Occuparsi
in una prospettiva diacronica del mito di Didone, tra i più “ingombranti” della cultura occidentale, è unimpresa titanica. La mole di
dati a disposizione è mastodontica (limitandosi allambito teatrale in età moderna, si contano fino a centocinquanta
drammi differenti con
soggetto “Didone”) –, così come smisurata
è la bibliografia.
Se, in aggiunta, si prende in considerazione il
percorso plurimillenario di ricezione del mito (cfr.
il saggio introduttivo) proponendo unantologia di testi (in traduzione) agile e
di dimensioni contenute, il quoziente di difficoltà aumenta ulteriormente: il rischio
di eccessive semplificazioni e svarioni evoluzionistici è dietro langolo.
Lunica
possibile àncora contro tali pericolose derive è
la definizione di un metodo rigoroso e di un perimetro di ricerca circoscritto. Da questo punto di
vista il lavoro di Antonio Ziosi è, nellambito dei Reception
studies, esemplare. Largomentazione
prende le mosse da Virgilio, comè noto
principale artefice della fortuna letteraria e teatrale della regina fenicia.
Personaggio multifunzionale e polisemico tra i più riusciti dellEneide, la Didone virgiliana è insieme donna-ostacolo
amata e poi abbandonata dal protagonista nel solco della imitatio omerica (Calipso, Circe), aition delle guerre romano-cartaginesi come forse già in Nevio, tormentata maschera tragica.
Proprio
questultimo tratto rappresenta linnovazione più significativa del grande
poeta latino: sin dalla sua prima menzione (il “prologo” in cothurni di Venere di I.338-368), Didone
viene presentata come leroina protagonista di «una vera e propria tragedia
incastonata nellepos» (p. 9). Travolta dalla passione, osa tradire il giuramento di fedeltà al marito assassinato unendosi
con Enea, violando così le leggi della fides
e perdendo per questo il pudor e
la fama. È propriamente una “colpa
tragica” la vera causa scatenante del ciclo di eventi che la porterà al suicidio. Vittima
di un insanabile conflitto interiore, Didone è molto
vicina sia alla Medea di Euripide sia allArianna di Catullo.
Il
paradosso della versione virgiliana del mito delleroina fondatrice di
Cartagine consiste nel ribaltamento della tradizione mitologica pregressa
(Timeo, Pompeo Trogo). È infatti il poeta mantovano a “inventare” il tradimento
di Didone. Prima
dellEneide ella
rappresentava a tutti gli effetti un exemplum
di fides assimilabile alla
Lucrezia romana: costretta dai suoi sudditi a sposare un suo pretendente per
evitare una potenziale guerra alla città, si toglie la vita per non tradire il
vincolo di fedeltà al marito ucciso. Tuttavia la Didone “fedele” sopravviverà, destinata
a riemergere tra le crepe della storia “ufficiale” di
Virgilio in una dialettica che continua ancora oggi.
Il
primo confronto con la neonata Didone “traditrice” si consuma
già in Ovidio. Nellarte poetica
fortemente allusiva del sulmonese, la riscrittura di frammenti dellèpos virgiliano in chiave polemico-parodica
ha un ruolo fondamentale. La ripresa più significativa del personaggio ha luogo
nella VII epistola delle Heroides che si finge scritta da Didone a Enea come ultimo
disperato tentativo di evitare o almeno di posticipare
la partenza dellamato. La lettera “traduce” leroina in amante elegiaca, appiattendone
volutamente la complessità psicologica, nonché rilegge
tendenziosamente e non senza consapevoli distorsioni alcuni tratti ambigui
della narrazione epica. In un sorprendente capovolgimento di fronte, lEnea
delle Heroides non si allontana da
Cartagine in ossequio alla pietas, bensì è un perfidus
ingannatore che pur di ottenere il carico di
gloria promesso decide di partire in inverno con il mare in tempesta esponendo al
rischio il proprio figlioletto Ascanio e abbandonando la regina con in grembo un suo discendente.
