

  «besogna prima esser cestista, zuffista, stanghi sta, coloneghista e poi prior de Doana  (I 13, p. 49); «un Zoven inamorat […] l’è liberal, cortes, magnanem, Zentil in somma, el t’e compagn’ti espenditor, cogh, maiordom, secretari, infin ti è el fac totum (II 9, p. 79); «questa te fa accarezzà  da i Rè, Principi, Duchi, Conti, Marchis, Cavalier, e Barù», «sto vecchiaz del me patru, ch’el se profuma, pettena, frega» (II 9, p. 80); «per presta la moier, la sorella, la nezza, la cusina, la fiola» (II 9, p. 89); «signura i presenti, le carez, i favor» (III 8, p. 116); «quest’è la vera Alchimia, quest’è’l ver tesor, quest’è la vera ricchezza» (III 10, pp. 118-119).

La forza illocutoria degli enunciati è pure in questo caso spesso incrementata dal ricorso ad accrescitivi, superlativi diminutivi o dispregiativi, caratteristici del registro comico.

Ecco dunque gli alterati, sempre ricorrenti nel linguaggio del servo:

  «in grad nobilissem», «sto vecchiaz del me patru» (II 9, p. 80); «antighissima, & onorada art de la Illustrissima ruffianaria» (II 12, p. 87); «realissim maccarel», «sto vecchiaz» (III 6, p. 108); «el me solit cervellaz»(III 7, p. 110), «de realissem ruffià» (III 9, p. 118), «questa bugada, vecchiaz poltrù» (III 12, p. 120), si noti in particolare l’uso del prefisso per formare il superlativo in «mi son arcicontentissem» (III 27, p. 145).

 

5.3. Fenomeni linguistici: tratti fonetici

Per quanto riguarda la fonetica, questa nella riproduzione del bergamasco è, come precisato dal Belando stesso, meno caratterizzata rispetto al siciliano o al veneziano, tant’è che ho preferito parlare piuttosto di lombardo.

Il fenomeno più evidente è la frequentissima apocope di cui si riportano solo i primi esempi: 

   quel, fatt, pusselanem, valent, scaltrit, gof, dott, ignorant, matt, caval, destrier, inamorat, scomponicchià, sonettecchià, scantacchià, petrarchì, ma (per mano), matt (I 13, p. 47); carnositat, tuch, tornà, andà, cercà, avar, vecch, aroversat, cozzù, tal, stè, cervel, son, past, caren, daner, zoven, vecch, nas, cul (I 13, p.48)...

Altro fenomeno rilevato tipico del lombardo è la sonorizzazione di -t- a - d- tra due vocali:

   reficiadi (I 16, p. 58); inamoradi, servidori, intradi, montadi (II 9, p. 80); bastonada (II 9, p. 81); amada, fradella (II 10, p. 83); ma latina (II 11, p. 86); honorada; infranzosada (II 12, p. 87); cavalcada (III 6, p. 107); soldadi (III 7, p. 110); soldadi, staffiladi (III 7, p. 111); rodomontadi (III 7, p. 114); tramada (III 14, p. 123); serradi (III 16, p. 126); scargada (III 17, p. 127); barricade (III 20, p. 130); feride (III 21, p. 131); stampada (III 27, p. 138), brigada, finida (III 27, p. 145); piasuda (III 27, p. 146).

Solo rarissimo lo scempiamento delle consonanti geminate:

   lasa (I 13, p. 48); arivat (I 13, p. 50); inamorat (II 9, p. 79); vech, inamora, oposit, inamoradi, mecanica (II 9, p. 80); colera (II 12, p. 86); recomand (II 12, p. 88); Vechiaz (III 6, p. 108).

La spirantizzazione di G, J, TJ, DJ latini in [z] è visibile nei seguenti esempi:

   zoventù, Zoven (I 13, p. 48); scomenzatel (I 15, p. 56); zentil (II 9, p. 79); zà (II 9, p. 80); despiasi, plasi, frezza (II 10, p. 83); Maz (per maggio) (II 10, p. 84); zentilhomen, zener (II 12, p. 86); braz (per braccia) (III 9, p. 118); dis (III 10, p. 119); imazin (III 12, p. 120), basi (III 13, p. 122); scomenzà (III 14, p. 123), abrazzè; bas (III 16, p. 127); nos (per noce) (III 20, p. 130); alozà, fuzi (III 21, p. 131); piasuda, fazzand (III 27, p. 146).

In altri casi l’esito della c è g (sonorizzazione), come notiamo in:

   fantastega (I 13, p. 49); perigol (I 13, p. 50); più volte digh (I 13, p. 50, II 10, p. 83; II 10, p. 84 ); diga (II 9, p. 80); seguram?t (II 9, p. 81); antighissima (II 12, p. 87); medego (II 12, p. 87 e III 4, p. 104); faghi (III 6, p. 107); più volte ghe o gh’ (III 10, p. 118; ripetutamente in III 16, p. 126); segur (III 27, p. 138).

L’esito di LJ- è [j] o [i] anzicché [Y] nelle seguenti occorrenze:

taià (I 13, p. 49); scoi (per scogli) (I 13, p. 50); meraveia (I 14, p. 52); pia (I 15, p. 56); fiola (III 4, p. 103); taiat (III 21, p. 132); canaia (III 27, p. 138).

Si noti inoltre che il fenomeno della presenza di e laddove ci si aspetterebbe i è complesso e raggruppa casi di mancata anafonesi, mancata chiusura di e protonica e altro:

pusselanem (I 13, p. 47); più volte: besogna (I 13, p. 49; II 11, p. 86, III7, p.113; anche besogn III 7 p. 114); asen, vencerò (II 10, p. 84); despere, medego, lingua, lengua (II 12, p. 87); anem (III 7, p. 113);besognerà (III 9, p. 117); rengraci (III 18, p. 128); navegherà, retirà (III 19, p. 129).

Analogo alla e il mantenimento di o in luogo di u in tre occorrenze: borrasca (I 13, p. 50); soa (I 16, p. 57) e toa (III 16, p. 127).

Da evidenziarsi ancora che il pronome di prima persona è indicato sia con a che, con minor frequenza, con e. Per quanto riguarda la prima opzione leggiamo infatti:

   à piansi, a ve dirò, a iera arivat (I 13, p. 49); a’ portavi, a’ ghel dè, à veghi (I 13, p. 50); aghe (a ghe) vaghi (I 13, p. 51); a cognos (II 9, p. 80); a voi senzer (II 9, p. 81); a no sò, à te digh, à no parli (II 10, p. 84); a voi scomenzà, A domandero, A voi stà à senti (II 11, p. 85); à ve dirò, À me ritrovi, A ve respondero (II 12, p. 86); a vaghi (III 4, p. 103); a la voi stà (III 5, p. 105); a voi sta (III 6, p. 108); a ve voi; a non me voi (III 7, p. 110); a lasseri (III 7, p. 112); a ve daro, a vorro (III 9, p. 117); a ve promet (III 9, p. 118) a voi stà a senti (III 10, p. 119); a me voi discovri (III 11, p. 120); à voi stà (III 12, p. 120); à cognos (IIII 13, p.121); a te voi contentà; a tel faro toccà (III 13, p.122); a voi scomenzà; a voi aspettà (III 14, p. 123); a ve faro (III 15, p. 124); a ve ringraci, a ve farò vegni, a voi ingannà (III 16, p. 126); à pens, à te ghe farò (III 17, p. 127); a ve rengraci (III 18, p. 128); a pens, à veghi, a me voi retirà (III 19, p.129); a no pos, à me voi, a vaghi (III 21, p. 131);à  so, a voi stà retirat (III 27, p.138); a v’ingannè, à son Zanne (III 27, p.143); a vulì dì (III 27, p.145).

Troviamo e nei seguenti casi:

   e ve digh (I 13, P. 50);  e son in colera (II 12, p. 86); e l’ho fat (II 12, p. 88); e me disruffianerò (III 9, p. 117); e gh’ho condott, E gh’ho fatt spender (III 16, p. 126);  è ho intrigat (III 21, p. 131).

In tre occorrenze il pronome di terza persona è i :

i dis (III 6, p. 108); i farà (III 17, p. 127); i me dà (III 20, p. 130).

Il ricorso alla particella pronominale atona (mi e ti) con funzione di soggetto può constatarsi in:

   mi ve voliva dir (I 13, 47); mi cred, mi sia (I 15, p. 56); mi son (I 17, p. 59); mi mo (II 9, p. 60); mi te poraf, ti dis (II 10, p. 83); ti rutti (II 10, p. 84); ti sta fresch (II 12, p. 88); mi no hò de besogn (III 7, p 114); mi dorma (III 9, p. 117); ti me porti, mi non t’haver portat (III 13, p. 122); ti penserà, ti pettenerà (III 17, p. 127); se mi non haves (III 27, p. 143); mi son arcicontentissem, mi vi intend, mi lasserò (III 27, p. 145).

Si riscontra vu quale pronome di seconda persona nei casi che seguono:

tornà in vu, vu ve p?sare, vu no sé cozzù, vu non avè, vu vedi, vù sé vecch (I 13, p. 48); vu no podi (II 12, p. 88); vu farè, farè la cavalcada vu (III 6, p. 107); vù messir hares, vù signor Cintio (III 27, p. 143).

 

 

6. Il veneziano

 

6.1. Il Magnifico: cenni sulla maschera

“Mercadante avaro, stitico, e facile a innamorarsi”[58]così A. Perrucci descrive sintenticamente una delle più antiche maschere della Commedia dell’Arte, quella di Pantalone o il Magnifico, mercante veneziano, anziano, ricco ma spilorcio e destinato ad esser gabbato (per lo più dai giovani o dal servo), spesso in competizione con gli innamorati nel tentativo di conquistare una donna[59].

Ne Gli amorosi inganni il personaggio appare quasi sempre in coppia con Zanne col quale non si confronta mai in un dialogo vero e proprio quanto in “una gara di reciproca sopraffazione, secondo la buona tradizione del teatro di performance che antepone il rapporto col pubblico alla finzione rappresentativa”[60].

6.2 Fenomeni linguistici: Lessico e sintassi

L’analisi della lingua del Magnifico (“l’antica veneziana e non come si scortica al presente a Vinegia”, precisa l’autore nelle pagine dedicate al Benigno lettore) prende il via dall’esame del linguaggio proprio della maschera in quanto le caratteristiche di quest’ultima meglio ci aiutano a definire la fisionomia del personaggio.

In primis, ricorrono nel modo di esprimersi dell’uomo «parole e locuzioni che hanno quasi sempre una coloritura iperbolicamente affettiva che si manifesta in espressioni molto sdolcinate, aventi la funzione di metter in caricatura il vecchio comicamente in cerca di avventure amorose». [61]

È evidente che in questo caso la funzione del linguaggio è di parodia (si ingigantisce la passione amorosa illusoria e artefatta di Pantalone per metterne a nudo la vacuità). Leggiamo infatti:

   «farme entrar questo mio battello nel porto delle dolcezze» (I 13, p. 50); «Madonna, mostosa, bella, rara, atque bragardissima,non se maraveia la cortesia vostra se la mia senetue, spinta da la cupiditae, ha montao a cavallo, a la zaffa del desiderio per dar una corsa al prao de le vostre dolcezze (…)»(I 14, p. 52); « mi povero soldao fantacin desnombolao»(I 14, pp. 52-53); «come Bellona pietosa, et ego soldato cupidineo (...) colui che ha militao sotto l’insegne  de le vostre grazie sarà tegnua per una capitanesca intrepida e mi par un fidel combattente per memoria eterna de la soa ampla e real zenerositae»; «a onor e gloria della vostra deitae»; «vu meriteressè un niovo Homero per immortalar il meritevolissimo merito vostro» (I 14, p. 53); nella lode alfabetica per la donna:«A. Alimento zentil del mio fiozzo;B. Bastion rinforzao del mio cannon; C. Carta real de la mia dolce penna; D. Danae de questa aurea mia pioza [...]; Et. Etna che questo cuor bruza e consuma» (I 14, p. 54); «Con.Confetto eterno d’ogni mia dolcezza; Run. Rundinella letal di ogni mio ben» (I 14, p. 55); «quel velo negro par una massa d’argento lavorao de fresco infio all’hora da le man del mistro» (I 16, p. 57).

Sia nei confronti di Zanne che della donna il vecchio si rivolge con modi affettuosi:

«Zanne fio mio» (I 13, p. 50); «Zanne fio mio caro»(I 13, p. 45); «fià dolce» (I 14, p. 53); «Ah’ fia mia dolce» (III 27, p. 139).

Inoltre egli infarcisce i suoi discorsi con proverbi, massime, modi di dire che delineano la saggezza e la prudenza dell’uomo anziano il quale “in virtù della vita vissuta e dell’esperienza compiuta, enuncia intenzionalmente e per un diritto che sembra essergli riconosciuto, consigli e massime per gli altri”[62]; precisa infatti nella commedia (I 13 p. 50): «te’l portave provar con mille esempi e autoritae, tanto con le sacrae lettere, come con le profane». Eccone alcuni:

  «El xè in ogni luogo, e chi è in ogni liogo, nõ è in nessun liego», «No puol stare le piegore con le Masenete» (I 13, p. 46); «sì com la ghiozza d’acqua col cõtinuar rompe la dura pietra, così con la pacienzia s’acquista la grazia della donna» (I 13, p. 49) «no besogna mai vituperar homo sotto cappa, ne donna sotto strazza» (II 13, p. 89); «se no fosse la speranza, che mantien l’huomo, el meschin porave morir nel cumulo de l’aversitae, e sopelirle ne le scoazze de la disperation» (III 11, p. 119); «In effetto dise un detto, come Zanne m’ha ditto, che à cagaruola nò ghe vuol culo stretto» (III 18, p. 128).

Lo stesso linguaggio gnomico, tra l’altro, tende ad una più evidente ricerca di espressività con il frequente ricorso a anafore e metafore, a volte molto artificiose, come negli altri esempi che seguono, tra i quali è la lunga metafora sull’Amore del I atto che qui è riportata solo in parte:

  «essendo nassuo col mondo, besogna che’l sia vecchio, e tamen è sempre fantolin [...] non s’ha mai podesto far un vestio, ma quotidie mostra el culetto e la becchina». (I 13, pp. 45-46); «Amor m’hà invidao alle Nozze dei mal contenti infiamai, in cambio de l’antipasto el m’ha dao una piadena de sperãza, inpeverao ne le spetie dei dolori, una manestra sasonà nel grasso de le aspettative, l’alesso cotto nel lavezo dei tormenti, l’arosto infilzao nel speo de la tribulation...». (I 16, pp. 57-58); «Ahimè, chaveva el miedego in casa, e moriva de fame (come se suol dir) in un forno de pan» (II 12, p. 87); «Costè è vegnuo […] per essere la fontana de tutte le scientie, e se el me par una solenne piegora» (II 15, p. 91); «queste tal bestie sono come quei uselli che son cargai de piume e non han carne, e in cambio de menar le man menan le gambe»; «Resterave una forma da sartor». (III 11, p. 119); «mà me par d’esser à cavallo» (III 11, p. 120); «S’havesse piao la strada c’hò pia adesso, la vacca sarave nostra» (III 18, p. 128). “Classica” è anche la metafora di tipo marinaresco: «e son el più alliegro homo che solca col battel d’Amor el Mar venereo» (II 13, p. 89); «Ben Zanne quando daremo fondi à questo battel nel mar del la Carnalitae (III 18, p. 128).

