Come la cultura italiana, anche quella teatrale francese lamenta la
perdita di memoria relativa alle figure più rappresentative della sua pur
gloriosa, e celebrata, storia. Ma poi riaccende la sensibilità per lopera
ritenuta fondamentale di letterati e artisti caduti
in oblio e riprende a studiarla nel ricordo ravvivato. Accade ora per Jean-Louis
Barrault (1910-1994), attore e regista che, dopo
la commemorazione puntuale del centenario dalla nascita, vede pubblicati note, pensieri
e documenti prodotti in mezzo secolo di attività. La raccolta è preziosa soprattutto
per le nuove generazioni di professionisti e amatori che possono recuperare,
nei brani anche inediti proposti, il senso dello spirito visionario, oltre che
estetico, del poliedrico artista.
La materia trattata viene
suddivisa in sei capitoli, corrispondenti ai temi tipici dellautore. In
sequenza non cronologica, le riflessioni teoriche, come le definizioni e le
esperienze, richiedono qualche sforzo al lettore che voglia seguirle nellevoluzione
del pensiero e del lavoro artistico. Quasi un florilegio dei suoi passi autografi più
significativi, però privati della continuità storica dellavventura umana e creativa
di Barrault. I titoli individuano importanti nuclei dindagine, rispondenti a
profonde esigenze del protagonista e possono insieme interessare sia gli
specialisti, in cerca di novità negli inediti, sia i neofiti, desiderosi di
scoprire lessenza delle concezioni e del metodo di lavoro dellartista, ormai
lontani da gusti ed evidenze attuali.
Nella Préface, Béatrice Picon-Vallin
riconosce quale merito dellhomme de théâtre la disposizione agli incontri e la sua curiosità
inesauribile verso disparate occasioni di dialogo ed esperienze esterne al proprio
ambiente: «Ce risque-tout sublime et insolent, ce cercheur infatigable, proche
dArtaud, cet ambassadeur de la scène française à létranger, ce citoyen du
monde, cet esprit attentif à toutes les formes théâtrales qui dirigea
(1966-1967) le second Théâtre des Nations – dont il voulait faire “un Cartel
international du théâtre”» (p. 7).
La linea programmatica del
curatore Vincenzo Mazza si orienta
allultima importante mostra dedicata allo stesso soggetto, Les théâtres de Jean-Louis Barrault, un
périple parisien, coordinata nel 2011 da Noëlle Giret al Pavillon de
lArsenal di Parigi. In quella documentazione, organizzata con assidua dedizione dalla conservatrice, Mazza nota la peculiarità dellaccoglienza
della drammaturgia femminile in repertorio e lammirazione per il nō e il butoh. Nei documenti noti, ma da rivalutare, segnala ad esempio il cahier de mise en scène di Phèdre di Racine (1946), analisi dellorganizzazione
preventiva del lavoro registico, sul modello, non scontato, dei Maestri del
Cartel (che in altre pagine Barrault giudica con una certa severità). Poi gli
appunti sullo studio del mimo, condotto in collaborazione con Étienne
Decroux, chiariscono le differenze allorigine dellincomprensione che
causò la fine dellesperienza comune. Momento di acquisizioni sulla corporeità,
permanenti nellarte dellattore, applicate per la prima volta nella creazione
di Autour dune mère (1935),
spettacolo tratto dal racconto As I lay
dying di Faulkner che la memoria critica autobiografica del regista
richiamerà fino a mitizzarlo. Il “programma” dello spettacolo risiede in La forme du mimodrame (1935): «Cest en
artisan que jai travaillé ce sujet. Jai cherché toujours à eviter lesthétisme et lintellectualisme. Jai
fait ce spectacle absolument comme je respirais, comme un primitif» (pp.
36-37). Intervengono anche criteri di scelta estetici, nella consapevolezza
di dover comporre un repertorio inteso come un arc-en-ciel, costituito da opere dagli estremi opposti: «Lart
dramatique sétend entre ces deux cas limite. Geste pur - Verbe pur» (p. 46):
schema comprensivo degli allestimenti che dalla drammatizzazione di Faulkner giungono
a Partage de midi di Claudel (1948).
Altro inedito sincontra in Lart du théâtre (1945), conferma
categorica di una idea: «Lart du théâtre est un art autonome. Il na de commun avec les autres arts que la
poésie» (p. 35). Gli scambi epistolari con lo storico Léon Chancerel
sulla creazione registica, a partire da Phèdre,
rivelano le ricerche documentarie, la lettura a tavolino, la motivazione degli attori
nei ruoli e le ipotesi interpretative capaci di influenzare la distribuzione. Fino
alla partecipazione responsabile in scena, che tutti coinvolge: «Nous ne faison
quun seul camp. Je me tiens très
souvent derrière, tout contre mes camarades et par osmose je les aide à
accrocher. Je lépouse» (p. 53). Una lettera analoga riguarda Soulier de satin (p. 89-90). Sulla
concezione del théâtre total (o complet) ritornano brani significativi originati
da Le Livre de Christophe Colomb, di
Claudel. Concert pour lhomme (1949) progetta
luso delluomo come strumento espressivo, secondo unanalogia musicale. Più
volte torna problematica la collocazione della figura umana nello spazio, mentre
si afferma la facoltà per cui lattore è in grado di evocare tutto attraverso
limmaginazione, contando sullinterscambiabilità delloggetto scenico e
dellattore. Nouvelle définition de théâtre
total (1970) precisa come non si tratti della coincidenza delle arti, ma
dellutilizzazione integrale «des moyens dexpréssion de lÊtre humain» (p.
66).
La tendenza che Mazza definisce «lexaltation
de léphémère» (p. 22) potrebbe forse sintetizzarsi nellidea di “teatro totale”
come “eclettismo radicale”, per significare la pluralità di apporti ideali e
direttrici operative costituenti la tresse
(treccia) mai definitiva di occasioni e verifiche, sorte da esigenze duna
vocazione assoluta. Per lurgenza di fondere il mimo puro nella miscela
eterogenea di poesia drammatica, corporeità e tensione ascetica, il dosaggio perfetto
pareva irraggiungibile. Il curatore inoltre riconosce centrale il rapporto (a distanza)
fra Barrault e Vilar, in un secondo Novecento effettivamente caratterizzato da componenti
a contrasto fecondo.
Altrettanto chiaro il rilievo
dato al saggio comparativo nel quale Barrault valuta Stanislavskij e Brecht
alla luce della propria concezione: «La méthode Stanislavski est séduisante,
mais un peu trop illusoire. Celle de
Bertolt Brecht renferme hélas! quelques vérités, mais elle nest pas gaie! Heureusement
nous croyons autre chose» (p. 81), convinto del fatto che lessenza del teatro
sia “erotica”. Perciò insiste sui moventi irrinunciabili che guidano lartista
a esprimersi, per rendere conto dun atto damore comparabile allatto sessuale,
nato e mosso dal desiderio. «Le
phénomène unique quest la représentation théâtrale, est essentiellement la
recréation artificielle de lActe. Entre
la scène et la salle, entre la troupe et le public, il se passe un Acte, dont le symbole même est lacte sexuel» (p. 80).
Si misura insomma il vitalismo duna
singolare figura dumanista “atletico”, forse accostabile per la scrittura ad Antoine
Vitez e per lesuberanza a Vittorio Gassmann. Presi seriamente – come
furono emessi – certi ammonimenti e certe affermazioni implicherebbero una
responsabilità rara, un impegno a una riforma tanto radicale da spaventare
lodierno attore, quello che non soltanto in Italia è dato di vedere allopera
in palcoscenico.
di Gianni Poli
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