«Quando un grande regista vuole esser
certo dellalacre applicazione e del gusto squisito del più importante dei suoi
collaboratori, sa già che bisogna chiamare uno dei “grandi modesti” che non
hanno vita pubblica né privata perché “vivono” limmaginazione e “abitano” il
perfezionismo, rifiutando ogni “mito” o “leggenda” di se stessi» (p. 11). È a Piero
Tosi che i celebri registi si rivolgono in questi casi. A “Pierino”, comè confidenzialmente chiamato.
Il numero 591 della rivista «Bianco e
nero» è tutto dedicato al celebre costumista. Se Tosi muove i primi passi della
propria carriera nel mondo del teatro, sarà però il cinema a giovarsi
maggiormente del suo genio artistico, al fianco di registi quali Luchino
Visconti, Mario Soldati, Dino Risi, Luigi Comencini, Mario Monicelli, Vittorio
De Sica, Federico Fellini, Lina
Wertmüller, Pier Paolo Pasolini, Franco Zeffirelli.
Il volume è suddiviso in due sezioni. La
prima è dedicata al contributo di Tosi costumista; nella seconda lo si racconta
invece in qualità di insegnante presso la Scuola nazionale di cinema del Centro
Sperimentale di Cinematografia di Roma, ruolo ricoperto dal 1988 al 2016. Uno
«fra i docenti più longevi» (p. 7) di quellistituto, come ricordato da Felice Laudadio nel suo editoriale.
In apertura Alberto Abrasino (Piero Tosi.
La mano come ponte fra la mente e la materia) ricostruisce il contesto della Firenze «ostinatamente “minore” e
“segreta”» in cui si formò la sua «personalità vera» (p. 11).
Mentre Quirino Conti (Lamico più prezioso “pour faire beau le paysage”) ricorda il suo
primo incontro con Tosi avvenuto in occasione di una delle cene romane in
compagnia di Natalia Aspesi e Carla Fendi, la costumista italiana premio Oscar Gabriella Pescucci («Piero, dobbiamo girare!») ricorda il
piacere, condiviso con il collega, della cura dei dettagli. Segue la
testimonianza-omaggio di Maurizio
Millenotti (Tutti discepoli, nessun
erede), che trova nello sviluppo di un “doppio pedinamento” sia il
tentativo di carpire da vicino linsegnamento del maestro, sia la scoperta
personale di una possibile «vocazione ancora inespressa» (p. 50).
Flavio De Bernardinis riconduce
larte del vestire lattore (così come la scena) alla capacità di scavo da
parte del costumista «nel modo di essere, negli usi, nel vissuto, nel
carattere» (p. 52; habĭtus deriva habere, “comportarsi”, da cui l“arte
dellabitudine”). Attraverso lo sguardo di alcuni dei maggiori registi con cui
Tosi ha collaborato, si offrono nuovi punti di vista dai quali osservarne
loperato. Della sua collaborazione con Fellini si occupa Alberto Crespi,
mentre Paola Jacobbi
(Il cinema addosso. Moda e grandi film da
Adrian ad Armani) esamina gli intrecci tra le trame del cinema e gli orditi
della moda.
Seguono le Conversazioni. Se nelle prime due (a cura rispettivamente di Caterina Cerra e Alessandra Costa e di Mario Militello) è lo stesso Piero Tosi a raccontarsi, nel dittico che
segue il ricordo del maestro allopera è affidato alla memoria dei registi
Gianni Amelio (testimonianza raccolta da Alberto
Crespi) e Liliana Cavani («I miei amici comunisti li vorrei far venire
qui!», a cura di Domenico Monetti
e Luca Pallanch).
Completano questa prima sezione le
testimonianze di Claudia Cardinale, Ottavia Piccolo, Rita Pavone, Milena Vukotic,
Massimo Ranieri e Giancarlo Giannini, che restituiscono
lalacre lavoro di un perfezionista quale Tosi era.
Nella seconda sezione (decisamente più
asciutta della prima), Caterina dAmico (1988 la “chiamata” del Centro)
ripercorre la scoperta da parte di Tosi di una nuova “vocazione”: quella dellinsegnamento.
Tale approfondimento è arricchito dal ricordo di coloro che proprio nelle aule
della citata scuola romana di cinema ebbero loccasione di conoscerlo: Paolo Virzì (Un amico col quale è uno spasso perder tempo), Francesco Munzi (La stanza
dei segreti), Barbara Bouchet (Il mio Piero… della Francesca), Carolina Crescentini (Lirraggiungibile punto di vita), Paola Minaccioni (Trova il tuo sorriso). Le parole delle attrici e dei registi
mettono a fuoco limmagine di un grande maestro attraverso profili talvolta più
teneri, talaltra più duri.
Chiudono il volume il resoconto di Stefano
Iachetti sul Fondo Piero Tosi al
Centro sperimentale e la descrizione di
Laura Ceccarelli e Laura Pompei
della biblioteca personale del grande
artigiano che raccoglie «materiali rari e di pregio, sia per datazione […]
sia per ricchezza degli apparati iconografici» (p. 149). La collezione privata
di Tosi testimonia, ancora una volta, un metodo di lavoro di impronta
filologica, in cui la costruzione di ogni particolare è il risultato di un
attento studio condotto sulle fonti iconografiche. Un ricco scrigno di disegni
e illustrazioni che segna non tanto un traguardo, quanto piuttosto un punto di
partenza.
di Elisa Bianchi
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