Limprovvisazione “libera”, “assoluta”, “non
idiomatica”, “elettroacustica” o “minimale” – ovvero linsieme delle pratiche che in tempo reale permettono il
massimo grado di intervento creativo
da parte del musicista – è oggetto di studio difficile da definire,
descrivere ed esaurire con completezza e, forse, anche con soddisfazione. Negli ultimi tempi assistiamo a una
riscoperta della forza di queste pratiche, specialmente in senso performativo, curiosamente applicate al
campo della pedagogia e della formazione. Non di rado si sensibilizza
allesperienza dellimprovvisazione per sensibilizzare alla creatività,
alla relazione o, addirittura, per favorire il lavoro sulle capacità di problem solving. Intuiamo subito la portata di questo specifico campo
di studi che, per vocazione, trascende lambito musicale in senso stretto.
Certamente molto interessante e frequentata, limprovvisazione musicale non riesce però a venire a capo di alcuni problemi
epistemologici cruciali – specialmente dal punto di vista tassonomico e
nomotetico – poiché essa dovrebbe prescindere anzitutto dalla ricerca
stilistica su linguaggi specifici (jazz,
rock, pop, ad esempio), che sono codificati nel tempo e hanno iter di apprendimento ben definiti. La free improvised music – soggetto difficile
da studiare sul piano teoretico – si differenzia quindi nelle sensibilità di ciascun soggetto che la pratica, tanto da
renderla difficilmente etichettabile e pertanto riconducibile a terminologie
univoche che possano identificare con esattezza prassi operative comuni.
Bertrand Denzler e
Jean-Luc Guionnet provano a superare tale impasse spostando lequilibrio dellindagine dal piano della teoresi a quello delletnografia:
attraverso il mezzo dellintervista diretta i due studiosi hanno raccolto – tra
il 2003 e il 2011 – cinquanta testimonianze di musicisti che, pur
apparentemente non condividendo nulla sul piano dello stile musicale, sono qui raggruppati
sulla base della costante attività di ricerca sui linguaggi improvvisativi. Il
valore aggiunto di questo lavoro consiste nel fatto che gli autori sono due insiders – compositori e improvvisatori
in piena attività – ben coscienti delle problematiche complesse della materia
affrontata. Dallinterno riescono bene nellintento di organizzare tematicamente
le diverse interviste con unattenzione particolare alla sfumatura degli
argomenti trattati (operazione
non banale e davvero preziosa per un lettore esigente).
Tale approccio potrebbe condurre la memoria a
Thinking in Jazz. The Infinite Art of
Improvisation di Paul Berliner (Chicago-London,
University of Chicago, 1994),
opera che raccoglieva testimonianze dirette sulla pratica e lapprendimento dellimprovvisazione
di matrice jazzistica. Diversamente però dal contesto stilistico molto definito
a cui si rivolgeva lindagine di Berliner, qui la dimensione
dappartenenza a un ambito stilistico preciso viene sublimata a favore di testimonianze eterogenee,
in grado di andare oltre la descrizione della prassi audiotattile
estemporizzativa preminente nel jazz.
Il risultato è un grande, cesellato affresco di voci provenienti da alcuni dei
più importanti musicisti-improvvisatori contemporanei, affidate alla prosa
tramite un flusso di coscienza collettivo organizzato.
Nel capitolo conclusivo
(Diagrams), davvero molto
apprezzabile, si schematizzano in veste grafica alcuni dei concetti emersi
dallindagine sul campo. Una sintesi esemplare che riconduce allessenziale,
senza banalizzarlo, il pensiero di ciascun intervistato, e lo pone in rapporto
dialettico con quello di tutti i soggetti chiamati in causa. Anche la scrittura,
piana e dialogica, si presta
a più livelli di lettura, soddisfacendo sia la curiosità del semplice
appassionato, sia gli interrogativi degli specialisti. Così nel capitolo Non-idiomatic improvisation, experimental
music, genre labels (una delle parti a nostro avviso più riuscite della
pubblicazione), gli autori non sembrano mai strumentalizzare le diverse testimonianze
per costruire conclusioni perentorie, né fanno convergere i singoli punti di
vista in ununica, monolitica versione; al contrario, favoriscono una apertura
dialettica per stimolare nel lettore la riflessione.
In definitiva il volume pubblicato da
Bloomsbury – casa editrice che si conferma una garanzia per le tematiche
musicali davanguardia – risulta prezioso per chiunque sia in cerca di stimoli di
indagine sulle pratiche di improvvisazione
e le ricerche estetiche a esse connesse. Seppur viviamo in un mondo dominato dalla infodemia, si
fa sempre molta fatica a reperire notizie e testimonianze aggiornate su
esperienze di improvvisazione musicale: la ricerca è sostanzialmente ferma agli
ultimi decenni del secolo scorso, quando alle pratiche improvvisative veniva
riconosciuta una autonomia – estetica e artistica – dagli altri linguaggi
codificati. Nellultima decade, nemmeno i più esperti sembrano in grado di intuire
ciò che oggi limprovvisazione significhi, rappresenti e, soprattutto, il suo
portato sul piano sociale.
Denzler e Guionnet riescono in una operazione
lungimirante: far capire che limprovvisazione
musicale vive nel contatto con
la differenza e la molteplicità e al tempo stesso far emergere che, soprattutto
oggi, cè un disperato bisogno di luoghi, anche virtuali, di incontro e di “rete”,
evitando imposizioni di astrazioni teoriche destinate a rimanere, pur sempre,
parziali.
di Ludovico Peroni
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