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Lia Lapini

Questioni di messinscena: l'attore, la recitazione, le rappresentazioni

Data di pubblicazione su web 21/03/2001
Lia Lapini
Dal Il dizionario del futurismo (Firenze, Vallecchi, 2002, voll. 2, pp. 1276, ill., euro 200,00, isbn 88-8427-006-5) diretto da Ezio Godoli, è nato dalla cooperazione di numerosi studiosi e importanti istituzioni. Il nucleo numericamente più consistente riguarda le voci biografiche, mentre le altre rendono conto del 'lessico futurista', con termini quali, ad esempio, "aeropittura" o "aeroplastica".


Uno dei contributi è scritto da Lia Lapini (1949-1999) - vd. bibliografia - per anni docente nella nostra Università di Firenze e in quella di Siena. Amica carissima e collega appassionata, ha lasciato un vuoto irrimediabile nella nostra vita di tutti i giorni. Vogliamo qui condividere con un pubblico più ampio il ricordo del suo amore per il teatro pubblicando un breve estratto delle sue parole di storica.

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Si può parlare di attori futuristi? Difficile rispondere. È certo che il nuovo genere della sintesi esigeva attori in egual misura nuovi, come notava Yambo, o capaci di rinnovarsi, rinunciando all'eredità rassicurante della enfatica recitazione ottocentesca o ai registri interpretativi naturalistici, oppure rendendosi disponibili a utilizzare parodicamente quegli stessi registri. Nella loro concisione di pochi scambi di battute tra personaggi, che devono esprimere intere situazioni o complicazioni psicologiche in atti ridotti ad attimi, i microdrammi futuristi volevano una recitazione secca, scarna, spesso ironicamente distaccata, di tipo talora didascalico o "pubblicitario", come spiegava A.G. Bragaglia, il multiforme uomo di teatro assai vicino alle esperienze artistiche futuriste, tenace sostenitore nella teoria e in pratica di un "teatro teatrale" antiletterario e antiaccademico, il quale nel suo teatrino romano d'avanguardia, gli Indipendenti, avrebbe accolto dal 1923 in poi, tra le novità drammatiche contemporanee, diverse creazioni futuriste (nella compagnia degli Indipendenti, formata da giovani attori e anche dilettanti, sarebbe stata "prima attrice" fino al 1930 Fulvia Giuliani, lanciata diciassettenne come "grande attrice futurista" declamatrice poetica e macchiettista, ai tempi de "L'Italia Futurista", da Settimelli). L'importante, ricorda R. Chiti, data "la speciosità dei soggetti scelti" nelle sintesi, era la massima chiarezza di recitazione, per far immediatamente "giungere e scendere nella coscienza dello spettatore" le intenzioni dell'autore [v. intervista, in Verdone 1969, pp. 117-118]. Di Chiti è la responsabilità direttiva, nel maggio 1916, della prima vera e propria compagnia allestita appositamente per il repertorio futurista, che alla Pergola di Firenze rappresentò per beneficenza quindici sintesi. Era tutta formata da dilettanti, per lo più studenti universitari improvvisatisi attori, così come spesso anche in seguito, per ragioni di ordine economico e per la sempre minore disponibilità di attori professionisti, si fece ricorso a compagnie filodrammatiche, quali la fiorentina Ines Masi e soci, che nel gennaio del 1917 rappresentò, ad accompagnamento della proiezione del film Vita Futurista al Niccolini di Firenze, quattro sintesi di Corra e Settimelli. Oppure si misero insieme compagnie raccogliticce semiprofessioniste, perpetuando quella situazione di svilimento scenico del difficile teatro futurista, che conobbe caso mai miglior fortuna all'estero (le più note rappresentazioni di teatro sintetico si ebbero allo Svandovo Divadlo di Praga nel 1921 e a Parigi e a Ginevra, nel 1922, su iniziativa della società Art et Action degli Autant-Lara, ma nel 1920 risulterebbe anche la messinscena di una riduzione di Poupées électriques al Teatro da Camera di Mosca, diretta da Alksàndr Tairov).

