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Gianluca Stefani

Arti per lo spettacolo



Segnaliamo l’uscita di tre importanti pubblicazioni che offrono documenti e spunti critici originali su teatro, musica e arti figurative in un arco cronologico che spazia dal tardo Cinquecento all’età dei Lumi.

Il primo di questi contributi viene da un fine conoscitore dell’arte manieristica e barocca quale Bert W. Meijer che in un ponderoso volume pubblicato da Olschki condensa il frutto di ricerche ultracinquantennali sul disegno veneziano tra il 1580 e la prima metà del Seicento. Il libro raccoglie trentasei studi monografici dello storico dell’arte danese, in parte inediti, in parte pubblicati e qui aggiornati incentrati sui disegnatori che in quel giro d’anni operarono a Venezia e in terraferma. Un prezioso lavoro che ha il merito di approfondire un tema sul quale si sono esercitati molteplici studiosi ma mai con questa sistematicità. La possibilità di mettere a confronto oltre settecento disegni e una cinquantina di artisti consente una visione d’insieme senza precedenti, facendo di questo catalogo ragionato un fondamentale strumento di consultazione per specialisti e non.

Della schiera dei molteplici pittori che a questa altezza cronologica si cimentarono nel disegno, alcuni celebri, altri sconosciuti o semisconosciuti, si privilegiano quelli meno frequentati dalla bibliografia scientifica. Il risultato è un regesto mirato sull’inedito o il meno noto che intenzionalmente sovverte le tradizionali “gerarchie” trascurando protagonisti quali Leandro Bassano, Domenico Tintoretto e Bernardo Strozzi, e ponendo figure minori come Sante Peranda e Matteo Ponzone sullo stesso piano di Palma il Giovane (cui sono dedicate poche pagine a fronte di una produzione grafica sterminata).

Ciascuno degli studi proposti, salvo poche eccezioni, è dedicato a un unico artista. Una prima sezione introduttiva ne ricostruisce la vicenda biografica e professionale, la committenza, il corpus grafico, lo stile e la fortuna collezionistica. Una seconda sezione registra il catalogo dei disegni autografi o attribuiti in base a ipotesi di lavoro originali. Le schede dei singoli esemplari, ordinate alfabeticamente secondo il luogo di conservazione, contengono puntuali dati tecnici e archivistici, nonché un commento critico su attribuzione, iconografia, contesto di relazioni con altri disegni dello stesso artista o di colleghi dello stesso entourage o appartenenti a scuole diverse, siano esse dell’entroterra veneto, di altre regioni italiane o d’oltralpe. Ricchi l’apparato bibliografico e il corredo iconografico in bianco e nero e a colori.

Dal punto di vista della storia dello spettacolo, spicca nell’elenco dei disegnatori il profilo di Giuseppe Alabardi detto lo Schioppo, la cui attività di apparatore teatrale è stata messa in risalto a suo tempo dagli studi di Elena Povoledo[1]. Sei nuove attribuzioni grafiche consentono di meglio definire i tratti tematici e stilistici dell’autore delle scenografie di importanti opere in musica quali la Proserpina rapita di Claudio Monteverdi su libretto di Giulio Strozzi, allestita nel 1630 a palazzo Mocenigo, e della Maga fulminata di Benedetto Ferrari e Francesco Mannelli: secondo storico spettacolo del primo teatro d’opera pubblico a pagamento, il veneziano Tron a San Cassiano (1638). Degli apparati scenici dell’Alabardi resta memoria nell’incisione che accompagna il libretto della Rosilda, tragedia di Tobia Ferrari rappresentata nel febbraio 1625 a Venezia dall’Accademia dei Sollevati Genovesi.