Non mancano, consone al ruolo che la maschera ricopre, locuzioni latine o espressioni pedantesche che, insieme alla citazioni dotte, colorano e delineano, non senza intento caricaturale, la fisionomia del personaggio. Ecco termini e locuzioni latine:

   «tamen»(I 13, p. 45); «quotidie» (I 13, p. 46); «non solum in verbis, ma in operibus» (II 12, p. 88); «la voio mordere, e basar in forma camera & cum omnibus circumstantijs» (III 18, p. 129). 

Seguono le citazioni erudite; la prima, dal Petrarca, è, naturalmente, sull’amore:

Ei nacque d’otio , e di lascivia humana,

Nudrito di pensier dolci, e suavi,

Fatto signor, e dio di gente vana (I 13, p.46). 

Sullo stesso tema sono i versi dal “gran poeta Burchielo”:

Amore è un trastullo,

che mette in campo nero fava rossa,

e cava il dolce mel dalle dur’ossa (I 13, p. 47).

Ancora da Ovidio:

 sì com la ghiozza d’acqua col cõtinuar rompe la dura pietra

così con la pacienza s’aquista la gratia de la donna (I 13, p. 49).

Da “Virzilio”: Omnia vincit Amor (I 13, p. 48)

E infine: «Mi penso Zanne, che Medea, Circe, ne Medusa sia stae mai tanto crudeli com’è costia verso de mi, l’ha tanta pietae de mi come Lucifero hà de Zulian l’Apostata’ o Plutõ de Zuan Calvin» (II 12, p. 87).

In tante battute del Magnifico è chiara la ricerca di espressività e di realismo dialettale realizzata tramite l’inserimento di “elementi caricaturali e giocosi in cui il dialetto veneziano assume valore di mezzo espressivo capace di suscitare effetti comici”.[63] A tal fine il nostro fa esprimere il vecchio a volte con un linguaggio triviale che si estrinseca in una serie di epiteti ingiuriosi, minacce, maledizioni, imprecazioni esecratorie, espressioni di basso livello e allocutivi esortativi; elementi, questi, che evidenziano il carattere collerico del vecchio:

   «Moia, ti è un capocchio», «e ti non t’intende de questo amor» (I 13, p. 46); «vaga in mal hora un per de scudi» (I 13, p. 49); «el sia el più venerabile poltron del mondo»; «e’no’l stimo quanto un peto» (I 13 p. 51); «Al sange de mi, che ti hà dao nel bersaio» (II 12, p. 86); «al corpo de mi, che se muoro per amor so e faro de le matierie che spuzzeran de pazzia» (II 12, p. 87); «non ghe fia el più onnipotente, & più illustre pesse da involta nel finocchio, in tutta Franza, come Zanne», «ma che Diavolo dirà quella bestia del mio concorrente, quel bravo da schiaffi, quel Capitanio senza soldai?» (II 13, p. 89); «Ande à far i fatti vostri» (II 14, p. 91); «solenne piegora; gran capocchion, mal creao», «Gh’averave dao d’una cazzona a traverso, una gramola» (II 15, p. 91); «O Diavolo, è qua quel Capitan Basilisco mio rival» (II 16, p. 92); «O cognome d’Ovidio» (II 16, p. 93) «o macarello […] andè a far i fatti vostri col vostro prior de i nasi» (II 16, p. 94); «Capetanio, poltron, pia queste puoche bastonae, à Nasazzo, acchiappa quest’altre» (II 16, p. 95); « Moia moia» (III 12, p. 120); «Tio eccoti un teston de Lorena fora mercao»; «Co Diavolo in casa mia?» (III 18, p. 128); « Ah’lara assassina» (III 25, p. 134); «la braga hà trovao el culo» (III 27, p. 145).

Effetti comici ottiene anche il ricorso ad un linguaggio osceno persino nella lode alfabetica alla donna di cui sopra sono stati riportati alcuni versi (atto I 14, p. 54):

G.Gabia del questo rosso papagallo, L. Mira iusta de questo mio bolzon, S. Salvarobba de queste mie sustanzie,Y. Yior rubicondo che butta ogni mese,Z. Zaretta de quest’acqua mia odorosa. 

O quando il vecchio si “accende” trovandosi in camera, grazie all’inganno di Zanne, la serva Filicetta: «fraccame estrenzeme ben, chiappette bianche in zuccarae» (III 25, p. 134).

A proposito dei rapporti tra il Magnifico e il servo, con diverse battute, che qui di seguito vengono riportate, il Belando sottolinea il rapporto di dipendenza che lega il primo al secondo:

  «el più gran à piacer che ti me puol far si è, che m’aidi come buon Miedego à varir di questa infermiatae», « E cerco aiuto» (I 13, p. 50); « significando che? Como dir? A che proposito? Ti no parli zà con la sphinge» (II 12, p. 86); «o peota mio excellente»; «Zanne? Non acade tante fiabe; mi t’abrazzo, acarezzo, baso, e pago»,«E me aricirecomando à ti » (II 12, p. 88); «E te voio remunerar più que ti no pensi», «me recommand à ti, col cuor, e con le opere» (III 12, p. 120); «quel furfante de Zanne, m’hà menao al Bò Coronao e m’ha fatto spender una pezza da otto reali», «Ben Zanne quando daremo fondi à questo battel nel mar del la Carnalitae?», «E te prego Zanne fa presto» (III 18, p. 128); «ti me dà la berta» (III 18, p. 129); «Mi te ringratio», «e voio, che per amor mio Zanne caro ti sposi Filicetta, e te daremo per dota 200 scudi» (III 27, p. 144).

Anche per questa maschera è bene analizzare l’uso della deissi, che rappresenta, come già detto, il trait d’union fra il testo scritto e la messa in scena, il supporto alla gestualità e allo spettacolo:

   «questa aurea mia pioza»,«questo Cievalo», «questa autentica Matieria», «questo rosso papagallo», «questi contrapesi», «questa grama spetie», «questo vago inchiostro», «questo mio bolzon», «queste massaritie», «questo distillo», «queste mie sustantie», «queste mie dure stoccae», «quest’ acqua mia», «questo cuor» (I 14, p. 54). Più interessanti i topodeittici e i cronodeittici o i deittici con maggior implicazione mimico–gestuale: «infio all’hora all’hora» «adesso ché è notte»(I 16, p. 58); «de dove vien stù zanne, da sta mattina in quà» (II 12, p. 85); «pia questi sie scudi», «Quest’è niente, à quel che ti haverà» (II 12, p. 88), «Mo chi è costù che me sta à ascoltar?» (II 14, p. 90); «Costù è vegnuo quà à Parisi» (II 15, p. 91); «O Diavolo, è qua quel Capitan Basilisco mio rival» (II 16, p. 92); «E me voio ascondere in sto canton», «ecco qua per ventura un baston» (II 16, p. 94); «pia queste puoche bastonae [..] acchiappa quest’altre» (II 16, p. 95); «questo Capetanio, e quel so nason, queste tal bestie sono come quei uselli» (III 11, p. 119); «quel furfante de Zanne», «quello c’ha quella perla grossa su ‘el fronte», «O eccolo qua», «tiò, eccoti un teston de Lorena» (III 18, p. 128); «la cosa và à sto muodo» (III 27, p. 144).

La funzione fatica è pure in questo caso svolta da verbi, interiezioni e locuzioni inseriti ad hoc, utili anche a tener vivo il rapporto con l’interlocutore. Si elencano in primis i verbi:

   «Dime la toa disgratia» (I, 13, p. 49); «per sfogarme andemo» ( I 16, p. 58); «o via batte da la signora», «Ho una composition .che ghe la voio recitar» (I 13, p.51); «te hò visto insir dell’ hotel ..», «dimelo liberamente, che havevistù?»,«tegni le Man à vù» (I 17, p. 59); «vegnimo al fatto nostro» (II 12, p. 86); «pia questi sie scudi, e fa el debito», «mi vago via» (II 12, p. 88); «Mo chi è costù che me sta à ascoltar?», «Voio aspettar daspuò che vièn verso demi», «V’ascolterò più volen- tiera» (II 14, p. 90); «voio star in cervello, e far buon animo, e non me smarrir» (II 16, p. 92); «E me voio ascondere in sto canton incognitamente»,«e così al scuro bastonarli tutti» (II 16, p. 94); «E vago via»(III 11, p. 120); «fa presto, che son tutto in atto» (III 18, p. 128); «e la voio mordere, e basar», «entro senza dir altro» (III 18, p. 129); «e muero d’allegrezza», «abbrazza to pare» (III 27, p.139); «Che dis tu Filicetta, o Gattuzza?» (III 27, p. 144), «E mi ballerò el passo» (III  27, p. 145).

Seguono locuzioni e interiezioni inserite allo stesso fine:

«o via» (I 13, p.51);«o che ingratitudine granda!» (I 16, p.57) «Ah signor»,«o ventura», «o allegrezza sora natural» (II 12, p. 88); «Buonzorno, e buon anno» (II 14, p. 90); «O Diavolo» (II 16, p. 92); «O eccolo»; «Tio eccoti un teston» (III 18, p. 128); «Ah’ fia mia dolce» (III 27, p. 139); « Oh via, che la braga..».(III 27, p. 145).

Nel linguaggio accalorato e solenne del Magnifico non poteva mancare qualche alterato: quattro su cinque sono superlativi: «falsissima» (I 13, p. 46); «bragardissima», «meritevolissimo merito» (I 14, p. 53); «Nasazzo» (II 16, p. 95); «e mi contentissimo» (III 27, p. 144).

Questi, insieme alle accumulazioni, conferiscono enfasi, anche in senso iperbolico, al parlato del veneziano. Si presentano di seguito i casi di accumulazioni, in asindeto:

«chi volesse filosofar, Theologizar, soffisticar, e desputar» (I 13, p. 46); «ti no mett à conto la servitue, la gratia, i profumi, le matinae, e’l far l’amor e altre tattare» (I 13, p. 48).

Si chiude il paragrafo con due significativi casi di dislocazione a sinistra (finalizzata, come sappiamo, alla mise en relief  dell’elemento della frase poi ripreso con un pronome clitico) individuati tra le battute del Magnifico: « d’un Caval de Spagna, ne fà un solenne Asino» ( I 13, p. 47); «Ho una composition che ghe la voio recitar» (I 13, p. 51)

La seconda occorrenza rientra anche tra gli esempi di che “indeclinato”. 

 

6.3. Fenomeni linguistici: Tratti fonetici

Passando ad un’indagine fonetica della lingua del Magnifico si rilevano subito i casi di lenizione e sonorizzazione della sorda intervocalica:

Antighi, scoverte, piegore (I 13, p. 45); fuogo (I 13, p. 46); digando, segondo, piaser, miedego (I 13, p. 47  anche II 12, p. 87); varir (I 13, p. 50); cievalo, segura (I 14, p. 54); mastegando (II 12, p. 86); baso, vago via (II 12, p. 88); Franza (II 13, p. 89 anche II 16, p. 94); zentill’homo (II 14, p. 90 anche III 27, p. 140); dise (III 18, p. 128); basar (III 18, p. 129); zantildonna (III 27, p. 140).

Altro fenomeno precipuo del veneziano che si riscontra ne Gli amorosi inganni è la caduta di -t- intervocalica (se ne riportano solo i primi casi incontrati):

lambicao, stabilitae (I 13, p. 45), vestio (I 13, pp 45-46); abrusae, stampae, mentia (I 13, p. 46); attaccai, partorio, stà (I 13, p. 46); penetrao, veritae, ardio, scaltrio, indovinao (I 13, p. 47); servitue, matinae (I 13, p. 48); bandio (I 13, p. 49); inamorao, autoritae, infermitae (I 13, p. 50); cupiditae, montao, prao, crudeltae, soldao (I 14, p. 52).

Evidenziamo inoltre il passaggio da LJ a J nei termini seguenti:

fio (I 13, p. 45 e I 13, p. 50); gaiarda (I 13, p. 47); Conseio (I 13, p. 50); voio (I 13, p. 51); maraveia (I 14, p. 52); fià dolce (I 14, p. 53); horoloio, Yor (avvertendo che la Y greca in lingua italiana si pronunzia fio) (I 14, p. 54); bersaio (I 16, p. 58), pia (II 12, p. 88); meio, fio mio (II 13, p. 90); viniesia (II 15, p. 91); più volte ricorre voio (II 13, p. 90;  II 16, p. 92; II 16, p. 94  e III 27, p. 144), maraveio (II 16, p. 94); pia (II 16, p. 95).

La spirantizzazione di G, J, TJ, DJ latini in [z] è visibile nei casi riportati:

   Virzilio (I 13, p. 47); ghiozza (I 13, p. 48); zamai (I 13, p. 49); zeneral; imazine, zenerositae (I 14, p. 53), zentil, pioza, fiammezante, vazina (I 14, p. 54); zardin (I 16, p. 57); zentil’homo (I 16, p. 59); ti no parli zà (II 12, p. 86); buonzorno (II 13, p. 90).

Le occorrenze che seguono mostrano l’apocope di -o dopo -n- e di -e dopo -r-, - l-, - n-. Nel primo caso abbiamo:

   han, fantolin (I 13, p. 45); nissun, vulcan, fiorentin (I 13, p. 46); son (I 13, p. 50 e III 27, p. 139); adamãtin (I 16, p. 56); spuzzeran (II 12, p. 87); ruffian (II 12, p. 87;  II 15, p. 91 e II 16, p. 94); italian (II 14, p. 90); capitan (II 16, p. 92); meschin, menan (III 11, p. 119).

L’apocope di -e è riscontrabile in:

   Saver ripetuto due volte, opinion, amor, iudicar, real, patron, signor, far (I 13, p. 45); color, habitatiõ, (ma Venere); mar, filosofar, theologizar, soffisticar, desputar, compare più volte Amor e se ne indica solo la prima occorrenza , predestinatiõ, barbier (I 13, p. 46); poltron, infin (I 13, p. 47); saver, (I 13, p. 48); cõtinuar (I 13, p. 49); due volte esser, entrar (I 13, p. 50); tal, tien, poltron, composition (I 13, p. 51); recitar, targon (I 14, p. 52); fantacin, fidel, immortalar (I 14, p. 53); zentil, bastion, cannon, real, bolzon (I 14, p. 54); tribulation; zardin, credenzier, despensier, proveditor, desperation, canever (I 16, p. 57); Coppier, trionfar, esser, arbor, passar (I 16, p. 58); signor, man (I 16, p. 59), vien (II 12, p. 85); dir, pan (II 12, p. 87); natural (II 12, p. 88); involtar (II 13, p. 89); ascoltar, par, descrition, Prosunrion (prosuntion), vien, servir(II 14, p. 90); far (II 14, p. 91); studiar, esser, par, capochion (II 15, p. 91); rival, star, far, smarrir, poltron (II 16, p. 92); descrition, patron (II 16, p. 93); canton, baston (II 16, p. 94); correr, nason, menar, mantien, morir, disperation, sartor, par, esser (III 11, p.119); remunerar, cuor, reputation (III 11, p. 120); teston (III 18, p. 128) mal, basar (III 18, p. 129).

