I versi della canzone Gli zingari
scritta e interpretata da Enzo Jannacci
nel corso delledizione del 1968 di Canzonissima
non furono forse compresi dalla critica e dal pubblico del tempo nella
profondità del loro messaggio: il brano, già presentato in luogo dellescluso e
ben più celebre Ho visto un re, fu
subito eliminato dalla gara e non godette di successo. Eppure, per quel che
riguarda i suoi protagonisti, Gli zingari
di Jannacci appare oggi come lo spartiacque tra due diverse visioni dei rom che
nel corso del Novecento si sono susseguite nella nostra storia culturale, spesso
anche intrecciandosi e stratificandosi.
Numerosi brani della produzione
canora italiana dallo scorso secolo fino ai nostri giorni hanno ben
sintetizzato questi diversi “sguardi”: il primo, in un certo senso “romantico”
e senzaltro stimolato da molta letteratura ottocentesca, sottolinea ed esalta libertà,
malinconia e passionalità come le principali caratteristiche che
contraddistinguerebbero un popolo sempre in movimento, misterioso perché
misconosciuto e capace di incarnare perciò stesso un certo “esotismo”. È una
visione che attraversa tutto il primo sessantennio del Novecento e che, sotto quellaura
di idealizzazione, lascia tuttavia intravedere il ricalco continuo di
stereotipi per i quali libertà, passionalità ed esotismo altro non sono che metafore,
frutto di un immaginario comune che considera i rom come coloro che non
rispettano le regole, che mancano di civiltà e che non vogliono integrarsi nel
tessuto sociale e urbano, come daltra parte emerge da tanta stampa dellepoca.
Il secondo sguardo è invece quello
che sembra scaturire da un desiderio di conoscenza, maturato soprattutto da
parte di quei cantanti vicini a certi ambienti intellettuali e politici che iniziano
a interrogarsi su chi siano questi “altri” a loro così prossimi. La canzone di
Jannacci sembra trasporre in musica la nascita di questa nuova visione che si stava
facendo strada lentamente, ed è per questo motivo che i curatori di Quando arrivarono al mare attingono proprio
alle sue parole per intitolare il volume. Come scrive Leonardo Piasere nellIntroduzione,
il brano inaugura «un modo nuovo di comporre un discorso canoro sugli zingari,
che fa della selezione di tratti o di avvenimenti realistici o immaginati una
modalità per linterpretazione sulla loro presenza nel mondo» (p. 14). È in
qualche modo una canzone che traduce una certa curiosità antropologica,
verrebbe da dire, e non è un caso, infatti, che nello stesso anno letnomusicologo
Roberto Leydi – che come viene
ricordato nel volume aveva contribuito a lanciare Jannacci – avviasse insieme a
Sandra Mantovani una documentazione
sulle musiche di manouches e kalé durante il noto pellegrinaggio dei
gitani a Les-Saintes-Maries-de-la-Mer.
Curato da Isabella dIsola, Edoardo
Canavese, Simone Porro, Francesca Piasere, Mauro Sullman, Guido Baldoni
e lo stesso Piasere, il presente volume propone un viaggio tra queste due
visioni che hanno caratterizzato lo sguardo sui rom lungo tutto lultimo secolo:
un tragitto percorso attraverso lanalisi delle canzoni scritte o tradotte in
italiano in cui essi compaiono a vario titolo, come protagonisti o come fugaci
comparse. In tutto sono state repertoriate centotrentasette canzoni, dal 1927
al 2018; larco cronologico è stato suddiviso in quattro fasi sulla base di temi
e tipi che sembrano sovrapporsi piuttosto che sostituirsi del tutto. Il
“periodo zigano”, il “periodo gitano”, il “periodo zingaro”, il “periodo rom”
lasciano emergere luoghi comuni e idee romantiche, cliché e fascinazione, denuncia e impegno sociale. Molti i titoli
famosi che devono forse anche ai loro personaggi e alle atmosfere evocate il proprio
successo: da Violino tzigano a Granada, da Zingara a Il cuore è uno
zingaro, passando per lesperienza cantautoriale con canzoni come Borghesia, Rimmel, Sally, Lultima luna, fino al picco della
produzione canora tra la metà degli anni Novanta e il 2018 (con brani come Lacio drom, Khorakanè, Quelli che
benpensano, Amen, Tevere Grand Hotel, Sono cool questi rom, Gaetano
e molti altri) che coincide con il “periodo rom” e con un significativo aumento
anche nella pubblicazione dei libri dedicati ai rom in Italia (Piasere ne registra
trecentosettantacinque nel solo ventennio 1995-2015, p. 10).
Il volume, oltre a presentare una
certa varietà di spunti bibliografici, compresi gli studi più recenti, riporta la
quasi totalità dei testi delle canzoni indicizzate, ognuno dei quali è
corredato da una scheda descrittivo-interpretativa. Proficue, inoltre, le
introduzioni ai quattro grandi “periodi”, una a carattere musicologico, laltra
di taglio storico-giornalistico, che forniscono un quadro dinsieme in grado di
legare la produzione canora italiana della musica leggera-di consumo al
contesto politico e sociale delle fasi storiche attraversate. Dallera fascista
al nuovo millennio, si dà conto di un progressivo processo di visibilità che ha
finito per portare i rom in primo piano: prima con la nascita dei “campi
nomadi”, poi con le ondate migratorie degli anni Novanta, infine con il dibattito
politico degli ultimi anni.
Nellavvicendarsi degli sguardi,
dal mito fiabesco degli “zingari popolo libero” ai rom segregati in
campi-ghetto dei giorni nostri, si scopre che persino Mussolini subì la
fascinazione di quellaura romantica che pare lo avesse portato, negli anni
Venti, a comporre un dramma teatrale con protagonisti i musicisti di unorchestrina
ambulante. Unattrazione che, come scrive Canavese, appare in sintonia con
limmaginario canzonettistico dellepoca. Eppure, furono proprio i personaggi
che popolavano questo immaginario a essere in seguito colpiti dalle leggi
razziali sino alla deportazione e alla morte; ma di questo, in quelle canzoni,
non vi è traccia (pp. 36-39).
A una prima censura del tragico
destino subito dai rom con le deportazioni seguirà un aumento, proprio a
partire da Gli zingari di Jannacci, della
loro presenza nella canzone italiana: sempre più visibili, sempre più soggetti
invece che meri intermediari di amori impossibili e lontani, fino allultimo
“periodo rom” che li vede finalmente riconosciuti anche nel nome che hanno
scelto. Una visibilità – tipica dei gagè,
dei non-rom – che i rom hanno saputo col tempo fare propria sostituendola alla
tradizionale ricerca di invisibilità, in una rivendicazione che negli ultimi
decenni ha preso corpo attraverso un diffuso attivismo politico ma soprattutto
tramite la grande adesione al movimento evangelico-pentecostale (cfr. L. Piasere,
I rom dEuropa, una storia moderna,
Roma-Bari, Laterza, 2009, pp. 106-123).
E fra quei cantanti italiani, si
domanda ancora Piasere, quanti hanno mai pensato che anche i rom fanno parte
della loro audience?
Il libro pare suggerire, a coloro
che vogliono leggere tra le righe, che è tempo di avere il coraggio di “guardare”,
non più di immaginare e neanche solo di intravedere. Il “mito dello zingaro” giunge
a plasmarsi sempre più con la realtà (pp. 27-30), e il tragitto percorso
attraverso le canzoni repertoriate ne dà prova. Non resta perciò, come cantò Jannacci,
che fermarsi e ascoltare.
di Antonella Dicuonzo
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