Il volume di Alessandro Cosentino, che inaugura la collana “musichemigranti”
delleditore NeoClassica, rappresenta uno degli esiti di una più ampia ricerca sulle
pratiche musicali-religiose specifiche di comunità di fedeli cristiani immigrati
a Roma. Avviata nellambito del progetto PRIN 2012 Processi di trasformazione nelle musiche di tradizione orale dal 1900 a
oggi e condotta dallunità di ricerca dellUniversità di “Tor Vergata”,
lindagine ha portato alla creazione di un archivio contenente una
straordinaria mole di documenti audiovisivi che danno conto della varietà e della
bellezza di queste musiche.
Il presente volume ne svela una
parte, quella connessa alle liturgie della comunità cattolica congolese che è a
sua volta tra le più documentate dellarchivio (cfr. la Presentazione di Serena
Facci, pp. 9-13). Il rito zairese officiato nella chiesa della Natività, a
pochi passi da Piazza Navona, è musicalmente ricco e trascinante: le melodie dei
suoi canti e i pattern ritmici tipici
africani, di cui nel testo si fornisce una sintesi con lausilio di diverse
trascrizioni, richiamano alle messe domenicali anche romani e turisti di
passaggio, immediatamente “catturati” dal sound
coinvolgente e perfettamente udibile dalla piccola piazza antistante la chiesa.
Dopo un primo capitolo dedicato alla
ricostruzione della storia della religione cristiana in Congo, Cosentino indaga
la comunità “romana” nei suoi molteplici aspetti: dallo spazio sacro alla
realtà fluida del coro che conduce musicalmente il rito, dallensemble composto da strumenti amplificati
e tradizionali africani fino allanalisi di brani del repertorio devozionale e
di altrettanti momenti centrali dellanno liturgico.
Di fianco allapprofondimento del
ruolo carismatico di figure chiave quali il prete-compositore padre Cola
Lubamba e la direttrice del coro Angela Ndawuki Mayi, risultano particolarmente
interessanti i paragrafi dedicati a quelle che Cosentino definisce delle vere e
proprie jam session: unidea coerente,
tra laltro, con la stessa fluidità che caratterizza il coro e lensemble strumentale anche a causa della
mobilità che coinvolge le comunità migranti (p. 46). Se nella «jam session liturgica», che ha luogo in
determinati momenti della celebrazione, la variabilità di strofe e intermezzi
musicali risulta strettamente connessa alle tempistiche del rito (p. 65), è
nella «jam session devozionale» al
termine della messa che la gioia della lode si dispiega in tutta la sua forza,
tra canti e danze dei fedeli che si appropriano così dello spazio sacro (p.
73).
Emerge il tema della
partecipazione attiva dellassemblea nel corso di queste celebrazioni pervase
dalla musica, nonché il senso di appartenenza a una collettività i cui
individui non sono accomunati esclusivamente dal luogo di provenienza ma da un
medesimo modo – profondo – di vivere la fede. “Comunità” è, infatti, la
dimensione che si crea nello spazio-tempo del rito e che invita ogni partecipante,
ricercatore compreso, alla gioiosa condivisione attraverso il canale elitario
della musica. La gioia (esengo in
lingua lingala, appunto) è allora, insieme alla corporeità che la esprime, il
concetto-chiave intorno a cui la trattazione si sviluppa, uno stato danimo
richiamato più volte anche nelle parole di musicisti e coristi alle cui storie
individuali è dedicata tutta lultima parte del testo.
Il lavoro di Cosentino non può
che lasciare il lettore concorde con quanto scritto da Facci nella Presentazione al testo: ovvero che le
musiche delle liturgie dei migranti a Roma (e quelle della comunità congolese
in particolare) stanno senza dubbio arricchendo «la sonosfera di una delle
città sacre più importanti nel mondo» (p. 9). Al tempo stesso il volume testimonia
lesito felice dellincontro tra ricercatore e protagonisti dellindagine: un
incontro in cui la condivisione dellesperienza musicale sembra continuare a
rivestire un ruolo primario. Di questo bellesito danno ulteriore dimostrazione
i documenti audio-video analizzati nel testo, disponibili per la visione sul
canale Vimeo delleditore.
di Antonella Dicuonzo
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