È invece sporadica la riproduzione grafica del fenomeno, tipico del veneto e di altri dialetti setten- trionali, della pronuncia debole delle consonanti originariamente intense; l’ho riscontrata solo in:

    Burchielo (I 13, p. 46); pioza; gabia, contrapesi (I 14, p. 54), aventurao (I 16, p. 57); apetito (I 16, p. 58), acade (II 12, p. 88).

Diversi i casi in cui Belando ricorre ad e come pronome di prima persona:

   E cognosco, e ho (I 13, p.51); e mi attaccherò (I 14, p. 53); e faro (II 12, p. 87); e vago (II 12, p. 88); e me maraveio (II 16, p. 94); e te voio, e vago via (III 11, p. 120); e la voio (III 18, p. 129);

Può constatarsi il ricorso alla particella pronominale atona (mi e ti) con funzione di soggetto nei casi di seguito riportati:

   «ti è una gran bestia», ti te inganni» (I 13, p. 51); «ti è aventurao», «ti hà una che t’ama», «mi una che m’ odia» (I 16, p. 57), «mi te hò visto» (II 12, p. 85); «ti andavi»; «ti no parli zà»; «mi penso» (II 12, p. 86); «ti e donca ruffian» (II 12, p. 87); «mi vago via» (II 12, p. 88); «mi credo» (II 13, p. 89); «mi no te intendo», «mi non hò» (II 16, p. 93); «mi non ho mai visto» (III 11, p. 119); «ti pensi», «ti non pensi», «ti è entrao» (III 11, p. 120); «ti me dà la berta (III 18, p. 129); «ti è pur sotto ti» (III 25, p. 134); «mi son Busnadego», «mi son quel» (III 27, p. 139); «mi no te la posso» (III 27, p. 143); «mi te ringratio», «mi contentissimo» (III 27, p. 144)[64].

 

 

7. La lingua letteraria

 

7.1. Gli innamorati e Filicetta: cenni sul ruolo

Come già detto, gli Innamorati della Commedia dell’arte parlano la lingua letteraria (quella che Belando definisce nella premessa al Benigno lettore “la buona toscana”); seppur privi di maschera vera e propria “hanno in comune con le maschere la tipologia fissa, rappresentata dal loro ruolo di «amorosi »”.[65]

Ne Gli amorosi inganni sono tre a ricoprire questo ruolo, un uomo e due donne: Cinzio, Dorotea e Camilla. È presente però una distinzione di tipo diastratico, resa in maniera molto interessante dal punto di vista linguistico: non manca infatti nella commedia di Belando un personaggio di basso rango che si esprime con la stessa lingua dei tre ma con un registro assai inferiore, ossia la fantesca di Dorotea, Filicetta. Quella della servetta è senza dubbio un’altra figura chiave della Commedia dell’Arte , tra le più antiche: senza maschera anch’ella, riveste il ruolo di balia, confidente, mezzana e fa sempre coppia con uno zanni. Solitamente caratterizzata quale donna arguta, dalla parola facile e maliziosa, si può esprimere in toscano, in lombardo o in napoletano “nell’idioma della plebe”[66].

Ne Gli amorosi inganni Filicetta non è più tanto giovane, è innamorata di Zanne ma è a sua volta amata dal servo del Capitano. Solo nell’ultima scena del terzo atto si scopre che in realtà è anch’ella siciliana, che il suo vero nome è Gattuzza Gangali ed è originaria del paese di Naso; è quindi cugina di Catonzo. Il suo personaggio è caratterizzato dal ricorso ad un linguaggio triviale e a volte osceno soprattutto quando estrinseca desideri sessuali (si può quasi dire che la figura della fantesca faccia in alcuni tratti da contraltare agli innamorati “ufficiali” in quanto anche lei, come loro, parla d’amore ma inteso in senso decisamente meno aulico e più terreno, anch’ella ama far citazioni poetiche, ma queste sono a volte di autori meno “canonici”).

Come illustrato anche da Perrucci, la lingua degli amorosi sarà ricca di attributi metaforici comuni, di sostantivi che ad essi si ricollegano, di sostantivi astratti che indicano gli oggetti fisici su cui la contemplazione degli innamorati si concentra, di epiteti sostantivali di tono iperbolico o enfatico, di voci che indicano gli effetti che l’amore produce, di artifici del concettismo, di citazioni del mondo classico, della mitologia e della poesia trecentesca (in primis Petrarca).

Su questi fenomeni linguistici e retorici caratterizzanti si è soffermata la mia attenzione mentre ho ritenuto poco utile in questo caso un’indagine fonetica visto che ci si muove, in sostanza, nell’alveo dello standard fiorentino-letterario.

 

7.2. Fenomeni linguistici: lessico e sintassi

Nell’analisi testuale che segue si considerano insieme le figure degli innamorati Cinzio, Camilla e Dorotea, molto simili fra loro (cambia solo l’oggetto cui è destinato il proprio amore) e si accosta a questi quella di Filicetta. Dinnanzi alle battute, alle locuzioni o ai termini riportati si trova l’iniziale del personaggio che le pronuncia. Si considerano in primis le metafore classiche :

D. (I 1, p.13): «di Fortuna l’instabil ruota fermiamo; se in mediocrità vogliamo collocarci, de’ suoi colpi sicuramente ci possiamo ridere, se la sprezziamo superiori à lei ci trovaremo, e spesso questa Dea fa regresso»; Ci. (II 14, p. 90): «sono a la conditione d’una Nave agitata da contrari venti, che per ultimo suo scampo getta l’ancora sacra, & perché al mio bisogno mi parete l’istessa ancora, percio vo pregarvi, che mi soccorriate in questa mia ultima navigazione amorosa»;D (III 3, p. 102): «O nocchiero infernale affretta la tua cimba». 

Si tratta in tutti i casi di topoi cristallizzati e ampiamente ricorrenti. È da precisarsi che la prima citazione è tratta da un lungo monologo sul tema dell’amante che soffre perché non ricambiato (I 1, p. 14: misero amante; I 1, p. 15: infelice Amãte) affidato a Dorotea, unica protagonista della prima scena del primo atto. Così è descritto, con tono iperbolizzato ed enfantico, il dolore della donna dalla stessa: «il dolore (..) à quel di Titio uguale»(I 1, p.13); «di tutte le passioni nessuna è più vehemente di questa Amorosa»; «Felici voi dunque, che senz’occhi nascesti ma più felici, che  nelle facie moristi»;«occhi miei date tregua alla mia sconsolata Anima» (I 1, p. 14); «Qual maggior dolore, qual più aspro tormento può cadere in un’ animo nobile» (I 2, p. 16).

Consueti nel vocabolario degli innamorati anche gli attributi metaforici dell’amore: il fuoco, la fiamma, il carcere amoroso, e, legate a quest’ultimo aspetto, le metafore relative al mondo militare.

Cinzio è definito dalla donna che lo ama di “solare aspetto” (D. I 1, p. 15), “bello, mà crudel nemico”(D. I 1, p. 14) e ancora “un’crudele” (D. I 2, p. 16); la sua descrizione acquista toni sempre più enfatici e a volte contradditori: 

«più divina, che humana faccia di Cintio», «un’de più bei visi, che mai dal Sommo Opifice fia stato fabricato», «quãd odo il suon della Angelica favella, mi pare udire un suave concento di celesti voci»,«l’honorate sue creanze, e rare qualità»,«il più savio, il più dotto e’l più prudent’huomo del mõdo» (D. I 2, p. 17); «sono inamorata della vostra gratia, bellezza, dottrina» (D. I 7, p. 39); «ingrato e disleale, che tu sei»; «Ah Cintio mio crudele, ingrato» (F. II 3, p. 69).

L’ultima battuta tra quelle riportate è messa in bocca alla fantesca che ripete a Cintio quanto detto dalla sua signora durante il sonno. È importante da sottolinearsi perché la riproduzione da parte di  Filicetta della lingua più elevata della padrona evidenzia l’accennata differenza diastratica tra le due e costituisce, a mio parere, un elemento di modernità del testo teatrale in esame.

Non si tratta peraltro dell’unico inserimento perché nell’atto successivo la stessa servetta riproduce esattamente anche una frase in spagnolo pronunciata molti anni prima dall’uomo forestiero che la corteggiava e che, per un’incidentale scivolata su una scorza di melone, le tolse, ancora giovincella, la verginità: «Ahi Senora, que me matais, mi coracon es perdido, io me muero por ella» (Fil. III 1, p. 98). A mio avviso quest’inserto conferisce vivacità e realismo alla pagina e può considerarsi uno dei passi più originali della commedia.

Altrettanto interessante dal punto di vista linguistico mi è parso un altro dettaglio: nell’ultima scena, nel momento in cui svela la sua vera identità e si dichiara dunque d’origine siciliana, Filicetta (o Gattuzza) all’appena ritrovato cugino Catonzo che le chiede dove ha imparato a parlare il toscano («Undi inbizzasti lu parlari toscanu?») risponde che è merito dei fiorentini i quali le «son sempre stati dietro con quella lor dolce lingua in bocca», ricorrendo dunque ad una locuzione, “dolce lingua”, che non può non collegarsi al “puro e dolce idioma nostro”(Orlando furioso XLVI 15, 1-4) come maestro del quale Ariosto indica Pietro Bembo, o ancora, compiendo un passo indietro, a Dante e al Dolce Stil Novo (la definizione del toscano come ‘dolce lingua’, ‘dolce idioma’ d’altronde diventerà un topos).

Anche Dorotea in realtà non può considerarsi toscana “DOC” dato che rivela a fine commedia di essere figlia di un veneziano (il Magnifico appunto), rapita da un gentiluomo fiorentino.

Con locuzioni ed espressioni divenute ormai topiche la donna si pronuncia nei confronti del suo oggetto d’amore e allo stesso modo fanno Cinzio e Camilla. Si noti in particolare che le tre voci sembrano quasi una sola dato che le battute, appartenenti ad uno stesso consolidato repertorio, potrebbero quasi interscambiarsi, considerando la fissità e la stereotipia del ruolo:

   Ci. (I 6, p. 31): «le egualmente elevata carne graziosa la quale alla casa degli dei par che conduca», «Divini motti, angelici costumi, celesti portamenti»;Cam. (I 11, p. 42): «dolcissimo mal mio», «Capitan non men bello che crudele, date se non pace, tregua a questa sconsolata Anima»;

Cam. (I 11, p. 42): «si come v’incrudelite nelle battaglie parim?te v’incrudelite verso di me; siate sicuro, che non vi recara molto honore il perseverare nella ingiusta, e non lodata impresa»;Ci. (I 11, p. 44): «origine d’ogni mio male»;Cam. (I 11, p. 44): «causa d’ogni mia scontentezza»;Cam. (II 6,  p. 73): «unica mia speme sete venuto per dar fine à tanti miei travaigli!»; Cam. (II 6, p. 74): «‘l Signor Cintio è tutto bello, tutto cortese, e tutto compito»; D. (III 3, p. 103): «questo crudele di Cintio»; D. (III 4, p. 104): «Cintio, cinto d’ogni crudeltà»; Cam. (III 6, p. 106): «carcere amoroso»; «Crudele, dolce inimico mio»; Cam. (III 6, p. 107): «dolce: mà crudele inimico mio».

Vediamo accostarsi sostantivi concreti e sostantivi astratti ad indicare gli elementi fisici oggetto della contemplazione della persona amata da parte degli amanti:

   D. (I 2, p. 17): «più divina, che humana faccia di Cintio», «un’de più bei visi, che mai dal Sommo Opifice fia stato fabricato», «quãd odo il suon della Angelica favella, mi pare udire un suave concento di celesti voci»; Ci. (I 6, pp. 30-31): «le bellezze le quali adornano la sua proporzionata figura,sono lunghi capelli, copiosi, vezzosi sparse sopra le candide spalle, la fronte spedita [...], ciglia non irsute, ma piane sottilissime […] duo divini occhi corruscanti, vaghi e ladri [...] affilato naso [...] ritonde di latte, e vivo sangue fabricate guancie...»; Cam (II 6, p. 73): «con la vostra bellezza habbiate consumato il mio (a voi dedicato) cuore».

La descrizione del destinatario/a del sentimento dell’innamorato/a (molto poetica e poco oggettiva, rispondente in buona parte, nel caso delle figure femminili, a quella della donna angelo della tradizione trecentesca) avviene pure attraverso analogie e similitudini:

   Ci (I 6, p. 30): «la fronte spedita vero marmo ove Amore aruota i suoi strali»,«(occhi) vaghi, e ladri ne loro movimenti, chiari come matutine, e scintillanti stelle», «guancie all’Aurora sorelle»;Ci (I 6, p. 31): «ridente quasi a giusa di colonna»;F. (III 1, p. 96): «que due begli occhi, che paiono gli Antipodi»; «Il fronte un vero alabastro», «Pomette acerbe, che paiono dui pani di zuccaro fino»; F. (III 1, p. 98): «come un beccafico», «Faldiga bianca, come un Cigno»;D. (III 3, p. 102): «occhi miei non più occhi; mà doi vivi fonti che ricevesti l’affascinata ferita».

