Lopera di Gianfranco Pedullà nasce da amore e competenza,
lunga assiduità con la materia studiata e assimilata, in collaborazione sia con
gli archivisti sia con gli eredi del protagonista. La fonte documentaria
principale è il Fondo “Silvio dAmico”, conservato nel Museo Biblioteca
dellAttore di Genova che ha promosso la pubblicazione, grato anche per il dono
dellarchivio paterno da parte dei figli di Silvio, Alessandro e Fedele. Due Premesse
avvertono su precedenti ricerche e saggi dinquadramento e di valutazione del
grande critico novecentesco. La prima (ripubblicata), di Siro Ferrone, sulla
situazione editoriale degli Scritti al momento delluscita delle Cronache
1914/1955 (cura di A. dAmico e L. Vico, con Introduzione di G.
Pedullà, Palermo,
Novecento, 2001-2002). Ne era sorto un bilancio riguardante la biografia
artistica, oltre che sul progetto generale di riforma che, nella visione dun
“Teatro darte”, implicasse il «sottrarre la direzione agli attori» (p. 15),
assieme a una severa incidenza della critica militante. Il lavoro di dAmico
applicato agli attori costituiva «un dizionario ragionato dei nostri più grandi
interpreti» (p. 16).
Lo studioso mostra la genesi del
lavoro, partendo dalla bibliografia dedicata allo storico e critico insigne.
Accanto ai propri, richiama i contributi dei biografi precedenti, quali Radice,
Meldolesi, Mancini, Lapini, Schino, Viziano, Tinterri, ecc. Anche la vicenda
delledizione (purtroppo incompleta) delle Opere viene rievocata. La
vita del protagonista è percorsa dalla prima giovinezza, in aspetti emarginati
o sottovalutati, per recuperarne diversi rendiconti parziali usciti ancora lui
vivente. Vengono poi i più significativi interventi post mortem. Le
ingenti informazioni mostrano allanalisi la preponderanza di documenti sul
pensiero e sullelaborazione di unOpera, rispetto ai fatti e agli snodi
della vita comune, familiare e quotidiana. Dei primi ventanni (dal 1887
allanteguerra) sincontrano nellIntroduzione alcune tracce
dellaccesso di dAmico allambiente culturale romano al tempo degli studi
universitari di Giurisprudenza. Si segnala laffinità con Gordon Craig: «Pur da
punti di vista opposti, cercavano entrambi un teatro che andasse oltre il
naturalismo borghese in scena, entrambi auspicando lavvento della figura del
regista ma con strategie opposte» (p. 23).
In quanto collaboratore alle Cronache
1914/1955, Pedullà afferma: «La nostra convinzione è che rappresenti un
perno fondamentale del teatro italiano, lintellettuale che con maggiore
lucidità e perseveranza abbia elaborato un progetto organico di riforma teorica
e pratica della scena nella prima metà del Novecento» (p. 28). Il lavoro si
giustifica nel «documentare la presenza del grande critico nelle principali
decisioni pubbliche riguardanti la vita del teatro, nelle sedi giornalistiche
ed editoriali di maggior rilievo. […] Appare ininterrotta la sua grande
capacità di rapporto con le maggiori figure della scena italiana. […] Una
personalità poliedrica […]. Un intellettuale concentrato su una precisa idea di
riforma del teatro ma, nello stesso tempo, estremamente duttile nei rapporti
con il potere politico» (p. 28), per una funzione pubblica primaria dellarte.
La cronologia scandisce gli eventi
in cinque periodi. Nel primo
capitolo (dal 1914 al 1921), lindustrializzazione e la Guerra fanno da
sfondo alla «formazione di ispirazione cattolica», caratterizzata da una notevole
apertura, «pur dentro un sistema etico-religioso di riferimento sostanzialmente
tradizionale» (p. 34). Lavventura culturale ed estetica dellintellettuale e
organizzatore sembra procedere senza implicazioni pratiche e contingenti, in
una vita assorbita soltanto dalla ricerca e dallaffermazione di idee e imprese
dedicate allarte teatrale in tutte le declinazioni. Lincontro con lamico
inseparabile, Sandro Rosso, avviene nella frequentazione dei modernisti. «Tutti
e due solidamente attaccati al nostro tradizionale schema cattolico» (p. 34),
nella definizione della coppia secondo le Note autobiografiche. I due si
fanno complici nella redazione del testo Savonarola, progetto ambizioso
di “dramma dellumanità” che, allestito nel 1913, aprirà a dAmico laccesso al
Ministero dellIstruzione. Mentre già scrive riflessioni sullo spettacolo e
recensioni, nel 1923 insegna Storia del teatro allAccademia di Santa Cecilia.
