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Maurizio Agamennone

Musica e tradizione orale nel Salento. Le registrazioni di Alan Lomax e Diego Carpitella


Roma, Squilibri, 2017, pp. 384 (con tre cd allegati), euro 30,00
ISBN 8889009993

Prosegue con recente accelerazione una delle più importanti collane di documentazione sonora delle musiche italiane di tradizione orale, “AEM - Archivi di Etnomusicologia dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia” di Squilibri Editore. In ogni volume sono allegati cd con registrazioni “storiche” di primaria importanza per l’etnomusicologia e l’etnografia del nostro Paese, accompagnati da contributi di riflessione in alcuni casi eccellenti. Nel suo complesso, AEM sta costruendo una storia culturale del Novecento italiano attraverso l’analisi e la riproposta di espressioni musicali e sonore di tradizione orale, raccolte nell’arco di tre decenni da ricercatori dal grande spessore umano e scientifico.

Grazie alle attività “sul terreno” di studiosi dei quali solo oggi comprendiamo appieno il grande magistero, come Diego Carpitella, Ernesto de Martino, Alberto Mario Cirese, Alan Lomax, Giorgio Nataletti, Tullio Seppili, Sergio Liberovici (per citarne solo alcuni), le importanti documentazioni sonore raccolte sotto la supervisione del Centro Nazionale di Studi sulla Musica Popolare – oggi Archivi di Etnomusicologia dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia – sono sollevate dal ristretto sapere specialistico e finalmente poste al centro della storia culturale delle comunità di afferenza. Si tratta non solo di un patrimonio imprescindibile per la comprensione degli epocali mutamenti sociali occorsi fra gli anni Cinquanta e Settanta del secolo scorso, ma anche – forse soprattutto – di un fattore decisivo di costruzione identitaria e di patrimonializzazione locali, di orgogliosa appartenenza ad habitus culturali che, tra l’altro, subiscono interessanti processi di rilettura.

Il quattordicesimo volume della collana, opera di Maurizio Agamennone, raccoglie pressoché integralmente la Raccolta 24b – Salento, proponendo sin dal titolo due campi disciplinari e d’indagine non sempre sovrapponibili: musica e tradizione orale. Si distingue così dai volumi precedenti, accomunati dalla problematica definizione di “musiche tradizionali” (paradigmatica eccezione è Musiche della tradizione ebraica in Piemonte, curato da Franco Segre, per la specificità della documentazione sonora raccolta da Leo Levi nel 1954).

Il volume è ascritto integralmente all’autore e non solo alla sua curatela, a differenza dei precedenti libri della collana, visto l’ampio e dettagliato studio, con notevoli apporti originali, trascrizioni, ricerche e riflessioni inedite.

Agamennone, allievo di Diego Carpitella, è per questi repertori lo studioso di riferimento. Nel libro descrive e analizza con attenzione la documentazione sonora raccolta a suo tempo da Alan Lomax e dallo stesso Carpitella. L’uno, notissimo folksinger e scopritore di tanti talenti musicali dell’America rurale, impegnato in ricerche fuori dagli U.S.A. (anche per ragioni politiche legate al furore persecutorio maccartista) dal 1950. L’altro giovane etnomusicologo dalle solide esperienze sul campo (con de Martino sul cordoglio rituale in Basilicata) segnalato a Lomax da Giorgio Nataletti, dominus del C.N.S.M.P., perfettamente consapevole di come quella proposta fosse una occasione unica per colmare il differenziale di conoscenze negli studi sulle musiche delle tradizioni orali fra Italia e resto d’Europa.

Agamennone, nell’Introduzione, colloca e definisce storicamente l’attività “sul terreno” che Carpitella e Lomax effettuarono in provincia di Lecce «a cavallo del Ferragosto 1954» (p. 9), nell’ambito del loro pionieristico viaggio lungo un anno per buona parte della penisola. Lo studioso inquadra la loro azione nella temperie culturale di quegli anni, un periodo in cui gli orrori e le sofferenze della recente guerra erano ferita ancora bruciante, tanto da produrre un contrario ed entusiastico moto di rinnovamento e modernizzazione della cultura e della società italiane. In questa straordinaria prospettiva si colloca l’attività di alcuni geniali intellettuali, da Dario Fo a Giorgio Strehler, da Roberto Leydi a Paolo Grassi, da Pasolini a Calvino, da Pavese a Carlo Levi, fino allo stesso Ernesto de Martino. Si pensi alla einaudiana collana “viola”.