Nell’esplicitazione degli effetti che ha l’amore sull’amante infelice tanti sono i sostantivi comuni (dolore, fiamma, etc..) e numerosi quelli che ad essi si ricollegano per continuità o metonimia (ferita, saetta, tormento, etc.. ) come possiamo notare dalle battute che seguono:

   D. (I, 1, p. 13): «forza per resistere alle forze d’Amore»;D. (I 1, p. 13): «il dolore (..) à quel di Titio uguale, mai non cessa»;D. (I 1, p. 14): «perché la cura, e la sollecitudine nel petto cõceputa sempre si rinnova; con dolce cruciato lo torm?ta, la passione lo perseguita, la disperazione lo dis- trugge, il p?siero lo sveglia, la tristezza lo condãna, la morte lo minaccia, e la fede non lo salva, & essa speranza gli porge disperatione», «La paura s?pre gli rappresenta il dolore»; «(l’amante) è costretto à dolersi»;D. (I 1, p. 15): «carcere amoroso», «accrescere il dolore & far maggiore la sua passione», «il dolore che m’affligge»; «affascinata ferita», «cocenti mie fiamme»;D. (I 2, p. 16): «qual maggior dolore, qual più aspro tormento»; D. (I 2, p. 17): «Amore (filicetta mia) è una certa alienazione di se stesso», «L’Amante è tutto transformato, e trasportato, in quello che egli ama»; Ci. (I 6, p. 29): «(Amore) m’ha fatto maledire l’hora, e’l punto che questa terra mi ricevè […] e quest’occhi, che già furono duoi vivi, raggi d’allegrezza si sono convertiti in dui correnti rivi, e questa bocca che fu apportatrice di riso, e canto; hora s’è fatta varco di cocenti sospiri , e meste voci [...]questo petto che di ghiaccio era armato, fatto l’ha Amore un’mongibello ardente»;D. (I 7, p. 39): «di quella fiamma ch’io brugio consumi il tuo cuore»; Cam.( I 11, p. 41) «tant’è la passione che mi tormenta che non so dov’io misera mi fia»; Cam. (I 11, p. 42): «non solo hà risanata l’aspra ferita: ma di gran lunga l’ha rinfrescata», «L’incendio d’Amore, e le piaghe che m’hanno fatto le vostre bellezze»,«estinguere il fuoco(..) che mi tormenta ogn’ora», «À voi stà Anima mia di cavarmi di tanto disaggio»;Ci. (II 14, pp. 89 -90): «la colera m’uccide, l’amor mi fa smaniare, e’l fuoco mi consuma»;D. (III 3, p. 101): «crudele amore (…) perché tanto ti compiaci di tormentare questa infelice e carnal salma?», «Doglia infinita e passione senza compassione», «Provar tanti affanni», «Mille morti ogn’hora mi fai sentire»;D. (III 3, p. 103): «O Amore per me amaro, maledetta sia la sua potenza, anichilar sì possa la tua forza, spezzata fia ogni tua saetta, rotto sia ogni tuo dardo, gelo divenghi il tuo fuoco, e nulla divenghino le tue fiãme»;Cam. (III 6, p. 105):«sentire tanta passione senza paragone», «Come le mie forze potranno resistere à tante mie incomparabil pene», «Piangere il mio folle errore», «Lasciata mi son vincere, sottomettendomi, anzi fidandomi d’una bellezza transitoria»;Cam. (III 6, p. 106) «se la mai sconsolata anima non ne portasse la pena» «Anima sconsolata[…]voi tu per ventura crescere esca all’inestinguibil fuoco ove tu ardi».

Non potevano mancare in un simile contesto le citazioni letterarie (Petrarca, Ariosto..) messe in bocca ai diversi personaggi (anche questo costituisce un clichè) sempre sul tema dell’amore (la serve Filicetta, però, cita anche personaggi di modesta estrazione, probabilmente sue conoscenze personali. Notiamo ancora l’accostamento dei due livelli sociali). Leggiamo:

D. (I 1, p. 14): «se all’esperienza, & a Marco Tullio crediamo»;

F. (I 2, p. 16): «ho pure inteso dire n’ell’Ariosto Furioso

“Guardatevi da questi che fu’l fiore

De’ lor begl’anni, il viso han si pulito,

Che presto in lor nasce, e presto more,

Quasi un fuoco di paglia ogni appetito”»;

D.(1 2, p. 17): «pose in cielo l’amoreso Petrarca la sua tant’amata e casta Laura, Ovidio la sua Corinna [...] l’Ariosto la sua bella Angelica [...] il Boccacio la sua amorosa Fiammetta [...] la sua più, che Divina Beatrice, Dante, e tant’è tanti altri»;

Ci. (I 6, pp. 31-32) «come dice l’Ariosto

Ben si piuè giudicar che corrisponde.

Quel che di fuora appar, quel che s’asconde»;

F. (III 1, p. 99) «Testinio l’Arcademico incazzito, parlando nel suo libro de bassa incarnazione, con questo terzetto: Fanciulla grande gratiosa e bella,

A chi la carne ogn’hora va tentando;

prima diventa sposa che donzella»;

«madona Stefanazza da Spelle Pinzocchera

le donne han capei lunghe e lunghe lingue,

I calcagni, e’l cervello molto corti,

E’l fuoco innanzi, che ben mal s’estingue»; 

F. (III 1, p. 100) «come diceva madonna Calidonia de Montefalco [...]

Vi son cose nel mondo, e brutte e belle,

Vari humor, vari gusti, e fantasie

Ma le bocche, e le F. sono sorelle»;

Ci (III 7, p. 110): «’l mio Petrarca dice nel primo capitolo del Trionfo d’Amore, Contra del qual non val elmo, ne scudo»;

F. (III, 12, 122): «tre detti che soleva dire Tina da maremma

Tal ti unge, chi ti punge.

Tal t’abraccia, che t’aghiaccia.

Tal ti stringe, che ti tinge».

Si riproducono inoltre le frasi accorate, le locuzioni, gli aggettivi con i quali Camilla, Dorotea, Cintio e pure Filicetta si rivolgono al ruffiano, per i primi in tutto simile a “quel santo, che dopo lunga tempesta suole apparire ai naviganti per segno di tranquillità” (D. III 15, p. 124):

F. (II 10, p. 82): «Assassinaccio, cognaccio, boiaccio», «caro il mio Zannino, amelato, dorato, inzuccherato, inorpellato», «la  tua mammina, la tua serafina, la tua pignatina»; D. (III 4, p. 104): «portami dunque buona nova Zanne mio», «Confidandomi sopra la tua promessa»; Cam. (III 6, p. 107): «o nunzio mio Celeste, o mezzano d’Amore, o corriero delle dolcezze, o sensale della pace, sopra della tua fede io m’assicuro», «O signor Zanne, o Conte Zanne , à voi à voi si devono render gratie»; Cam. (III 6, p. 108): «Zanne mio», «Mi fido de voi»; D. (III 8, p. 116): «o Signor Zanne, origined’ogni mia contentezza, & apportatore d’ogni mia salute, causa d’ogni mia gioia»;Cam. (III 9, pp. 116-117): «o mio signor Zanne (..) non sdegnate questo bacio nella vostra tabbochina gota»; D. (IIII 9, p. 117): «un bacio nella vostra ruffianissima bocca, mio confalone coniugale»; Cam. (III 9, p. 117): «tutto quello, che piacerà alla vostra Eccelsa signoria», «Ci farete voi conten tare?»; D. (III 9, p. 117);«dateci buona nuova tosto»; F. (III 13, p. 122): «zanne mio»; F. (III 13, p. 123): «amor mio. Tutto d’Oro»; D.(III 15, p. 124):«Signor mio e Patrone osservandissimo»;Cam. (III 16, p. 125): «dolcissimo signor zanne. Bacio riverentemente la di lei degna mano»; D. (III 16, p. 125): «per mezo del nostro duce, & amico del signor Zanne. Signor Zanne mio? Volete voi per ventura merendare»; D. (III 16, p. 126): «mirate, domandate senza verun respetto»; Cam. (III 16, p. 126): «io v’abbraccio,e bacio dunque dolce condottiero d’Amore»; D.(III 16,pp.126-127): «se voi l’ab- bracciate, e l’havete baciato nella gota, & io l’abbraccio, e bacio nella bocca. Ecco ch’ambedue lo teniamo stretto, stretto»; Ci (III 20, p. 130): «e gliè più dotto in questo mestiero, che non fù Amadis di Gaula nella cavalleria», «Io più tenuto, che a colui, che m’insegno, il ianua sum rudibis»; D. (III 27, p. 139): «per vià dell’honorato ruffiano signor Zanne»; Ci. (III 27, p. 144): «io ti sono obligato»; D. (III 27, p. 144): «io ti sono obedientissima»; Cam. (III 27, p. 144): «Et io servitrice»; F. (III 27, p. 144): «se il mio Zannino si contenta».

Le prime citazioni, tratte da una lunga battuta di Filicetta, rientrano nei casi di elencazione che ricorrono nel testo; ecco gli altri (si noti la presenza soprattutto di cola trimembri):

D. (I 1, p. 13): «inrecuperabile, superfluo, & nulla giovevole»; D. (I 1, p. 14): «niuna è più grave, più noiosa, & violente, che più ne risolva, commova, & disturbi»; D. (I 2, p. 17): «il più savio, il più dotto e’l più prudent’huomo del mõdo»; F. (I 3, p. 18): «me accomodo al tempo, al luogo, e con ogni sorte di persona»; Ci. (I 6, p. 30): «duo divini occhi corruscanti, vaghi e ladri»; Ci. (I 6, p. 31): «bianco, delicato, e morbido collo», «Adorna di divini motti, angelici costumi, celesti portamenti, atti, vaghi, dolci parole, & grate accoglienze»; F. (I 15, pp. 55-56): «schiavetta, schiavona, schiavina»; F. (I 15, p. 56): «ingratonaccio, duraccio, poltronaccio»; D. (II 4, p. 71): «cuor mio, Angioletto mio, mio tesoro, origine d’ogni mia gioia, e felicità»; Cam. (II 6, p. 74) «‘l Signor Cintio è tutto bello, tutto cortese, e tutto compito»,«À voi bramo, a voi adoro, à voi son tutti volti i pensier miei»; F. (II 10, pp. 82-83):«le donne son l’ornamento del Mondo, la pompa de’banchetti, il gaudio di festini, l’honor delle nozze [...] infine è una selva tanto piacevole ch’ogn’uno vorrebbe cacciare li il suo cane»; F. (II 10, p. 85): «A Dio mio bellone, galantone, Absalone»;Ci. (II 14, pp. 89-90): «la colera m’uccide, l’amor mi fa smaniare, e’l fuoco mi consuma»; D. (III 8, p. 116): «o Signor Zanne, origine d’ogni mia contentezza, & apportatore d’ogni mia salute, causa d’ogni mia gioia».

   Passo adesso in rassegna i tratti salienti della mimesi dell’oralità e dello specifico codice scenico. Come per le altre maschere, si individuano alcuni fenomeni di deissi, fondamentale legante fra il testo scritto e la sua messa in scena; nel caso delle battute di Filicetta (I 3, p.18 e II 10, p. 81 e ancora III 13, p. 121) si notano anche tre casi di unione tra deissi e spregiativo, che aumenta la forza mimico-gestuale del fenomeno):

   «questo carcere amoroso», «quella casa» (D. I 1, p.15);, «In quello ch’egli, ama»,«Questa sorte» (D. I 2 p. 17); «quel bagno» (D. I 2, p. 18);«vengo adesso», «questo crudele di Cintio» (Fil. I 2, p. 18); «quest’huominacci», «questo duraccio», «in questo caso è permisso» (F. I 3, p.18); «adoprar quel bagno» (F. I 3, p. 19); «quel bene», «questo mio cuore», «questa terra», «questi occhi »,«questa bocca», «questo petto» (Ci. I 6, p. 29); «sotto queste (le ciglia)»,«di quella misura», «questo naso» (Ci I 6, p. 30); «chi è questo nasone?», «Dove sete stato da tanto tempo in quà» (Ci I 6, p. 32); «non fate cotesto», «Nell’istessa casa» (Ci. I 6, p. 36); «Ch è là, chi batte questa porta?» (F I 7, 37); «egli è quel disgratiato di quel Capitano» (D. I 7, p. 38);;«Chi è là? chi è questo Mattacino» (F. I 13 bis,  p. 51); «Ch’ambascia di core è questa, Signora» (F. I 14, p. 53); «per questa prima volta» (D. I 14, p. 55); «di quel nasa e lecca, lo lascio in tuo arbitrio; di quel monta serva sua obedientissima», «Quest’à me?», «son’io robba da strapazzar à cotesto modo?» (F. I 15, p. 56); «questa notte», «Questa volta» (F. II 3, p. 69); « quest’à me?», «voi tu fare il ruffiano per quello»,« e con questo io entro» (D. II 4, p. 71); «chi batte questa porta?» (Cam. II 6, p. 73); «come voi dite questo?» (Cam. II 6, p. 74),«questa è ben stupendissima» (Ci. II 7, p. 78); «quel crudelaccio» (F. II 10, p. 81); «queste sono le speranze corteggiane» (F. II 10, p. 83);«questo mio ardore» (F. II 10, p. 84);; «per questà ultima volta» (F. III 1, p. 96); «considerate vi prego quella maestà vedovile della mia padrona, quella gratia, con que due begli occhi [...] quella boccuccia...» (F. III 1, pp.96-97); «in questo terzetto» (F. III 1, p. 100); «quei Spagnuoli» (F. III 2, p.101); «questa infelice, e carnal salma», «questi sono dunque i doni, queste le primitie, queste le fatiche de tuoi mal spesi anni?» (D. III 3, p. 101); «questa mia misera vita», «questo mortal mondo» (D. III 3, p. 102); «questa pregione corporale»,«questo crudele di Cintio» (D. III 3, p. 103); «Quest’è la consolatione di tutte le miserie», «Amore è causa di questo» (D. III 4, p.103); «questi dieci scudi», «oltra di questo tu avrai questo baccio», (D. III 4, p. 104); «questo vaso»; «non impedire questo ufficio», «che novella e cotesta che tu mi dai?»; «togli questo Diamantino» (Cam. III 4, p. 106); «il far cotesto, e pericoloso» (Ci. III 7, p. 110); «eccoti questo mantello, eccoti questa berretta, eccoti questi sei scudi, eccoti l’obligo per sempre» (Ci. III 7 p. 114); «son qui per obedirlo» (Ci III 7, p. 115);«pigliate questo marzapane, confortatevi alquanto» (D. III 8, p. 116); «con questo bacio», «quello che ci hà promesso» (D. III 9, p.116); «togliete questa scatola di confetti», «accettate questo vaso di conserve», «pigliate questi pistacchi»,«non sdegnate questo bacio» (Cam. III, 9, 116-117); «godetevi questa dozina di fazzoletti, mutatevi con queste sei camice bianche, togliete questo scartoccio di confettura secca» (D. III 9, p. 117); «Acconciatevi questo catenino» (Cam. III 9, p.117);«questa berretta»;«questa cappa» (D. III 9, p. 117); «quel Neronaccio di Zanne», «questa notte sognavo», «per questo casto legno» (F. III 13, p.121); «queste tre parole, e queste tue carezze violenti»,«Quei tre detti», «queste son cose insolite»,«o beato me se questo fussi», «che merdamor- fosi son queste?» «tiriamoci dunque in questa casa» (F. III 13, p.122); «questa volta» (Ci. III 23, p. 133); «questo à me?» (Ci. III 26, p. 136); «quel ruffiano di Zanne», «M’ha vituperato à cotesto modo» (Ci. III 27, p.138); «cotesto fine, che voi vedete»(D. III 27, p. 39); «vogliate lasciare coteste vostre bravarie» (Cam. III 27, p. 140); «conosco costui» (Ci III 27, p.142).

Può notarsi nell’elenco appena riportato un interessante caso di imperatif gerondial (una sorta di imperativo sostantivato) messo in bocca alla serva Filicetta: «di quel nasa e lecca (..) di quel monta» (I 15, p. 56). Tra l’altro vi è un ripetuto ricorso alla frase nominale «Quest’à me?», caratteristica di un tendenza a rendere la rapidità e la definizione icastica della situazione.