Scenografia per la Rosilda di Tobia Ferrari allestita dall’Accademia dei Sollevati Genovesi a Venezia, febbraio 1625

Altro studio di interesse è quello dedicato alla bottega dei Maganza pittori operativi a Vicenza tra il 1580 e il 1630 a partire dal capostipite Giambattista il Vecchio. Sua la paternità di diversi bozzetti di costumi relativi allo spettacolo inaugurale del teatro Olimpico di Vicenza, l’Edipo tiranno di Sofocle tradotto da Orsatto Giustiniani (3 marzo 1585), come illustrato in una basilare monografia di Stefano Mazzoni[2]. Di questi schizzi si propone di restituire a Paolo Veronese quelli ora conservati al Paul Getty Museum di Los Angeles e alla École des Beaux-Arts di Parigi, benché gli studi di Lionello Puppi e dello stesso Mazzoni abbiano da tempo dimostrato l’improbabilità di tale attribuzione. All’officina dell’Olimpico collaborò probabilmente il figlio di Giambattista, Alessandro Maganza, vero animatore della bottega di famiglia, anch’egli probabile autore di figurini teatrali, come dimostra un bel disegno autografo del Rhode Island School of Design Museum di Providence.



Paolo Veronese (?), Figurini per l’Edipo tiranno, 1584. Los Angeles, J. Paul Getty Museum; Alessandro Maganza, Studio di costume femminile, s.d. Providence, Rhode Island School of Design Museum

Tra le prove grafiche di rilevanza musicale censite da Meijer, si segnalano il ritratto di un giovane liutista attribuito a Pietro Bernardi e il concerto di musicanti con liuto, violino, virginale e flauto di Pietro Damini.



Pietro Damini, Figure che suonano strumenti musicali, s.d. Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi
 

Sulla musica barocca e dintorni, tra storia e prassi esecutiva, fa il punto un corposo volume di studi in ricordo di Saverio Franchi, uscito per Ibimus con la cura di Giancarlo Rostirolla e Elena Zomparelli (Tra musica e storia. Saggi di varia umanità). Una ricca messe di saggi “di varia umanità” dedicati a uno “storico interdisciplinare” che tanto ha dato alla conoscenza del teatro, dell’oratorio e dell’editoria musicale a Roma e nello Stato della Chiesa tra Sei e Settecento. Si pensi ai suoi monumentali repertori di fonti manoscritte e a stampa sulla drammaturgia romana[3], ancora oggi insuperati strumenti di lavoro.

I trentasei contributi qui raccolti, che si aprono e chiudono con un ricordo e un omaggio a Franchi (rispettivamente di Orietta Sartori e di Reinhard Eisendle), spaziano tra i temi ricorrenti nella bibliografia dello studioso abruzzese: dall’attività musicale delle confraternite (Noel O’Regan) e delle accademie (Francesco Passadore) alle composizioni policorali (Arnaldo Morelli); dalle speculazioni seicentesche sulle valenze musicali dei tripodi votivi dell’antichità (Cecilia Campa) ai mottetti sacri di Alessandro Scarlatti (Roberto Pagano); dalla fortuna di Roma come metafora del mondo nella librettistica barocca (Markus Engelhardt) allo spoglio dei versi poetici per musica nel fondo Volumi miscellanei della biblioteca Casanatense (Mariella Casini-Cortesi); fino a incursioni ottocentesche e primo-novecentesche negli approfondimenti su Gaspare Spontini (Elisa Morelli), Alessandro Costa (Eleonora Simi Bonini), Gaetano Capocci (Aurelio Porfiri) e Arturo Toscanini (Umberto Padroni).

Prevalgono gli studi sulla Città Eterna. Agostino Ziino censisce due testimoni tardo-barocchi finora sconosciuti contenenti l’Ottavo e il Decimo Libro delle Messe di Palestrina copiati in partitura, confermando la bisecolare fortuna del princeps musicae. Di musica e liturgia si occupa anche Galliano Ciliberti che dà conto di una raccolta di antifone composte per la chiesa di San Luigi dei Francesi in occasione del Giubileo del 1650, ora conservate in tre manoscritti della Bibliothèque Nationale de France. Sempre in ambito sacro, Johann Herczog analizza ibride composizioni drammatiche a metà strada tra il dramma gesuitico e l’oratorio quali la Rappresentatione di Anima et di Corpo di Emilio de’ Cavalieri (1600), l’Eumelio di Agostino Agazzari (1606), Il Sant’Alessio di Stefano Landi (1632) e lo Jephte di Giacomo Carissimi (ante 1649).

