A quindici anni dalla
pubblicazione originale, lassociazione De Sono propone, in collaborazione con
leditore berlinese Logos, la traduzione inglese di questo importante saggio di
Andrea Valle. Loperazione si giustifica
giacché lavvento delle tecnologie digitali ha portato a un rinnovato interesse verso questarea, rinvigorendo
un dibattito che si dava per esaurito negli
anni Ottanta del Novecento. Lautore ha deciso
di non aggiornare lopera e di mantenerla fedele in tutto alledizione del
2003, con la speranza che possa fornire un contributo al dialogo attuale.
Il problema della notazione “esplode”
fra gli anni Cinquanta e Settanta del Novecento, arco
cronologico su cui lo studioso si sofferma. Questo accade per ragioni
tanto endogene quanto esogene. Da un lato sono infatti i cambiamenti nelle
pratiche musicali a generare lesigenza di ripensare il sistema notazionale in
uso in Occidente da secoli: latonalità e
linclusione di nuovi materiali musicali (ciò che prima era considerato
“rumore”), le prassi compositive seriali e post-seriali, la diffusione di happening, improvvisazioni e performance
aleatorie. Dallaltro lato si registra linfluenza di aree diverse della
cultura coeva: la nuova visualità dellarte informale e della pop art, lo sperimentalismo di Joyce e Mallarmé, le riflessioni dei filosofi sullopera aperta e sullatto
della scrittura.
La metodologia che Valle adotta
per indagare questi fenomeni interseca semiotica (con particolare riferimento
agli insegnamenti di Charles Sanders
Peirce) ed estetica (in special modo licnologia di Maurizio Ferraris). La notazione è vista anzitutto come “segno”, nella sua dimensione iconica, indessicale e
simbolica: racchiudendo
sinteticamente un sistema di conoscenza,
si definisce in special modo come dispositivo
mnemonico che incorpora “memoria” e “progetto”, sintesi del tempo e strumento
per lazione. Non si tratta dunque, semplicisticamente, di una trascrizione di
suoni: musica e scrittura vanno considerate nei loro rapporti intersemiotici,
come sistemi che intrattengono relazioni non trasparenti. Questo non vuol dire
tralasciare la dimensione storica, che al contrario è sempre presente nella
trattazione.
Da questa prospettiva si riflette
sul proliferare a partire dagli anni Cinquanta di partiture “non
convenzionali”, caratterizzate da una concezione geroglifica (non-linguistica)
piuttosto che alfabetica (linguistica). Questa propensione si rivela in tre
aspetti: predilezione verso una spazialità scenica (il foglio non rappresenta
un diagramma spazio-temporale, ma una “scena” su cui i segni vengono disposti);
eterogeneità (accanto ai segni convenzionali si introducono parole, numeri,
figure di ogni genere); gestualità (i segni usati suggeriscono azioni sonore).
Il risultato è una tendenza verso loggettualità: le partiture diventano
manufatti, si fanno simili a “oggetti visivi” (p. 52).
Alla distinzione fra notazione
geroglifica e alfabetica corrisponde quella fra linearità e simultaneità nella
rappresentazione del tempo. In questo orizzonte si muove lindagine su
partiture che, insistendo sulla dimensione spaziale della notazione, mettono in
discussione i limiti della tradizione occidentale riguardo a tempo e ritmo. La
musica del ventesimo secolo, muovendo verso una sempre maggiore complessità
metro-ritmica, finisce per stravolgere la scrittura convenzionale di questi
parametri, basata su linearità e regolarità. Questo aspetto può manifestarsi
nella ricerca di una rappresentazione fluida
del tempo, che possa accogliere gli eventi musicali così come si manifestano,
senza imbrigliarli nella griglia precostituita della misura; oppure
nelladozione di un ordinamento di base (come la serie) che contraddice la
linearità del tempo e dà luogo a partiture “spazializzate”; oppure in un
indebolimento delle categorie di “inizio” e “fine” dellopera che genera
scritture circolari, labirintiche, mobili, topografiche.
Allo stesso tempo, con Lotman, si registra in alcune
esperienze il passaggio da una concezione della notazione come sistema di
regole a sistema di testi, ovvero da meccanismo grammaticale a meccanismo
testuale. In questi contesti la scrittura musicale non è più considerata come
il risultato dellapplicazione di una procedura, ma si organizza piuttosto
sulla base di modelli testuali eterogenei. In ogni caso, nelle partiture si
diffondono operazioni di extracodifica, nelle due possibili declinazioni
dellipocodifica (più frequente nei sistemi testuali) e dellipercodifica (più
frequente nei sistemi grammaticali). Questa tendenza investe in special modo
tre aree: la definizione diastematica delle altezze, la notazione ritmica e la
pertinentizzazione degli aspetti timbrici e performativi.
Alcune pratiche mettono in
evidenza e portano allestremo una caratteristica specifica della notazione
occidentale: il suo essere un sistema grafico di scrittura. Come tale, la
notazione musicale eredita il valore testamentario che allopera scritta è
attribuito dalla cultura romantica: sorpassando la funzione documentaria, la
partitura non è più rappresentazione dellopera, ma la costituisce nella sua
totalità. Questa idea trova la sua incarnazione più estrema in partiture
ermetiche che sono programmaticamente indecifrabili. Si danno così due opposte
visioni della notazione: a una concezione ontologica, che la vede come entità
statica garante dellopera, Valle oppone una concezione gnoseologica, che ne
sottolinea gli aspetti dinamici e operativi propri di un dispositivo
mnemotecnico.
di Giulia Sarno
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