Il
volume di Katia Ippaso traccia lattività
del Teatro Ateneo dellUniversità “La Sapienza” di Roma nel quindicennio che va
dal 1980 fino al 1995: un periodo di grande vivacità e sperimentazione in cui,
sotto la direzione di un instancabile Ferruccio
Marotti, i giovani studenti poterono giovarsi di momenti di incontro
teorico e pratico con alcuni dei più grandi sperimentatori di teatro a livello
internazionale. Una pubblicazione che può essere intesa come approfondimento
ideale de Il Teatro dellUniversità di
Roma 1935-1958. Crocevia di teoresi e
pratiche teatrali (Roma,
Bulzoni, 2016) di Maria Grazia
Berlangieri, libro in cui si ripercorreva lattività del teatro universitario
fin dalla sua fondazione.
Lopera
ha il merito di riscoprire e valorizzare un altro tassello di quella felice esperienza
romana che fa parte delle “buone pratiche” da documentare a futura memoria. Fin
dalla sua nascita sotto il regime fascista, il Teatro dellUniversità di Roma era
riuscito a costituire attorno a sé un gruppo di promettenti giovani destinati
ad avere successo nel teatro italiano degli anni a venire: attori quali Anna Proclemer, Giulietta Masina, Mario
Scaccia, Nico Pepe e Marcello Mastroianni; drammaturghi e
intellettuali come Gerardo Guerrieri.
Oltre
a quella nata sulle rive del Tevere si possono annoverare altre esperienze analoghe
degli stessi anni: dal fiorentino Teatrino di via Laura, che vide tra i suoi animatori Paolo Poli, Ilaria Occhini,
Giorgio Albertazzi e Franco Zeffirelli, al milieu teatrale padovano in cui De Bosio studiava e metteva in scena Ruzante e dove si formò anche Ludovico Zorzi. Esperienze circoscritte che ebbero
vita travagliata e spesso breve. Il teatro universitario di Roma, cambiando negli
anni nome, direzione e intenti, è lunico che possa vantare una
considerevole longevità, intrecciando il suo operato con la storia sociale e
politica della capitale.
Il
libro è diviso in tre corposi capitoli. Il primo e il terzo seguono una struttura
simile: ogni paragrafo descrive unesperienza. Se nel primo capitolo si
susseguono testimonianze su approcci ed esiti degli incontri con i “maestri
della scena”, nellultimo i protagonisti sono gli esponenti del cosiddetto “Nuovo
Teatro”. Nel secondo capitolo, invece, Ippaso individua come elemento comune della
riflessione teatrale degli artisti ospiti il ricorso alle opere di Shakespeare.
Una
scrittura fluida, quella della studiosa, che mescola testimonianza, racconto
personale e documenti al limite del distacco scientifico. Lautrice riesce
sempre, nellaccavallarsi di date, a seguire il filo conduttore descrittivo-analitico
del fenomeno in esame. Uno stile capace di evocare immagini vivide che rende il
volume di piacevole lettura. Evitando lasettica cronologia, il testo raccoglie
la traccia di un recente passato e lo restituisce alloggi.
Lo
squilibrio tra il primo e il terzo capitolo (centoquindici pagine vs trentasei) concentra lattenzione del
lettore sulle prime esperienze del Teatro Ateneo: dalla “Scuola di
drammaturgia” di Eduardo De Filippo (che
ebbe tra i suoi ospiti Carmelo Bene) al contemporaneo laboratorio sulle
azioni corporee di Grotowski fino allincontro con Peter Brook; dallOdin Teatret e il suo fondatore Eugenio Barba a Dario Fo con uno studio sulla maschera di Arlecchino a partire dalla
figura di Tristano Martinelli; da Peter Stein con i lavori filologici su Eschilo e Cechov a Anatolij Vasilev nel
segno di un progetto didattico sperimentale su Ciascuno a modo suo di Pirandello.
Si
passa poi ai citati “affondi” shakespeariani: Eduardo prova a Roma la sua
versione della Tempesta (1984), che traduce
in napoletano e fa registrare (vincendo le sue riserve in merito alla
strumentazione tecnologica), dando vita a un esperimento unico in cui il grande
artista napoletano presta la voce a tutti i personaggi. La registrazione, nata
a scopo didattico nellambito del progetto del Teatro Ateneo “Scrittori
tradotti da scrittori”, diviene un vero e proprio spettacolo grazie allintensità
recitativa di Eduardo. Stein viene invece sollecitato da Marotti a riflettere
sul Tito Andronico, creando un
laboratorio sui temi della violenza e della lotta per il potere inizialmente
rivolto a studenti e giovani attori, poi aperto alla partecipazione di grandi nomi:
Eros Pagni, Raf Vallone, Paolo Graziosi
e Maddalena Crippa.
Anche
il Macbeth di Carmelo Bene fu provato
al Teatro Ateneo (1996). Di questa
esperienza rimangono un copione e soprattutto un video in due parti realizzato
da Maurizio Grande e prodotto dal
Centro Ateneo, preziosa testimonianza del lavoro beniano di riscrittura del
classico. Sulla stessa opera si misurò anche un Vittorio Gassman ormai sessantenne; del suo lavoro sono conservate settantadue
ore di registrazione e due video. Infine, va ricordata la ricerca su tema
shakespeariano di Leo De Berardinis:
unincursione che al Teatro di Via delle Scienze non passò inosservata, accompagnata
da un seminario universitario sulla “dizione in versi” (di cui esiste un
parziale documento video) tenuto con lo stampo anti-accademico della sua
“Scuola Viva”.
Infine
si mette in sequenza le esperienze degli anni 1988-1995, testimoniando la
continua attenzione di Marotti nel portare alla Sapienza i gruppi di ricerca
più innovativi. Dal 1988 sono di casa nel teatro romano Magazzini Criminali, il
gruppo formato da Marion DAmburgo, Sandro Lombardi e Federico Tiezzi; Carlo
Quartucci, già studente presso il Teatro Ateneo; e Claudio Remondi e Riccardo
Caporossi, con la loro poetica fatta di gesti per riflettere sul concetto
di attesa.
Il
volume termina qui. La storia romana di un centro di sperimentazione e studio
legato allUniversità è la prova che il legame a doppio filo tra studio e
pratica teatrale può esistere e avere risultati eccellenti. Quella tra teoria e
pratica scenica in Italia è una congiuntura che, ad oggi, non ha ancora
sviluppato del tutto le sue potenzialità: il teatro di ateneo continua a esistere,
sotto svariate molteplici forme, mediante gruppi isolati che a dispetto di
ostacoli burocratici da qualche anno hanno cominciato a fare rete.
di Antonia Liberto
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