La pubblicazione rievoca, con
doviziosa documentazione e acutezza di riflessione, la figura di Louis Jouvet
(1887-1951) nei molti aspetti del suo lavoro teatrale quali la scenografia e
lilluminotecnica, la recitazione, la messa in scena, linsegnamento accademico. La riscoperta delle
peculiarità dellartista è facilitata dai suoi archivi, conservati presso la
Bibliothèque Nationale de France e recentemente riordinati. Il volume, che si avvale
della ricerca e dellesperienza di specialisti, raccorda lopera di Jouvet non
soltanto con quella degli altri suoi sodali del Cartel des quatre (Pitoëff,
Baty e Dullin), ma con levoluzione del teatro darte promossa da Jacques Copeau
al Vieux-Colombier. I contributi qui raccolti, derivanti da un convegno del
2015, sono distribuiti in tre parti: Des
origines à lépreuve du plateau, Louis
Jouvet metteur en scène e Louis
Jouvet acteur et pédagogue, per un totale di ventuno saggi e undici
interventi di testimoni contemporanei.
Una nota biografica di Marthe Herlin informa sullinsorgente vocazione
teatrale di Louis studente, subito attratto dagli aspetti tecnici e pratici
della scena. Marco Consolini
affronta i rapporti di Jouvet con Copeau, dalla fondazione del Vieux-Colombier
nel 1913 al 1922. La loro correspondance
è decisiva per valutare i gradi e i ruoli duna collaborazione che vede, in
risposta allinsistente speculazione del maestro, la ricerca di risultati concreti
nel più giovane neofita. Consolini evidenzia il «rapport déséquilibré» fra gli
artisti, diversi per condizione e mentalità: «homme de lettres, un intellectuel»,
il primo; «homme de métier» (p. 32) il secondo. Scavando nelle differenze,
dolorose e inevitabili perché sorte da dissonanze riconosciute, lo storico traccia
due ritratti complementari dei protagonisti inseriti nel loro tempo. Istituisce
parallelismi, per i quali Copeau è posto in relazione a Craig e Jouvet a Reinhardt.
Nella prima coppia emerge la ricerca teorica mentre nella seconda è lo
spettacolo compiuto a farsi meta dimpegno e di misura della personalità: «il ny a pas, au théâtre, des problèmes,
il ny en a quun: cest le problème du succès. La réussite est la seule loi de
notre profession» (p. 40).
Sulla condizione paradossale stabilita
alla nascita del Cartel interviene Marc
Véron per rilevare nel contratto-programma fondativo (1927) carenze formali
e legali, oltre che lindeterminatezza degli scopi e dei mezzi per conseguirli.
Restano aperte questioni riguardanti i diritti dautore e le modalità di ingaggio
degli attori. Fino al 1940, i direttori risentono delle vicende politiche che,
con laffermarsi del Fronte Popolare, determinano lindirizzo culturale, dalla
gestione della Comédie-Française alle
ipotesi della décentralisation. Lo
studio di Marcel Freydefont riguarda
linclinazione alla scenografia da parte di Jouvet (abilissimo anche come disegnatore)
in riferimento soprattutto allopera di Niccolò Sabbatini Pratique pour fabriquer scènes et machines de théâtre (1637), della
quale curò la pubblicazione (1942). Quel saggio introduttivo compendia bene la
sua visione, nella quale si può riscontrare la formulazione duna «physique théâtrale»
(p. 66) che implica una dialettica fra tecnica esecutiva e teoria; mentre la disposizione
naturale esalta una manualità intelligente e creativa.
In ambito affine saddentra Sandrine Debouilh (Scénographie et mystère du théâtre), che segue gli scambi epistolari
fra Jouvet e Gordon Craig attorno al progetto di traduzione degli scritti dallinglese.
Ancora debiti verso Craig coglie Alice
Carré nel lavoro di ristrutturazione della scena del Vieux-Colombier nel
1920, traguardo della ricerca dello spazio modulabile, secondo quella
concezione del «dispositif fixe» che, motivata dall«envie de tout représenter
dans un seul et même décor qui sadapterait à loisir aux dramaturgies les plus
diverses» (p. 85), approssimerebbe lideale di Copeau.
