Parte seconda
2. Una stella danzante generata dal caos
Nel 1848 Eugéne Scribe ed Ernest Legouvé scrivono lAdrienne Lecouvreur. Il dramma ha un enorme successo grazie anche allinterpretazione della Rachel. Emancipatosi da Scribe, Legouvé confeziona una Medée tagliata su misura per la rinomata tragica. Ma quello stesso anno, lattrice – per non rischiare di compromettere la propria fama di donna capricciosa e volitiva – parte, pur avendo già accettato il ruolo di Medea offertole dellamico Legouvé, per una tournée in America[1]. A dare notorietà alla tragedia è allora Adelaide Ristori che l8 aprile 1856 la propone a Parigi nella traduzione italiana del patriota Giuseppe Montanelli, poeta dilettante in bilico tra Vittorio Alfieri e Francesco Maria Piave[2]. La proporrà, dal 1856 al 1885, per 395 volte di cui 301 in paesi di lingua straniera. Nel 1866 la Ristori entra nella «fase della perfetta industrializzazione del prodotto teatrale e di se stessa»[3]: cominciano, in pratica, a circolare statuine dellattrice nei panni di Medea. E sempre intorno al 1866, Giacinta Pezzana sceglie di rendersi inevitabile il confronto con Adelaide Ristori.
Nello scrivere la sua Médée per la tragica Rachel, Legouvé è mosso da intenti apologetici: sa che la grande attrice non interpreterà mai un personaggio negativo. Allora cerca, come dice lo scrittore messicano Ignacio Manuel Altamirano, di «corregir à Eurípides»[4]: la sua eroina, priva della compagnia di una nutrice e abbandonata da Jason ormai da sei anni, arriva stremata a Corinto insieme ai due figli gemelli, apprende per caso la notizia che il marito sta per sposare la principessa Créuse, si sente dire che deve dare in affidamento alla nuova coppia i suoi figli, si accorge che questi le preferiscono immediatamente Créuse e – senza la speranza di essere accolta ad Atene da un re Egeo che qui non esiste - viene mandata pure in esilio da Créon. Limportanza dellintreccio e del testo drammaturgico passa comunque in secondo piano rispetto a quella della protagonista. A teatro non cè Della Valle o Legouvé. Non sussiste, per le attrici, larduo problema di dover far emergere, come dice la Pezzana, «la sola intenzione del Poeta»[5]. Ci sono un canovaccio e un personaggio: Medea.
Mentre alla Ristori la tragedia sta a cuore per la celebrità della protagonista, per latmosfera classica che si respira appena se ne scandisce il nome, per la passionalità della storia e lavvicendarsi di scene a effetto, a Giacinta Pezzana Medea interessa come essere umano. La Ristori si compiace dei propri gesti, del modo in cui cascano a terra i drappi della sua veste, delle pose scultoree neoclassiche e degli studiatissimi impeti melodrammatici che - lo sa - mandano il pubblico in delirio. La Ristori non sa - non vuole, non può - comprendere Medea: nei suoi Ricordi, scrive che adora i bambini e quando da giovane ne vedeva uno in carrozzina accompagnato dalla balia non poteva trattenersi dal prenderlo in collo e sbaciucchiarlo[6]. Lattrice marchesa mette le mani avanti e anche i puntini sulle “i” della propria rispettabilità: il mondo deve sapere che lei non ha nulla a che vedere con questo personaggio nonostante Legouvé abbia fatto di tutto per metterlo in buona luce. La Pezzana sente il personaggio, ne vive sulla propria pelle le contraddizioni, la Ristori no e può permettersi di indagarlo con distacco critico e di riprodurlo con algido piglio estetizzante. La Ristori odiava la Medea recitata dalla Pezzana – non solo perché, essendosene garantita i diritti[7], era lunica a poterla portare in scena – ma soprattutto perché ne assisteva, impotente, alla inaspettata metamorfosi da tragedia, cui lei aveva cercato di conferire un «senso di composta rigidità espressiva», a dramma moderno basato interamente su un «gioco di contrasti e squilibri»[8].
