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Italo Moscati

Italo Moscati
Il back stage del gioco perverso tra Valenti e la Ferida

Data di pubblicazione su web 14/05/2007
Luisa Ferida
Il libro di Italo Moscati Gioco perverso. La vera storia di Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, da Cinecittà alla guerra civile è stato presentato il 25 aprile scorso alla Casa del Cinema di Roma. Nella stessa giornata, sempre alla Casa del Cinema romana, è stato presentato il film doc Passioni nere di Moscati sul cinema italiano degli anni Trenta e Quaranta: film, attori, gerarchi, rese dei conti e l’inizio del neorealismo. Intanto in Veneto e Piemonte sono cominciate le riprese di Sangue pazzo di Marco Tullio Giordana, un film per il cinema e la tv sulla storia di Valenti e Ferida raccontata da Gioco perverso. Con questo stesso titolo, su questa stessa storia, Italo Moscati nel 1993 ha realizzato il tv movie in due puntate che ha vinto il Festival di Salerno ed è stato venduto in diversi paesi europei. In occasione del ritorno d’interesse per il cinema italiano di due decenni, in cui Valenti e Ferida erano tra i divi più famosi dell’Olimpo di Cinecittà  finiti in tragedia, l’autore di Gioco perverso e di Passioni nere racconta inediti retroscena di una vicenda fra cinema e storia.

Italo Moscati, Gioco perverso. La vera storia di Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, tra Cinecittà e Guerra civile, Torino, Lindau, 2007, pp. 288, ISBN 978-88-7180-616-7, € 21,00


Il back stage del gioco perverso tra Valenti e la Ferida

Non fu una seduta spiritica, ma poco ci mancò, quella che avvenne il 10 ottobre 1989 nella sala delle conferenze stampa, la famosa Sala degli Arazzi, a Viale Mazzini 14, Roma, nella sede della direzione generale della Rai-Tv.

C’era troppa gente. Non era possibile mettere tutte le mani in cerchio per chiamare qualcuno dall’aldilà o semplicemente da due tombe del cimitero di Musocco, a Milano. Bella gente del piccolo schermo come Sandro Bolchi, Raffaella Carrà, Gianfranco Funari, Paolo Guzzanti, quest’ultimo al debutto in una striscia serale d’opinione e sorrisi (si sperava). Faranno meglio anni dopo i suoi figli Sabina, Corrado e Caterina. Bella gente del grande schermo, come Sandra Milo, una ex del cinema che ha scelto una nuova strada per la sua carriera, Manuel e Christian De Sica. Giornalisti di grido come Arrigo Levi, Lino Iannuzzi, Ruggero Guarini. Critici come Achille Bonito Oliva. Registi come Bruno Corbucci e Giorgio Ferrara. Produttori come Goffredo Lombardo, illustrissimo, e Stefania Craxi, al debutto o quasi. Un vero trionfo di partecipazione.

L’invito diceva: Giampaolo Sodano, nuovo direttore di Rai2, illustrerà i programmi del palinsesto. Sodano era raggiante; era stato un programmista della Rai, quindi era entrato in parlamento come deputato del partito socialista, partito a cui aveva cominciato a militare dopo essere stato anarchico e contemporaneamente apprendista sceneggiatore. Non aveva mai smesso di amare lo spettacolo. Tornava in Rai da vincitore. Contestatissimo. Non gli si perdonava la designazione a direttore di Rai2 che veniva fatta risalire a una richiesta esplicita di Bettino Craxi, potente segretario del partito. Al microfono, mentre i paparazzi scattavano, bruciava dalla voglia di prende la parola. Disse con ironia, e tanta rivalsa verso chi gli aveva subito mostrato antipatia dentro e fuori l’azienda, “sono un ragazzo di borgata e ho imparato che chi mena per primo mena due volte”. Ma non poteva prevedere che cosa stava per succedere.

Stava per cominciare una strana seduta spiritica e ad essere evocati erano Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, due attori, sepolti a Musocco nelle tombe 381 e 382. Io ero lì, e non sapevo che avrei tremato. Cosa si stava preparando?

Prima di raccontare il sorprendente sviluppo di quella mattinata nel Palazzo del Cavallo, a Viale Mazzini, serve un salto fino ai giorni nostri, giorni in cui quel 10 ottobre 1989 mi è tornato in mente, grazie a una notizia annunciata dalla stampa. Tra poche settimane, intorno alla fine di aprile, cominceranno a Torino le riprese del film Sangue pazzo di Marco Tullio Giordana - diceva la notizia. Racconterà la storia di Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, i due attori fucilati dai partigiani dopo la Liberazione di Milano nell’aprile del 1945, ritenuti colpevoli di essere stati dei torturatori per una polizia fascista, nel clima macabro di Piazzale Loreto, con la morte e la esposizione a testa in giù dei corpi di Mussolini e Claretta Petacci, accanto a gerarchi e fedelissimi. Subito dopo la notizia, “Il Foglio” ha pubblicato con tempestività un esauriente articolo di Gabriella Mecucci il 3 febbraio, Gli amanti di Salò. In questo articolo si documentano le ragioni per cui Valenti e la Ferida, due tra i più famosi divi del cinema fascista, sono stati al centro di alcuni libri, tra cui il mio intitolato Gioco perverso (Lindau)  e del mio tv movie che si chiama allo stesso modo trasmesso da Rai2 nel 1993, e adesso del film di Giordana.

