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Brigitte Joinnault

Antoine Vitez. La mise en scène des textes non dramatiques.
Théâtre document, théâtre-récit, théâtre-musique

Paris, L'Entretemps, 2019, 408 pp., euro 27,00
ISBN 978-2-35-539209-2
Antoine Vitez, metteur en scène e poeta, traduttore e pedagogo che giunse a guidare la Comédie-Française, si impegnò particolarmente – in un momento centrale della sua attività – alla rappresentazione di testi non drammatici. Così dal 1966 al 1982 realizzò nove spettacoli tratti sia da fonti storiche sia da narrativa originale, nella convinzione che si potesse «faire théâtre de tout». Interveniva nella drammaturgia del suo tempo con una pratica poi diffusa in Europa, stabilendo modi e criteri singolari almeno per l’ampiezza e l’unicità dei risultati. Quella fase, pure necessaria e responsabile, segnò per l’artista una svolta decisiva, dopo la quale si dedicò a un’arte teatrale fondata sul poeta drammatico e sul lavoro dell’attore, presso il rinnovato Théâtre National de Chaillot, a partire dal 1982.

Della figura di Vitez, riconosciuta ma dai molti meriti ancora inesplorati, restavano in ombra proprio i documenti di quelle creazioni dalla forte impronta autorale. Il presente studio di Brigitte Joinnault sviluppa l’argomento (con alcuni esempi sonori registrati, in un CD allegato) e ne rivela la nuova, inaspettata ricchezza. L’esposizione cronologica degli eventi è preceduta da un’Introduzione dove la studiosa illustra le motivazioni del suo lavoro, nonché da un contributo di Georges Banu che giudica le prove dell’artista quale frutto del suo bisogno, incessante e senza limiti, di sperimentare, secondo l’«esprit de Léonardo».

Joinnault individua in un’Intervista del 1976 a Danielle Sallenave i primi moventi che inducono Vitez a creare un genere definibile come un «événement marquant, un tournant dans l’histoire du théâtre français: l’acte de naissance d’une nouvelle manière de faire théâtre avec des romans, alors baptsisé théâtre-récit» (p. 19). In effetti, la genesi è anteriore, accertabile nell’Intervista ad Anne Ubersfeld del 1975, legata alla pratica già in atto del théâtre de quartier. Inoltre, non ne emerge l’itinerario artistico, dalla concezione della scuola, «le plus beau théâtre du monde», all’«idée essentielle… que l’acteur peut s’emparer de tout, qu’on peut faire théâtre de tout», come dichiarava alla Ubersfeld; fino al sogno d’un «théâtre élitaire pour tous» che ravvivava l’idea vilariana di «théâtre populaire», verificandola proprio a Chaillot (ex sede del TNP) come arte esemplare.

La tragédie-montage (sorta di teatro-documento) Le Procès d’Émile Henry, data a Caen nel 1966, instaurava un rapporto immediato dell’attore con lo spettatore. Una Tabella (p. 39) riporta i sessanta frammenti della composizione dei quali la studiosa dettaglia l’origine e la funzione, così da ricostruire – per «fragments hétéreoclites» (p. 43) e sfruttando diari e note inediti – la struttura testuale (p. 50) e i criteri della messa in scena (p. 54), sviluppata in un’area rettangolare fra due file di spettatori. L’importanza di La Grande Enquête de François-Félix Kulpa di Xavier Agnan Pommeret, che assume la forma di roman-photo (recitato a Nanterre nel 1968), s’impone nello stabilire le basi del théâtre-récit (p. 88). In due versioni (1972 e 1973) si rappresentava Vendredi ou la vie sauvage

Il metodo adattativo del romanzo di Michel Tournier appare in Du roman au texte (pp. 100-108) e un fascicolo amplissimo documenta le componenti e le fasi di preparazione, a partire dal dispositivo e dalla scénographie sonore: «Le mariage du jeu des acteurs et de celui du musicien, et l’ancrage de la musique dans la scénographie, font que, du point de vue du public et des critiques théâtrales de l’époque, ce spectacle dégageait une “impression musicale”. […] Omniprésente, la musique, instrumentale et vocale, contaminait toutes les autres composantes scéniques» (p. 133). Quattro schemi grafici riproducono altrettanti momenti della rappresentazione (scandita dalla musica originale di Georges Aperghis) e segnalano le interazioni funzionali fra i personaggi e l’ambiente (pp. 138-141). Le recite furono molto discusse, specialmente per i riferimenti biblici dichiarati e posti in rapporto con un clima di percepibile erotismo. Lo spettacolo nasceva per il Théâtre National des Enfants: fu girato un Journal delle prove e le riprese integrali d’una rappresentazione divennero film-documentario.