Un insolito contributo sulle tecnologie
sonore apporta Jeanne Bovert nellesame
delle condizioni dimpiego del microfono e della registrazione su disco (musica
e voci) in funzione drammaturgica. Intermezzo
di Jean Giraudoux (1933) e La Machine
infernale di Jean Cocteau (1934), entrambi allestiti alla Comédie des
Champs-Elysées, sono i primi casi documentati a riguardo (grazie alla
consultazione dei livres de conduite
relativi), precedenti a quelli riscontrabili negli USA. Anche in LÉcole des femmes (1936) ricorre luso
della musica di scena registrata. La memorabile interpretazione di Molière è
analizzata dalla specialista Catherine
Steinegger, che prendendo a campione la registrazione delledizione di
Boston (1951) studia i parametri musicali e fonici dellesecuzione in funzione
della partitura per risalire al risultato estetico dello spettacolo. I criteri
sono ispirati al Traité des objets
musicaux (1966) di Pierre Schaeffer. Il contributo di Steinegger si chiude
con considerazioni sullimpiego della musica da parte del Cartel.
Sulla rappresentazione di La Machine infernale si sofferma Gérard Lieber, per illustrare la
concorrenza delle competenze di almeno tre responsabili dello spettacolo: lo
stesso Jouvet, lo scenografo Christian Bérard e ancora Cocteau, autore prodigo
di richieste e di suggerimenti sulla propria opera. Mileva Stupar analizza la consistenza e le possibilità di
sfruttamento degli archivi (composti da oggetti provenienti da disparate
collaborazioni e competenze) che Jouvet organizza con efficacia di catalogazione
ai fini della conservazione e della comprensione della propria opera. I
rapporti del regista francese con Vsevolod Mejerchold negli anni Trenta sono
osservati criticamente da Béatrice
Picon-Vallin sulla base della corrispondenza e degli articoli scritti da Jouvet
in “difesa” dellartista russo nonché delle sue ricerche protratte fino a che lostracismo
verso Mejerchold portò alla chiusura del suo teatro.
La coppia formata dal regista con
Jean Giradoux anima una collaborazione lunga e fedele che Guy Teissier mette in risalto e della quale cerca di spiegare la «mysterieuse
complicité» (p. 214). Le interpretazioni di Dom
Juan e di Tartuffe sono
ricostruite da Jean-Louis Besson
ribaltando i luoghi comuni sulla messa in scena di Molière allepoca. Marc
Véron (Les campagnes de Jouvet et de ses
comédiens à travers le monde) motiva il successo del Théâtre Louis Jouvet nelle
tournées in Europa e in America mediante
il ricorso a dati organizzativi e finanziari.
Odette Aslan esamina il legame di Strehler con Jouvet mostrando i
moventi e i sentimenti dellartista italiano verso colui che, forse unico, stimò
come “maestro” e che volle celebrare interpretando Elvire Jouvet 40, seguendo la regia del 1937, ma rinunciando alla propria
firma creativa: «Strehler nétait que le metteur en scène-pedagogue qui
dirigeait Giulia Lazzarini avec les mots de Jouvet» (p. 254). La testimonianza
di François Regnault ricorda proprio
Elvire Jouvet 40 ripresa da Strehler.
Ravvicinare Jouvet a Antoine Vitez testimonia per Georges Banu la passione comune per la bellezza del testo e la
necessità pedagogica del suo potere poetico e rappresentativo. «Metteurs en scène qui cultivent
lécrit et sy livrent avec delectation […]. En son nom [du théatre] ils formulent des vœux
théoriques et, surtout, se livrent à des versions scéniques» (p. 263).
Un insieme accorato di ricordi offre
Jacques Lassalle, riandando a tante
occasioni, da lui purtroppo mancate, di sperimentare larte di Jouvet; finché con
lallestimento di LÉcole des femmes (2001)
riesce a superare reticenze e pregiudizi aprendosi a una piena ammirazione, confermata
dalla partecipazione al presente convegno.
Lapprezzamento di Jouvet attore presso la stampa viene verificato dalla
relazione di Marion Chénetier-Alev.
La dimensione fisica e corporea della recitazione è centrale nello studio di Louis Dieuzayde, dedicato agli scritti
di Le Comédien désincarné (p. 311). Jean-Loup Rivière riflette su come la
memoria e linconscio vengano utilizzati da Jouvet, anche in rapporto allestetica
di Stanislavskij. Ève Mascarau fa il
punto sul lavoro di Jouvet al Conservatoire, evidenziando i problemi della trascrizione
e delle edizioni delle sue “lezioni” soggette ai limiti, spesso insormontabili,
delloralità.
di Gianni Poli
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