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The Routledge Research Companion to Electronic Music: Reaching out with Technology

A cura di Simon Emmerson

London and New York, Routledge, 2018, 357 pp., £ 175.00
ISBN 978-1-472-47291-5

I temi della connettività e della diffusione globale della musica elettronica sono al centro del volume curato da Simon Emmerson per la collana “Routledge Research in Music”. Un nuovo orizzonte di studi in cui da un lato si punta a superare il canone euro-americano che ha a lungo plasmato le narrazioni e i miti di fondazione della musica contemporanea, guardando agli altri continenti; dall’altro si registra la caduta degli steccati tra i generi della “musica fatta con la tecnologia” (p. 10), prendendo in considerazione anche pratiche associate alla cultura popular.

I contributi sono articolati in tre sezioni. Nella prima si indaga il rapporto fra dimensione globale e locale. Ricardo del Falla propone una vasta panoramica sull’America Latina in cui vengono presi in esame i numerosi progetti in corso, sottolineando la vivacità del continente nel campo dell’elettronica. Molteplici le aree di ricerca esplorate: sviluppo di nuovi strumenti musicali digitali (interessanti quelli basati su modelli precolombiani); relazione fra musica e processi cognitivi; rapporto fra cultura popolare, comunità e arti elettroniche. 

Due contributi sono dedicati all’Asia Orientale. Nel primo, Marc Battier e Lin-Ni Liao approfondiscono i recenti sviluppi e le tendenze della musica elettronica nella Cina continentale, Taiwan, Hong Kong, Macau e Giappone. La musica prodotta oggi in quest’area è contraddistinta da tratti specifici legati alle culture poetiche, musicali, religiose e filosofiche che caratterizzano il contesto locale. L’interazione fra le nuove tecnologie e questi aspetti può generare peculiari processi interculturali. Nel secondo contributo, Leigh Landy si concentra sulla tendenza dei compositori della Repubblica Cinese a includere nei propri lavori elementi della cultura tradizionale. Sono individuate e discusse tre modalità operative: il sampling (“campionamento”), ovvero il riuso di materiali sonori desunti dalla musica cinese all’interno della composizione elettroacustica; l’impiego di strumenti musicali o di tecniche compositive locali; un più elusivo riferimento a tratti culturali quali ad esempio la tradizione buddista o il taoismo.

Patrick Valiquet discute le classificazioni di genere come sistemi complessi, connotati a livello culturale e storico, guardando alla scena contemporanea di Montréal e alla relazione fra i musicisti underground e la tradizione elettroacustica. Benché la distinzione di stampo adorniano fra cultura alta e intrattenimento si possa considerare in larga parte superata, nella prassi locale si rilevano ancora forti dinamiche di contrapposizione ed esclusione. In questa prospettiva, l’uso delle nuove tecnologie può configurare un campo di negoziato estetico. Nella panoramica di Hillegonda Rietveld sulla musica dance elettronica, la techno (forma prevalentemente strumentale che esibisce la provenienza “sintetica” dei suoni) è individuata come denominatore comune di un insieme di pratiche diffuse a livello globale e variamente caratterizzate a livello locale, sociale ed etnico. La studiosa esplora le articolazioni di questa «transnational lingua franca» (p. 128), sottolineando gli aspetti estetici legati alla ritualità della danza nel contesto della condizione post-umana della technoculture.

La seconda parte del volume si concentra sulla nozione di “inclusione” e sulle varie forme che questa può assumere nell’ambito della musica elettronica. Sono qui proposte esperienze diversificate. Si va da Som de Maré, un progetto di arte sonora condotto nelle favelas di Rio de Janeiro (ne parlano i curatori Pedro Rebelo e Rodrigo Cicchelli Velloso), a una serie di workshop condotti da Atau Tanaka e Adam Parkinson in cui la questione della partecipazione è centrale tanto dal punto di vista tematico quanto metodologico (i workshop sono concepiti come occasioni di sperimentazione di pratiche di peer-learning). La dimensione sociale caratterizza anche i lavori di Leah Barclay, in cui si esplorano le possibilità interdisciplinari del suono come mezzo per la comprensione del cambiamento climatico.

Sally Jane Norman riflette sul concetto di accordatura in relazione alle nuove pratiche strumentali e agli ambienti tecnologici in cui siamo immersi. Le possibilità estese che l’elettronica fornisce al musicking generano nuove forme di accordatura e “meta-gesti” legati a nuovi organi esosomatici («technical artefacts that extend, substitute and compensate for natural powers of the human body», p. 204). Il rapporto fra corpo e tecnologia è centrale anche nel contributo di Eduardo Reck Miranda e Joel Eaton. Vi sono esaminati quattro progetti nel campo della neurotecnologia musicale, una nuova area di studi che interseca neurobiologia, ingegneria e musica. L’idea di adoperare i dati relativi all’attività cerebrale per la creazione di musica può avere molte declinazioni, non soltanto in termini di sintesi del suono e modalità di composizione. Uno dei progetti discussi riguarda la realizzazione di interfacce di comunicazione fra cervello e computer in modo da consentire anche a chi non può muovere gli arti di generare suoni.

Nella terza sezione si riflette sull’estensione della performance e dell’interazione musicale, anzitutto rispetto alle pratiche sviluppatesi in rete: se internet, con la sua “pervasività”, può essere considerato «the ultimate prothesis» (p. 14), le networked performances che vi sono ospitate assumono oggi una centralità inedita. Simon Emmerson traccia gli sviluppi ventennali di queste pratiche, discutendo le nuove concezioni relativistiche del tempo e dello spazio che le informano, mentre Kenneth Fields (in coda allo stesso saggio) dà conto di alcune esperienze del programma di ricerca Syneme coordinato tra il 2008 e il 2013 presso l’Università di Calgary, ora con sede a Pechino.

Della proiezione del suono nello spazio si occupa Jonty Harrison. Ripercorrendo le tappe del sistema BEAST (Birmingham Electro-Acoustic Sound Theatre) dalla sua creazione (1982) a oggi, Harrison affronta questioni più generali: alla luce delle tangenze fra composizione e performance nella musica acusmatica, si interroga su che cosa voglia dire diffondere un’opera fissata su supporto traducendo le intenzioni del compositore, codificate nell’Urtext del “nastro”, dall’ambiente controllato dello studio allo spazio performativo.

In chiusura, Mick Grierson indaga le possibilità offerte dal creative coding nel campo dell’arte audiovisiva presentando la piattaforma interattiva multi-user CodeCircle.


di Giulia Sarno


La copertina

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