Per
cogliere le sensazioni degli spettatori affascinati dalla Duse è utile leggere quanto rilevato dal critico Lars Holst (p. 45) che sottolinea
limportanza pre-teatrale del cosiddetto tedium
vitae: una caratteristica che aiuta a capire le azioni e il pensiero che
muovevano la recitazione dellattrice quando, indossando il personaggio di
Hedda Gabler, mirava a suggestionare la mente e i sentimenti degli spettatori.
Una nota, questa, che doveva del resto risuonare nelle vene
di molte attrici del tempo. Con maggiore o
minore destrezza un altro carattere scenico, che diventerà più tardi uno “strumento”
di routine, dovette lasciare un segno forte allaltezza della Duse: «her voice
could be high, clear and take flight, but a moment later it could assume a deep
and hollow resonance of anguish and solemnity of weariness and suffering», mentre
– accompagnato dai suoi «glancing eyes» – lo «strange, painful mildness of her
lovely smile […] often arched her bitterly proud mouth» (p. 47). Così
nellinterpretazione di Rebecca in Rosmersholm
lattrice appare come una «omnipresent goddes» velata da una misteriosa
seduzione, che attrae potentemente (p. 49).
Franco Perrelli fa spesso riferimento ai
giudizi e alle recensioni della critica intorno al lavoro degli attori (non
solo della Duse), ma giustamente storicizza queste “opinioni” sulla base dellosservazione
del contesto della Scandinavian audience.
Utile, nella stessa direzione, appare il confronto tra il punto di vista, non
solo drammaturgico, di Ibsen e
quello di Strindberg, insieme alla messa
in rilievo delle pesanti scaramucce del secondo nei confronti del primo, basate
su una acuta “gelosia” drammaturgica; tanto acuta da spingerlo alla ridicola
sentenza giustamente evidenziata da Perrelli: «What are Nora, Mrs Alving,
Rebecca West? Irresponsible criminals» (p. 61). Questo e molto altro si può
leggere nei primi cinque capitoli di questo volume.
Dal
capitolo sesto al nono (pp. 65-107) protagonista del racconto saggistico
diventa August Strindberg. Lo scrittore è
dapprima osservato attraverso i riflessi della sua opera nella ricezione
italiana (Strindberg in the Italian
Nineteenth-Century Theatrical Canon, pp.
65-76) nella quale viene ravvisata una moderata
attenuazione delle punte polemiche e delle ossessioni psicologiche dello Swedish dramatist. Nel settimo capitolo
Perrelli si occupa del rapporto dellautore con la tragedia greca (Strindberg and Greek Tragedy, pp. 77-85) soffermandosi in particolare
sulla ricaduta dei temi legislativi provenienti dalla drammaturgia antica nei
contenuti moderni dello scrittore scandinavo.
Dopo
le pagine dedicate a August Strindberg
and Georg Fuchs (pp. 87-96), nel
capitolo seguente e ultimo (Ibsen in
Anti-Ibsenian Theatre, pp. 97-107), lautore del libro prende in
considerazione anche i riflessi dellaccoglienza di Strindberg (che spesso a
mio avviso fu superficiale e corriva) nel teatro italiano della fine del secolo
scorso che, non sapendo dove sbattere la testa per vestire un abito nuovo, mise
in repertorio, talvolta con esiti intelligenti, opere come Il padre, Danza di morte, La sonata dei fantasmi, Il pellicano, La signorina Giulia, Verso
Damasco. Quali che fossero le intenzioni e gli esiti di chi mise in scena
quelle e altre drammaturgie di Strindberg, sicuramente tali spettacoli determinarono
effetti significativi nella trasformazione del gusto degli spettatori, nella
tecnica della recitazione, nellorganizzazione degli spazi scenici.
di Siro Ferrone
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