Un gran lavoro di analisi,
distinzione e classificazione di modalità di rappresentazione è alla base di
questo saggio di Jean Caune. Lo
sguardo iniziale appare rivolto al ruolo dello spettatore, uno spettatore
“privilegiato”, “studioso” o “critico”, capace di riflettere sulla molteplicità
delle forme teatrali e dedurne la fenomenologia storica dello spettacolo. La
prima parte del titolo riprende la formula di Antoine Vitez, per la
quale lartista può e deve assumere ogni materiale – drammatico, letterario,
documentario – per comporre la partitura scenica dellevento, pure misterioso, che
intende realizzare.
Metodo che non teorizza un
processo creativo, ma rende possibili infinite ipotesi di spettacolo, di
parola, di immagini e presenza poetica mediante lattore. «La question était
moins celle de lénoncé susceptible de devenir matière scénique que lacte dénonciation
de lacteur qui devait pouvoir jouer tout, le tout» (p. 182). Lautore confessa
lapproccio culturale del saggio: «Jai souhaité aborder la représentation théâtrale à partir dune approche
contemporaine de la culture» e completa il programma impegnativo nel «participer
au devoir de transmission, mission qui conjugue politique et esthétique» (p. 9).
Molte e diverse le conseguenze
comportamentali e performative, in unimpresa di cooperazione fra autore e spettatore.
Le domande insinuate riguardano lefficacia “politica” attuale delle funzioni
teatrali nella società francese e nel mondo. Viene così ripensata la nozione di
«théâtre populaire qui a
structuré les réalités et les rêves du théâtre au XX siècle» (p. 13). Nella varietà frammentata dei casi e dei
temi, Caune costituisce una specie di manuale personale, introduttivo e
riassuntivo, del secondo Novecento. E, nel periodo che va dallinizio del secolo
corrente, stabilisce un utile e perspicace raccordo tra epoche, mode e fatti
memorabili che possono guidare verso una migliore e motivata comprensione
dellattualità e del futuro.
I dodici capitoli, in
progressione logica più che cronologica, mirano quindi a porre domande
essenziali, le cui risposte provengono da personaggi ed eventi significativi, condensati
in sintetiche rievocazioni, anche di natura eterogenea: La médiation de
lacteur, Les mises en scène de
Roger Planchon, Tchekhov: le père du théâtre moderne, Un dispositif pour transformer le monde, Lesprit du lieu:
lhéritage de Vilar, ecc. Nel capitolo Transmettre? si
riconosce il bisogno di diffondere il patrimonio costituito dai classici. «La
transmission du théâtre, des textes et de leur représentation demeure une des conditions
de survie de la mémoire sociale de la langue» (p. 17).
Casi concreti di lavoro (da Planchon
a Mnouchkine, da Vilar a Lassalle) esemplificano
interventi, scambi e interpretazioni, lungo teorie che evolvono fino al
cambiamento di paradigma introdotto dalla “postdrammaticità” (p. 32). Lesame
implica il formarsi duno statuto storicizzato della mise en scène, validato
da una storia e una critica della critica specifiche, riferite a maestri quali Roland
Barthes, Bernard Dort e Georges Banu, quasi a conforto della
propria memoria già giustificata da estetica e gusto personali. Affiora la
regia di Re Lear di Giorgio Strehler a verifica della presenza puntuale
di Shakespeare sulle scene contemporanee. Ma i classici diventano
“sempre” contemporanei (capitolo 3), come tende a dimostrare lesame delle
realizzazioni di Tartuffe di Planchon e di Vitez.
Traversare lepoca del Théâtre
Populaire presuppone, attorno alla centralità di Jean Vilar, richiamare
idee e opere di quel periodo e in quel clima fervente di utopia. Nella nozione
molto discussa, Caune cerca
elementi dattualità da comparare a quelli più caduchi della concezione
vilariana di service public e nota «la liaison fonctionnelle entre la manifestation
théâtrale et un projet social et politique. […] Dimension politique
fondamentale pour parler de théâtre populaire» (p. 82).
Sorge allora un nesso logico tra la
concezione dello spazio teatrale e la politica che ne orienta luso, supponendo
– anche grazie a cambiamenti del rapporto scena / sala – modificabile la
società e i costumi in essa vigenti. I temi della presa di coscienza politica e
della democratizzazione culturale si alleano con la diffusione dellopera di Bertolt
Brecht in Francia. Un cambio di registro pone laccento su altri aspetti
collegati e dipendenti, quali Le temps du théâtre, Récit théâtral
et temps de lhistoire, nella persistenza delle forme drammaturgiche. Così
il tempo del “testo”, il tempo della “scena” e il tempo del “personaggio”
incidono diversamente su percezione e fissazione mnemonica dello spettacolo, pure
nella continuità duna “tradizione” (se non dun canone) di varianti estetiche.
Ancora di estetica si tratta, quando
la corporeità emerge protagonista, negli anni Settanta del Novecento, e nel fervore
della “pulsion du jeu” fa riscontare gli effetti della sensibilità di Nietzsche,
Freud e Lacan. Saranno infatti i coreografi (Pina Bausch, Maguy
Marin, Jean-Claude Gallotta) a iscrivere nuovi gesti distintivi
nella sintassi corporale della danza “contemporanea” (p. 170). Il senso del
lavoro dellattore (Énonciation de lacteur, p. 165) è colto nel dato
“prettamente semiologico” del teatro, seguendo lidea di Umberto Eco.
Lultimo capitolo – dopo un Éloge
de Vitez – annovera i nomi, a noi meno noti, di Gildas Bourdet, Magali
Montoya, David Lescot, Georges
Perec, Pierre Halet e Wajdi Mouawad. E proprio con Les
Ondes Magnétiques di Lescot (2018) si chiude il discorso su una
drammaturgia che esalta l«actant de la situation dramatique» (p. 198),
fondatrice di racconto verbale, musica e canzoni e «nous permet de penser notre
époque socio-économique grâce à la médiation de lart dramatique» (p.199). Considerata
la rappresentazione non soltanto un oggetto artistico da analizzare nei suoi
elementi costitutivi e strutturali, Caune la valuta innanzi tutto quale relazione
pregnante e intelligibile fra la scena e la sala. Perciò questo volume si
conferma dedicato alla presenza attiva dello spettatore nello spazio teatrale, considerato
come «un lieu de pratiques culturelles spécifiques» (p. 9). A riprova, si
richiama Cour dhonneur, pièce di Jérôme Bel (Festival dAvignon,
2013), fonte di «plaisir de la réminiscence démotions vécues» (p. 171).
Nellandamento articolatissimo (forse
persino dispersivo) in paragrafi e titoli, molto alleggerite appaiono le Note,
grazie ai rinvii a una Bibliografia ampia e dettagliata.
di Gianni Poli
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