Avvertendo però fortemente l'esigenza di attori preparati, sentiti come fondamentali alleati dei drammaturghi per l'auspicato radicale rinnovamento del teatro italiano, il gruppo guida del teatro sintetico futurista guarda ai grandi professionisti della scena (a Ferruccio Garavaglia prematuramente scomparso nel 1912, a Ermete Zacconi, Ermete Novelli, Emma Gramatica, Ruggero Ruggeri, al direttore-capocomico Virgilio Talli), ai quali in diverse occasioni dichiara ammirazione dalle pagine de "L'Italia Futurista", dove sul numero del 15 dicembre 1916 Corra scrive:

"Più volte, con grave scandalo di tutti i letteratomani, abbiamo dichiarato la nostra simpatia per gli attori. Abbiamo sempre considerato la recitazione come un campo creativo niente affatto inferiore alla letteratura, alla pittura e alla musica. E affermiamo che tutto ciò che esiste di tipicamente italiano nel nostro teatro contemporaneo vi è stato portato dalla genialità istintiva degli attori a dispetto della impersonale banalità degli autori".


È sintomatico, per esempio, che nell'agosto del 1916, Corra e Settimelli si rivolgano a una primaria compagnia come quella del "brillante" Armando Falconi e di Tina Di Lorenzo, riuscendo a far rappresentare una loro "commedia sintetica", La canaglia (di fatto precedente alle sperimentazioni delle sintesi e stroncata dalla critica come "cosa decrepita"). E ancora una volta, nel febbraio del 1920, Settimelli riesce ad attirare al teatro sintetico il primattore Gualtiero Tumiati, organizzando al Teatro Lirico di Milano la rappresentazione di una dozzina di sintesi, che è di buon auspicio, con il successo ottenuto, per la costituzione subito dopo della Compagnia Drammatica del Teatro Futurista diretta dal neoaffiliato M. Dessy, in collaborazione paritaria con Marinetti, lo stesso Settimelli e con il primattore Filiberto Mateldi. Raccogliendo ovunque le stroncature dei critici più autorevoli - da Renato Simoni, a Ettore Albini, a Giuseppe De Robertis - la compagnia compirà una breve tournée nel centro-nord, lasciando dietro di sé l'eco dei consueti schiamazzi di pubblico e l'impressione che "il teatro futurista, fino a questo punto almeno, non è arrivato a diventar teatro".

Il capitolo delle formazioni futuriste, per occasionali serate di teatro sintetico ora in questa, ora in quella città, vedrà via via protagonisti vari futuristi dal 1919 in poi, da Morpurgo, a Carli, a Giani Calderone a Palermo, ad Antonio Marasco e Mix a Siena, al giornalista Sofronio Pocarini, che a Gorizia nell'aprile del 1923 organizza una Compagnia del Teatro semifuturista, con un programma misto di sintesi, azioni coreografiche, esecuzioni musicali di un Original American Jazz-Band e di un intonarumori russoliano, con l'intenzione di offrire spettacoli di buon livello artistico, ma divertenti e comprensibili, togliendo ai tentativi futuristi quel tanto di "astruseria" che aveva alienato le simpatie del pubblico. Nel 1927, anche la Compagnia del Teatro futurista Marinetti, appositamente formata dall'organizzatore Giuseppe Zopegni, per la messinscena dei drammi marinettiani L'oceano del cuore e I prigionieri e l'amore, proporrà a Bologna e a Roma un nuovo allestimento di sintesi. Ma nella storia del teatro futurista rappresentato ha particolare importanza, nel settembre-ottobre del 1921, la compagnia creata sotto la rinnovata etichetta del Teatro della sorpresa, lanciato con un manifesto di Marinetti e del poeta parolibero e canzonettista napoletano F. Cangiullo, già vivace animatore di serate e performances futuriste. Teso a rinverdire gli eversivi postulati del Teatro di varietà e del Teatro sintetico, con uno spirito ottimista di giocoso sberleffo, molla propulsiva di un genere di spettacolo capace di "esiliare sorprendendo, con tutti i mezzi, fatti idee contrastanti non ancora sfruttati", il Teatro della sorpresa individuava senz'altro nel pubblico e nelle sale del café-chantant i propri referenti. L'inevitabile collusione fra teatro futurista e teatro del varietà, già sperimentata con egregi risultati quando attori come Luciano Molinari (nel 1916), Ettore Petrolini ed Odoardo Spadaro (nel 1917) avevano a più riprese inserito nei propri spettacoli testi sintetici, giunge a pieno compimento con la formazione della Compagnia futurista del Teatro della Sorpresa, nata dall'intesa dell' "aristocratico" attore di varietà e capocomico Rodolfo De Angelis (che poi sarà cronista di questi eventi spettacolari in due volumi sul café-chantant negli anni quaranta), con Marinetti e Cangiullo. La troupe, per la quale lavoreranno con proprie creazioni anche i pittori scenografi Prampolini e Depero, oltre ai musicisti Casavola e Silvio Mix, raccoglie "un po' dappertutto elementi disparati: attori di prosa, ballerini, comici di caffè-concerto" e sciantose, ma anche "giovani intelligenti e animosi, amanti del teatro, e belle donne desiderose di pubblicità", promossi seduta stante primi attori e prime attrici. Così ricorda De Angelis, dando l'immagine di una variopinta formazione, più arrangiata che specializzata, la quale tra il settembre 1921 e il febbraio 1922, toccò i maggiori teatri di varietà italiani, con un programma vario di sintesi teatrali, numeri canori e musicali, balletti, conferenze-declamazioni dello stesso Marinetti, che presentò anche all'"avida curiosità" del pubblico le sue ultime creazioni, le tavole tattili. Cioè rettangoli di cartone, su cui erano attaccati spugne, pietre pomici, piumini da cipria, carta vetrata, e altri svariati oggetti, corrispondenti alle "sensazioni artistiche" che si volevano suscitare negli spettatori, invitati a toccare ad occhi chiusi, mentre il poeta declamava.