Stesso fine cui mirano quegli enunciati non verbali formati da l’accostamento di interiezione+deissi, altamente caratterizzanti il parlato in scena:

  «Mà ecco qua la mia fante» (D. I 1, p. 15); «ecco qui il mio male» (Cam I 11, p.42); «O ecco qua la padrona» (F. I, 13 bis, 52); «Zanne mio bellone ecco la tua schiavetta» (F. I 15, p. 55); «che ecco quà il signor Cintio» (F. II 3,p. 69) «ecco quà un buon vecchio» (Ci. II 15, p. 90); «O eccolo qua» (F. III 13, p. 121); «ma ecco qui il mio dolcissimo signor Zanne» (Cam. III 16, p. 125). 

Seguono le numerose altre interiezioni che si ripetono nelle battute degli innamorati e della fantesca (ricordando che oltre ad avere un valore dialogico queste contribuiscono alla coloritura sociolinguistica della parlata dei personaggi dato che solitamente per gli strati e i registri più elevati si preferiscono deh, ahimè, ahi , e per quelli medi e bassi ah, oh)[67]:

    «ahimè», «Ahi lassa» (D. I 1, p. 15); «Ma ahimè», «Ahi lasso» (Ci. I 6, p.29); «A signor Capitano» (Ci. I 6, p. 32); «Ohime, signor Capitano» (Ci. I 6, p. 35);«Ah’signor Capitano» (Ci. I 6, p. 36); «Oibò» (F. I 7, p. 37); «Ohime egli è quel disgratiato» (D. I 7, p. 38); «ahime» (Ci. I 10, p. 41); «Ah’ Capitan» (Cam. I 11, p. 42);«Ah Cintio mio crudele, ingrato» (Cam. II 3, p. 69); «Deh, Cintio crudele» (D. II 4, p. 71); «O come m’ha lasciata in secco»(F. III 2, p. 100);«O senza memo- ria di felicità, «Ahi madre sconsolata» (D. III 3, p. 101); «ahi balia», «ah Comadre mia autrice»,  «o Amore per me amaro» (gioco di consonanza quasi ossimorica), «o nocchiero infernale» (D. III 3, p. 102); «o felice me», «o avventurato te» (D. III 4, p. 104);«o meschinella me, ò Dio» (Cam. III 6, p. 105); «Ahimè, chi è colui che mi tiene il braccio?»(Cam. III, 6, 107); «Ohime, dormo io, o son desta?», «O Zanne mio», «O nunzio celeste», «O’avventuroso, o felice giorno» (D. III 8, p.115); «o signor Zanne» (D. III 8, p.116); «ohime, che merdamorfosi son queste?»ove può notarsi anche il ricorso al sostantivo “merdamorfosi” (F. III 13, p.122); «hoime, che la saliva mi viene in bocca» (F. III 13, p.123); «Uh, sia maleditta»;«Ohimè sogno io, o son desta?»(Cam. III 16, p.126); «o conten- ta me» (D. III 16, p. 127); «o felice mè» (Cam. III 16, p. 127); «o cagnaccio!»(F. III 25, p.134); «o hibò come tu sei fiacco»,«ahimè, ch’io son stato tradito»(Ci. III 26,p.135); «Ah vecchio bavoso», «O signore donne», «Ah Zanne traditore»,«O castità mia» (F.III 26, p.135); «Ah’ Zanne assassino» (Ci. III 26, p. 136);«Ahimè» (Cam. III 26, p. 137);«o giorno per me felicissimo» (Ci. III 26, p. 137).

Si riscontrano nel testo pure un buon numero di locuzioni e formule varie che a loro volta contribuiscono alla realizzazione della mimesi del parlato:

  «Filicetta mia dolce» (D. I 2, p. 16); più volte «ditemi per cortesia» (F., I 2, p.16, Ci. I 8, p. 39); inserito nel testo come inciso, tra parentesi tonde, «perdonatemi s’io scorro troppo innanzi» (F. I 2, p.1); tra parentesi pure «filicetta mia» (D. I 2, p. 17); diverse le occorrenze di «chi è la?» (F. I 13 bis, p. 51), anche graficamente presentato come «ch è là» (F. I 7, p. 37) o «Chi è là? » (F. II 3, p.68, D. II 4, p. 70, e Ci. II 3, p. 69); si ripete la formula «siate il ben venuto» (D. I 14, p. 52); «Siate il ben trovato» (Ci II, 2, p. 66); «Olà, non udite?»(Ci. II 3, p. 68); «ò Signor Cintio, siate il ben venuto» (F. II 3, p.68); «Buon di galant’huomo?», «A Dio buon vecchio?», «Ecco come diceva lei» (F. III 1, p. 99); «O via signor Cintio», «o via datemi buona risposta» (F. III 1, p. 100); «Eccoti la risposta, a Dio» (Ci. III 1, 100); «horsù io me ne vado» (F. III, 2, 100); «siate la ben trovate» (Cam III 9, p. 116); «e voi la molto benvenuta» (D III 9, p. 116); «O eccolo qua» (F. III 13, p. 121); «signor Zanne mio?» (D. III 16, p. 125).

Passiamo in rassegna adesso i verbi che, come più volte ribadito, nella commedia svolgono la funzione fatica insieme ai segnali discorsivi o connettivi funzionali all’interazione tra i personaggi (interiezioni, locuzioni o formule varie). Ecco i verbi (il numero elevato è stato ridotto per motivi di spazio e limitato ai primi due atti):

«taci scioccarella» (D. I 2, p. 18); «entrate ch’io vengo adesso», «Io vedrò per amor vostro di parlare a questo crudele di Cintio...» (F. I 2, p. 18); «voglio prima pascer me», «Entrerò in casa» (F. I 2, p. 19); «narratemi quche (qualche) nuova prodezza delle vostre» (Ci. I 6, p. 34); «io stupi- sco», «Scopritemi vi prego l’amor vostro,ch’io vi farò partecipe del mio dolore» (Ci. I 6, p. 35); «battero alla sua porta»,«Fermati che tu vedrai la tua druda», «Io stesso la chiamerò», «Ci aiuteremo l’un l’altro», «Io batto. Voi scostatevi» (Ci. I 6, p. 36);«Io mi retiro», «Accostatevi voi Signor Capitano, e parlategli e tu Catonzo, sta attento» (Ci I, p. 37); «Corrite, corrite», «Levamiti dinanei»(F. I 7, p.37); «a voi mi volto», «Rendetemi il cuore» (D. I 8, p. 39); «ditemi per cortesia» (Ci. I 8, p. 39); «fate dunque c’hio conosca»,«Altro non dirò»; (Ci. I 8, p. 39); «io entrerò» (D. I 8, p. 39); «andrò dunque a pisciare» (F. I 9, p. 40); «jo l’udirò volentieri» (Ci. I 10, p. 41); «sfodrate la vostra fulminea spada [...]uccidetemi»;«Fatelo, fatelo» (Cam. I 11, p. 44); «andiamo» (Ci. I 11, p 44); «andrò in casa, e piangendo sfogherò (qual fia impossibile) il dolore; chiamando l’ingrata morte in mio favore» (Cam. I 12, p. 45); «tu mi vieni à vedere», «padrona uscite fuori» (F. I 13, p. 51); «io mi discosto alquanto» (F. I 13, p. 52); «ascoltatelo e fate conto d’udire una oratione d’un Cieco o un cacchettare di gallina» (F. I 14, p. 53); «non risponderò altro», «V’esorto a lasciare la mala cominciata impresa», «Andate, andate, che vi dovreste vergognare»,«Entriamo in casa» (D. I 15, p.55); «Mirate che bel garbo d’inamorato?», «Tira via», «Piglia questo ricamo di sputo su’l viso» (Fil. I 15, p. 55); «io entrerò», «Tu te ne pentirai» (F. I 15, p. 56); «Vengo», «Ascoltate(..) tentiamo un’altra volta», «io batto, voi scostatevi alquanto» (Ci. II, 2,p. 68); «Mi par sentir batte- re», «Aspettate tanto ch’io trovi» (F. II 3, p. 68); «non udite? Sete voi sordi?» (Ci. II 3, p.68); «la chiamerò, Signora? Uscite fora» (F. II 3, p. 69); «Lasciategliela dire per amor mio» (Ci II 3, p. 69); «l’ascolterò», «O via comincià, ch’io non ti veggo», «Che non uscite fuora?» (F. II 3, p. 70); «non posso avere altro piacere, che l’ascoltarvi» (D. II 4, p. 70); «dite, dite» (D. II 4, p. 71);«Dilli che vadi», «Io entro per piangere», «entriamo Filicetta» (D. II 4, p. 71); «voi havete inteso», «Fate dunque tanto per me», (Ci. II 5, p. 72); «chi batte questa porta?», «Aspettate che io vengo à basso», «Appressatevi, appressatevi, ch’io non vi mangerò» (Cam. II 6, p. 73);«voi v’ingannate», «Io confesso», «Io entro» (Cam. II 6, p. 74);«vien & abbraccià», «Dammene un tantinuccio» (Fil. II 10, p. 82); «Io me n’entrerò in casa» (F. II 10, p. 84); «vò salutarlo», «mi soccorriate […]con l’andar à parlare» (Ci. II 14, p. 90);«andrò a trovar il Capitano», «Cercheremo aver con la forza», «Io vado per la più corta via» (Ci. II 14, p. 91).  

È impossibile non notare quante volte i verbi di moto (io entro, io vado, andiamo..) siano assolutamente funzionali alle “esigenze di regia” e siano l’unico, e il più semplice espediente, messo in atto per legare le uscite e le entrate in scena dei personaggi, i quali spesso non riescono a celare il loro interpretare pezzi di un repertorio accostati insieme senza validi collanti.

Consideriamo adesso le ripetizioni; anch’esse contribuiscono alla riproduzione di un parlato colloquiale e evidenziano un coinvolgimento affettivo dei personaggi (manifestazione di un fastidio o di un interesse, la mise en relief di un elemento, etc...); si tratta per lo più dunque di espressioni enfatiche da distinguersi dai pochi raddoppiamenti intensivi «spesso del tutto o quasi lessicalizzati»[68], come «stretto, stretto» (D. III 16, p. 126); «sempre, sempre» (F. III 27, p. 145) :

«di voi di voi» (D. I 1, p. 15); «disamoratevi disamoratevi dico» (F. I 2, p. 16); «Corrite, corrite» (F. I 7, p.37); «rendetemi, rendetemi» (D. I 7, p. 39); «che si, che si , che s’io» (F. I 9, p. 40); «Rompete, rompete» (Cam I 11, p. 42);  «Fatelo, fatelo» (Cam I 11, p. 44); «padrona, padrona uscite» (Fil. I 13, p. 51); «Andate, andate» (D I 15, p. 55); «Signora? Signora?» (F. II 3, p. 70); «dite, dite», «Cintio, Cintio, quest’a me?» (D. II 4, p. 71); «appressatevi appressatevi» (Cam. II 6, p. 73); «utilità, utilità» (F. II 10, p. 82); «Morte morte» (Cam. III 6, p. 106); «à voi à voi» (Cam III 6, p. 107); «quando, quando, quando»(Cam. III 6, p. 108).

Di seguito pongo l’attenzione sull’uso degli alterati, nell’insieme dei quali sono individuabili in particolare due categorie (si evidenzia anche così la differenziazione di tipo diastatico tra i due livelli linguistici): i superlativi assoluti, cui fanno ricorso per lo più gli innamorati quando descrivono l’oggetto del loro amore, e i dispregiativi, di cui fa abbondante uso la serva Filicetta per inveire contro gli uomini. Distinguiamo anche gli alterati formati da dimostrativo+spregiativo (dim+spr) e quelli formati da doppio suffisso (suf+suf) e da interfisso+suffisso (in+suf). :

carissimi (D. I 1, p. 13); intensissimo (D. I 1, p. 13); int+suff : scioccarella (D. I 2, p. 18); dim+ spr: quest’huominacci (F. I 3, p.18), duraccio (F. I 3, p.18); Nasone (F. I 3, p. 19); cortesissimo (Ci I 6, p. 29); sottilissime (Ci. I 6, p. 30); picciolini (Ci I 6, p. 31), bellissimo(Ci. I 6, p. 31), grossette (Ci. I 6, p. 31), picciolissimo (Ci. I 6, p. 31); dolcissimo (F. I 7, p. 37), suf+suf: nasonaccio (F. I 7, p. 37); dolcissimo (Cam. I 11, p. 42); dolcissima vita (Cam. I 11, p. 44); bellone (F. I 15, p. 55); schiavetta, schiavona, schiavina (F. I 15, p. 55); bacin piccolin piccolino, obedientissima (F. I 15, pp. 55-56), suf+suf: ingratonaccio (F. I 15, p. 56); duraccio, poltronaccio (F. I 15, p. 56), affettionatissimo (Ci II 4, p .71), angioletto mio, vostro affettionatissimo servo, serva affectionatissima (D. II 4, p. 71); ben stupendissima (Ci II 7, p. 78); dim+ spr: quel crudelaccio (F. II 10, p. 81), pignatino (F. II 3, p. 68); salsiccione (F. II 3, p. 68); asinello (F. II 10, p. 81); tozzoti (F. II 10, p. 82), suf+suf: morellotti (F. II 10, p. 82), assassinaccio (F. II 10, p. 82), cagnaccio (F. II 10, p. 82), boiaccio(F. II 10, p. 82), la tua mammina, la tua serafina, la tua pignatina (F. II 10, p. 82); suf+suf: un tantinuccio (F. II 10, p. 82); Angeluccio mio (F. II 10, p. 84); bellone, galatone, Absalone (F. II 10, p. 85); boccuccia (F. III, 1, p. 96); stradetta (F. III, 1, p.97), sorella carissima (Ci III I, p.97), più giovanetta (F. III 1, p. 98); inf+ suf: tondarella (F. III 1, p. 98), morbidella (F. III 1, p. 98); giovanetto (F. III 1, p. 98); meschinella (Cam. III 6, p.105); carissima (Cam III 9, p.116); ruffianissima bocca (D. III 9, p.117);  più che dignissima (D. III 9, p.118), serva affezionatissima (D. III 9, p.118); suf+suf: quel neronac- cio di Zanne (F. III 13, p.121), milisichissimo (F. III 13, p. 121); porcherrimo (F. III 13, p.121); io vostra schiavona (F. III 13, p.121); un posticello di tartufi (F. III 13, p.123); osservandissimo (D. III 15, p.124); dolcissimo signor (Cam III, 16, p.125); sorella carissima (Cam III, 16, p. 125 e Ci III 26, p. 137); o cagnaccio (F. III, 25, p. 134); felicissimo (Ci. III 26, p. 137); il sommo Dio ottimo massimo (Cam. III 27, p. 140); affetionatissimo (Ci. III, 27, p. 142); dell’Eccellentissima (Ci. III, 27, p.143); obedientissima (D. III 27, p. 144), il mio Zannino (F. III, 27, p. 144).