Un contributo consistente è offerto dal curatore del volume Rostirolla (pp. 319-468) che, mediante lo spoglio sistematico del materiale archivistico seicentesco relativo alla Chiesa del Gesù di Roma, dimostra l’esistenza in loco di una cappella musicale autonoma rispetto a quella del Seminario Romano. Un inedito soggetto di cui si ricostruiscono la storia, l’organizzazione interna, gli aspetti amministrativi e istituzionali, l’attività liturgica ordinaria e straordinaria, l’organico. L’elenco completo dei cantori salariati attivi in quella cappella tra il 1620 e la fine del secolo amplia notevolmente le conoscenze sul professionismo musicale collegato al mondo gesuitico. Completano il saggio cinque appendici, l’indice onomastico dei musicisti citati nei documenti e la riproduzione di fonti a stampa e manoscritte.

Sempre in area romana, Laura Pontecorvo accerta la presenza di un buon numero di flautisti sulle sponde del Tevere tra l’ultimo scorcio del Seicento e i primi decenni del Settecento. Angela Adriana Cavarra si sofferma sull’Hortus Romanus: grande impresa editoriale in otto tomi sulla botanica realizzata tra il 1772 e il 1793 dai librai Jean Bouchard e Jean Joseph Gravier. Sul versante delle arti figurative, Ala Botti Caselli attribuisce al pittore Cristoforo Casolani gli affreschi con angeli concertanti nel catino absidale della chiesa di Santo Stefano del Cacco.

Marco Di Pasquale documenta il legame episodico di Romano Micheli con la Serenissima dove il prete compositore visse tra il 1614 e il 1616 candidandosi, circa trent’anni dopo, al magistero nella Cappella di San Marco. Claudio Annibaldi rilegge l’ascesa commerciale dell’opera in musica nella Venezia di metà Seicento alla luce delle teorie di Max Weber, proponendo proficue riflessioni che in parte mettono in discussione (anche se non sempre in maniera convincente) alcuni capisaldi della storiografia italiana dell’ultimo mezzo secolo.

Sul fronte delle acquisizioni biografiche, Fabrizio Mastroianni rende noto il documento che fissa al 7 luglio 1569 la data di nascita del compositore romano Giovanni Francesco Anerio. Marina Toffetti analizza i Sonetti di Fabio Varese attingendovi dati e riflessioni utili per far chiarezza su un compositore, musico e cantore di cui pochissimo si sa (si pensi alle sue perdute canzonette). Guglielmina Tieri Verardo traccia un profilo documentato del controverso Carlo Gesualdo principe di Venosa, contribuendo a sfatare quell’aura “maledetta” di cui il maggior madrigalista del Cinquecento è stato a lungo ingiustamente ammantato. Fuoriuscendo dalla cronologia di riferimento, Federica Nardacci raccoglie appunti per una biografia del compositore di scuola napoletana Carlo Conti (1797-1868), mentre Manuela Di Donato delinea alcune storie di musicisti desunte dai fondi del Conservatorio di musica “Nino Rota” di Monopoli.