Ma i materiali proposti e indagati nel volume non sono per Agamennone mera archeologia sonora. Egli utilizza ancora una volta il suo rigoroso “format” scientifico: una analisi progressiva, ad ampio spettro e con approfondimenti “in cerchi concentrici”, con lente interpretativa rigorosa, proponendo un grande e coerente “affresco” dal quale partire per poi scendere nel dettaglio. Certo il compito che qui l’etnomusicologo si è assegnato è difficoltoso, accidentato, anche perché esperito su dati scarni, incompleti e frammentati fra tre archivi non sempre coerenti fra loro: i già citati Archivi di Etnomusicologia dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, gli archivi RAI (entrambi a Roma) e l’Association for Cultural Equity con l’Archivio Lomax, a New York.

Si inizia col descrivere, in via quantitativa e con documentati elementi statistici, alcuni utili tratti caratterizzanti del Salento di quegli anni: dati demografici, economici, sociali, statistici, composizione familiare, assetti urbanistici, alfabetizzazione.

A questo inquadramento generale, si aggiunge un ulteriore approfondimento su quell’area del Salento maggiormente “battuta” nell’intera campagna italiana della Raccolta 24 di Lomax-Carpitella: la cosiddetta “Grecìa”, la cui unione dei comuni costituisce il principale referente politico-amministrativo del noto festival itinerante “Notte della Taranta”.

Dell’oasi alloglotta situata immediatamente a sud del capoluogo sono delineati con attenzione profili legislativi, storici, sociali e linguistici. In particolare ci si sofferma sulla storia degli studi sulla lingua “grìca” (come non fare riferimento, tra gli altri, alla attività pluridecennale del grande linguista ed etnologo tedesco Gerhard Rohlfs?), con informazioni aggiornate, date anche le recenti normative di tutela e valorizzazione culturale, nazionali e regionali che hanno interessato questa regione.

Dopo l’ampio quadro generale, Agamennone entra in medias res descrivendo le attività preparatorie e le conseguenti procedure “sul terreno” da Lomax e Carpitella, la cui analisi è oggi complicata da discrasie informative non secondarie: date discordanti, luoghi differenti per la stessa giornata di rilevazione, cantanti ed esecutori impegnati sul terreno i cui nomi sono sconosciuti o difformi, nel “passaggio” dei documenti sonori da un continente all’altro.

L’indagine si fa ancora più serrata quando lo studioso “seziona” le procedure di relazione fra i due etnomusicologi e gli esecutori. Tali procedure, infatti, mutano radicalmente a seconda che si tratti di espressioni musicali fornite da “specialisti” oppure di esperienze che Agamennone definisce «a partecipazione largamente inclusiva» (p. 91).

Nel primo caso, l’evidente pulizia sonora delle registrazioni, prive di “entrate” errate e delle conseguenti esortazioni degli studiosi a ripetere l’esecuzione, denota una comune riconoscibilità, un reciproco rispetto fra documentaristi ed esecutori che rendeva spesso “buona” la prima registrazione. Nel secondo, invece, nelle pratiche di esecuzione “a partecipazione largamente inclusiva” proprie della grande polifonia di gruppo, la notevole flessibilità e mobilità degli apporti individuali poteva “sporcare” (nella valutazione di Lomax e Carpitella) il documento sonoro acquisito. In alcune tracce registrate si sente chiaramente come lo studioso calabrese insista nel cercare di ottenere una performance più standardizzata, meno mobile, non comprendendo, in quel momento, come proprio la pratica polifonica di “grande gruppo” sia tipicamente espressione della sociabilità locale e tenda a far emergere discrasie e contrasti familiari e sociali attraverso il confronto, lo scontro e la mediazione sonora (vocale).

Agamennone mostra come vi sia, in questo breve ma importante “scavo” salentino, una notevole articolazione di pratiche, di occasioni, di habitus sonori, di stili performativi, di generi musicali, a partire dalla grande bipartizione linguistico-culturale fra Salento romanzo e Salento grìco. Sono evidenziati molto efficacemente i frequenti casi di multilinguismo e di osmosi tra le due aree: a partire, ancora una volta, dai rapporti con gli stessi ricercatori “venuti da Roma”, per i quali gli “specialisti” ellenofoni cantavano in grìco, ma poi utilizzavano il dialetto romanzo o addirittura l’italiano (non era così scontato, nel Meridione dei primi anni Cinquanta del secolo scorso) quando dovevano con essi interloquire, spiegare, precisare, ripetere.

In questa sezione, l’autore isola e analizza dettagliatamente generi e pratiche musicali specifiche, in particolare di Martano (nella Grecìa), differenziati fra canti di lavoro, lamentazioni funebri, ninne nanne e giochi di bambini, canti d’amore, di corteggiamento e di nozze, canti narrativi, canzoni di poeti.