I dispregiativi fioccano, soprattutto dalla bocca della fantesca (ma non solo dalla sua), insieme ad altri epiteti ingiuriori, a locuzioni che mostrano apprezzamento ma che sono da intendersi, ovviamente, in senso ironico, a moduli imprecatori e a qualche sfuriata contro le figure maschili:

                              «Nasonaccio», «Trofeo da spedale», «che bel fusto d’huomo», « che bel garbo d’innamorato» (F. I 7, p. 37);«è quel disgratiato di quel Capitano da pugni» (D. I 8, p.38); «gran, prudenza di Capita- no», «belle pappolate grosse» (F. I 8, p. 38); «che vi venga il cancaro, huominacci crudeli», «Vi farò qualche malia», «Facendovi portare dal brutto babbao» (F. I 9, p. 40); «vecchio di Susanna piglia questo ricamo di sputo su’l viso» (F. 1 15, p. 55); «ingratonaccio, duraccio, poltronaccio» (F. I 15, p. 56); «che vada alle forche Cavalier da basto che gliè» (D. II 4, p. 71); «sia maledetto quel giorno…» (F. II 10, p. 81); «falso Dio» (D. III 3, p.101); «Invida parca» (D. III 3, p.102); «quel Bardessuola di Cupido…quel Neronaccio» (F. III 13, p.121); «uh’ sià maleditta la mia sciagura» (F. III 13, p.123); «ah vecchio bavoso che ti venghi il morbo», «ah Zanne traditore» (F. III 26, p.135); «non vi meravigliate s’io mi sono imbagasciata, poiché voi vi siete imputtanate» (F. III 26, p. 135), «ah’ Zanne assassino» (Ci. III 26, p. 136); «à tè scellerata vo farti portar la pena dell’assassinio fattomi»(Ci. III 27, p.138).

Come si è in parte potuto già rilevare, non potevano mancare nella commedia numerosi proverbi e modi di dire di diversa natura, anch’essi riconducibili ai due livelli linguistici e sociali prima individuati (si notino, tra l’altro, le tante metafore e similitudini). Dato il gran numero riporto solo quelle dei primi due atti

«s’io dovesse far come i Cani» (F. I 3, p. 18); «me seguo, chi mi fugge, e fuggo, chi mi segue» (Ci. I 6, p. 29); «non è encor nato, e chiamasi Giovanni» (F. I 8, p. 38); «io non cerco del vostro seme» (D. I 8, p. 38); «esser una stella ò imagine come la voglian chiamare per non far agirar il cervello agli Astrologi» (D,.I 8, pp. 38-39); «spargere il seme ad altra terra», «non son carne pe vostri denti» (D. I 8, p. 39); «Non mi rompete più il capo» (Ci. I 8, p. 39); «Cupido giuoca alla palla di noi» (Ci. I 9, p. 41); «vivere senza cuore» (Ci. I 11, p. 44); «pare un gãbaro cotto» (Ci. I 13, p. 51); «tutto rosso che pare una stoa antica» (Ci. I 13, p. 52); «che buon vento vi guida qui?» (D. I 14, p. 52);«ch’ambascia di core» (F. I 14, p. 53); «riscontrando i conti co’l tempo, e con la Morte»; «Sete co’l piede alla fossa» (D. I 14, p. 55); «un sol colpo non atterra un albero», «queste son le salse e le mostarde d’Amore» (Ci. II 3, p. 66); «Poi direm muoia Sanson con tutti i Filistei» (Ci. II 2, p. 66); «la farà tutta in succhio» (F. II 3, p. 69); «Il colombo è venuto» (F. II 3, p. 70); «Dilli che vada alle forche»; «Il cielo ti pagherà di quella moneta, che tu paghi me» (D. II 4, p. 71); «Corriamo una medesima fortuna» (Ci II  5, p. 72); «S’ha d’ amare quello che piace, e non quel ch’è bello», «Amore farà le mie vendette» (Cam II 6, p. 74); «le donne sogliono essere come i Principi, che pregati da un Signore per ottenere una gratia non la vogliono concedere» (Ci II 7, p. 75); «fareste come il Diluvio, che spopulo il mondo dell’humana semenza» (Ci II 7, p. 78); «pare un Asinello di quattro anni» (F. II 10, p. 81); «come i cani di Romagna poca carne e gran coda», «quelli son buoni cavalieri, che senza smontar di sella rompono due lance», «utilità e non pompa come si suole dire» (F. II 10, p. 82); «le donne son l’ornamento del Mondo, la pompa de’banchetti, il gaudio di festini [...] e l’instrumento d’un gaudio eterno, infine è una selva tanto piacevole ch’ogn’uno vor- rebbe cacciare li il suo cane», (F. II 10, pp 82-83); «meglio star senza letto che senza donna», «Queste sono appunto le speranze corteggiane, e l’aspettative del  Messia», «ingroppare questo nodo carnale» (F. II 10, p. 83); «tu vuoi cantare per B molle e io vorei che tu cantasse per natura, facendo tu il soprano ed io il Bassa » (F. II 10, pp. 83-84); «ogni età hà il suo Aprile ed ogni Asino hà il suo Maggio» (F. II 10, p. 84).

Si è riservata la fine della nostra analisi agli aspetti morfosintattici riscontrati ne Gli amorosi inganni che rivestono maggiore interesse (ossia il che “polivalente”, il ci “attualizzante” e le dislocazioni) in quanto considerati dai linguisti propri dell’italiano colloquiale (ma non solo) e quindi del parlato (basti pensare al largo uso nell’italiano odierno del clitico ci che diviene da antico locativo «semplice rinforzo semantico e fonico a certe forme verbali»[69], o viene lessicalizzato con taluni verbi). Belando fa ricorso al che “polivalente” in due casi (nel primo si può più precisamente parlare di che “indeclinato”): Dor. (II 4, p. 71):

 «Il cielo ti pagherà di quella moneta, che tu paghi me»; Ci. (I 6, p. 36): «che tu vedrai la tua druda tosto, che io stesso la chiamerò».

Seguono gli esempi di “ci attualizzante”, con valore enfatico-rafforzativo, preponderante rispetto all’antico valore locativo:

Fil. (I 9, p.40): «che si, che si, che s’io mi ci metto»; Fil. (II 10, p. 81): «a noi altre donne non ci piace tanto, dico alle savie, la bellezza quanto la fortezza»; Ci. (III 7, p. 111): « riderci di costoro a bocca piena»; Fil. (III 13, p. 122): «tiriamoci dunque in questa casa vecchia».

Si chiude l’indagine con gli esempi di dislocazione:

Fil. (II 10, pp. 81-82): «a noi altre donne non ci piace tanto , dico alle savie, la bellezza quanto la fortezza» Ci (III 7, p.115): «de questo ne avisero tutte l’università».

Esempio al limite tra presenza di dislocazione e grammaticalizzaizone (tale può considerarsi la ripresa nominale, il ne pleonastico) è il caso che segue: 

Cam. (I 11, p. 41): «fra tutte le passioni [...] niuna ve n’è che aguagli quella, che vien d’Amore».

 

 

8. Lo spagnolo

 

8.1. Il Capitano: Cenni sulla maschera

Quella del Capitano è una delle più antiche maschere della Commedia dell’ Arte, la cui genesi può farsi risalire al Pirgopolinice, il soldato millantatore del Miles gloriosus plautino e al terenziano Trasone dell' Eunuco. Nel teatro italiano del sedicesimo secolo rinasce nei panni del soldato per lo più spaccone e vanaglorioso, sempre pronto a vantare imprese impossibili, certamente mai compiute, cercando di celare, invece, la paura di combattere, o di affrontare il nemico in duello.

Con la dominazione spagnola dell'Italia e dopo la discesa di Carlo V, il Capitano acquista sempre più i connotati del soldato spagnolo e fa suoi lingua e modi di dire prettamente iberici.

Si può però, concordare con G. L. Beccaria, secondo il quale nella commedia del Cinquecento lo spagnolo, così come le altre parlate straniere, «serve sì a caratterizzare, ma rivela soprattutto la sua funzione di “registro”: è una convenzione stilistica, non già un riflesso realistico»[70].

Il parlare del Capitano, quindi, ha come fine primario la comicità realizzata tramite la comunicazione della sua“bravura”, i racconti delle sue avventure, i suoi deliri amorosi (spesso infatti, ed è questo anche il caso della commedia del Belando, la figura del Capitano si unisce a quella dell’innamorato). Si tratta insomma di puro ludismo verbale.

È da aggiungersi che nell’introduzione al benigno lettore l’autore, nello specificare le sue scelte linguistiche, precisa che “lo spagnolo favellerà castigliano più che potrà”.

Il nome del Capitano de Gli amorosi inganni, Basilisco (già nell’Altilia di M. A. Francesco Raineri del 1550), lo troviamo nei bestiari e in alcune leggende greche ed europee per indicare una creatura mitologica (citata anche come "re dei serpenti"), che si narrava avesse il potere di uccidere le sue vittime con un solo sguardo diretto negli occhi (dal greco ßas???s???, "piccolo re").

Secondo Solino e Plinio il Vecchio il Basilisco sarebbe un serpente, piccolo ma il più mortale esistente in natura in quanto velenosissimo e in grado di uccidere, appunto, con il solo sguardo.

Questa caratteristica doveva essere nota al nostro se al suo Capitano fa dire (II 16, p. 94) : «Con los ojos de Basilisco como soy y lo harè morir».

 

8.2. Fenomeni linguistici: lessico e sintassi

Nell’analisi delle caratteristiche testuali del Capitano sembra appropriato iniziare da quello che è un topos della maschera che non manca nella commedia del Belando, ossia il racconto della nascita miracolosa che l’uomo ama raccontare unendo nella sua lunga narrazione elementi fantastici e mitologici. Se ne riportano solo le prime battute (II I, p. 62):

«pues el mes que yo nasçi fue Marzio, en un Dia de Martes al amanescer, à la hora propria quando marte hazia llorar el quinto cielo, estando en su casa muy ayrado, y furibundu, entonees la Luna, el Sol se Eclipsaron, Mercurio se huyò volando de Miedo en Cielo de Iupiter, adonde ambos estu- bieroncon mucha pesadumbre de my nascimiento; Venus luego se enamorò de my hermasura, y saturno por gran colera se comiò en un solo bocado el niño, y los Cielos llovian sangre»

Di risposta ai dubbi del servo Catonzo riguardo la veridicità delle sue parole («Non saciu chi diri, si chistu è veru è una gran cosa» II I, p. 65) il Capitano conferma con sicurezza quanto detto («Esto es tã cierto, como la misma verdad» II 1, p. 66). D’altronde anche in altre occasioni sia il siciliano che gli altri personaggi che entrano in contatto col Capitano si mostrano alquanto scettici nei confronti dei racconti delle gesta da lui narrate che vengono definite da Catonzo “li belli minzogni sgarrati” (I 6, p. 33) e da Filicetta “belle pappolate goffe”(I 7, p. 38).

Si riporta solo qualche passo degli aneddoti (numerosi e molto lunghi) con cui lo spagnolo descrive e argomenta quella che lui definisce la sua “terribilissima estrema terribilidad”(I 4, p.20 ):  

   «Mas entre la valentias que yo hize, fue esta, qua allandome .en el Arabia desierta [...]me stavo reposando [..]saltò delante de mi un desmesurado osso y un fiero leon para tragarme [...] Y echando un braço en la garganta de l’osso le bolui como hiziera una media de feda» (I 4, p. 20); «y despues tomè al Leõ porel rabo y lo rebollui por mi mano y de untiro lo ombie tan alto, que mila- grosamente vino à encõtrarse en una Aquila de dos Cabeças»(I 14, pp.20-21); «Pareceme azer gran affrenta à mi grandeza à no tener una corte como yo meresco» (I 5, pp. 25-26); «le embie tan alto al cielo que cayo entre les dos pilares de san marco en venetia, haziendo d’ellos doze pedaços los quales echaron al hondo del agua diezysiete gondolas» (I 6, p. 34); «Le doy una estocadilla pequeña pequeña, yle hago treynta pedaços entrando mi espada en la tierrra tan hondo, que hizo salir fuora una fuente, la qual des de entonces se llamo , el fuente del Espanto [...]» (I 6, p.35); « agora me viene alla memoria, una prueua que hize en la guerra de Malta [ …] yo os dire o tra mas grande qu ne atreuimento de Rodamonte [..] sono contados por nada» (I 7, p. 76); «y yo matè tantos Turcos que Marte se escondio en las nubes por non ver tanta crudeldad» (I 7, P. 77); «pue estas son todas fabulas de l’Ariosto, y del Conde Matteos Maria Boyardo; mas las mias son verdaderas historias» (I 7, p. 78);

Nei racconti del Capitano abbondano, com’è facilmente intuibile, iperboli, esagerazioni, gonfiature, sopratutto quando l’uomo quantifica (in numeri) le sue vittime, i suoi successi; dice ad esempio:

  «Yo creo que veyntidos mil maestros de guarismo no podaria contar en tre anos los hombres que maté con esta mi espada» (I 4, p. 19); «le embie mi retrato, hecho por mano de quarenta Pintores, le quales todos murieron» (I 4, pp. 19-20);con perdida de quarenta mil, y quinientos y ochenta y cinco soldato»(I 4, p. 20); «te hago un presentillo de quinientos mil ducados» (I 5, p. 27); «dee a quel tiempo a ca que yo no he visto V.M. yo he affolado todo el Reyno de la Tartaria, muerto 25 Duques, degollado 22 Principes, domado siete Reyes de Corona atandolos à mi carro trionfal y he embiados à un Capitan de quinientos que he vencido à Caron» (I 6, p. 32); «passando un numero infinito de Animas, que yo le embio cada dia» (I 6, p. 33); «con matar dos mil hombres por un al muerço, ò en una batalla naval» (II 5, p. 22);

Altro elemento essenziale del linguaggio del Capitano è l’inserimento continuo di citazioni dal mondo mitologico che arricchiscono e contribuiscono a trasmettere il senso dell’unicità e della favolosità delle sue gesta; se ne riportano alcuni esempi:

   «Caron» (I 6, p. 32); «Pluto, Vulcan, Sterope, Bronte, y Piragmon ministros de su fragua; el escudo de Atlante y el Ipogrifo d’Astolfo; la fortija de Angelica» (I 6, p. 33); «Cupido hà vencido al temeroso espanto de la guerra, y me hà hecho caer con su bravura las armas, ni mas ni menos que la sangrienta espadà à Marte, la clava à Ercules, el tridente à Neptuno, el sorgon à Pluton» ,«Ala diosa Ciprina» (I 7, p. 38); «si ella estuuiesse mas incerada que no fue Helena d?tro de troja, yo la quierrja sacar de las manos de Paris, y dar un cavallo en las nalgas, y quitadas las bragas à Priamo viejo loco, y harpar la cara à Hettor, y desbaratar todo el campo de Agamenon, y dar veinte y cinco chiappes chappes à a quel cornudo de Menelao» (II 2, p. 67).