La storia degli amanti di Salò, una vecchia storia senza pace. Un “eterno ritorno” alla vicenda di morte dei due attori dentro la fine tragica di un regime, dei suoi capi, dell’illusione fascista . Un’illusione che era andata di  pari passo con le illusioni create dal cinema, allora unica e influente forma di seduzione di massa, con i suoi personaggi famosi, i suoi divi, i suoi vip come diciamo oggi. Osvaldo e Luisa, carismatici protagonisti di una élite dal grande potere evocativo. Tutti, o quasi, sono ormai d’accordo nel riconoscere che l’esecuzione dei due in una strada di Milano fu quanto meno frettolosa: la complicità con Pietro Koch, aguzzino di partigiani a Villa Triste, non è mai stata documentata in modo completo e convincente, si trattò di una colpa in gran parte enfatizzata nel clima di una resa dei conti con il regime sconfitto. Una resa dei conti in cui furono coinvolti Valenti, non più attore ma ufficiale della XX Mas soprannominato Sandokan che trascinò con se Luisa, bella come Clara Calamai e Doris Duranti - altre stelle di Cinecittà dell’epoca - ma più ingenua e sprovveduta di loro, e di tanti attori e registi che nel periodo tra il 1943 e il 1945, chiusa Cinecittà, nascosero o espatriarono in attesa di tempi migliori. Evidentemente, l’ “eterno ritorno” a Osvaldo e Luisa rivela il bisogno di ricostruire una storia non solo di morti per capire il perché e come è potuta accadere. Come ha scritto Sergio Luzzatto in Il corpo del duce, gli italiani si innamorarono di Mussolini. Una storia che non trova pace, insieme a molte altre domande su come fu possibile. 

Nel 2007 molte cose sono molto più semplici che non diciotto anni fa, 1989.

Quel mattino del 10 ottobre, ero mescolato alla bella gente accorsa a Viale Mazzini perché avevo un motivo specifico per esserci: avevo avuto il via per scrivere la sceneggiatura di un tv movie in due puntate intitolato Gioco perverso che avrebbe narrato vita, carriera e fine di Osvaldo e Luisa. Era stato faticosissimo avere quel via ma in quel mattino, e tanto più adesso, non era il caso di lamentarsi troppo. Sodano aveva varato il progetto di cui avevo parlato con un suo predecessore a Rai2, Massimo Fichera. Ero felice. Avrei completato con una fiction la ricerca che avevo iniziato sul cinema e la cultura nel fascismo: Il castello di sabbia, sui divi del grande schermo in Italia e Germania e Tornerai sui film e sullo spettacolo negli anni di guerra; e infine con Passioni nere, intrecci d’amore e di politica negli anni dell’Asse Roma-Berlino.

Sodano aveva voglia di “menare” per primo, sentendo la ostilità che lo circondava in certi ambienti per le ragioni che ho detto: l’appoggio di Craxi. Gli piaceva, stava bene nella polemica. Magari gli piaceva anche la rissa. L’aveva già  provocata dichiarando, subito dopo la sua nomina, che avrebbe fatto piazza pulita dei progetti che aveva trovato, anzi, senza esitazioni, disse che questi progetti li avrebbe gettati nel cestino, qualcuno nei giornali tradusse cestino in cesso. Suscitando un putiferio di rimostranze. Il primo colpo inferto alla platea giunse inaspettato, esplose come una bomba. Il direttore socialista di Rai2, il protetto del “decisionista” Craxi che Forattini disegnava in stivali e camicia nera, affermò che la sua rete avrebbe fatto un film sugli “anni belli del fascismo”, gli anni tra il ‘35 e il ‘40. Queste parole accesero testa e fondo schiena della stampa presente che scattò in piedi. Un cronista del “Corriere della Sera” - capelli bianchi, sessantaquattro anni - chiese la parola e disse che lui non si ricordava di un “fascismo bello”. La sala cominciò a rumoreggiare. Tumultuosamente. Le penne volarono sui taccuini. Non c’erano i telefonini e i cronisti delle agenzie assalirono l’ufficio stampa e  il centralino della Rai per farsi dare la linea.

