Lo studio del complesso rapporto di contiguità e contaminazione
tra i consolidati circuiti del teatro dellArte e il nascente sistema
produttivo dello spettacolo musicale nei primi decenni del XVII secolo vanta
una tradizione di lungo corso. Si pensi al pioneristico saggio di Nino Pirrotta Commedia dellarte e melodramma (edito una prima volta nel 1954 sulla
rivista «Santa Cecilia» e riproposto nel 1955 e 1987), che su questo tema ha
fissato una sorta di «canone» (p. 19). Un terreno scivoloso, più volte perlustrato
dallo stesso Sergio Monaldini, le
cui fruttuose ricerche darchivio sono state da tempo pubblicate in molteplici sedi
scientifiche e confluite nellimportante edizione critica dei documenti della
famiglia Bentivoglio e sul suo patrocinio nei confronti di musici, attori e artisti
negli anni centrali del Seicento (Lorto
dellEsperidi […], Lucca, Lim, 2000). Proprio da Pirrotta Monaldini riparte per sanare alcuni equivoci
che quel saggio ha ingenerato nella storiografia successiva e che interessano
il fenomeno della cosiddetta “Commedia dellArte” nel suo complesso, a partire
dalla sua stessa definizione. Per disambiguare una locuzione tanto fortunata
quanto discussa (da Vincenzo De Amicis
a Benedetto Croce, da Ludovico Zorzi a Cesare Molinari, da Ferdinando
Taviani a Roberto Tessari), lo
studioso introduce la distinzione tra “Commedia dellArte” «genere teatrale
contraddistinto dalluso di maschere, improvvisazione ecc.» e “Teatro
dellArte” inteso come «attività delle grandi compagnie comiche che diedero
vita e organizzarono il mercato teatrale» (p. 57). Imprescindibile punto di
riferimento bibliografico i lavori di Siro
Ferrone, tra i quali si annovera quella Commedia
dellArte. Attrici e attori italiani in Europa (XVI-XVIII secolo) (Torino,
Einaudi, 2014) che può essere a buon
diritto ritenuta la «migliore e più aggiornata opera di sintesi sullargomento»
(p. 39). In un primo capitolo speculativo, Monaldini smonta pezzo
per pezzo le tesi «fragili o parziali» (p. 20) in cui Pirrotta sostiene unosmosi
generica e a tratti superficiale fra teatro di parola e teatro in musica.
Viceversa, una messa in valore delle differenze tra i due ambiti e una loro puntuale
contestualizzazione inducono a un ridimensionamento del fenomeno nella prospettiva
di una più obiettiva storicizzazione. Così, se da un lato si relativizza
limportanza della pratica di cantanti di professione nel teatro comico e si
evidenziano i tratti distintivi delle nuove compagnie girovaghe di musici
rispetto alle formazioni dellArte, dallaltro si pone laccento su un tema
trascurato come quello dellallestimento di opere in musica da parte di troupes comiche. Si pensi alla Finta pazza di Francesco Sacrati messa in scena a Parigi dalla compagnia di Tiberio Fiorillo detto Scaramuccia e di
Carlo Cantù detto Buffetto (1645): testimonianza
emblematica, una fra le tante, della concorrenza «tra musici e comici per
attribuirsi la titolarità del nuovo genere» (p. 67). Seguono due esempi paradigmatici del rapporto di continuità
tra il melodramma e loperato delle compagnie comiche professionistiche nei
primi decenni del Seicento. Il primo esempio, illustrato nel secondo capitolo, riguarda
lattività di Carlo Righenzi in arte
Leandro, uno dei pochi professionisti, se non lunico, a poter essere definito a
pieno titolo musico e comico. Personalità eclettica – librettista, impresario,
maestro di canto – Righenzi dapprima fu attivo come “virtuoso”, militando tra
gli anni Cinquanta e Sessanta nella scuderia del cardinale Giovan Carlo de Medici; poi entrò a far parte della compagnia di Giovan
Battista Fiorillo e del fratello Tiberio, dove si distinse per la spiccata verve comica. La sua vicenda, indagata
su più fronti anche sulla base dei lavori archivistici di Sara Mamone (in particolare Serenissimi fratelli principi impresari […],
Firenze, Le Lettere, 2003),
si presta come «argomento a contrario
nei confronti della tendenza a mescolare troppo sbrigativamente due ambiti
professionali che in effetti si mantennero sempre distinti» (p. 15). Allaristocratico bolognese Cornelio Malvasia – politico, militare, astronomo – è dedicato il
terzo e ultimo capitolo. Esempio di impegno costante nellorganizzazione e nel
finanziamento di spettacoli cittadini sia comici sia musicali, la storia di Malvasia si intreccia con quella della
circolazione delle prime compagnie febiarmoniche e con la nascita dei teatri
specializzati negli allestimenti operistici. La ricostruzione della sua
attività di protettore di artisti e di mediatore per alcune delle principali
corti dellItalia centro-settentrionale, in particolare Modena, Mantova e
Firenze, contribuisce a delineare quella complessa rete di relazioni sottesa allorganizzazione
dello spettacolo di Antico regime, condizionandone lorientamento, preordinando
gli spostamenti delle compagnie e determinando le condizioni contrattuali dei
professionisti ingaggiati. In
questultima parte Monaldini consegna pagine importanti: come quelle in cui si
ricostruiscono circostanze e svolgimento dei Furori di Venere, celebre torneo rappresentativo dato a Bologna nel
1639 sotto la direzione di Malvasia; oppure quelle dedicate a un altro torneo
patrocinato dal gentiluomo felsineo, il poco studiato Amor vendicato, allestito il 26 marzo 1653 dallaccademia degli
Infiammati presso un teatro Malvezzi rinnovato per loccasione. Esempi, questi,
di imponente ricchezza documentale (in parte inedita) e raffinata vis interpretativa che si fondono in un
volume di sicuro interesse per lo storico dello spettacolo e per lo studioso tout court.
di Gianluca Stefani
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