Il
nuovo volume di Franco Perrelli
raccoglie contributi editi rivisti e aggiornati e un inedito. «Il filo che collega questi saggi è la
fitta interferenza estetica tra filosofia e drammaturgia, ma lanima del filo è
lirradiazione costante del teatro classico nel pensiero e nellimmaginario
scenico» (p. 7). Nella prefazione si anticipa la critica che potrebbe essere
rivolta a questo tipo di indagine, sulla scorta degli studi di Jean-Pierre
Vernant, ritenendo ideologica a priori lesegesi filosofica della tragedia
greca ma comunque foriera di sollecitazioni sul piano della speculazione
estetica e della creatività. Principio condivisibile.
Nel
primo saggio (pp. 11-20) è riproposta la vexata quaestio della catarsi
aristotelica. Confrontando i riferimenti alla katharsis della tragedia (Poetica,
1449b, 24-28) e della musica (Politica, VIII) lattenzione è focalizzata
sulla fruizione dello spettacolo. Perrelli applica i due stadi della fruizione
dellarte – emotiva e cognitiva – teorizzati da Hans-Georg Gadamer in Verità
e metodo (1960).
Partendo
dalle fonti antiche sulla skené greca (De Architectura di Vitruvio,
V.6.8; Onomasticon di Polluce, VI.131), nel secondo contributo
(pp. 21-37) si indaga luso dei periatti ripercorrendo il funzionamento
“prodigioso” di queste macchine illustrato nei Commentari di Egnazio
Danti e nellAdone di Giovan Battista Marino. La “maraviglia”
dei periaktoi è enfatizzata nella Pratica di fabricar scene e machine
ne teatri di Nicola Sabbatini (1637). Lo studioso analizza, in specie, la estesa introduzione
alledizione svizzero-francese del trattato dellarchitetto pesarese firmata da
Louis Jouvet (1942): una «apologia del teatro e della macchineria, della
passione del mestiere della scena» (p. 26). Elena Povoledo, nella prefazione alledizione
romana della Pratica (1955), pur riconoscendo il merito di Sabbatini di
aver dedicato la giusta attenzione alla meccanica teatrale, riconduce lopera
dellarchitetto a una realtà provinciale, quella di Pesaro. Non paragonabile, a
dire della studiosa, alle esperienze di Firenze e di Parma. Si pensi, infine,
al Discours de la méthode di René Descartes (1637). «Attraverso
la concretezza dei meccanismi scenici, Sabbatini ricompone la medesima
scala universale richiamata da Descartes (fuoco, acqua, aria, astri, cieli),
che, fondata sullesistenza di Dio creatore, sincrocia con lopera delluomo»
(p. 37).
Il
terzo saggio (pp. 39-51) si sofferma su Lessing teorico della tragedia.
A partire dalle recensioni della Merope di Scipione Maffei (1713)
e della Mérope di Voltaire (1743) nella Drammaturgia dAmburgo Lessing mette in luce come Euripide
fosse estraneo al coup de théâtre dellagnizione presente nelle tragedie
di Maffei e Voltaire. Rifacendosi inoltre al trattato Sulla poesia
drammatica (1758) di Denis Diderot, il filosofo sottolinea la
componente diegetica alla base della dinamica drammatica. Dalla conoscenza del mythos,
reso noto dai prologhi informativi euripidei, sarebbe scaturita la giusta
“tensione” teatrale. La drammaturgia sofoclea in cui riaffiora il passato ed
erompe la catastrofe inaspettata confluirebbe poi in Ibsen. Quella euripidea in cui lo stupore è
sostituito dallimmedesimazione si ritroverebbe in Brecht.
È
denso e complesso il contributo sullAntigone di Kierkegaard (pp.
53-72). Lo scritto dedicato alleroina sofoclea in Enten-Eller (1843) è un «abbozzo drammatico» (p.
55) in cui il patimento (liden) della protagonista non è riconducibile
allambito del ghenos e della polis, bensì è interiore. In questo senso la “nuova Antigone” offre
inusitate aperture drammaturgiche moderne. LAntigone kierkegaardiana è
introflessa. La sua incomunicabilità sarà il seme del dramma sia in Ibsen (Hedda
Gabler in primis) sia in Strindberg.
Anche
Hegel nella Fenomenologia dello Spirito si sofferma sullAntigone
greca che aveva precedentemente tradotto. Centrale qui è lo scontro tra
stato e famiglia, legge umana e legge divina, uomini e donne, come è messo in
valore nellinedito quinto saggio (pp. 73-95). Antigone e Creonte si ritengono
interpreti autentici di una legge oggettiva: ne deriva un dramma
dellincomunicabilità in chiave epocale secondo Hegel, individuale in
Kierkegaard. Il conflitto tragico tra due sistemi di leggi struttura la
tragedia moderna. Si pensi a Casa di Bambola di Ibsen. Il precursore
tragico di Nora è Antigone.
Chiude
il volume LOrestea di Strindberg (pp. 97-118) in cui la tragedia Il
padre è intesa come una Orestea naturalistica. Nelle intenzioni
dellautore lopera faceva parte di una trilogia sul tema del matriarcato
pensata nella scia degli studi delletnologo francese Charles Letourneau.
Così la Laura di Strindberg è una potenziale Clitemnestra e rappresenta la
conflittuale questione dellemancipazione femminile, cruciale per lepoca.
Un
volume breve e denso, in cui concinnitas e gravitas necessitano
di una lettura attenta. Una pubblicazione rivolta agli specialisti che verranno
stimolati da «idee non essenziali perché fondate, bensì perché suggestive e
dinamiche» (p. 7).
di Diana Perego
|
|