Anche per quest’ultima maschera si prendono in esame i fenomeni di riproduzione del parlato, iniziando sempre dalle deissi con più forte implicazione mimico-gestuale. Ecco gli esempi selezionati:

   «esta mi espada» (I, 4 p. 19); «mas entre la valentias que yo hize, fue esta» (I 14, p. 20); due volte «vien acà», «por acà», «esta tierra», «vien à cà»(I 5, pag 26); «este rincon», «mas ve alli el senor Cintio» (I 5, p. 28); «de a que tiempo a ca»(I 6, p.32); «No quieres callar? Toma este puntapié»(I 7, p. 37); «esta empresa» (I 11, p. 43), «esta mañana», «d’este negotio» (I 11, p. 44), «a qui està mi competidor»(I 17, p. 58), «estos picaros» (I 17, p. 59), «con aquella es coba y lanterna que llevas?» (II 1, p. 60); «estas perallas» (II 1, p. 62); «Esto es tã cierto», «Yo estoy oy determinado» (II 1, p. 66); « esta mujercilla» (II 2, p. 67); «cata aqui», «Dile que venga à cà», «ven cà» (II 16, p. 93); «d’esta razon?», «Adereça a quella barricada, arbolea esta vandera», «Imbraca a quel escudo», «si se puede hazer d’esta manera»(III 7, p. 109); «estas armas ea», «si hizieres esto», «y alende de esto» (III 7,p. 113);«estas que tienen el coraçon de azero»(III 7, p. 112); «tome esta impresa», «esta cadenilla», «tome de mas d’esto», «esta media dozenilla de escudos» (III 7, p.114); «o que trampa mui linda es esta» (III 20, p. 130); «esta vez Señora» (III 24, p. 133); «este vellaco?» (III 26, p. 136); «Quien pudiera jamas pensar esto?» (III 27, p.140).

La funzione fatica anche in questo caso è affidata a verbi, interiezioni e formule varie funzionali all’interazione tra i personaggi. Inizio dai primi:

   «yo me quieio retaer un puoco para escuchar lo que habla» (I 4, p. 23); «yo lo quiero llamar», «Vien acà», «quiete assentar con migo?»,«Vien à cà delante demi, nos temas» (I 5, p. 26); «te quiero hazer»(I 5, p. 27); «dime?» (I 5, p. 27); «yo te quiero hazer valiente hombre», «No te partas retiremonos en este rincon», «Calla, que yo quiero entender loque dize» (I 5, p. 28); «quiero dezir a V. M » (I 6, p. 33); «Vos me hareis un grandissimo favor», «Calla» (I 6, p. 36); «No quiete callar? Toma este puntapié» (I 7, p. 37); «Calla si no quieres que yo te despedace» (I 11, p. 43); «Callase. señor Cintio?» (I 11, p. 44); «Calla y mira que à qui està mi competitor; ferà menester (como creo) de pelear, y venir alas manos fin salta». (I 17, p. 58);«Vamonos Catonzo: ellos estan muy bien apeleados» (I 17, p. 59); «Mas qua quieres hazer con aquella es coba y lanterna que llevas?» (II 1, p. 60); «Digame la verdad» (II 1, p.61); «Entiendi solamente el dia de mi nacimiento» (II 1, p.62); «Và à llamar al señor Cintio por que le quiero hablar» (II, I, 66); «yo estoy oy determinado de poner à fuego, y sangre todo el mundo[…], y hazer un nuevo Caos sin salta» (II 2, p. 66); «yo quiero que lo tenga per favor esta mujerçilla», «nadie me tenga» (II 2, p. 67); «digala ea pues» (II 3, p. 69);«yo llamarè alla puerta. Pongase en aquel rincon» (II 5, p.73); «Hacedlo Señora Camilla»; «No os quiero mas escuchar, andaos de a qui» (II 6, p. 74); «pues que havemos de hazer?» (II 7, p. 75); «Vamonos», «Vaya delante por su vida», «Vamos todos iuntos, vien con nosotros Catonzo, y des pues te iras hasta el palacio de la Reyna Madre à cabla con aquel Principe, y mira si hà llegado el Ducque de Feria para que yo me vaya al consejo, que me estara esperando» (II, 7, p.78); «Yo quiero que tu te hagas honorado», «Mira que cosa es ser valiente» (II 16, p. 92); «pues cata aqui este buen viejo, yo quiero servirme», «Dile que venga a cà à hablar» (II 16, p. 93); «Ven cà, hazme un favor que yo te do [...] y no quiero otro de ti fino que hables una palabra con la Signora Dorotea» (II 16, pp. 93-94); «Yo me voy à buscar al Sañor Cintio, y pondremos todo el mundo à fuego y sangre, que nadie me estorve el camino [...]»(II 16, p. 94); «Vente tra de mi, Catonzo, y no ayas miedo (II 16, pp. 94-95); «Buon animo matalos à todos; yo me retiro entre tanto» (II 16, p. 95); «la entendeys señor Cintio?», «Catonzo adereça a quella barricada, arbolea esta vandera, pega fuego alas culebrinas; embraça a quel escudo, fuerte a la vengança , vesme a qui todo armado con la pica», «Nade tenga medio» (III 7, p. 109);.«pregun te solo à Catonzo mi servidor, y si han corrido bien»  (III 7, p. 111); «Adonde hallaremos este  Alcahuete, ò Alcahueta tan eccellente que puedan engañar à estas» (III 7, p.112); «tirame (Cattonzo) estas armas ea»,«Si hizieres esto, yo te darè un cossalete [..] te darè un presentillo [...] te’abbraço y te prometo de matar [..] te darè» (III 7, p. 113); «yo no quiero que me ganes de cortesia, toma esta empresa que [..].toma de mas d’esto el Fenich [...], toma la orden y allende». (III 7, p. 114); «vesme à qui prontissimo para obedecer os, escrivir cartas al gran Señor», «Hagase como lo manda, Vuestra Merced vayà de lante» (III 7, p. 115), «io entrarè para egendrar à otro Hercules» (III 20, p.130);«Ha’ hà yo od hè pescado en la red»,«basadme otra vez, atemonos ambos iuntos mi vida» (III 24, p. 133); «yo os quiero matar», «yo os quiero dar una estocadilla con un dedo», «yo le doy la mano, y la tomo por mi señora» (III 27, p. 140); «Yo lo hare» (III 27,p.141).

Di seguito le interiezioni:

   «Ha, Ha, Ha, me viene gana de rejr» (I 6, p.33);«Ah, hi de putta», «Ah’ vellacos», «Ah bracos», «Ah espaldas», «Ah coracon», «Ah pierna erculeas»; (I 17, p. 59); «ah’ Señor» (II 16, p.95),«Ha’ hà yo od hè pescado» (III 24, p.133); «o valame Dios»,«Ah peccador de mi » (III 26, p. 135).

Quindi le locuzioni e formule varie inserite con l’intento di riproduzione del parlato:

   «Ola hao? »(I 5, p. 26);« por el cuerpo de mi valor» (II 7, p. 76) «Viejo?  Olà non intiendes?» (II 16, 93);«Buon animo matalos à todos; yo me retiro entre tanto» (II 16, p. 95); «Por vida de quien soy» (III 20, p. 130); «señor Cintio?» (III 27, p. 140).

Il linguaggio del Capitano è particolarmente fecondo di imprecazioni ed epiteti ingiuriosi che coloriscono molte delle battute con le quali si rivolge non solo al servo ma anche a tutti i presunti nemici (compreso Amore) che non avrebbero il suo stesso coraggio e che quindi sono all’occorrenza vigliacchi, traditori etc. Si veda:

«Quel muchachuelo, vellaquillo, traidorfillo, ciego, hijo de putta de Amor» (I 4, pp. 21-22); «puta vieja catonera de Venus» (I 4, p. 22); «cuerpo de tal» (I 5, p. 26);«Cielo hijo de puta» (I 5, p. 27);«picaro» (I 7, p. 37);«vayafe con todos los Diablos de Inferno à cagar à fu honra» (I 10, p. 41);«mugersica?» (I 11, p. 43);«Ah hi de putta rujn!», «Ah’ vellacos picaros, borricos, perros, andad con todos lo Diablos del Inferno» (I 17, p.59); «Vellaconaços, covardazos, comejos, soys huydos? Hez de toda la Picardia y escoria del mundo» (II 1, p. 60); «Valgante todos los Diablos del Infierno» (II 1, p. 61); «Quel cornudo de Menelao» (II 1, p. 67); «ay peccador demi» II 2, p.67; «Boracho, picaro, ganapan» (III 7, p. 111);«A hi de putta yellacona» (III 7,p.112); « a donde està este vellaco? traydor, Alcahuettazo»,«vos fois muerta vellacona, mecanica, plebea, fuzia, bote de vituperio» (III 26, p. 136).

Non poteva mancare, nel vocabolario abbondante dello spagnolo, un numero cospicuo di accumulazioni ed elencazioni che, anzi, possono considerarsi una delle caratteristiche principali del personaggio. Eccole di seguito:

«Yo soy a quel tan terrible nombrado, estrenuo, invincibile Capitanazo Basilisco, cuyo nombre solo haze elar el yelo, temila el verano, sudar el imbierno, correr la montañas, parar lo rios, aplacar las tempestades, escurecer las estrellas, la luna, el sol, mandar a las planetas, los dioses y diosas, eques auratus imperial»(I 5, p. 26); «Nomebres, seminombres, titulos Epitetos, preminentias, grandeza y patria»; (I 5,pp.26-27); «yo soy el espanto de los Emperadores, temor de los Rejes, destruidor de los Principes, matador de los Capitanes, expluñador de las fortalezas», «desquar- tizar, quemar deflollar, espetar, affar, cortar, hazer padazos, arrancar coraçones, bever sangre, y poner todo à saco?» (I 5, p. 27); «entre los cuerpos muertos, furias, crudeldad, sangre, fuego, tempestades, arcabuçaços, picas, alabardas, poluora, canones, cossoletes, truenos y relampagos se hà de dormir» (II 1, p. 61);«ò en una batalla naval, campal, mural» (II 5, p. 72); (riferito a Cintio) «por ser hermoso, gentil, gratioso, valiente, rico, cortes, y mancebo» (II 6, pp. 73-74).

Non sono assenti nemmeno le ripetizioni, che ritroviamo in momenti di massima concitazione:

   «armas. Armas» (I 2, p. 67);con valore onomatopeico: «tarara tarara, tarantara tarantara», «Mata, mata!», «a ellos, a ellos», «victoria, victoria»(III 7, p. 109).

Gli alterati, invece, sono nel caso del Capitano tutti superlativi assoluti, in assonanza col tenore dei suoi discorsi: 

«terribilissima estrema» (I 4, p. 19); «diaboliquissimo rostro» (I 4, p. 20);«mujer hermosissima» (I 4, p. 22); «generalissimo» (I 5 , p. 27);«immortalissimo como buon soldado» (I 5, p. 28); «un grandissimo favor» (I 5, p. 36);«carissimo mi señor Cintio» (III 7, p. 108); «mi Señor Illustrissimo Principe(rivolto a Zanne)» (III 7, p. 114);«prontissimo» (III 7, p. 115); «yo soy contentissimo» (III 27, p.141).

Arricchiscono e coloriscono il parlare del Capitano anche alcuni modi di dire e proverbi che riguardano per lo più il mondo militare (si noti la precisazione a III 27, 144 dell’origine proprio spagnola del detto in questione):

   «yo tengo medio el mundo por enemigo» (I 5, p. 28);«el desden vence al Amor» (II 6, p. 67);«perro de los conejos de Amor» (II 16, p. 94);«eran soldados de capas» (III 7, pp. 110-11); «se fuesse el mismo Marte yo lo tengo en menos que un pelo de mi cavallo» (III 7, p.112);«render las armas à Marte» (III 27, p. 141);«A carne de lobo diente de perro; dizen los españoles» (III 27, p. 144) El Badil hà hallado, el mango» (III 27, p.145).

 

8.3 Dichiaratione dei vocaboli oscuri

Come già detto nel capitolo dedicato al siciliano, ne Gli amorosi inganni è presente in appendice alla commedia una Dichiaratione dei vocaboli oscuri spagnuoli e siciliani per Alfabeto, un glossarietto italo-ispano-siciliano, che abbiamo definito un ingenuo tentativo di apparato alla commedia.Questo è nella sezione dedicata alla lingua spagnola più ricco e nutrito rispetto alla parte riservata al siciliano (tra sostantivi e verbi si arriva a circa 130 voci).

È da notarsi, in primis, che alcune voci verbali sono riportate in diversi modi e tempi e non solo all’infinito (al futuro indicativo: ‘alleremo’ tradotto troveremo’; ‘deribarè’ ‘ruinerò, butterò à ballo’, all’imperativo ‘callase’ ‘tacete’; al presente indicativo: ‘escogen’ trad. ‘scelgono’; ‘llegue’ ‘m’appresso’, etc...); alcuni sostantivi sono al plurale anzicchè al singolare (‘bigotes’ tradotto ‘mostacci’, ‘colchones’  ‘materazzi’; ‘cartas’ ‘lettere’, ‘halmoadas’ ‘guanciali’, ‘nalgas’ trad.natiche’, ‘pilares’ trad.pilastri’, etc...); sono presenti anche raddoppiamenti intensivi lessicalizzati (‘luego luego’ ‘subito subito’; ‘passico passico’’piano piano’) e altro ancora. Ciò conferma che dal Belando queste pagine non sono considerate un vero e proprio dizionario nel senso in cui oggi lo intendiamo, ma proprio un ausilio “per più intelligenza del lettore” (come precisa sul frontespizio). A proposito della stessa Dichiaratione egli ringrazia nelle pagine che la precedono (dedica conclusiva Al molto magnifico signore Cesare Udin Secretario Interprete de Rè Christianissimo) l’“amico carissimo” Cesare Udin (interprete di Enrico IV, morto nel 1625) per essersi “affaticato” a “limargli”la lingua spagnuola, già coperta dalla rugine dell’oblivione” e in calce invita chi vuol dilettarsi con la lingua spagnola a leggere il “Tesoro delle due lingue, cioè la Spagnuola, e la Francese”, dello stesso amico, opera che raccoglie “un mostruoso numero di vocaboli”.

 

Conclusioni

La scelta de Gli amorosi inganni è stata motivata da più fattori: innanzitutto la data della sua pubblicazione la fa rientrare in una fase primitiva della Commedia dell’Arte; in particolare è da ritenersi una delle più antiche commedie scritte per esteso e data alle stampe da attori professionisti tra il Cinquecento e Seicento.

Inoltre l’analisi effettuata sull’opera si è rivelata utile per comprendere come già dal Cinquecento i commediografi concedessero sempre maggior spazio a forme proprie della lingua parlata escluse dalla norma perché considerate popolari ma che torneranno ad affiorare nel corso dei secoli successivi creando un’alternativa linguistica rispetto alla codificazione bembiana.

Alcuni tratti tipici del parlato attuale dunque, come dimostrano gli studi sulle attestazioni cinquecentesche e seicentesche e poi dei secoli successivi (soprattutto in testi teatrali) non possono considerarsi innovazioni di origine recente ma piuttosto riemergenze di fenomeni che da più secoli appartengono al patrimonio linguistico italiano.

