La pubblicazione nasce dalle
ricerche dellautore sul concetto di autenticità nella popular music,
condotte sotto la guida di Gianmario Borio ed Elena Mosconi
allUniversità di Pavia. Professore associato nello stesso ateneo e tra i
maggiori studiosi italiani nel campo, Alessandro Bratus ha ampliato negli anni il
proprio sguardo fino ad abbracciare la relazione dialettica tra performance
e mediazione tecnologica, oggetto del volume. Inquadrando questo rapporto
complesso è infatti possibile dare conto dei processi di autenticazione degli
artefatti che propongono esecuzioni musicali in forma registrata.
Mettendo da parte le concezioni
essenzialiste e mitopoietiche dellautenticità in musica, ancora diffuse nel
discorso comune attorno alle pratiche della popular music, Bratus
attribuisce un ruolo cruciale allascoltatore-spettatore: il pubblico non è ricettore passivo
ma “credente attivo” (active believer), attore primario della performance
mediatizzata, e la rende così autentica attraverso la propria “volontà di
credere” (will to believe). Questo concetto, che lo studioso riprende dalla tradizione
dellempirismo radicale americano e in particolare dagli scritti sulla
religione di William James, permette di individuare e decostruire i modi
in cui gli artefatti mediali costruiscono la propria ricezione sollecitando
risposte emotive e razionali determinate: in altre parole, le strategie formali
con cui organizzano la propria credibilità, il senso della propria liveness.
Assumendo il punto di vista dellaudience,
è possibile esaminare i meccanismi del coinvolgimento affettivo innescati dalla
mediatizzazione. Una registrazione propone la narrazione artificiale e coerente
di un evento musicale avvenuto in un altro tempo e in un altro spazio, cui il
pubblico non ha accesso: conservando le tracce della performance
originaria e il suo valore auratico, la rappresentazione mediatizzata promette
così al suo fruitore di poterne fare esperienza come di qualcosa di vicino che
lo tocca nellintimo. Per comprendere come questo effetto si produca, è
necessario porre laccento sulla realtà intermediale della ricezione: ogni
ascoltatore-spettatore
colma la distanza tra evento e sua ricostruzione con il proprio bagaglio
memoriale, fatto dellesperienza di altri oggetti culturali stratificati nel
tempo; è in relazione a questa rete di riferimenti che viene valutata la
credibilità di un artefatto come manifestazione autentica di un certo artista,
o meglio di una certa persona (secondo la nota formulazione di Philip
Auslander).
Nella cornice teorica costruita
da Bratus su questi presupposti trovano un nuovo significato una serie di
opposizioni che caratterizzano tipicamente il discorso sulla liveness.
Piuttosto che vederle come concetti inconciliabili, è proprio la coesistenza di
istanze contrastive negli artefatti della performance mediatizzata ad
avere un ruolo produttivo nel loro consumo. Così i binomi artificiale-reale, effimero-materiale e artistico-mercificato non sono valori
alternativi a livello ontologico, ma poli di tensione costantemente negoziati
nellesperienza del pubblico che attribuisce autenticità al prodotto.
I capitoli del volume presentano
altrettanti close reading su casi di studio afferenti a due tipologie:
gli album postumi e i concerti filmati. È proposto un metodo analitico preciso,
fondato sullindividuazione di una matrice temporale che scandisce tre momenti
chiave nella relazione tra performance e sua mediatizzazione: ciò che
preesiste allevento (il concetto); levento in sé, ovvero il
lasso di tempo in cui i materiali aurali o visivi sono catturati; e lartefatto
mediale come oggetto che raccoglie e dà forma alle tracce della performance.
Il metodo punta a invertire il processo, lavorando a ritroso dalloggetto al
concetto, come in un esperimento di reverse engineering applicato
allartefatto mediale.
Attraverso questo esercizio di
decostruzione è possibile, nel primo capitolo di taglio metodologico,
esaminare le specifiche valenze comunicative di diverse versioni della stessa
canzone (Volunteers dei Jefferson Airplane); ma anche comprendere
i meccanismi con cui negli album postumi si cerca di ottenere un livello di
coerenza espressiva sufficiente perché il pubblico possa accettarli come
autentiche manifestazioni dellartista scomparso (Jimi Hendrix, Tupac
Shakur, Johnny Cash). Di cruciale importanza sono le procedure
tecniche usate per manipolare i materiali originali che lartista stesso
ha lasciato, e la collocazione nella rete intermediale: il caso degli
album postumi mette bene in evidenza il fatto che gli artefatti mediali non sono
mai esperiti come oggetti culturali isolati.
Prendendo in considerazione le
forme del concerto filmato, è indagato il modo in cui la rappresentazione
audiovisiva del live show, lavorando entro lo spartiacque fra la
riproducibilità del prodotto e lirriproducibilità dellevento, fa leva sugli
opposti desideri del pubblico, permettendogli di sentirsi allo stesso tempo
consumatore solitario e parte di unentità collettiva. La ricostruzione
dellesperienza è attuata attraverso la convergenza di messa in scena e
documentazione: le strategie utilizzate fanno leva sulla tensione fra
testimonianza delleffimero e ricorso a convenzioni di genere. In questottica
sono analizzate le soluzioni strutturali e le connotazioni semantiche presenti
nei film di due concerti senza pubblico (il famoso Live at Pompeii dei Pink
Floyd e The Encounter dei Korn) e nei prodotti audiovisivi
confezionati sugli show di alcuni artisti EDM (The Prodigy, Fatboy
Slim, The Chemical Brothers). Infine, il documentario postumo su un
concerto mai realizzato (Michael Jacksons This is It), esaminato
nella Coda, mette insieme le due tipologie di artefatti su cui il volume
si concentra.
Per ricchezza di prospettive,
solidità teorica e rigorosità di metodo, il volume si pone come un punto di
riferimento imprescindibile per gli studi sulla mediatizzazione e sulla liveness
in campo popular, contenendo allo stesso tempo indicazioni utili e spunti
illuminanti anche per studiosi di altre aree musicali.
di Giulia Sarno
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