Medea accompagna la carriera e la vita della Pezzana per oltre quarantanni ed è dunque naturale che, insieme allattrice, cresca anche il personaggio. La prima volta che Giacinta interpreta Medea ha in mente le sculture ristoriane ed è adagiata nel caldo nido della Compagnia dei Fiorentini di Napoli[9]. Poi viaggia per il mondo, sbatte la testa contro vari muri, milita nel femminismo e stringe importanti amicizie[10]. Col tempo, la Pezzana fa in modo che Medea si sganci dalle fredde pose della Ristori e diventi orgoglioso vessillo del cosiddetto emancipazionismo. Per riuscire a sopravvivere in una società declinata al maschile le donne hanno spesso dovuto imparare, loro malgrado, a saper fingere. Quella di Medea è una sorta di tragedia di formazione: la protagonista si trova infatti invischiata in una vicenda che la costringe a dover essere diversa da comè per riuscire a farsi accettare. Medea è una donna che recita. E lattrice per eccellenza. Scrive Laura Mariani a proposito dellatavica vocazione femminile per la recitazione:
Le attrici […] erano viste […] fra le artiste come le uniche in grado di volgere in pregio quello che veniva comunemente giudicato un difetto femminile: la cosiddetta “anima multipla” della donna, la sua capacità di assumere in sé personalità differenti e addirittura contrastanti. Tale caratteristica che aveva origine, secondo molte emancipazioniste, nellantica necessità, per le donne, di dissimulare la loro anima autentica e di assumere di volta in volta quella imposta dalluomo, era da loro considerata una potenziale ricchezza, in quanto dava alle donne la capacità di comprendere fino in fondo psicologie differenti e di individuare dunque fra quelle lessenza vera della “donna nuova”[11].
Medea è il prototipo dellartista in generale (sia essa attrice o scrittrice, sia la Pezzana come Eleonora Duse o Sibilla Aleramo) che preferisce «realizzare se stessa in opere non di carne ma di anima», al di là della maternità e della famiglia[12]. La tragedia Medea si trasforma, per la prima volta, in opera dimpegno concreto e Medea assume per tutte le “emancipazioniste” che collaborano a «La donna» le sembianze di Giacinta Pezzana.
Sul giornale «La Venezia», la commediografa Malvina Frank parla, nel 1884, della Medea rappresentata dalla Compagnia Pezzana a Treviso e larticolo viene ripubblicato su «La donna». La Frank si meraviglia dellenorme numero di spettatori accorsi ad assistere a una tragedia «antichissima e leggendaria»[13] come Medea:
Ma questa Medea era Giacinta Pezzana, ed il pubblico ebbe ragione. La imponenza selvaggia, ma tragica, ma nobilissima della persona, della voce, del gesto, della espressione nella Pezzana, raggiunsero tale apice dellarte, da non ammettersi paragoni. Quei passaggi così naturali, così veri, dallo sdegno, dallodio, agli accenti appassionati dellamore, alla dolcezza delle materne carezze, espressi così vivamente, eppure senza ombra mai di esagerato e convenzionale, mai, lasciò in me ed altri molti tale impressione, che difficilmente cancellasi[14].