Notevoli le novità in campo squisitamente musicale. Francesco Luisi e Biancamaria Brumana danno notizia rispettivamente di una anonima cantata a tre voci in onore di suor Lucia da Narni eseguita il 4 gennaio 1711 nella residenza di monsignor Francesco Saverio Guicciardi di Como e di un Terzetto per forte piano di Haydn di cui si ha testimonianza in un inedito manoscritto dell’Archivio di San Pietro a Perugia. Ciro Raimo analizza proficuamente le Sonate Prussiane composte tra il 1740 e il 1742 da Carl Philipp Emanuel Bach, figlio del celeberrimo musicista, con dedica al re Federico II di Prussia. Armando Fabio Ivaldi ricostruisce il contesto produttivo di un Orfeo eseguito in forma di oratorio a Genova nel 1780 partendo dalla copia di un libretto a stampa registrata nelle collezioni della New York Public Library.

Ricco di interesse anche lo studio di Salvatore de Salvo Fattor sugli itinerari del collezionismo musicale di metà Ottocento tra Roma e Bologna alla luce del carteggio tra l’abate pontificio Fortunato Santini e il musicista felsineo Gaetano Gaspari; mentre poco aggiungono alle nostre conoscenze i contributi di Roman Vlad su Bach, di Piero Gargiulo su Mozart e di Raoul Meloncelli sul belcantismo settecentesco.

L’approfondimento sulla musica barocca assume respiro europeo con un volume della Cambridge University Press dedicato al teatro londinese da Purcell a Handel. Un’età tra le più fertili della storia musicale britannica ripercorsa nelle sue diverse fasi da questa ricca miscellanea a cura di Colin Timms e Bruce Wood. Un lavoro che prende le mosse da un fortunato convegno internazionale sui rapporti tra musica e letteratura tra l’ultimo scorcio del Seicento e le prime decadi del Settecento, tenutosi all’Institute of Musical Research di Londra in occasione del trecentocinquantesimo anniversario della nascita di Purcell e del duecentocinquantesimo della morte di Handel (2009).

Delle tre sezioni in cui è suddiviso il volume, la prima è dedicata a Purcell, le altre due a Handel: uno sbilanciamento strutturale che se da un lato è giustificato dalla preponderante destinazione teatrale della musica handeliana, dall’altro è orientato a ribadire il primato del “caro Sassone” nel processo di fondazione del dramma musicale inglese.

L’età purcelliana è affidata a cinque densi contributi incentrati su diversi aspetti della storia dei teatri londinesi, in bilico tra la tradizione del dramma parlato e del masque di corte e gli albori dell’opera italiana fenomeno esotico guardato con un misto di fascino, sospetto e ritrosia ‘patriottica’.

Roger Savage analizza la satira del poeta ubriacone incastonata nel primo atto di The Fairy Queen (1692), forse una frecciata al balbuziente Thomas D’Urfey o, più probabilmente, alle meschinità dei drammaturghi tout court. Martin Adams si concentra sul rapporto tra musica e letteratura nell’arco di un trentennio di sperimentazioni per l’opera inglese: dal caso esemplare di Psyche di Thomas Shadwell (1675) su musica di Matthew Locke e Giovanni Battista Draghi alle riflessioni sulle differenze tra i drammi musicali britannici, francesi e italiani espresse da George Granville nel suo The British Enchanters (1706).

Sulle speculazioni teoriche di Granville si sofferma anche Wolfgang Hirschmann sintetizzando in diciannove punti la complessa definizione di “opera inglese” elaborata dal drammaturgo e politico londinese nella prefazione alla sua citata composizione drammatica. Jeffrey Barnouw ripercorre le fasi di passaggio dal laboratorio purcelliano delle semi-opere ai veri e propri drammi per musica handeliani alla luce delle resistenze localistiche che si opposero alla diffusione dell’opera italiana in Inghilterra. Andrew Pinnock e Bruce Wood evidenziano i tratti innovativi dell’Alexander’s Feast, or The Power of Perseverance (1697), celebre ode di Dryden per il giorno di Santa Cecilia musicata un quarantennio dopo da Handel.

