Il presente volume, curato da Nicola Pasqualicchio
e Alberto Scandola, raccoglie gli atti del convegno organizzato dal
Dipartimento di culture e civiltà dellUniversità di Verona nel 2017. Rompendo
«il silenzio critico che da molti anni è calato su Rosi e la sua opera» (p. 9),
si intende qui offrire nuove chiavi di lettura per comprendere un autore
sensibile ai cambiamenti che hanno attraversato il Novecento, sempre impegnato
in tutte le fasi di produzione delle sue pellicole.La
suddivisione del volume in tre sezioni (Il
cinema, I film, Oltre il cinema) consente di addentrarsi
rispettivamente nelle riflessioni sul cinema tout court di Francesco
Rosi, nellanalisi delle sue opere e infine nelle sue esperienze di regista
teatrale.
I
contributi che indagano i rapporti di Rosi con i suoi collaboratori sono
rispettivamente a opera di Giorgio Tinazzi (sul dialogo con lo
scenografo Andrea Crisanti); di Denis
Brotto (sul lavoro in fase
di montaggio con Mario Serandrei e
Ruggero Mastroianni) e del
curatore Scandola (circa lapproccio umano e professionale con gli attori). Se
Tinazzi pone in rilievo la puntigliosa ricostruzione degli ambienti e il lavoro
di documentazione al fine di un “realismo” inteso come rispecchiamento del
reale, Brotto analizza le modalità di costruzione narrativa e visiva attraverso
il montaggio, definito da Rosi stesso il punto focale del suo lavoro.
Scandola
si chiede se «linterprete collabora alla definizione della psicologia del
personaggio oppure si offre semplicemente come materiale da plasmare» (p. 65). Cercando
«di mettere in pratica uno dei miti fondatori del cinema moderno, ovvero
lamalgama» (p. 66), nella sua corposa filmografia Rosi si è avvalso della
presenza di star internazionali, di attori formatisi nellambito
teatrale e insieme di attori non professionisti.
Nella
seconda sezione, Denis Lotti analizza Le mani sulla città (1963) in
cui coraggiosamente si «racconta la speculazione edilizia, espressione e
metafora di un più ampio degrado etico e politico» (p. 127). Riflessioni di
natura socio-politica propone Christian Uva su Cadaveri eccellenti (1976),
uno dei film più emblematici nella rappresentazione della tristemente celebre
“strategia della tensione” e poi su Tre fratelli (1981): «opera che
sviluppa una lucida riflessione sulla questione della lotta armata
proiettandola sullo sfondo della morte della società contadina e quindi di un
nostalgico richiamo alle origini e ai padri» (p. 82). Su questa stessa
falsariga Stefania Parigi approfondisce
il metodo narrativo di Rosi, di tipo indiziario, teso a rendere frammentario
il tempo della storia. Dopo aver passato in rassegna i suoi film più “politici”,
lanalisi del meno noto Tre fratelli consente alla studiosa di
soffermarsi sul montaggio alternato, sullimportanza della morte come collante
nelle vicende e sul fattore onirico e simbolico che permea, seppur velatamente,
lintera pellicola.
Lispirazione
letteraria è affrontata da Paola Zeni rispetto a opere quali Cera
una volta… (1967), in cui Lo cunto de li cunti (1634) di Gianbattista Basile è reinterpretato e
ricontestualizzato imponendo «un ulteriore, evidente grado di separazione dal
canone alla fiaba» (p. 108).
Nella
terza sezione, Anna Barsotti intervista Carolina Rosi sul rapporto tra
il padre il teatro, in particolare sulla relazione con Luca De Filippo per la messa in scena della trilogia
eduardiana (Napoli milionaria, Filumena Martorano e Le voci di dentro). Un altro importante tassello per ricostruire la figura di
Rosi è fornito da Vincenzo Borghetti con lanalisi di Carmen (1984),
trasposizione sullo schermo dellomonima opera di Bizet (1875) in cui melodramma e cinema vanno di pari passo.
Secondo la musicologa statunitense Susan
McClary, Rosi proporrebbe uninedita lettura sovversiva di Carmen,
ergendola a protagonista ribelle e a eroina. Infine, Simona Brunetti si sofferma su Kean - Genio e sregolatezza (1956), co-diretto insieme a Vittorio
Gassman che già due anni prima lo aveva portato sul palcoscenico. Tratto
dallopera teatrale Kean, ou Désorde et Génie (1836) di Alexandre Dumas padre e dal suo
adattamento omonimo (1953) di Jean-Paul
Sartre, il film propone una sceneggiatura più vicina a quella teatrale e
un apparato scenografico che assume un ruolo centrale nella mise-en-scène.
di Giuseppe Mattia
|
|