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Isabella d’Isola et al.

Quando arrivarono al mare. Zigani Gitani Zingari Rom nella canzone italiana


Roma, Cisu, 2019, 272 pp., 22,00 euro
ISBN 9788879756860

I versi della canzone Gli zingari scritta e interpretata da Enzo Jannacci nel corso dell’edizione del 1968 di Canzonissima non furono forse compresi dalla critica e dal pubblico del tempo nella profondità del loro messaggio: il brano, già presentato in luogo dell’escluso e ben più celebre Ho visto un re, fu subito eliminato dalla gara e non godette di successo. Eppure, per quel che riguarda i suoi protagonisti, Gli zingari di Jannacci appare oggi come lo spartiacque tra due diverse visioni dei rom che nel corso del Novecento si sono susseguite nella nostra storia culturale, spesso anche intrecciandosi e stratificandosi.

Numerosi brani della produzione canora italiana dallo scorso secolo fino ai nostri giorni hanno ben sintetizzato questi diversi “sguardi”: il primo, in un certo senso “romantico” e senz’altro stimolato da molta letteratura ottocentesca, sottolinea ed esalta libertà, malinconia e passionalità come le principali caratteristiche che contraddistinguerebbero un popolo sempre in movimento, misterioso perché misconosciuto e capace di incarnare perciò stesso un certo “esotismo”. È una visione che attraversa tutto il primo sessantennio del Novecento e che, sotto quell’aura di idealizzazione, lascia tuttavia intravedere il ricalco continuo di stereotipi per i quali libertà, passionalità ed esotismo altro non sono che metafore, frutto di un immaginario comune che considera i rom come coloro che non rispettano le regole, che mancano di civiltà e che non vogliono integrarsi nel tessuto sociale e urbano, come d’altra parte emerge da tanta stampa dell’epoca.

Il secondo sguardo è invece quello che sembra scaturire da un desiderio di conoscenza, maturato soprattutto da parte di quei cantanti vicini a certi ambienti intellettuali e politici che iniziano a interrogarsi su chi siano questi “altri” a loro così prossimi. La canzone di Jannacci sembra trasporre in musica la nascita di questa nuova visione che si stava facendo strada lentamente, ed è per questo motivo che i curatori di Quando arrivarono al mare attingono proprio alle sue parole per intitolare il volume. Come scrive Leonardo Piasere nell’Introduzione, il brano inaugura «un modo nuovo di comporre un discorso canoro sugli zingari, che fa della selezione di tratti o di avvenimenti realistici o immaginati una modalità per l’interpretazione sulla loro presenza nel mondo» (p. 14). È in qualche modo una canzone che traduce una certa curiosità antropologica, verrebbe da dire, e non è un caso, infatti, che nello stesso anno l’etnomusicologo Roberto Leydi – che come viene ricordato nel volume aveva contribuito a lanciare Jannacci – avviasse insieme a Sandra Mantovani una documentazione sulle musiche di manouches e kalé durante il noto pellegrinaggio dei gitani a Les-Saintes-Maries-de-la-Mer.

Curato da Isabella d’Isola, Edoardo Canavese, Simone Porro, Francesca Piasere, Mauro Sullman, Guido Baldoni e lo stesso Piasere, il presente volume propone un viaggio tra queste due visioni che hanno caratterizzato lo sguardo sui rom lungo tutto l’ultimo secolo: un tragitto percorso attraverso l’analisi delle canzoni scritte o tradotte in italiano in cui essi compaiono a vario titolo, come protagonisti o come fugaci comparse. In tutto sono state repertoriate centotrentasette canzoni, dal 1927 al 2018; l’arco cronologico è stato suddiviso in quattro fasi sulla base di temi e tipi che sembrano sovrapporsi piuttosto che sostituirsi del tutto. Il “periodo zigano”, il “periodo gitano”, il “periodo zingaro”, il “periodo rom” lasciano emergere luoghi comuni e idee romantiche, cliché e fascinazione, denuncia e impegno sociale. Molti i titoli famosi che devono forse anche ai loro personaggi e alle atmosfere evocate il proprio successo: da Violino tzigano a Granada, da Zingara a Il cuore è uno zingaro, passando per l’esperienza cantautoriale con canzoni come Borghesia, Rimmel, Sally, L’ultima luna, fino al picco della produzione canora tra la metà degli anni Novanta e il 2018 (con brani come Lacio drom, Khorakanè, Quelli che benpensano, Amen, Tevere Grand Hotel, Sono cool questi rom, Gaetano e molti altri) che coincide con il “periodo rom” e con un significativo aumento anche nella pubblicazione dei libri dedicati ai rom in Italia (Piasere ne registra trecentosettantacinque nel solo ventennio 1995-2015, p. 10).

Il volume, oltre a presentare una certa varietà di spunti bibliografici, compresi gli studi più recenti, riporta la quasi totalità dei testi delle canzoni indicizzate, ognuno dei quali è corredato da una scheda descrittivo-interpretativa. Proficue, inoltre, le introduzioni ai quattro grandi “periodi”, una a carattere musicologico, l’altra di taglio storico-giornalistico, che forniscono un quadro d’insieme in grado di legare la produzione canora italiana della musica leggera-di consumo al contesto politico e sociale delle fasi storiche attraversate. Dall’era fascista al nuovo millennio, si dà conto di un progressivo processo di visibilità che ha finito per portare i rom in primo piano: prima con la nascita dei “campi nomadi”, poi con le ondate migratorie degli anni Novanta, infine con il dibattito politico degli ultimi anni.

Nell’avvicendarsi degli sguardi, dal mito fiabesco degli “zingari popolo libero” ai rom segregati in campi-ghetto dei giorni nostri, si scopre che persino Mussolini subì la fascinazione di quell’aura romantica che pare lo avesse portato, negli anni Venti, a comporre un dramma teatrale con protagonisti i musicisti di un’orchestrina ambulante. Un’attrazione che, come scrive Canavese, appare in sintonia con l’immaginario canzonettistico dell’epoca. Eppure, furono proprio i personaggi che popolavano questo immaginario a essere in seguito colpiti dalle leggi razziali sino alla deportazione e alla morte; ma di questo, in quelle canzoni, non vi è traccia (pp. 36-39).

A una prima censura del tragico destino subito dai rom con le deportazioni seguirà un aumento, proprio a partire da Gli zingari di Jannacci, della loro presenza nella canzone italiana: sempre più visibili, sempre più soggetti invece che meri intermediari di amori impossibili e lontani, fino all’ultimo “periodo rom” che li vede finalmente riconosciuti anche nel nome che hanno scelto. Una visibilità – tipica dei gagè, dei non-rom – che i rom hanno saputo col tempo fare propria sostituendola alla tradizionale ricerca di invisibilità, in una rivendicazione che negli ultimi decenni ha preso corpo attraverso un diffuso attivismo politico ma soprattutto tramite la grande adesione al movimento evangelico-pentecostale (cfr. L. Piasere, I rom d’Europa, una storia moderna, Roma-Bari, Laterza, 2009, pp. 106-123).

E fra quei cantanti italiani, si domanda ancora Piasere, quanti hanno mai pensato che anche i rom fanno parte della loro audience?

Il libro pare suggerire, a coloro che vogliono leggere tra le righe, che è tempo di avere il coraggio di “guardare”, non più di immaginare e neanche solo di intravedere. Il “mito dello zingaro” giunge a plasmarsi sempre più con la realtà (pp. 27-30), e il tragitto percorso attraverso le canzoni repertoriate ne dà prova. Non resta perciò, come cantò Jannacci, che fermarsi e ascoltare.


di Antonella Dicuonzo


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