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Sofocle per il teatro. II. Edipo re e Aiace tradotti per la scena

A cura di Francesco Cannizzaro, Stefano Fanucchi, Francesco Morosi, Leyla Ozbek

Pisa, Edizioni della Normale, 2018, 137 pp., 10 euro
ISBN 9777776426469

Il secondo volume della collana “Sofocle per il teatro” è dedicato a Edipo Re e Aiace. Come nel tomo precedente, si pubblicano le traduzioni dei testi originali nonché si offrono informazioni sugli allestimenti delle due tragedie realizzati dal Gruppo teatrale della Scuola Normale di Pisa rispettivamente nel 2016 e nel 2017.

Le traduzioni, nate dall’esigenza di fornire un testo per la messinscena, hanno il merito di approfondire concretamente la dimensione performativa e scenica delle tragedie di Sofocle pur rimanendo nel solco della tradizione filologica della scuola pisana. I testi drammatici, messi a punto da un team di traduttori normalisti e di “addetti ai lavori” quali attori e registi, sono di immediata comprensione, stilisticamente efficaci e soprattutto conservano le impronte del teatro in azione.

Operazione encomiabile. Tanto più che ad oggi il performative turn che ha segnato a livello internazionale gli studi specialistici sulla tragedia greca negli ultimi decenni (fondamentali a questo proposito le indagini di Oliver Taplin) non sembra aver avuto le stesse ricadute sul piano delle traduzioni. Queste ultime infatti sono ancora in gran parte concepite come testo letterario anziché drammaturgico. Si pensi ai cospicui apparati paratestuali finalizzati all’analisi linguistica e filologica dell’opera.

Al contrario, le traduzioni di Edipo re e Aiace qui proposte aspirano a essere «fruite e comprese per sé stesse» (p. 9) senza apparati di note. Apprezzabili alcuni criteri “pratici” adottati quali l’uso esclusivo della prosa, la scelta di un registro espressivo medio, la risoluzione di anacronismi culturali. L’obiettivo di rivolgersi a più fasce di fruitori – «practitioners di ogni livello (da allievi delle scuole secondarie fino a compagnie teatrali professionistiche) e studiosi della performance e della fortuna scenica dei testi antichi» (p. 9) – sembra raggiunto.

«Parlare di Sofocle per il teatro può sembrare un paradosso, oppure una tautologia: Sofocle è teatro» (p. 5). Così nell’Introduzione, in cui si ribadisce non solo che le tragedie di Sofocle erano concepite per la rappresentazione ma che ancora oggi in tutto il mondo si mettono in scena i suoi drammi tanto che alcuni personaggi sono radicati nell’immaginario collettivo globale. Basti pensare a Edipo e ad Antigone.

Sono quindi focalizzati due livelli di straniamento innescati dal teatro attico del V sec. a.C., quello avvertito dallo spettatore antico e quello dello spettatore contemporaneo. Stando ai curatori del volume, la tragedia greca era percepita come “strana” dallo stesso pubblico ateniese data la componente religiosa e civica, l’alternanza di recitazione, canto e danza, i costumi, le maschere e i movimenti scenici non naturalistici, la lingua distante dalla quotidianità nel registro e nel metro (p. 5). Opinione discutibile. È necessario contestualizzare il fenomeno. 

Che le coordinate cronologiche e culturali (miti, nomi, luoghi, pratiche civiche e religiose) del dramma antico siano spesso oscure è un dato di fatto. Ma l’alterità delle tragedie greche non deve essere avvertita nei termini di una «distanza incolmabile con la nostra attualità» (p. 6) bensì come tratto identitario di questa forma d’arte.

Le introduzioni alla messa in scena (pp. 23-25, 81-83) e le immagini dei citati spettacoli messi in scena dal Gruppo della Normale (pp. 132-134) cercano di fissare sulla pagina quell’esperienza effimera: «una soluzione insieme sobria, coerente, rispettosa del testo e di grande effetto» (p. 23). Degno di nota l’utilizzo delle maschere nel caso dell’Edipo re (figg. 1-3). La trasposizione dell’Aiace nella realtà politica e sociale italiana degli anni Settanta, caratterizzati dalla lotta tra le Brigate rosse e le istituzioni statali, suscita invece perplessità (figg. 4-6).       

                                                                                     

di Diana Perego


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