Il
secondo volume della collana “Sofocle per il teatro” è dedicato a Edipo Re e Aiace. Come nel tomo precedente, si pubblicano le traduzioni dei
testi originali nonché si offrono informazioni sugli allestimenti delle due
tragedie realizzati dal Gruppo teatrale della Scuola Normale di Pisa
rispettivamente nel 2016 e nel 2017.
Le
traduzioni, nate dallesigenza di fornire un testo per la messinscena, hanno il
merito di approfondire concretamente la dimensione performativa e scenica delle
tragedie di Sofocle pur rimanendo
nel solco della tradizione filologica della scuola pisana. I testi drammatici,
messi a punto da un team di
traduttori normalisti e di “addetti ai lavori” quali attori e registi, sono di
immediata comprensione, stilisticamente efficaci e soprattutto conservano le
impronte del teatro in azione.
Operazione
encomiabile. Tanto più che ad oggi il performative
turn che ha segnato a livello internazionale gli studi specialistici sulla
tragedia greca negli ultimi decenni (fondamentali a questo proposito le
indagini di Oliver Taplin) non
sembra aver avuto le stesse ricadute sul piano delle traduzioni. Queste ultime
infatti sono ancora in gran parte concepite come testo letterario anziché
drammaturgico. Si pensi ai cospicui apparati paratestuali finalizzati
allanalisi linguistica e filologica dellopera.
Al
contrario, le traduzioni di Edipo re
e Aiace qui proposte aspirano a
essere «fruite e comprese per sé stesse» (p. 9) senza apparati di note.
Apprezzabili alcuni criteri “pratici” adottati quali luso esclusivo della
prosa, la scelta di un registro espressivo medio, la risoluzione di anacronismi
culturali. Lobiettivo di rivolgersi a più fasce di fruitori – «practitioners di ogni livello (da
allievi delle scuole secondarie fino a compagnie teatrali professionistiche) e
studiosi della performance e della fortuna scenica dei testi antichi» (p. 9) –
sembra raggiunto.
«Parlare
di Sofocle per il teatro può sembrare un paradosso, oppure una tautologia:
Sofocle è teatro» (p. 5). Così nellIntroduzione,
in cui si ribadisce non solo che le tragedie di Sofocle erano concepite per la
rappresentazione ma che ancora oggi in tutto il mondo si mettono in scena i
suoi drammi tanto che alcuni personaggi sono radicati nellimmaginario
collettivo globale. Basti pensare a Edipo e ad Antigone.
Sono
quindi focalizzati due livelli di straniamento innescati dal teatro attico del
V sec. a.C., quello avvertito dallo spettatore antico e quello dello spettatore
contemporaneo. Stando ai curatori del volume, la tragedia greca era percepita
come “strana” dallo stesso pubblico ateniese data la componente religiosa e
civica, lalternanza di recitazione, canto e danza, i costumi, le maschere e i
movimenti scenici non naturalistici, la lingua distante dalla quotidianità nel
registro e nel metro (p. 5). Opinione discutibile. È necessario
contestualizzare il fenomeno.
Che
le coordinate cronologiche e culturali (miti, nomi, luoghi, pratiche civiche e
religiose) del dramma antico siano spesso oscure è un dato di fatto. Ma
lalterità delle tragedie greche non deve essere avvertita nei termini di una
«distanza incolmabile con la nostra attualità» (p. 6) bensì come tratto
identitario di questa forma darte.
Le
introduzioni alla messa in scena (pp. 23-25, 81-83) e le immagini dei citati
spettacoli messi in scena dal Gruppo della Normale (pp. 132-134) cercano di
fissare sulla pagina quellesperienza effimera: «una soluzione insieme sobria,
coerente, rispettosa del testo e di grande effetto» (p. 23). Degno di nota
lutilizzo delle maschere nel caso dellEdipo re (figg. 1-3). La trasposizione
dellAiace nella realtà politica e sociale
italiana degli anni Settanta, caratterizzati dalla lotta tra le Brigate rosse e
le istituzioni statali, suscita invece perplessità (figg. 4-6).
di Diana Perego
|