Ancora una volta esponendosi in prima persona in un'avventura teatrale, Marinetti non solo partecipa da attore-declamatore alle vivaci serate del Teatro della sorpresa, ma si assume anche, con l'appoggio di Cangiullo, la responsabilità di direttore artistico della compagnia De Angelis. Il che accadrà ancora nel gennaio 1924, quando per un'altra tournée del Teatro della sorpresa i due stipulano il contratto di fondazione della Compagnia del "Nuovo Teatro Futurista", in cui viene scritturata la stella del varietà Diana Mac Gill. E a testimonianza del coinvolgimento di Marinetti e degli altri futuristi più vicini al teatro, nella diretta esperienza di allestimenti spettacolari, sempre all'inizio degli anni venti va ricordata un'iniziativa importante, anche se poi inattuata, rievocata da Corra in un articolo su "L'Impero" del 1924.

Egli parla de "La Baracca", una sorta di teatro d'arte ambulante, strutturato proprio come un circo, completamente autosufficiente, per portare nelle varie città una troupe in grado di offrire rappresentazioni teatrali, numeri musicali, declamazioni poetiche ed esibizioni di diverso genere, tipiche del repertorio delle serate futuriste, ma anche di vera arte circense. Il bizzarro progetto, a cui avevano aderito oltre novanta fra scrittori, musicisti, pittori, ecc., ma che venne poi improvvisamente bloccato dallo stesso Marinetti, interessa qui anche come spia di quell'impegno diretto nella pratica teatrale a cui, almeno intenzionalmente, i futuristi non si sottrassero. Già nel 1919, Settimelli vedeva necessari alla causa della rivoluzione scenica futurista dei teatri smontabili (in cui si potrebbero ravvisare gli antecedenti dei "Carri di Tespi", varati dal regime del 1929 grazie anche alla progettazione di un architetto di area futurista, Antonio Valente):

"Dato che gli impresari si accaniscono a negarci i loro teatri, anche avendo un teatro nostro non potremmo raggiungere il nostro scopo essendo costretti a limitarci ad una sola città. Bisognerà dunque ricorrere al teatro smontabile. La cosa è nuova nel campo della scena di prosa ma non è affatto nuova in modo assoluto perché circhi e serragli viaggiano col loro semiteatro che montano via via" [Settimelli 1919, pp. 83-4].

Ma in fatto di problemi riguardanti la messinscena, è lo stesso Marinetti a mettere a punto, nel periodo delle vivaci serate del teatro della sorpresa, un Promemoria sulla presenze in scena e stile futurista, in cui si offrono interessanti spunti 'registici':

1) Eloquenza essenziale sintetica geometrica con gesto geometrico aritmetico.
2) Declamazione dinamica sinottica.
3) Stile epistolare sintetico veloce [...].
4) Intonazioni alogiche organizzate.
5) Gesti e andature espressioni facciali inventate.
6) Parti significative del corpo umano (braccio gallonato, occhi sotto il casco) isolate dal proiettore nel buio.
7) Frammenti tipici e significativi di personaggi isolati dal proiettore.
8) Cambiamento a vista dei frammenti di paesaggio e delle parti del corpo umano.
9) Pennellate scenografiche espresse e suggerite dalla musica.
10) Piccoli altoparlanti portatili per ogni attore o attrice.
11) Abolizione delle entrate e delle uscite di personaggi"
[inedito, in Caruso-Longone 1979, p. 75].

