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Theaterheute, Nr. 7, Juli 2019


72 pp., euro 15, 00
ISSN 0040 5507

Il primo spettacolo recensito nella sezione Aufführungen, lo spazio di «Theaterheute» riservato alle principali produzioni teatrali dei paesi di lingua tedesca, è Orestes in Mosul di Milo Rau in scena allo Schauspielhaus di Bochum per la regia dello stesso autore. Già rappresentata tra le macerie della città evocata nel titolo, la riscrittura dell’Orestea di Eschilo è una sorta di teatro-tribunale sostenuto da video e testimonianze autentiche relative alla terribile guerra contro l’Isis. Ne sono interpreti Elsie de Brauw, Bert Luppes, Susana Abdulmajid e Johan Leysen.

Dopo la riuscita riduzione del romanzo Erniedrigte und Beleidigte (Umiliati e offesi), Sebastian Hartmann sottopone alla stessa operazione Schuld und Sühne (Delitto e castigo) di Fëdor Dostoevskij, concentrando l’attenzione sulla psiche assassina del protagonista per poi trasformarla in coscienza di massa. Sul palcoscenico dello Staatsschauspiel di Dresda si è esibita, adottando gesti ed espressioni mimiche di stampo realistico, una compagnia di bravi attori tra i quali Luise Aschenbrenner, Linda Pöppel, Lukas Rüppel, Nadja Stübiger, Moritz Kienemann.

Due sono gli spettacoli con i quali Barbara Frey conclude la sua esperienza alla direzione dello Schauspielhaus di Zurigo. Die Große Gereiztheit di Karin Henkel dal romanzo Der Zauberberg (La Montagna incantata) di Thomas Mann si trasforma in una cupa riflessione sulla condizione della malattia permanente dei valori della società contemporanea. Accanto al protagonista Michael Neuenschwander si sono distinti Carolin Conrad, Friederike Wagner, Ludwig Boettger, Kay Buchheim. Die Toten, trasposizione teatrale del racconto The Dead da Dubliners di James Joyce, si caratterizza per un taglio di regia psicologico nell’esplorazione del sentimento di rassegnazione che muove i personaggi, affidati a Claudius Körber, Benito Bause, Lisa-Katrina Mayer, Jürg Kienberger. Dalla letteratura attinge anche Achim Freyer con l’allestimento della favola Der goldene Topf (Il vaso d’oro) di E.T.A. Hoffmann allo Schauspielhaus di Stoccarda. In linea con i suggerimenti testuali gli attori sembrano marionette con il volto mascherato, tanto nella gestualità quanto nell’impostazione della voce. Friederike Heller affronta Wolken.Heim di Elfriede Jelinek in cui si parla della ricerca di identità da parte di anime lacerate e imprigionate nei loro tormenti. Sul palcoscenico le quattro attrici (Christiane Roßbach, Therese Dörr, Josephine Köhler, Celina Rongen) recitano chiuse in gabbie metalliche e tra loro isolate.

Le pagine di Neue Stücke sono dedicate alle rappresentazioni di inediti testi contemporanei. Dall’annuale rassegna Wiener Festwochen è emerso Deponie Highfield, testo grottesco di René Pollesch incentrato sull’impossibilità di provare sentimenti genuini, consegnato alla regia di Ersan Mondtag e all’interpretazione di Caroline Peters e Kathrin Angerer. Nell’ambito della stessa rassegna viennese Sibylle Berg ha incaricato Pinar Karabulut della messinscena di Hass-Triptychon, impreziosita dalla presenza del prestigioso Benny Claessens impegnato a misurarsi con un testo dal contenuto amaro, popolato da casalinghe e gay, migranti e giovani che uccidono per odio. La Volkbühne di Berlino ha prodotto Die Hand ist ein einsamer Jäger, novità di Katja Brunner in cui prevale il tema della rimozione dei desideri. Il linguaggio scenico, assai movimentato e con sfumature ironiche, è orchestrato dall’attenta regia di Pinar Karabulut, abile nel predisporre l’esibizione di Elmira Bahrami, Malick Bauer e Paula Kober.

I cambiamenti subentrati nelle dinamiche di una compagnia teatrale negli ultimi decenni, le contraddizioni e la ricerca continua degli equilibri interni, sono gli argomenti affrontati da Peter Simonischek – attore da cinquant’anni attivo al fianco di Peter Stein, Andreas Breth, Felix Prader – nell’intervista raccolta nelle pagine di Thema Ensemble.

In Festivals si leggono i resoconti di alcune importanti manifestazioni teatrali, a partire dai Ruhrfestspiele diretti da Olaf Kröck e Jakob Hein che hanno definito il programma secondo il motto “Poesie und Politik”. Il carattere internazionale dell’evento è impresso, tra i vari elementi, dalla partecipazione dell’indiano Abhishek Thapar con la performance My Home at the Intersection, da Kalieaswari Srinivasan interprete di The Prisoner di Peter Brook, dalla novità Das Heerlager der Heiligen presentata da Jean Raspail e da Ivo van Hove impegnato in Ein wenig Leben (Una vita come tante) dall’omonimo romanzo di Hanya Yanagihara. Piuttosto interessante anche il cartellone del festival Radikal Jung al Volkstheater di Monaco. Tra le tante, variegate performances di questi giovani talenti sono emerse quelle di Nora Abdel-Maksoud in Café Populaire e in Amsterdam, di Julia Mounsey del Public Theater New York in 50/50 Old School Animation, dell’olandese Ariah Lester in White (Ariane).

Le pagine di Das Stück sono dedicate a un’intervista a Yael Ronen in cui l’artista nata a Gerusalemme parla dei nuovi conflitti in Israele, dei rapporti tra Palestina e Europa, di antisemitismo, temi ricorrenti nella sua ultima commedia Third Generation – Next Generation che ha recentemente debuttato al Maxim Gorki Theater di Berlino per la regia della stessa autrice e l’interpretazione di un gruppo di giovani attori formato da Knut Berger, Niels Bormann, Lamis Ammar, Karim Daoud e Yusef Sweid. Il testo si può leggere in versione integrale nella sezione Das Stück di questo numero di «Theaterheute».

di Massimo Bertoldi


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