Ancora più provocatorio risultò Les Miracles (dal Vangelo di Giovanni) che nel 1974 s’inseriva nel rinnovamento del Teatro di Chaillot. Il testo giovanneo, utilizzato a frammenti, era scelto per la sua «matérialisation poétique de l’incarnation» (p. 150). Momento di sperimentazione estrema, dalla quale Vitez si allontanerà poi definitivamente. L’autore mira a impadronirsi del patrimonio tradizionale della Chiesa cattolica: «Je depossède l’Église de ce qu’elle considère comme sa proprieté. […] Je revendique le droit à la culture religieuse comme culture justement, et non comme religion» (p. 145). L’azione, attribuita a sette attori e tre cantanti esaltava la mimica, la dizione e il canto lirico e mirava alla vocalità dei primi riti liturgici. «Dans Les Miracles, les frontières entre l’expression théâtrale et l’expression musicale étaient beaucoup plus flues que dans Vendredi... […] Les verset sont souvent scindés en petits segments de tailles inégales […]. Ce hachage confère à la diction un caractère pulsionnel» (p. 169). I toni persino eccessivi della critica sono testimoniati dalle numerose recensioni citate.

Dell’amico Louis Aragon, Vitez sceglie poi il romanzo Les cloches de Bâle per trarne Catherine, pièce rappresentata al Festival d’Avignon del 1975. La complessa operazione viene ulteriormente particolareggiata studiando il copione, riesumato presso la Società Autori: centottantaquattro frammenti sono catalogati secondo le categorie énigme, comparaison, choralité, mémoire, métonymie (p. 199). In scena si svolgeva un lungo pranzo, dai dettagli realisti e dalle varianti ottenute con la pratica alternativa della mise en espace (lettura del libro) e della recita a memoria. La novella di Charles Perrault Grisélidis (1977) veniva drammatizzata senza tagli essenziali e montaggio elaborato. Più spinta risultava la musicalizzazione, contando sulla partitura di Georges Couroupos e un congruo organico orchestrale rispetto a due soli attori. Esempi della partitura (pp. 243-246) integrano i dati sulla messa in scena e sulla ricezione. Nel 1978 a Ivry, Vitez rappresentava La Rencontre de Georges Pompidou avec Mao Zedong, tratto da un articolo del «Nouvel Observateur», molto apprezzato come esempio di «théâtre politique» (p. 248). La stagione 1981-1982 di Chaillot si apriva con Tombeau pour cinq cent mille soldats, dal romanzo di Pierre Guyotat, per presentare temi urgenti e scabrosi quali la violenza, il colonialismo e la guerra, nati dall’esperienza dell’autore e sensibili ai precedenti di Salò di Pasolini e di The Brig del Living Theatre. Il paragrafo La manipulation des corps discute appunto il significato di quel tema. Infine, i tre sottogeneri rievocati danno luogo a una sintesi interpretativa che suggerisce l’apertura a «un rêve de théâtre» (p. 371) stimolante, anche se non completamente realizzato.      

Forse per un’impressione pregiudiziale, a fine lettura si nota come in Francia l’indagine dei ricercatori spesso si limiti ai confini nazionali e non consideri fenomeni analoghi pur presenti in altre situazioni europee. Nell’ambito specifico, è trascurata l’opera eminente, per qualità e varietà di esiti, di Luca Ronconi. Anche riguardo alla riflessione critica su Vitez, l’autrice elude i contributi italiani, pure accreditati, e la risposta alla rappresentazione dei suoi lavori in Italia. L’alto valore della documentazione e dell’elaborazione fa comunque del libro uno strumento nuovo, completo e prezioso per conoscere il grande artista e la sua opera.

di Gianni Poli


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