Rivelando un'attenzione specifica ai problemi connessi a nuove forme di recitazione, l'autografo marinettiano presenta elementi utili proprio per tentare di individuare i caratteri di un ipotetico ideale attore futurista. Una silhouette di controllato, quasi robotico attore-declamatore alieno da qualsiasi tecnica di immedesimazione psicologica, che all'enfasi dei sentimenti sostituisce l'enfasi fisica di movimenti scanditi con precisione geometrica, in rapporto alla vocalità dei testi interpretati. E dietro a quella silhouette si intravedono nitidamente gli stessi artisti futuristi, quando facendosi essi stessi attori, fino dalle prime serate, avevano introdotto sulle scene italiane una inedita razza di artisti-imbonitori, serissimi indottrinatori quanto esperti declamatori poetici, pronti alla sfida provocatoria quanto allo sberleffo giocoso di poeti-clown, sotto la bandiera del "lasciatemi divertire" palazzeschiano. Oltre a Marinetti, il cui fascino e le cui virtù oratorie sono proverbiali, molti dei futuristi furono eccellenti declamatori, imitatori parodici, oratori: il poeta Armando Mazza aveva la voce possente e un fisico che si imponeva, Folgore era famoso per le parodie e le improvvisazioni di versi, Chiti metteva la sua magnifica "voce rotonda" dalla perfetta dizione toscana al servizio di poesie e manifesti [v. Verdone 1969], l'attore romagnolo Luigi Savini, introdotto nel gruppo da Balilla Pratella, si fece complice e maestro di arte declamatoria, spesso a fianco di Marinetti. Balla, che amava indossare strani e variopinti abbigliamenti di propria ideazione (compresa una cravatta con lampadina incorporata, che si accendeva nei momenti esplosivi dei suoi discorsi), creava scenette divertenti, utilizzando spesso un linguaggio incomprensibile, di sua invenzione, "autentico pre-dadà". Questo accadeva anche in vere e proprie esibizioni di tipo cabarettistico, di cui Cangiullo ha lasciato testimonianza nel suo libro sulle Serate futuriste, e che i futuristi inscenarono in diverse occasioni espositive nelle gallerie d'arte di Giuseppe Sprovieri a Roma e a Napoli nella primavera del 1914 (nell'agosto gli interventi si interruppero al momento dello scoppio della prima guerra mondiale).

L'assalto ai grandi teatri nella prima fase delle serate, oltre a proseguire in epoca appunto d'interventismo bellico in alcune clamorose manifestazioni pubbliche di forte impronta teatrale (come il famoso episodio del vestito antineutrale tricolore creato da Balla, e indossato da Cangiullo in una dimostrazione interventista all'Università di Roma nel dicembre 1914, ebbero un'importante appendice in questi "pomeriggi" spettacolari - probabilmente una trentina - a beneficio di un pubblico più ristretto, di artisti, intellettuali, bel mondo dell'alta società (la marchesa Casati, Donna Franca Florio, Eleonora Duse, il critico d'arte Roberto Longhi, il pittore Armando Spadini, ecc.). Erano esibizioni nate dalla declamazione di testi paroliberi, che sfociava in vere e proprie improvvisazioni performative, dove si faceva uso di un minimo apparato scenografico, di costumi sia pur creati estemporaneamente e di un accompagnamento musicale-rumorista.

Ricorda Sprovieri:

"Eravamo già agli inizi delle 'parole in libertà' e delle 'onomatopee'. I vari rumorismi, a complemento delle dizioni, potevano essere prodotti autonomamente, i gesti del dicitore potevano moltiplicarsi nel pubblico. Si scivolava inevitabilmente nello spettacolo [...]. Portavamo in Italia la formula del "cabaret" con allusioni ironiche a fatti o persone" [inedito, in Lista 1981, p. 108].