Stranamente, vista l’attuale diffusione mediatica della pizzica, ormai da anni utilizzata dall’efficace marketing territoriale salentino, l’unico esempio di danza locale registrato dai “nostri” nella campagna del 1954 è, appunto, una “vorticosa” pizzica registrata a Galatone: tre minuti (a fronte di quasi tre ore totali fissate su nastro magnetico). Agamennone dedica alla questione dodici pagine di rilievi e riflessioni approfondite e rigorose, con molte trascrizioni in notazione su pentagramma (come fa anche per altri esempi sonori rilevanti della raccolta), per poi passare a illustrare una particolarissima esperienza carnevalesca cui Lomax e Carpitella assistettero a Galatone. Lo studioso segnala la singolarità dell’occasione (un canto per carnevale, ma in estate), effettuando poi una articolata serie di ricerche e riscontri per fornire una spiegazione coerente all’evento: riconducibile allo scenario politico locale precedente all’avvento del fascismo, in una contrapposizione fra notabili locali trascinatasi per quasi cinquanta anni confluita nelle registrazioni del 1954.

Un ulteriore approfondimento è dedicato a un piccolo mistero, un documento molto problematico inserito nella raccolta 24B – Salento col titolo Tirollalla tirollalla, registrato nel catalogo RAI come tarantella. Luogo e data di registrazione: Taranto, 17 agosto 1954. Una indicazione geografica mantenuta da Carpitella anche ne La terra del rimorso (1961), volume chiave per la comprensione moderna del fenomeno tarantistico. Dello stesso brano Carpitella non fornisce il testo, rubricato come nonsense, ma ne precisa la funzione per la terapia del “morso” del ragno. Agamennone dimostra che si tratta invece di un brano in grìco probabilmente registrato a Martano. Fornendone testo e traduzione, lo studioso attribuisce la registrazione a Roberto Costa, giornalista RAI e documentarista radiofonico fra i più famosi e attivi che, nell’aprile del 1954 (pochi mesi prima della campagna Carpitella-Lomax), realizzò in Salento il documentario radiofonico Soglia messapica, per il quale registrò il brano. Si tratta di una pizzica bipartita cantata da due donne con l’ausilio sonoro di quelli che, più che tamburelli, paiono all’ascolto strumenti di fortuna, forse pentole o padelle. Agamennone ipotizza che le cantatrici siano state sollecitate da Costa a descrivergli la terapia per il morso aracnideo e che lo stesso documentarista abbia associato per errore il brano al tarantismo: il testo e anche gli assetti melodico-ritmici non sembrano per nulla simili a quelli delle successive rilevazioni “tarantistiche” dello stesso Carpitella nel 1959 e 1960.

Successivamente, lo studioso calabrese ha ritenuto di utilizzare il brano tratto da Soglia messapica, interpretando forse in modo frettoloso le indicazioni di registrazione che Costa aveva apposto sulle bobine RAI del suo “giro” nel Salento, soprattutto a Martano e Otranto (il nome grìco di Otranto, Derentò o Terentò potrebbe essere stato interpretato da Carpitella come “Taranto”). È con questa attribuzione che lo stesso documento è stato poi pubblicato dai due etnomusicologi – con note che, peraltro, attribuiscono correttamente la registrazione a Costa – nelle famose edizioni discografiche in LP del 1957 e del 1973, insieme con altre registrazioni tratte dalla Raccolta 24.

Musica e tradizione orale nel Salento riporta in appendice tutti i testi dei brani contenuti nei tre cd allegati: tradotti in italiano, corredati di puntuali annotazioni informative ed esplicative su luoghi, date di registrazione, esecutori e, ove le fonti siano mancanti o discordanti, ricondotti alle ipotesi più accreditate. Il volume si conclude con una serie di bellissime immagini fotografiche scattate durante la campagna di registrazione della raccolta e conservate nei citati Archivi di Etnomusicologia dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Un lavoro importante e rigoroso; una analisi scientifica preziosa per chiunque voglia avvicinarsi alla cultura tradizionale di una regione del Sud italiano alla metà del secolo scorso attraverso una attenta ricognizione sulle sue espressioni sonore (cantate e/o suonate).

Agamennone trasmette al lettore il suo profondo rispetto per il grande magistero dei due pionieri, nonché l’entusiasmo per la loro attenta azione nel Salento, fatta anche di rapporti umani con gli informatori locali e di costante interesse ed emozione per pratiche che investono il corpo e l’animo (penso al pianto funebre, ai canti di lavoro, allo stesso tarantismo). Un segmento della storia culturale italiana di grande interesse perché «quella documentazione – forse anche perché così ampiamente panoramica e “occasionale”, […] – assume un rilievo considerevole, che può risultare utile e stimolante anche per coloro che non guardano alla musica come un campo esperienziale di interesse primario» (p. 173).


di Giovanni Fornaro


La copertina

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