In questa nuova pubblicazione della Cambridge University
Press, Leah R. Clark indaga i fenomeni di «circulation, exchange,
collection and display of objects in the Italian courts, and in particular
Ferrara and Naples» (p. 1) durante la seconda metà del Quattrocento, quando tra
la pace di Lodi (1454) e le campagne militari di Carlo VIII nella
Penisola (1494-1498) i principi italiani intesserono fondamentali alleanze
diplomatiche per assicurare stabilità ai loro domini. In tale contesto, lo
scambio di doni diplomatici fu essenziale per consolidare i rapporti tra le
case regnanti di Ferrara, Milano, Mantova, Napoli e Urbino e veicolò con la
circolazione di oggetti darte un aggiornamento intorno ai canoni figurativi
fioriti allombra delle corti per la rappresentazione della magnificenza
principesca.
La
storiografia artistica ha dedicato recentemente significativi contributi alla
conoscenza della cultura materiale e del collezionismo dei Signori rinascimentali
(basti qui citare, tra i molti titoli possibili, il valido L. Fusco-G. Corti, Lorenzo
de Medici: Collector of Antiquities, Cambridge, Cambridge University
Press, 2006), soffermandosi sulle scelte dei collezionisti per lelaborazione
di una personale politica culturale che contemplasse anche il possesso di
preziosi e desiderabili manufatti.
Clark
propone però un approccio diverso a questi temi di studio, mettendo al centro
della propria trattazione la storia degli oggetti al fine di individuare quei richiami
ad alleanze politiche, culture artistiche estere, comuni memorie letterarie che
bronzetti, libri, mobili dalto artigianato, gioielli sapevano rievocare con la
loro presenza a corte.
Così,
nel primo capitolo, il lettore apprende come una testa di cavallo in bronzo esposta
nel cortile di Palazzo Carafa a Napoli (oggi conservata nel locale Museo
Archeologico) ricordasse ai visitatori il ruolo giocato dal conte di Maddaloni tanto
nellaffermazione della monarchia aragonese a Napoli, quanto nella definizione delle
alleanze tra la casa dAragona e i Medici. Infatti, il Magnifico aveva
donato la scultura a Diomede Carafa nel 1471, quando a Firenze maturava
il progetto di riaprire una filiale del banco mediceo nella città partenopea.
Qui contemporaneamente si completava larco di Castel Nuovo, cui era destinato
un monumento equestre ad Alfonso V dAragona (mai ultimato da Donatello), la cui testa equina sarebbe
forse lunica parte completata. Allepoca si diffuse la voce che il bronzo
fosse un pezzo antico delle collezioni medicee, il cui omaggio inseriva Lorenzo
nella cerchia di cultori di arti classiche ospiti della corte, nonché di amanti
di equini purosangue, da lui più volte donati a Ferrante I.
Linteresse
per questa insolita scultura, secondo alcuni dotata persino di poteri magici,
generò dunque un pubblico di conoscitori di antichità e oggetti preziosi che di
simili rarità sapeva ricostruire la storia, identificare il luogo di
provenienza, talvolta anche precisare i precedenti proprietari; informazioni
necessarie per comprendere il prestigio che il possesso delloggetto attribuiva
al suo collezionista. Nel capitolo secondo, lautrice valuta come, ad esempio,
il valore di alcune gemme antiche fosse aumentato non solo passando da un
celebre proprietario a un altro, ma anche grazie alla riproduzione dei loro
intagli. È il caso di una corniola sul soggetto di Diomede e il Palladio
ottenuta nel settembre del 1471 dal Magnifico. Nel Rinascimento più intenditori
sapevano come questa fosse appartenuta a Paolo II Balbo e prima ancora
allambasciatore veneziano Ludovico Trevisan, che laveva acquistata da Niccolò
Niccoli; mentre la sua iconografia aveva ispirato diversi artisti, come le
maestranze della bottega di Donatello che la riprodussero in uno dei
medaglioni del cortile di palazzo Medici a Firenze tra il 1450 e il 1460, prima
ancora che il gioiello entrasse nelle raccolte dei banchieri fiorentini.
Copiare
un oggetto in un quadro, una miniatura o una scultura poteva dunque essere un
modo per ribadire la fama del principe collezionista; per dare un significato
diverso al manufatto; nonché per creare un dialogo elitario tra lartista, il
committente e il pubblico ammesso alla visione dellopera. È quanto avviene
grazie alle dotte citazioni di testi e immagini che compongono il dittico
eseguito intorno al 1490 da Ercole de Roberti per Eleonora dAragona
(oggi alla National Gallery di Londra) con lAdorazione dei pastori e La
morte di Cristo, analizzate nel terzo capitolo. Clark vi rintraccia le
memorie visuali di alcune tele appartenute alla principessa citate negli
inventari dei suoi beni, e ipotizza che a ispirare il pittore siano stati scritti
devozionali contemporanei letti e posseduti dalla duchessa, ricordando come la
capacità di citare testi fosse dote apprezzata dagli estensi anche in oratori e
performers, quali ad esempio lhistrio
Matotus ricordato nella Politia litteraria di Angelo Camillo
Decembrio.
Il
quarto capitolo analizza, infine, la diffusione nelle corti italiane di emblemi,
imprese e immagini associabili al cerimoniale araldico dellordine
dellermellino, istituito da Ferrante I dAragona nel settembre 1465,
due mesi dopo la vittoria riportata sugli oppositori alla sua successione al
trono di Napoli e sui sostenitori del partito angioino nella battaglia di
Ischia. Anche in questo caso la studiosa, interrogando le fonti sullassegnazione
dellordine a diversi alleati della corona aragonese, precisa quale rete di
relazioni fosse intessuta con linvio del maestoso collare e del manto
dellermellino, candido come lanimo dei cavalieri che si associavano e si
riconoscevano nellideale di nobile, aristocratico governo espresso dal motto Malo
mori quam foedari.
Il
merito maggiore del libro, che talvolta avremmo preferito più puntuale nella
citazione delle fonti e nel quale avremmo letto volentieri ledizione integrale
degli inventari dei beni di Eleonora dAragona (pubblicati solo parzialmente
nellappendice) sta nellapproccio proposto alla cultura materiale cortigiana.
Vi si apprezza lo sforzo di fermare lattenzione sulle caratteristiche degli oggetti
esaminati per ricondurne le particolarità estetiche alla cultura artistica,
letteraria e cerimoniale della corte di provenienza e di quella esposizione dei
manufatti. Per la capacità di interrogare gli oggetti in merito alla loro
storia, al loro impiego e al loro valore economico, affettivo e sociale, questo
studio risulta pertanto una lettura interessante sulla società di corte e sulle
possibilità di analisi multidisciplinare ancora impiegabili per la sua
conoscenza.
di Claudio Passera
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