Medea è amante e madre, è regina ma è straniera, odia e ama il marito che la tradisce, ama e odia i figli, è gelosa della giovane rivale e sente di esserle stata simile. Medea ha molti punti di contatto con Giacinta: linquietudine, la selvatichezza, la passionalità, la lacerante contraddittorietà, la solitudine. La Pezzana vorrebbe trasformare una «anticaglia»[15] come la Medea di Legouvé in un dramma moderno: adatta – per quanto è possibile - in prosa i versi di Montanelli, si circonda quasi sempre di un complesso attoriale che dia credibilità a tutti i personaggi[16], sceglie costumi semplici (un manto e una tunica rossi per Medea) e rende viva quella donna che la Ristori aveva ibernato in un elegante e glaciale neoclassicismo. Verso la fine degli anni Settanta, dal punto di vista drammaturgico, «nuove mediazioni intervengono a temperare leccessiva immediatezza del “vero”: si sperimenta il verismo per vie storiche e melodrammatiche» col fine di conciliare «esigenza realistica e bisogno di comunicare a un pubblico tradizionale. La soluzione di compromesso chiedeva sì il vero, ma purchè non fosse contemporaneo, o comunque almeno filtrato attraverso personaggi capaci di “grandi passioni”» e «liricizzato dalluso dei versi al posto della prosa»[17]. Anche la Pezzana, in ambito recitativo, imbocca la via del compromesso fra tragedia classica e dramma moderno. Ciò che conta è «innanzi tutto la vita. Questa è – scrive Luigi Capuana nel 1879 – la prima, essenziale condizione di unopera darte di qualunque natura. Ma la vita, presa così è unidea astratta: cè vita e vita […]. Luomo di quattro secoli fa non è luomo doggi […]. Se voi togliete intanto i particolari dei vizii, delle virtù, delle passioni che resta del vostro uomo, del vostro personaggio? Restano delle generalità, delle astrattezze, cioè la cosa più assolutamente ripugnante alla natura dellarte […]. Domandategli piuttosto che vi dia la realtà presente, la realtà del suo cuore, del suo spirito, la realtà vivente del suo tempo»[18]. Benchè le parole di Capuana si riferiscano ai personaggi dei drammi storici, valgono anche per quelli delle tragedie: limportante è che vivano sulla scena[19]. La Medea a forti tinte della Pezzana - irrequieta e confusa, agitata e nervosa, sola e infelice - turba profondamente un pubblico che a teatro vorrebbe solo divertirsi.
Malvina Frank trasporta poi questa Medea dalla sponda artistica a quella sociale:
La Medea sarà sempre la tragedia sociale dogni dì, per quanto il tipo ne sia leggendario. Ogni giorno si annunciano su pe giornali donne tradite e sprezzate, dopo avere o arricchiti gli amanti, od essersi anche rese delinquenti per essi; ogni dì madri abbandonate uccidono sè stesse coi figli illegittimi (e, pur troppo, anche legittimi). – La differenza sta solo in ciò, che le donne barbare, che Medea, adoperò il veleno e il pugnale; adesso, modernamente, è la rivoltella aggiunta al pugnale e al veleno, è magari il vetriolo con che si vendicano le tradite[20].
La Frank trasforma quello di Medea in un caso di cronaca nera[21]. La leggendaria Medea scende dal piedistallo tragico e si ritrova data in pasto a unumanità che cresciuta senza ideali, per dirla come la Pezzana, guazza nellabbrutimento[22]. La Frank non vede in Medea la maga straniera, la regina, la quindicenne sedotta da un avventuriero, la moglie ripudiata, la madre odiata dai figli ma lantenata barbara di quelle casalinghe frustrate che, chiuse in un loro mondo di noia e alienazione, uccidono i figli. La Frank oltrepassa il valore poetico del mito, lo scarnifica per raggiungere la crudezza del fatto osservato nella sua agghiacciante nudità:
Un quarto dora dopo avere rappresentato Medea, la Pezzana, vestita da sposa recente, da contadina diventata contessa, esilarava il pubblico coi suoi sforzi per imparare a leggere, ed appropriarsi le maniere della gran dama. Era un dono per la sua serata. Quale versatilità, quanta potenza darte![23].
La Ristori, il cui unico peccato – oltre alla venalità - consisteva forse nel prendersi troppo sul serio, non avrebbe mai deciso di far ridere dopo aver fatto piangere[24].
[1] Tournée che non solo andrà male ma le costerà anche un peggioramento della salute nervosa e fisica (morirà di tisi nel 1858, a trentotto anni).
[2] Montanelli non aveva – secondo Giuseppe Giusti - «né forte sentire né forte pensare» (cfr. G. Mazzoni, LOttocento, [1910], Milano, Vallardi, 19648, p. 428) ma oscillava da Alfieri a Leopardi, dai melodrammi a Manzoni.