Alcuni dei fenomeni individuati in queste pagine (il che polivalente, il ci attualizzante, le dislocazioni, etc..) sono divenuti tòpoi nelle dispute grammaticali, soggetti a condanna puristica e normativa.

Dallo studio sulle maschere e sui ruoli. dalla disamina sui i tratti salienti della mimesi dell’oralità e dello specifico codice scenico (dalla deissi alla sintassi marcata, dalle interiezioni alla fraseologia idiomatica, dalla florida alterazione al lessico dell’insulto, dai pleonasmi prononimali alle figure di ripetizione) Gli amorosi inganni è risultata una commedia che, sebbene non si distingua per la drammaticità (intesa nel senso originario di “azione”) o per l’originalità della trama, è degna di notevole interesse sia come documento dell’ampio ricorso che già tra Cinquecento e Seicento si faceva a quei fenomeni appena ricordati che ritroviamo ancor vivi nella lingua italiana d’oggi, sia per alcune soluzioni linguistiche particolarmente riuscite soprattutto nella creazione dei personaggi di basso rango, in primis Catonzo (ma anche la servetta).

 

 

 

 

 



[1] A. PERRUCCI (1699, p. 244).

[2] P. SPEZZANI (1997, pp. 153-154).

[3] M. L. ALTIERI BIAGI (1971 , p. 267).

[4] R.TESSARI (1980, p. 228).

[5] A. PERRUCCI (1699, pp. 194-195).

[6] Ivi, p. 201.

[7] E. TESTA (1991).

[8] E.TEZAa ( 1899-1900, pp. 87-101).

E. TEZAb (1899-1900, pp. 295-309).

[9] C. MELDOLESI (1983, p. 654).

[10] Preciso che la copia dell’opera da me presa in esame è quella conservata presso la Biblioteca nazionale Centrale di Roma, edita nel 1609 a Parigi presso David Gilio. Questa riporta sul frontespizio: “GLI AMOROSI INGANNI COMEDIA PIACEVOLE DI VINCENZO BELANDO detto Cataldo Sicil. No NUOVAMENTE posta in luce, e nel fine una Disperation Satirica in lingua Venetiana...”. L’avverbio “nuovamente” ha portato a supporre l’esistenza di una precedente edizione palermitana di cui questa sarebbe una ristampa. Da questa convinzione nasce l’errata identificazione del nostro con Vincenzo Errante operata dal Teza che, alla ricerca dell’editio princeps dell’opera parigina, credette di averla trovata nella commedia, datata 1603, dell’altro autore siciliano[10] In realtà non mi pare siano stati rinvenuti dati certi riguardo a un’edizione precedente de Gli amorosi inganni. Anche il frontespizio della copia della Biblioteca Nazionale di Firenze, utilizzata da Ferrone nella sua edizione del 1885-86, è identico a quello della Nazionale di Roma e a quello delle altre copie che risultano esistenti in Italia e anche all’estero. Si sarebbe quindi portati a credere che questa del 1609 sia in realtà la prima edizione dell’opera o, quantomeno, la più antica in nostro possesso. Continuerò comunque la mia indagine su questa strada.

[11] M. MIOTTI (1995, p. 225).

[12] C. NASELLI (1933, p. 241).

[13]M. MAYLENDER (1927, pp. 429-430) cit. da C. NASELLI (1933, p. 239).

Trenta villanelle stampate insieme con le lettere sono dedicate dall’ autore a uomini illustri della stessa città (alcuni dei quali il siciliano poté incontrare in Francia); in queste ricorrono spesso nomi di membri delle famiglie tra le più note di Lucca (Guinigi, Cenami, Sanminiati, Perna).

[14] E. Picot (1955), cita più volte il siciliano: a p. 88, in nota, a proposito di Alfonso Bartoli, protettore di artisti in Francia, a cui l’autore dedica le Lettere Facete fol. 117 e 139; ricorda a p.119 un altro nobile, il cavalier Bandini, che proteggeva i commedianti italiani e che viene citato dal nostro sempre nelle Lettere (fol. 70 e 141) e anche Benedetto Massei (p.127), a cui Belando indirizza lettere “comme à un protecteur”(Lettere folio 137); altre lettere sono dedicate a Lucrezia Massei (fol. 138). Lo studioso nomina un tale Orazio (Balbani?) a p. 128 cui sono dedicati altri versi sempre nelle Lettere, fol. 137, e, in nota, Scipione (fol. 135); compare ancora il nome di Battista Cenami (p.134), cui Belando si rivolge come mecenate (fol. 136) (vengono nominati pure Fabrizio e Luisa Cenami, al fol. 140); sempre come mecenate è indicato a p. 137 Giacomo Sardini (Lettere fol. 130, 139; lis.118 e 127).Sebastiano Zametto, conosciuto in Francia come Zamet, cui sono dedicate le lettere, è definito da Picot (p. 140) “le plus connu des grands partisan de la fin du XVIe siècle”.

[15] L’atto è pubblicato da C. MELDOLESI (1983 p. 655);  venne stipulato all’Hotel de Nemours, a Parigi, e fu firmato, oltre che dalle persone citate, da otto ufficiali della Corte (“tous amys communs desditz futurs époux”), fra cui François de Birague, con ogni probabilità un parente del Birago canzonato nelle Lettere facete e chiribizzose.

[16] S. FERRONE (2006), W. SCHRICKX (1972, pp.798-799), W. SCHRICKX (1976, pp.79-80).

Riporto per esteso i documenti in nostro possesso:

1. Mariage du 2 mai 1607. Archives Nationales, Min. centr. VIII R 570, f.III XXXVII

 Furent presens […] Francois de Varenne, valet de chambre de Monseigneur le duc de Genevois et de Nemours […] et Demoiselle Anne Bellando, fille de Chambre de Madame la duchesse de Nemours et de Chartres […], fille de Vincent de Bellando, bourgeois de ceste ville de Paris, y demeurant rue Bourtibourg, paroisse St Jehan en Grève et d’Anne Le Grand, sa femme.

2. 7 settembre 1576, (SAA Certificatieboek, Nr 36, f°532 v°)

[Drusian] Tristan Martinello de Mantua en Italie juravit comme ainsy soit que par certain temps il ait esté [avecq] en ceste ville d’Anvers avecq huyct hommes et trois [femmes] <dames> ayans joué et exhibé comédies et samblabes passetemps pour le plaisir des marchans et aultres [gens de] qui les sont venuz veoir et que présentement il est d’intencion de avecq  cesdictes compaignons et compaignes estans en nombre d’unze/se partir de ceste ville et aller vers France et ailleurs. Que en ce faisans ils ne sont d’aulcune volunté  ne entendent de contravenir ne faire fraude aux placcartz du roy nostre Seigneur. / Comparuerunt à la request dudict Drusian Martinello et de ceux de sadicte compaignie: Dino Repondi eaigé de 40 ans et Paulo Gallicani eaigé de xxv ans marchans Italiens résidens en cestedicte ville. Juraverunt quilz cognoissent bien ledict [Drusian] <Tristan> Martinello emsemble sesdicts compaignons mommément, <Drousian Martinello le maistre>, Vincentio Sardi, Hannibal Pizierardo, [Tristan Martinello] [<Drusian>], Bernardin de Cremona, Jehan de Barri, Marrocq d’Avarrone, Vincentio Belando. Et quilz scavent que iceulx sont joueurs de comédies et de semblable spectacles <comme dessus dict est> et point soldatz ne au service  de sa majesté les ayans et    attestants souventes  fois veu jouer et exhiber lesdictes comédies et spectacles. /Anno 1576 vij. Semptemb. /Anno 1576 viij. Octob.renovata» .

3. 27 marzo 1577 (SAA, Certificatieboek, Nr 39, f°129 r°and v°)

Vincent Belando Italien comediant juravit: Que comme ainsi soit qu’il aite esté en ceste dicte ville <par le temps de quatorze mois>, et y jouè avecq ses consors farches et comédies, et que estans sesdicts consortz partiz vers Paris, il est aussy d’intention de soy acheminer vers ledict Paris <pour illecques trouver sesdicts compaignons et les assister esdictes comèdes> et que par cela il n’entend de contravenier aulcunement aux edicts du  Roy nostre Seigneur sur ce publiez.  Comparuerunt au mesme instant et istance dudict Vincent, Carlo Franceschini [et gentilhomme] Vénetien eiagé de 45 ans et Nicoló Beocco maistre de la fournaise des cristalins en ceste dicte ville eaigé de 26 ans juraverunt qu’ilz cognoissent et par aulcum temps ilz ont cogneu ledict  Vincent Belando et qu’ilz scavent et est vray que icelluy Vincent est comédiante et joueur de comédies ayant avecq ses compaignons [tenu et] jouè <en ceste dicte ville> ses comédies <et demeuré> par l’espace de xiiii mois [et point] <n’estans> soldat ny homme de guerre et que [nulle] estans ses compaignons partyz vers Paris il entend de les suyvre veu que à present il est guary de la maladie dont il a esté doiz leur partement malade. <Anno 1577 xxvii Martii). Affirment en oultre que ledict  Vincent ne s’est  meslé ou entremis aulcunement du sacq et pillage de ceste dicte ville, ains soy tenu quoy et [modeste] modeste comme les aultres manans.

[17] S. FERRONE (2006, pp. 8-13).

[18] S. FERRONE (1985-86, p. 28).

[19] C. MELDOLESI (1983, p. 656).

[20] S. FERRONE (1985-86, p. 28).

[21] Ibidem.

[22] Per quel che concerne la figura del Capitano spagnolo, Belando segue un gusto diffuso e in un certo qual modo codificato da Le Bravure del Capitan Spavento divise in molti ragionamenti in forma di dialogo (I ediz., Venezia, Somasco, 1607) di F. Andreini. Il nome, Basilisco, del Capitano de Gli amorosi inganni è già nell’ Altilia di M. A. Francesco Raineri (1550) e anche ne La Furiosa di G. B. della Porta (1609).

[23] Ivi,  p. 29.

[24] A. MIGLIORI (1965, p. 544).

[25] Ivi, p. 455.

[26] Cfr. C. PASCULLI (1922).

[27] M. MIOTTI (1995,p. 225.)

[28] S. FERRONE (1985-86, p. 27).

[29] Ivi, p.30.

[30] C. GIOVANARDI (1989, p. 1).

[31] P. TRIFONE (2000, p. 9).

[32] C. LAVINIO (1990, p. 33).

[33] G. NENCIONI (p. 27).

[34] Ivi, p. 175.

[35] P. TRIFONE (2000, p.17).

[36] Ivi, p. 20.

[37] C. GIOVANARDI (1989, p. 4).

[38] basti pensare, per il livello alto, al discorso di tono filosofico-moraleggiante, platonico e petrarchesco degli innamorati, realizzato con un linguaggio aulico e con una solida sintassi architettonica, e ricollegabile al filone di prosa letteraria che va dal Boccaccio al Magnifico, alla trattatistica, alla produzione d’amore di consumo. Le battute dei servitori, invece, sono spesso modellate su schemi sintattici ed espressivi che appartengono al paradigma boccacciano di simulazione dell’oralità bassa.

[39] S. FERRONE (1985-86)

[40] P.TRIFONE (2000, p. 107), vedi anche R. SORNICOLA (1981) e M.VOGHERA (1992).

[41] A.SERPIERI (1977, pp. 90-135 e 97-105).

[42] E.TESTA (1991, p.235).Per l’analisi dei fenomeni linguistici di tipo sintattico e lessicale vedi anche F.ROSSI (2005).

[43] Ricordo solo che nel testo si accenna più volte all provenienza del personaggio dal paese di Naso, in provincia di Messina, non solo tramite allusioni al particolare fisico del grosso naso dell’uomo (caratteristico, peraltro, della maschera dello zanne) ma anche con dichiarazioni esplicite che hanno portato a considerare questo dato un inserimento  autobiografico dell’autore. 

[44] C. NASELLI (1933, p. 242).

[45] C. MELDOLESI (1983, p. 654).

[46] P.TRIFONE (2000, p. 39).

[47] Ivi, p. 43.

[48] Questi rappresentato, secondo la nota definizione di Cesare Segre (1984, p. 10), «il preciso supporto alla gestualità e alla messinscena, costituiscono insomma l’immanenza dello spettacolo in seno al testo»

[49] A. VARVARO (1981, pp. 181-182).

[50]C. NASELLI (1933, p. 240). Più genericamente A. Migliori (1965) conferma l’ipotesi dell’origine messinese basata su particolari linguistici.

[51]A. TRAINA (1868).

[52] VS (1997).

[53] Vocabolario Siciliano-italiano (sec XVII).

[54] P.SPATAFORA (sec XVIII).

[55]G. GIOENI (1885).

[56] A. PERRUCCI, (1699, pp.283-284)

[57] Lo sdoppiamento nelle due tipologie di servo furbo e sciocco, avvenne in una fase successiva rispetto a quella iniziale nella quale il servo era un personaggio a sé stante, con vita propria (il nome Zanni è una versione veneta del nome Gianni, in uso nel contado veneto-lombardo da dove provenivano gran parte dei servitori dei nobili e dei ricchi mercanti veneziani).

 

[58] A. PERRUCCI (1699, p. 245).

[59] Evidente appare la derivazione dal senex plautino e in parte dal Pappus delle Atellane.

[60] S. FERRONE (1985-86, p. 29).

[61] P. SPEZZANI, (1997, pp. 44-45).

[62] Ivi, p. 45.

[63] Ivi, p. 48.

 

[64] Dall’analisi condotta risulta chiaro, dunque, come la maschera del Magnifico presenti nel linguaggio alcune delle caratteristiche che si stabilizzeranno in maniera sempre più evidente e marcata nella figura di Pantalone della tradizione teatrale: gli aspetti realistici che sottolineano in maniera caricaturale il suo carattere collerico; il linguaggio affettivo, che rientra nelle prerogative del vecchio innamorato; la saggezza del personaggio, che si evince, pur se esagerata in chiave comica, dal linguaggio gnomico; l’uso di lunghe metafore e di citazioni colte che indicano il suo livello sociale (unica caratterizzazione ambientale).

[65] P. SPEZZANI, Dalla commedia dell’arte a Goldoni , Esedra, Padova, 1997, p.163

[66] A. PERRUCCI, Dell’arte rappresentativa premeditata e all’improvviso, Napoli, nuova stampa di Michele Luigi Mutio, 1699, pp. 303.

 

[67] P. TRIFONE, L’italiano a teatro.. , cit., p.116

[68] F. ROSSI (2005, p.167).

[69] E. TESTA, Simulazione..,, cit., p.261

[70] G. L. BECCARIA, Spagnolo e spagnoli in Italia. Riflessi ispanici sulla lingua italiana del Cinque e del Seicento, Torino, Giappichelli, 1968, p. 270







© drammaturgia.it - redazione@drammaturgia.it

 

multimedia Pantalone




 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013