Durante e dopo la Guerra, il giornalista profitta delle “cronache” per perorare
la causa del teatro darte e denunciare le deformazioni del “grande attore”.
Nella polemica con Croce, «il
critico, consapevole del carattere tendenzioso della sua riflessione e della
sua azione, ancora nel 1935 polemizza con latteggiamento diffuso tra registi, innovatori
e teorici della scena per cui il dramma nascerebbe dagli attori» (p. 39).
Nel cogliere la crisi del sistema
teatrale, ne contrasta il ritardo strutturale (generi e interpreti) rispetto al
rinnovamento drammatico europeo che pure annoverava Pirandello. Molti passaggi
savvicendano, quali la reazione precoce di dAmico, dal 1914 sensibile
allusura dellinterprete ottocentesco; la
scelta di Ermete Novelli a modello del Grande attore in via di sparizione; la
carenza di traduzioni lamentata nel repertorio;
la necessità dun Teatro nazionale e di organismi “stabili”. Gli appaiono
problematici il teatro dialettale e il rapporto con la tradizione della
Commedia dellArte. Sullinterventismo dellufficiale cattolico, lautore trae
citazioni dal Diario di guerra, che in riferimento al movimento
“nazionalista” trova confronto con lEsame di coscienza dun letterato,
di Renato Serra. Non pubblicare in vita il Diario potrebbe significare
che linterventista «non si riconoscerà più in quella veemenza politica giovanile»
(p. 54).
Sul drammaturgo mancato (due opere
appena, Savonarola e Mistero della Natività), lipotesi, avanzata
da Orazio Costa, è di un «pregiudizio cattolico verso la scena, una sorta di
pudicizia che sentiva di non poter varcare» (p. 56). Si tratta anche di
funzione e qualità della critica, in cui lopera damichiana sinserisce
allinizio Novecento, con interventi originali su drammaturgia, recitazione e
scenografia; nel verificare stile e scopo di critici militanti, come Gramsci, Gobetti
e Lanza. Riconosce in gusti e comportamenti, «non frequento la gente di
teatro», il modo per «conservare la libertà di dire onestamente il fatto mio a
tutti» (p. 68). Quando dAmico pubblica il primo libro, Il teatro dei
fantocci (Valecchi, 1920), riprende la questione del «“ritardo” del teatro
italiano rispetto al maggiore dinamismo di altre esperienze europee» (p. 60)
che tornerà immancabilmente abbinata al fenomeno evolutivo della regia
Fra i punti fermi – veri leitmotiv nella sua riforma – il valore del testo-parola, da
opporre alla visione, nel gusto di Piscator, e
la spiritualità, intrinseca allarte teatrale: convinzioni che presuppongono
lautonomia dellarte dalla politica, sostenuta a più riprese, ma con il
rischio di illudersi sulleffettiva influenza del potere e della censura.
Trattando di teatro e fascismo, ritorna la figura della-fascista che
con il regime collabora restandone autonomo. Esame del resto già svolto da
Pedullà nel titolo specifico, Il teatro italiano nel tempo del fascismo,
riedito nel 2009. Ancora diffusa la varietà degli interessi, eclettici e
comprendenti il saggio, la nota, la promozione del pensiero (con leditoria)
cattolico, mediante scritti agiografici, sui Vangeli e testi di teatro
“religioso”, a fondamenta di un «teatro cristiano» (p. 229).