[3] La monarchia teatrale di Adelaide Ristori 1855-1885, Catalogo della mostra di manoscritti, documenti, costumi del Fondo Adelaide Ristori, a cura di T. Viziano e A. Tinterri, Firenze, 1978, p. 39.
[4] Il 31 dicembre 1874, la Ristori recita Medea in Messico e, il 3 febbraio 1875, su «El siglo diez y nueve», viene pubblicata una lunga recensione di Ignacio Manuel Altamirano: «Dice Legouvé que no comprende como Eurípides hace que Mêdêa mate á sus hijos, amándolos y tan solo por vengarse de Jason. Cree hallar en esto un gran defecto; [...] él pretende mejorar al poeta, conformarse mejor con la naturaleza, y al efecto, hace que los hijos aborrezean un poco á la madre, que ésta se encele tambien del cariño que sùbitamente inspira Kreusa à los niños, y por ùltimo, que el sacrificio de ellos sea una exigencia de un culto bárbaro, de manera que, segun dice aproximando el crímen de Mêdêa al culto en que ha vivido, le dió por cómplices á sus mismos dioses. ¡ Tantos motivos para sustituir al verdadero, al natural, al único que el poeta griego dió para el infanticidio!» (I. M. Altamirano, Medea, in «El siglo diez y nueve», 3 febbraio 1875).
[5] Scriverà la Pezzana a Boutet nel periodo delle sue Lecturae Dantis: «non si può e non si deve declamare Dante come si declamerebbe Fucinato, o Prati. La sola intenzione del Poeta deve emergere… e qui è il problema!» (G. Pezzana a E. Boutet, Roma, 26 gennaio 1900, in L. Mariani, Lattrice del cuore, cit., p. 316).
[6] «Avendomi la natura dotata al più alto grado di sentimenti materni, rifuggiva dallidea che una madre di sua mano e con proposito preconcetto potesse uccidere i propri figli! Né ammettevo tale mostruosità neppure sulla scena» (A. Ristori, Ricordi e studi artistici, Torino-Napoli, L. Roux e C., 1887, p. 232). Così, nella sua auto-agiografia, la Ristori spiega il motivo per cui si era sempre rifiutata di recitare la Medea di Cesare Della Valle, duca di Ventignano. In realtà, in una lettera al celebre critico teatrale Jules Janin del 10 gennaio 1856, lattrice scrive che la spaventava impicciarsi con quel “jetatore di primo rango” di Della Valle (cfr. T. Viziano, Il palcoscenico di Adelaide Ristori, Roma, Bulzoni, 2000, p. 131).
[7] Nonostante questo, prima Antonietta Robotti e poi, appunto, Giacinta Pezzana che le «dava particolarmente sui nervi» misero in scena la tragedia di Legouvé. Per bloccare la Pezzana, la Ristori «pensò di donare nel 1881 i diritti della “sua tragedia” alla “Casa di ricovero per i poveri artisti fondata a Bologna” […] a condizione che ne rivendicasse “i diritti non pagati, dal 1856 a tuttoggi” e quelli futuri» (T. Viziano, Il palcoscenico di Adelaide Ristori, cit., p. 143).
[8] A. Petrini, Attori e scena nel Teatro italiano di fine Ottocento, cit., p. 31.
[9] Nel periodo trascorso nella Compagnia Stabile dei Fiorentini di Napoli (dal 1868 al 1870), la Pezzana sale per la prima volta su quei trampolini di lancio della Ristori (Medea, Mirra, Norma, Giuditta) con cui, per una sorta di timoroso ritegno, non aveva ancora avuto il coraggio di misurarsi.