Tra le spettacolazioni più famose vi furono infatti, con chiari riferimenti a Croce, I funerali di un filosofo passatista, "morto di crepacuore sotto gli schiaffi del futurismo", eseguiti da Balla, Depero, Radiante, con accompagnamento al piano di Cangiullo, che fu anche tra i promotori di una Serata in onore di Yvonne (il cui testo apparve su "Lacerba") e della Discussione di due critici sudanesi sul futurismo, esempio di onomatopee linguistiche senza senso, improvvisata insieme con Marinetti e Balla, a conclusione di una delle più famose creazioni spettacolari alle gallerie Sprovieri, cioè la declamazione teatralizzata del poemetto parolibero cangiulliano Piedigrotta, il 29 marzo 1914. L'autore stesso accompagnava al piano Marinetti declamatore, mentre una "troupe nana" formata da Balla, Depero, Radiante, Sironi, Sprovieri agghindati con fantastici cappelli, si produceva in creazioni onomatopeiche, servendosi dei tipici strumenti napoletani: il putipù, la tofa, il triccaballacche, lo scetavajasse. È proprio facendo riferimento a questa fantasmagorica orchestrazione del testo cangiulliano, ispirato alla chiassosa festa napoletana, che Marinetti fissa il modello ideale di dicitore-interprete futurista nel manifesto sulla Declamazione dinamica e sinottica (poi pubblicato nel 1916), in cui viene ricordato pure l'altro suo cavallo di battaglia di declamatore dinamico, il proprio Zang tumb tumb sulla battaglia di Adrianopoli, eseguito anche alle Doré Galleries di Londra il 28 aprile 1914:

"Il declamatore futurista dovrà dunque:
1. Vestire un abito anonimo (possibilmente, di sera, uno smocking [sic]) [...].
2. Disumanizzare completamente la voce, togliendole sistematicamente ogni modulazione o sfumatura.
3. Disumanizzare completamente la faccia, evitare ogni smorfia, ogni effetto d'occhi.
4. Metallizzare, liquefare, vegetalizzare, pietrificare ed elettrizzare la voce, fondendola colle vibrazioni stesse della materia espresse dalle parole in libertà.
5. Avere una gesticolazione geometrica, dando così alle braccia delle rigidità taglienti di semafori e di raggi di fari per indicare le direzioni delle forze, o di stantuffi e di ruote, per esprimere il dinamismo delle parole in libertà [...].
9. Spostarsi nei differenti punti della sala, con maggiore o minore rapidità, correndo o camminando lentamente, facendo così collaborare il movimento del proprio corpo allo sparpagliamento delle parole in libertà".


Ponendo a confronto il declamatore marinettiano con l'elegante dicitore di versi di stile ottocentesco, suasivo e garbato, emerge in tutta la sua inusitata forza di sbalordimento il ritratto di un interprete che rasenti l'uomo-macchina robotizzato, traslato scenico della divina creatura partorita dalla moderna civiltà elettrificata come le "parole in libertà" di cui deve essere perfetto esecutore.

Si arriva per questa via all'interprete automa, sperimentato in questo stesso periodo dal pittore Giacomo Balla nel suo balletto "motorumorista" Macchina tipografica o Tipografia, e che più volte ritornerà nelle azioni coreografiche meccanizzate futuriste tipo il Ballo meccanico futurista di Ivo Pannaggi e Vinicio Paladini del 1922, o Psicologia delle macchine di Mix del 1923, fino alle famose locomotive innamorate di Anihccam del 3000 di Depero, rappresentate dalla seconda compagnia del Teatro della sorpresa nel 1924 e, in altro clima culturale ed espressivo, ai personaggi de L'angoscia delle macchine e Raun di Vasari nel 1925-32. Ma l'atletico declamatore marinettiano, che corre fulmineamente da un punto all'altro della sala spiazzando in continuazione l'attenzione del pubblico, e che si impone come freddo esecutore dai movimenti spersonalizzati, veloci, antinaturalistici, potrebbe mostrare qualche punto di contatto con quegli attori "bio-meccanici" allenati da Mejerchol'd di lì a pochi anni in Russia, ai quali non a caso si richiamerà Enrico Prampolini rievocando il suo Théâtre de la Pantomime Futuriste fondato a Parigi nel 1927 [cfr. >Prampolini 1954].


BIBLIOGRAFIA:
L. Caruso-P. Longone (a c. di), Il teatro futurista a sorpresa (Documenti), Firenze 1979
G. Lista, Petrolini e i futuristi, Salerno 1981
E. Prampolini, L'evoluzione della scenotecnica, in Cinquant'anni di teatro in Italia, Roma 1954
E. Settimelli, Inchiesta sulla vita italiana, Rocca S. Casciano 1919
M. Verdone, Teatro del tempo futurista, Roma 1969.






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