Lattività multiforme comprende dal
1932 la direzione della rivista «Scenario». La riflessione sullattore
prosegue, anche nelle “cronache”, luogo privilegiato della discussione sul
significato del riformismo applicato allattore (p. 111). Anche i profili degli
interpreti maggiori sono occasione per distinguerne virtù e vizi e suggerire
obiettivi di miglioramento. Il frutto significativo sarà Tramonto del grande
attore (1929), fonte di una discussione protratta (vi partecipa Bragaglia,
con Del teatro teatrale, 1929), coinvolgente lintera cultura nazionale.
Le proposte damichiane sampliano grazie a esperienze internazionali. Nel
soggiorno parigino del 1927 le acquisizioni francesi si integrano con quelle
russe e tedesche (da Vachtànghov a Reinhardt e Piscator), arricchite da
spettacoli di compagnie straniere in tournée. Tanti dati e notizie
informano sugli impegni editoriali, fra i quali quelli dambito religioso che
concedono attenzione alle «filodrammatiche parrocchiali» (p. 171).
Nella maturità degli anni Trenta,
la critica della recitazione saffina nei profili dedicati a Moissi, Ruggeri, Petrolini,
Pitoëff e altri. Nel Convegno Volta (1934), che
lo vede protagonista, evidenzia contraddizioni di rapporti per coerenza con i
propri ideali etici. Da un lato, la vicinanza alle istituzioni
agevola la fondazione della Regia Accademia dArte Drammatica; dallaltro,
cresce limplicazione nelleditoria cattolica. Allorganizzatore efficiente
saffianca sempre più autorevole lo storico del teatro che concepisce una Storia
del teatro drammatico (in dispense, poi in volumi, 1939-1040), la cui
pubblicazione è interrotta dalla guerra. Durante il periodo bellico, ferve il movimento sorto dallo spirito della
Resistenza, a diffondere il manifesto Per un teatro del popolo (1941).
Grande svolta, però non impressa dallo storico, ma dalla Storia, poiché dAmico
«si muove in una logica di separazione impossibile fra arte e società […]
cadendo nella riproposizione statica delle sue posizioni» (p. 246).
Nellultimo decennio la vita
delluomo emerge più di quella dellintellettuale. Arrestato e incarcerato, nel
Diario di Regina Coeli dà testimonianze ascrivibili alla-fascismo;
posizione discutibile, ma “sottostimata”, risulta a Pedullà la sua collaborazione
con il regime. Affiora la “dissimulazione” quale scelta imposta dai «tempi di
tirannia» (p. 253). Scelte sempre oscillanti (imbarazzanti?) si succedono, come
le dimissioni dallAzione Cattolica e ladesione, ma “apolitica”, allAlleanza
della cultura promossa dal P.C.I. Finché nel nuovo corso democratico trova
occasioni di dialogo con la generazione dirigente di Grassi, di Pandolfi e,
presso i primi Teatri Stabili, con Strehler. LAccademia da riformare e
limpostazione dellEnciclopedia dello spettacolo distinguono le sue
ultime opere. Nelle quali comprende, con spirito di rinascita e su fondamenti
cristiani, lidea di «teatro darte per tutti» (p.
312).
Il libro lascia il senso duna
sproporzione tra linteresse al pensiero e alla progettazione culturali del
critico romano e la sua presenza nella vita familiare e civile più comune e
quotidiana, dalla salute al passatempo. Quasi limpegno intellettuale e
produttivamente motivato escludesse ogni altra partecipazione, sia materiale
sia affettiva. Quasi, insomma, la biografia fosse essenzialmente tutta
riversata e reperibile nellOpera. Forse quel titolo, Una biografia,
denuncerebbe la scelta di rappresentare la vita del protagonista quale storia
dei suoi ideali, più che uno svolgimento episodico di fatti. Così sarebbe
ribadita una vocazione esclusiva e assoluta: non potendo essere il poeta drammatico, necessario e
assente, dAmico riuscì a impersonare il vate di ideali incrollabili, fondati
sulla fede nelluomo, sulla spiritualità capace di trascendenza nella sua più
autentica, anche artistica, espressione.
di Gianni Poli
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