[10] Nel 1876, inizia una corrispondenza con la mazziniana Giorgina Craufurd (moglie del rivoluzionario Aurelio Saffi) che in un articolo sul bimestrale femminista «La donna» (1868-1891), diretto da Gualberta Alaide Beccari, aveva auspicato un appoggio economico mensile da parte delle lettrici per garantire la pubblicazione della rivista. Giacinta aderisce alla proposta, comincia anche a collaborare con relativa regolarità e a pubblicare alcuni suoi bozzetti tardo-veristi. Intorno a «La donna» fiorisce lamicizia di Giacinta con la tenace ed equilibrata Giorgina, con lesasperante Gualberta – esaltata martire del suo giornale – costretta dalla prigionia materna ad una tormentosa verginità, più tardi – dal 1905 – con la lucida auto-analista Rina Faccio (in arte Sibilla Aleramo) e soprattutto con la coetanea Alessandra Ravizza, filantropa di professione.
[11] L. Mariani, Il tempo delle attrici, cit., p. 41.
[12] Cfr. ivi, p. 178.
[13] M. Frank, La Pezzana giudicata da Malvina Frank, in «La donna», 31 dicembre 1884.
[14] Ibidem.
[15] Cfr. G. Pezzana a A. Ravizza, Catania, 17 gennaio 1891, in L. Mariani, Lattrice del cuore, cit., p. 212.
[16] La Pezzana, fedele agli insegnamenti di Toselli, si circonda di una compagnia valida e affiatata. Per la Ristori, al contrario, gli attori avevano più o meno la stessa funzione esornativa dei costumi e delle scenografie. Immersa nei preparativi per lallestimento della sua Medea parigina, lattrice scrive allamico Carlo Balboni: «[…] non vè bisogno di contornarmi di alcuna nostra celebrità tutte incognite alla francia (sic) ed altrove, ma bensì dun buon complesso che armonizzi bene con me, di bellaspetto, di decenza nellapparenza e di nullaltro» (Documento n. 62, lettera del 25 novembre 1855, Adelaide Ristori a Carlo Balboni, in P. Bignami, Alle origini dellimpresa teatrale, dalle carte di Adelaide Ristori, Bologna, Nuova Alfa, 1988, p. 100).
[17] Cfr. S. Ferrone, Il teatro di Verga, Roma, Bulzoni, 1972, pp. 100-101.
[18] L. Capuana, Rassegna drammatica. A proposito del dramma storico, in «Corriere della sera», 15-16 dicembre 1879 in ivi, p. 101 n.
[19] «Il mio ideale nellArte è il vero e se non lo raggiungo sempre, è deficienza dingegno, non ho la burbanzosa pretesa dimporre una data scuola» (G. Pezzana a D. Lanza, Aci Castello, 16 luglio 1897, in L. Mariani, Lattrice del cuore, p. 288).
[20] M. Frank, La Pezzana giudicata da Malvina Frank, in «La donna», cit.
[21] La Frank sembra prevedere con un secolo di anticipo i drammi sociali ispirati a Medea scritti sul finire del Novecento e allinizio del nuovo Millennio: Notturno di donna con ospiti (1985) di Annibale Ruccello portato al successo da Giuliana De Sio, latroce Bash (1999) di Neil Labute, la Medea “splatter” diretta da Debora Warner nel 2002 e interpretata da Fiona Shaw o ancora latto unico ambientato in un carcere psichiatrico giudiziario From Medea (2004) di Grazia Verasani.
[22] Nel 1893 la Pezzana pubblica il «tentativo di romanzo» Maruzza (in proposito, cfr. P. Puppa, Giacinta Pezzana tra scena e pagina, in «Ariel», anno XIII, settembre-dicembre 1998, pp. 41-54) e, nello stesso anno, scrive alla Saffi: «non la brutta voglia di seguire la scuola verista mi dettò Maruzza ma la necessità di esporre labbrutimento in cui guazza lumanità cresciuta senza ideali» (G. Pezzana a G. Saffi, Catania, 24 febbraio 1893, in L. Mariani, Lattrice del cuore, cit., 234).
[23] M. Frank, La Pezzana giudicata da Malvina Frank, cit.
[24] «[…] nessuna attrice del suo tempo, compresa la Ristori, potè vantare tal vastità di repertorio» (L. Rasi, Pezzana-Gualtieri Giacinta, in I Comici italiani, cit., p. 270).
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