Prima
lettura “antieroica” delleroe latino per eccellenza, la VII delle Heroides ovidiane costituirà larchetipo
della cosiddetta tradizione dello impius
Aeneas, nel Medioevo strettamente correlata a quella della casta Dido. Questultimo è un vero e
proprio filone alternativo che parte dallapologeta Tertulliano e da Girolamo
strutturandosi compiutamente in Petrarca e Boccaccio. Ziosi si concentra in particolare sul certaldese e sul
suo personale itinerario di ricezione del mito: in gioventù Boccaccio ne propone uninterpretazione ancora di marca virgiliano-dantesca, mentre nella
maturità, seguendo linfluenza petrarchesca, fa di
Didone un exemplum morale della
castità in senso cristiano.
Considerata
la peculiare forma “tragica” del IV libro dellEneide, le vicende della regina cartaginese hanno conosciuto
unininterrotta fortuna drammatica sulle scene europee. Le rappresentazioni teatrali dedicate a Didone, le cui prime testimonianze risalgono
alla tarda antichità, raggiungono la massima fortuna con
la “rinascita” della tragedia cinquecentesca. Dopo una rapida disamina della drammaturgia di ambito italiano, inglese, francese e spagnolo
nel XVI secolo (allinsegna dellimpronta
aristotelico-senecana, allegorica, controriformistica o moraleggiante), lattenzione si rivolge
alla Dido, Queen of Carthage di Christopher Marlowe.
La
Dido di Marlowe appare, a un primo livello di lettura, un mero adattamento
teatrale del IV libro dellEneide con
qualche incursione nel I e nel II. Tuttavia, a unanalisi più
attenta, si rivela una complessa interpretazione di
Virgilio alla luce di Ovidio. Il reiterato ricorso ad allusioni ai testi
ovidiani negli snodi chiave della tragedia produce una distorsione consistente
del dettato epico, che si volge in direzione ironico-straniante o elegiaca a
seconda dei casi. Il risultato è un dramma originale imperniato sulla passione
amorosa intesa come potenza distruttrice, cui nessun personaggio è immune e che
è capace di annientare indiscriminatamente uomini, donne e città.
Sul modello degli archetipi classici filtrati dalla tragedia cinquecentesca anche il
melodramma si popola di Didoni. Sul piano della storia della ricezione, il caso più rilevante è quello
della Didone abbandonata di Pietro Metastasio. Il libretto del
Trapassi, musicato dai più
grandi compositori del Settecento, ha contribuito
a dare avvio a quella rivoluzione del
melodramma incardinata sulla rivalutazione della parola poetica rispetto alla musica e al
canto. Lintreccio virgiliano, arricchito da una
catena di amori non corrisposti, è in questopera filtrato dal modello
dellAndromaque di Racine. Dal
drammaturgo francese Metastasio mutua anche il
lessico patetico, di sensibilità arcadica, condotto fin quasi alla superfetazione.
La
sezione conclusiva del saggio è dedicata
allanalisi di due versioni del mito nella poesia novecentesca: i Cori di Didone di Ungaretti nella raccolta La terra promessa e la lirica Didona i Ènej di Iosif Brodskij. Nella poesia ungarettiana Didone
è una delle voci che Enea ode al suo arrivo nella tanto agognata Italia,
momento che innesca nello spirito delleroe unepifania sincronica di passato,
presente e futuro. La regina cartaginese è unallegoria del doloroso distacco dalla giovinezza,
memoria vivente di un passato glorioso lontano e irraggiungibile. Brodskij invece riscrive labbandono di Didone partendo da
Virgilio, richiamato allusivamente sia sul piano semantico che simbolico, sovrapponendo
in una visione profetica il rogo su cui la donna muore suicida con quello che
distruggerà Cartagine.
Consapevole
della non-linearità della tradizione e della molteplicità di significati
possibili e compresenti in un mito così fecondo,
lo studio di Ziosi non si limita allindividuazione e allanalisi di alcuni
testi miliari della tradizione di Didone, ma li
rapporta costantemente al contesto culturale che li ha prodotti soffermandosi sulle modalità della loro ricezione attiva e
passiva nella lunga durata. La missione (quasi) impossibile può dunque dirsi riuscita.
di Marcello Bellia
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