È
di recente pubblicazione la versione italiana del volume La deregulation culturelle. Essai d'histoire des cutures en Europe au XIXe siècle di Christophe Charle (Parigi, Presse
Universitaires de France, 2015), curata per Viella da Maria Pia Casalena. Una sintesi audace della storia delle culture
europee nellOttocento ben inquadrata grazie a un approccio metodologico di
impianto storico-sociologico.
Il
volume si articola in due parti: la prima è dedicata alluscita dell"antico regime culturale" ca. 1815-ca.1860 ; la seconda (Le vie delle modernità culturali in Europa) affronta gli anni precedenti lavvento del Novecento. In tale arco
temporale Charle analizza le persistenze della società di Ancien régime – segnata da divisioni e gerarchizzazioni interne – e
il loro progressivo cedere il passo al cambiamento. Un cambiamento che porta
verso prospettive culturali più “moderne” relegando il passato nel serbatoio
della “tradizione” – concetto che sembra nascere proprio in questi anni.
Facendo
ricorso a strumenti dindagine di matrice socio-antropologica e a un approccio interdisciplinare,
lo studioso offre uno sguardo globale sui fenomeni indagati rivolgendosi a un
pubblico composto non soltanto da specialisti. A muovere le fila di questo
studio è il concetto stesso di “spazio europeo”: da quando abbiamo iniziato a percepirlo?
Quali sono stati i segnali, soprattutto culturali, di un sentimento di
appartenenza che ancora oggi è messo continuamente in discussione?
Charle
indaga i mutamenti della cultura del libro, che nellOttocento vive lexploit della forma romanzo; il contesto spettacolare, dalla prosa al melodramma, e il
delinearsi di una nuova fisionomia di pubblico; la cultura visuale tra
movimenti artistici e grandi esposizioni; infine, lavvento del cinematografo e
le sue ripercussioni sul panorama culturale e sociale del nuovo secolo. Quello qui
tratteggiato è un vero e proprio «bilancio di un secolo» (espressione presa in
prestito da Alfred Picard, p. 445),
dal quale emerge la storia di un continente alla ricerca di una propria identità,
frutto di contrasti e contaminazione tra ambiti e livelli culturali diversi, e
di una crescente tensione tra tradizione e modernità.
Lo
stesso approccio sociologico è riservato a una analisi sistematica delle nuove
forme di spettacolo dellEuropa ottocentesca, dal vaudeville al cafè-chantant,
chiamate alla necessità di soddisfare la domanda di un pubblico sempre più
ampio ed eterogeneo. Il genere performativo che meglio risponde al tentativo di
costituire unidentità europea è il melodramma; un ambito che denota lassenza
di analisi sociologiche comparative su scala continentale, in particolare sulle
figure dei musicisti nei confronti delle quali si è sempre privilegiato uno
studio circoscritto al loro contesto nazionale di riferimento.
Essendo il concetto di Europa
quanto mai labile nel XIX secolo oggetto di questo studio, non è semplice
fondare ipotesi di ricostruzione sullallargamento di confini indefinibili. Ed
è in queste pieghe che si innesta la difficile impresa di Charle che tenta, con
tutte le precauzioni del caso, di tracciare una sintesi comparativa di
interessante apertura. Il lavoro è nel suo complesso convincente quanto gli
spunti dindagine che restano dattualità, ma la bibliografia sulla storia
dello spettacolo non registra saggi fondamentali che, seppur rivolti a una
dimensione storica nazionale, non hanno tralasciato di indagare la complessità
dei fenomeni nella loro dimensione internazionale. Sono lasciati fuori tutti i
più recenti e aggiornati studi specialistici di ambito italiano che hanno da
tempo liberato la materia da una prospettiva esclusivamente di matrice letteraria.
Lacune emergono in particolar modo nella sezione Teatro dove sono menzionati soltanto i volumi di Carlo Gatti sul Teatro alla Scala (1964).
Un grande vuoto su cui non è possibile sorvolare quando si affrontano tematiche
nelle quali lItalia vanta un protagonismo sia storico che accademico a livello
europeo.
di Giulia Bravi
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