Recentemente premiato ai Limina
2019 come miglior libro italiano di studi sul cinema, il volume di Vitella affronta il tema
dellintroduzione e dellistituzionalizzazione dello schermo panoramico secondo
una prospettiva nazionale su un arco temporale che parte dalla prima proiezione
italiana widescreen (1953) per
chiudersi un decennio dopo con loramai consolidata standardizzazione del
formato. Lautore non si limita a recuperare la bibliografia sul tema e ad
applicarla al contesto italiano, ma indaga direttamente le fonti primarie (riviste,
brevetti, articoli) valendosi anche del contributo di esperti e tecnici del
settore. Una mole notevole di materiale che non appesantisce il testo, che anzi
si caratterizza per una scrittura leggera e fluida.
Rifacendosi ai pionieristici studi sulla storia del formato panoramico
negli Stati Uniti di John Belton (la
cui ricca, suggestiva prefazione arricchisce il volume), Vitella ricostruisce
un periodo di grande fermento tecnologico e stilistico per lindustria
cinematografica italiana. Pur muovendosi in un processo di ristrutturazione dei
paradigmi produttivi ed estetici a carattere internazionale, il caso italiano
presenta una propria originalità e una serie interessante di eccezioni: basti
pensare allintroduzione del Techniscope, brevetto made in Italy che permette una maggiore profondità di fuoco
rispetto agli standard di marca estera e delluso che ne fece Sergio Leone nei suoi oramai iconici
lunghi piani.
NellIntroduzione si affrontano questioni propedeutiche allanalisi, quali
ad esempio quella terminologica relativa alle definizioni di “formato” e “panoramico”,
storicamente polivalenti. Concentrandosi poi sulla storia del cinema italiano,
Vitella si rifà al concetto di “storiografia della crisi” elaborato nei primi anni
del Duemila da Rick Altman. Tale
prospettiva sostiene che «lidentità di una nuova tecnologia, lungi da essere
fissata una volta per tutte, sia socialmente e storicamente contingente» (p.
9). Ragion per cui il testo non manca di unattenta analisi del contesto
storico, con particolare attenzione alle dinamiche e alle riconfigurazioni produttive
nate a partire dalla diffusione dello schermo televisivo.
Il primo capitolo si concentra
sullimpatto che il widescreen
esercita in Italia tra il 53 e il 54. Biennio che si contraddistingue per la
presenza di un «paradigma delleccezione tecnologica» (p. 188), in cui non vi è
produzione nostrana e le prime sale tentano di adeguarsi a quello che è ancora
un fenomeno minoritario importato da oltreoceano. Pertanto, è un periodo di dominanza
del fattore tecnologico, le cui costrizioni in termini di costi e complessità
rappresentano i fattori principali. Sempre restando allinterno di questo
paradigma, Vitella analizza il caso del Cinerama, esperimento che conobbe un
successo tanto grande quanto breve, emblematico dellestrema volubilità del
pubblico e delle implicazioni in termini economici e logistici della
costruzione di simili apparati.
Il secondo capitolo affronta
invece il periodo della sperimentazione e delle prime produzioni italiane,
partendo dalla palestra del documentario per arrivare ai lungometraggi di
finzione. Un periodo che copre la seconda metà degli anni Cinquanta e che si
definisce secondo il «paradigma della sperimentazione tecnologica», durante il
quale avviene uno «spostamento di attenzione della nostra cinematografia dalla
tecnologia alla rappresentazione» (pag. 190). Il capitolo si conclude con lanalisi
del terzo paradigma della rivoluzione widescreen:
quello «della normalizzazione tecnologica» (1960-1963), che si contraddistingue
appunto per la standardizzazione dello schermo largo e lavvento del
Techniscope, apparato che sancisce la definitiva messa in soffitta del formato academic.
Nel terzo capitolo Vitella analizza
sei film italiani di quel periodo realizzati per lo schermo panoramico. Dal
fortunato documentario Continente perduto
(Leonardo Bonzi, Enrico Gras, Giorgio Moser, 1955) alladattamento cinematografico di Racconti romani (Gianni Franciolini, 1955) di Moravia,
passando per il gigantismo delle Fatiche
di Ercole (Pietro Francisci,
1958) e il melodramma giovanilistico de Le
diciottenni (Mario Mattoli,
1955), fino a due capolavori come Lavventura
(Michelangelo Antonioni, 1960) e Per un pugno di dollari (Sergio Leone,
1964). Lautore imbastisce unanalisi attenta, sfruttando dati stilometrici e
conoscenze tecniche che si rifanno agli studi di Barry Salt e che mettono in risalto la profonda interconnessione
tra tecnologia e stile.
Rimanendo fedele al concetto di storiografia della crisi, nellEpilogo Vitella
mette in evidenza come nonostante sul finire degli anni Sessanta la rivoluzione
widescreen possa dirsi conclusa, essa
non comporti una sclerosi delle dinamiche e delle rielaborazioni dei formati.
Il successo della rivoluzione sta nellaver usurpato lacademic dal ruolo di standard di produzione e rappresentazione,
innescando poi la nascita di nuove dinamiche: non viene mai meno infatti un
panorama in cui «le diverse tecnologie in commercio si contendono il mercato
offrendo finalmente delle prestazioni variabili in accordo alle rispettive
differenze di costo e performatività» (pp. 192-193).
di Matteo Citrini
|
|