Composta da saggi, interviste e
miscellanee, la rivista trimestrale dello storico teatro di Gennevilliers – Centre
Dramatique National di banlieue dal 1983 – continua a riflettere
sullarte teatrale che la Francia condivide col resto del mondo. Questo numero
è dedicato al rapporto fra le arti dello spettacolo e le arti visive. I
campioni provengono dalle categorie della teatralità e della performatività. La
ricerca indaga sui modi e gli effetti delle rappresentazioni più attuali,
appunto nella loro capacità di concretarsi in evento scenico complessivo.
Unintervista di Clare Finburgh
Delijani a Marie Ndiaye porta la scrittrice di romanzi di successo a
interrogarsi sullo sviluppo della sua opera teatrale, finora poco rappresentata.
Le creazioni più significative nascono da testi commissionati da registi. Mentre
Stanislas Nordey sta per rappresentare Berlin mon garçon al Théâtre National de Strasbourg, si possono meglio apprezzare le pièces
precedenti di Ndiaye, a
partire da Papa doit manger, allestita alla Comédie-Française nel 2003,
e Les serpents del 2004. I confronti su temi e strutture mostrano sia le
specificità della sua scrittura, sia le analogie con gli autori contemporanei. Ndiaye confessa sensibili influenze o
ispirazioni venutele da drammaturghi quali Genet e Koltès, Crimp
e Pinter, Von Mayenburg e Jelinek. Dei britannici e dei
tedeschi apprezza come «prennent beaucoup plus à bras-le-corps les problèmes
historiques ou sociaux» (p. 15). Quanto allumorismo delle sue pièces, ammette
il suo stupore per il riso che sanno suscitare. Motiva poi lassenza di
didascalie nei suoi testi, decisamente antirealistici, col desiderio di lasciarli
più aperti alla libertà degli interpreti.
Il Dossier,
coordinato da Laure Fernandez, si apre con una introduzione di merito e
di metodo a firma della studiosa. Si tratta di verificare la validità di unindagine
che ha vissuto nel passato necessari aggiornamenti, ma lasciando spesso genericità
di risposte e di orientamenti. Si parte storicamente da «linfluence / la
résurgence du théâtral dans les arts visuels, depuis la fin des années 1960 et
la critique antithéâtrale formulée par lAméricain Michael Fried au sujet de lart minimaliste» (p. 20). In un
contesto dallinterdisciplinarità quasi “constitutionnelle”, dove soggetti e
creatori liberi dai generi espressivi agiscono in sistemi rappresentativi
sempre più eterogenei, lo studio «entend décrypter ce que le théâtral, le performatif,
le plastique font émerger sur les scènes. Et peut-être surtout: comme scène»
(p. 20). Con ampie premesse teoriche, Marie-Christine Lesage illustra le
esperienze relative alla problematica «assemblages corps-matières» (p. 44) da
parte di due artiste canadesi meritevoli di essere conosciute per una sensibilità
e operatività davvero inconsuete. Di Marie Brassard si presenta Introduction
à la violence (Compagnia Infrarouge, 2019), lavoro che mostra come luso
della tecnologia modifichi lazione corporea personale (p. 45). Poi si discute su
Les Marguerite(s) (Compagnia Ubu, 2018) di Stéphanie Jasmine e Denis
Marleau, dove la sovrapposizione di azioni fisiche interagisce con riprese
video.
Due articoli,
addirittura, sono dedicati al lavoro della Societas Raffaello Sanzio e del
direttore Romeo Castellucci. Un compendio di studi (sontuosi e
ambiziosi) offre Piersandra Di Matteo, devota analista delle
rappresentazioni che comportano «lImage par-delà la technologie de lœil» (pp.
21-28). Con linguaggio ermetico insegue limmaginario dellartista decantato in
opere già lontane, quali M. =/ Marseille (2004), o il più recente Le Sacre
du printemps (2014). In Le Metope du Partenone (2015) la studiosa osserva
in particolare lintreccio fra fiction e fonction, mentre nellopera ispirata a Sacre
du printemps di Stravinskij trova significativi i “personaggi”
coreografici costituiti dai macchinari impiegati. Da quelluso, «cest là qui
naît un nouvel objet esthétique, qui nest pas lexécution du ballet mais sa réinvention»
(p. 25).
Fa eco il saggio di Kenza Jernite nellinsistente parallelo fra Una costilla sobre la mesa: Padre di Angelica Liddell e Sul concetto di volto nel Figlio di Dio di
Castellucci, dimostrativo dun «nouveau régime citationnel» che sarebbe capace
di «composer à partir dun régime dimages pensé et développé par un autre
créateur» (p. 35). Georgina Guy riferisce, dallosservatorio londinese, sulle
modalità con cui vengono documentate e conservate le esperienze di performances da parte dei musei darte contemporanea (p. 74). Dalla visita di alcune mostre Guy
deduce, quale novità saliente, il significato assunto dalloperazione del
curatore, autodefinitosi artista in quanto ordinatore di installazioni di opere
altrui. Così anche la danza si colloca in una “situazione” museale, come avviene
al Tate Modern di Londra, nel quale non una raccolta di immagini o doggetti,
ma un gruppo di artisti invitati assume in sé il valore di “installazione”.
Talvolta unazione
teatrale allusa o assente è rimpiazzata da audiodescrizioni di pièces:
accade in una versione di Caretaker (Il guardiano) di Pinter, derivata
da elementi scenografici tratti da un altro testo, Shoe Lady, riproposti
in una installazione di «longue durée» (p. 80). In La souffrance des images, Joe Kelleher rende diaristicamente le sue avventure di spettatore inglese
in giro per lEuropa, di fronte alle proposte eminentemente virtuali, giuntegli
ormai come sostitutive della scena reale: uno schermo unico (se pure da “dispositivi”
mediatici diversi) lo collega allevento immaginario condizionante e univoco. Per
leffetto di immersione in un «supermarché des images» (p. 86), la situazione
sociale dei lavoratori dello spettacolo – nellepoca del virus – si inquadra in
una “iconomie mondiale”, cioè in un regime economico iconizzato.
Una riflessione sconsolata
di Thibaud Croisy, Vous n'êtes pas obligés d'applaudir, immagina
nel 2029 unorganizzazione teatrale completamente dematerializzata, quindi insensata. Olivier Neveux ricostruisce la biografia artistica di Hélène Châtelain (dorigine russa, 1935-2020), attrice teatrale, di cinema e cineasta in proprio,
fedele collaboratrice di Armand Gatti nellinstancabile carriera
drammaturgica in difesa dei diritti civili dellumanità più debole. Oltre i
tratti del personaggio appassionato, emergono i motivi per leggerne lopera. Le
fonti pubblicate sono una raccolta di pensieri e appunti espressi dallautrice
a Grenoble nel 2014, documento di incontri decisivi con persone e temi,
alimento della sua arte sempre poeticamente impegnata. di Gianni Poli
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