Sodano resse l’onda d’urto. Ma si capì subito che aveva mal calcolato il colpo. Si sforzò di spiegare che lui all’epoca non era ancora nato e che nella sua famiglia, padre postino e madre a casa, era entrato un po’ di benessere in quegli anni, come gli stessi  genitori gli avevano raccontato. Era una vita meno dura rispetto al passato. C’era il miraggio delle mille lire al mese, c’erano il dopolavoro nelle aziende, le gite turistiche, le organizzazioni assistenziali. Lo stato e le istituzioni non passavano, è vero, - continuò Sodano - una stagione felice, anzi, e ciò valeva anche per le idee. Si faceva però molto cinema, e spesso di valore, venivano inaugurate mostre d’arte importanti, a cui lo  stesso Mussolini interveniva. Non ci fu nulla da fare. La tempesta si era scatenata e non sarebbe finita lì, le antenne e le chiome dei dirigenti della Rai, e soprattutto di Sodano, rischiarono di rompersi ai furori del vento.

Mi accorsi, in quei momenti di tempesta annunciata, che nessuno chiese di cosa si trattasse, di quale film parlasse Sodano. Nessuno voleva “parlare” con gli spiriti di Osvaldo Valenti e Luisa Ferida. Mandai giù la saliva.  Addio Gioco perverso, pensai; ne cominciava un altro, imprevisto.

La chiamarono “gaffe” ma fu un piccolo terremoto di carta e invettive. “La Repubblica” e “L’Unità”, e molti altri giornali, per giorni pubblicarono duri attacchi a Sodano e a un progetto rimasto innominato e quindi ignoto. Sodano rispose citando il “fascismo del consenso”, facendo i nomi di Amendola, De Felice, Togliatti.  Niente da fare. La resa dei conti doveva avvenire e avvenne nel cda della Rai e poi presso la commissione parlamentare di vigilanza sull’azienda considerata nel caso un disservizio pubblico. Proteste, richiesta di dibattiti e sanzioni. Marco Follini, membro del cda nominato dalla Dc, scrisse al presidente Enrico Manca per manifestare tutta la sua indignazione contro dichiarazioni che “violavano” il piano editoriale. Giovanni Ferrara, anche lui membro del cda, e “La Voce Repubblicana” si unirono alle proteste. Manca scelse la strada del rinvio di ogni decisione sul fatto e queste proteste. Il cda in scadenza tacque. Ma non era ancora tutto. Poteva capitare il peggio, ovvero che il progetto sarebbe entrato in crisi. Con il produttore Roberto Cicutto e gli attori coinvolti, disperavo. I giornali rovesciavano ogni giorno altra grandine battente.

Lo scandalo si fece più grande quando scese in campo Giancarlo Pajetta. Il leader comunista scrisse una lettera a Manca.  Con forza, chiedeva che in quegli “anni felici del fascismo” fosse raccontato che lui nello stesso periodo aveva scontato dieci mesi di carcere e che il fratello Giuliano, più giovane, dovette emigrare e combattere per la repubblica in Spagna. Escludeva che i genitori di Sodano fossero dei pazzi solo perché dissero al figlio che erano “anni felici”, e aggiungeva che il bambino, diventato adulto, qualche libro avrebbe potuto leggerlo, evitando così di annunciare film a “spese nostre”, cioè della Rai, servizio pubblico.

Se si aprivano i fronti delle polemiche, il film rimaneva ancora nell’ombra, profonda. Poteva persino andare bene così, con il progetto paradossalmente protetto dai contrasti fuorvianti e generici, in mezzo al silenzio delle citazioni e della disinformazione. Ma l’idea che il film su Valenti e la Ferida fosse una rivendicazione di “anni felici” conclusi dalla guerra e dalla fucilazione dei due attori in una strada di Milano per mano dei partigiani, correva nei corridoi della televisione e della politica. Aumentavano  i sospetti, le incertezze, le minacce su un film che correva il rischio di essere interdetto, proibito. Sussurri e grida paventavano accuse ai partigiani e alla Resistenza di aver sparso il sangue dei vinti, dei due attori che erano stati tra i primi del cinema fascista, il cinema dei vincitori.

La sensazione, per noi del gruppo impegnato nel tv movie che confidavamo nella  conferma dell’intenzione di realizzarlo (Sodano fu tenace), era quella di essere additati come i responsabili di un’operazione indegna, o comunque pericolosa, scorretta. Ogni settimana arrivava la notizia di un qualcosa di impalpabile e misterioso che consigliava di rimandare. I timori della storia maledetta aveva portato a cambiare i nomi dei protagonisti per non favorire un'identificazione. Ma la tempesta a poco a poco si assentò dalle pagine dei giornali e dai luoghi della politica. Un risultato forse era stato ottenuto: spaventare chi aveva osato. Non solo. Poteva   bastare aver tenuto il progetto nelle acque di un equivoco enfatizzato in modo adeguato, manovrato politicamente. 

Ora che Osvaldo e Luisa tornano nel prossimo film di Marco Tullio Giordana - così com’è tornato il mio libro Gioco perverso da cui fu tratto il tv movie - nessun equivoco, nessuna voce si è alzata, nessun interdetto. La situazione è cambiata. Le tombe smosse dagli scontri in nome della mamoria sono al loro posto. La stagione degli equivoci può considerarsi superata.

Forse. E per sempre?



 












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