Nella seconda sezione dedicata alle opere italiane del compositore di origini tedesche, Peter Brown si sofferma sui soggetti greci e latini nei libretti handeliani, interrogandosi sulle competenze del pubblico dei teatri londinesi. Sul medesimo versante, Reinhard Strohm si chiede quale fosse la funzione del classicismo in Handel nel contesto della nota querelle des anciens et des modernes e delle Osservazioni sul teatro greco di Metastasio pubblicate postume. Del rapporto tra i libretti e le rispettive fonti letterarie si occupano sia Graham Cummings che confronta il testo poetico del Poro, re dell’Indie (1731) con il prototipo metastasiano dell’Alessandro nell’Indie (1729); sia Sarah McCleave che mette in relazione il libretto della Deidamia (1741) con Achille in Sciro di Ippolito Bentivoglio (1663) e con una ballad opera di John Gay (Achilles,1733).

Chiudono questa panoramica cinque contributi sulle opere teatrali di Handel in lingua inglese (terza sezione). Matthew Gardner mette in valore la fortuna dei testi di Congreve, Dryden e Milton nella librettistica handeliana tra gli anni Trenta e Quaranta del Settecento. Ruth Smith e Matthew Badham affrontano nei rispettivi articoli temi e problemi relativi all’Allegro, il Penseroso ed il Moderato (1740-1741), oratorio in tre parti basato su due poemetti di Milton (L’Allegro e Il Penseroso) e su un testo poetico di Charles Jennens (Il Moderato). All’oratorio guardano ancora Liam Gorry, che si sofferma sulla caratterizzazione dei recitativi accompagnati nella produzione oratoriale di Handel, e John H. Roberts, che getta nuova luce sulla complicata genesi dei suoi primi oratori scritturali, Israel in Egypt (1739) e il celeberrimo Messiah (1742).

I tre volumi si intrecciano proficuamente confermando i sistemi di relazioni della società di Antico Regime. Un quadro multilineare sovranazionale, mosso e problematico, di notevole utilità per lo storico dello spettacolo. 



[1] Una rappresentazione accademica a Venezia nel 1634, in Studi sul teatro veneto fra Rinascimento ed età barocca, a cura di M.T. MURARO; presentazione di G. FOLENA, Firenze, Olschki, 1971, pp. 119-169: 133-134, 143-153, 161-162, 165-166.

[2] L’Olimpico di Vicenza: un teatro e la sua «perpetua memoria» (1998), Firenze, Le Lettere, 2010, pp. 149-151 e passim.

[3] Su tutti: Drammaturgia romana. Repertorio bibliografico cronologico dei testi drammatici pubblicati a Roma e nel Lazio. Secolo XVII, 1280 testi drammatici ricercati e trascritti in schede con la collaborazione di O. SARTORI, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1988; Drammaturgia romana, II. 1701-1750, ricerca storica, bibliografica e archivistica condotta in collaborazione con O. SARTORI, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1997; Le impressioni sceniche: dizionario bio-bibliografico degli editori e stampatori romani e laziali di testi drammatici e libretti per musica dal 1579 al 1800, ricerca storica, bibliografica e archivistica condotta in collaborazione con O. SARTORI, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1994-2002, 2 voll.



di Gianluca Stefani


La copertina

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Bert W. Meijer, Il disegno veneziano 1580-1650. Ricostruzioni storico-artistiche, Firenze, Olschki, 2017, 594 pp., euro 120. 
ISBN: 978-88-222-6503-6


















































































































Pietro Bernardi, Giovane liutista, s.d. Amsterdam, Rijksmuseum Rijksprentenkabinet






























Tra musica e storia. Saggi di varia umanità in ricordo di Saverio Franchi, a cura di Giancarlo Rostirolla e Elena Zomparelli, Roma, Ibimus, 2017, 820 pp., euro 60,00.
ISBN: 978-88-88627-34-2




























































































































Music in The London Theatre from Purcell to Handel, a cura di Colin Timms e Bruce Wood,Cambridge, Cambridge University Press, 2017, XV + 268 pp., £ 99,99. 
ISBN: 978-1-107-15464-3.


 
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