Prosegue con
recente accelerazione una delle più importanti collane di documentazione sonora
delle musiche italiane di tradizione orale, “AEM - Archivi di Etnomusicologia
dellAccademia Nazionale di Santa Cecilia” di Squilibri Editore. In ogni volume
sono allegati cd con registrazioni “storiche” di primaria importanza per
letnomusicologia e letnografia del nostro Paese, accompagnati da contributi
di riflessione in alcuni casi eccellenti. Nel suo complesso, AEM sta costruendo
una storia culturale del Novecento italiano attraverso lanalisi e la
riproposta di espressioni musicali e sonore di tradizione orale, raccolte
nellarco di tre decenni da ricercatori dal grande spessore umano e
scientifico.
Grazie alle attività
“sul terreno” di studiosi dei quali solo oggi comprendiamo appieno il grande magistero,
come Diego Carpitella, Ernesto de Martino, Alberto Mario Cirese, Alan Lomax, Giorgio Nataletti, Tullio
Seppili, Sergio Liberovici (per
citarne solo alcuni), le importanti documentazioni sonore raccolte sotto la
supervisione del Centro Nazionale di Studi sulla Musica Popolare – oggi Archivi
di Etnomusicologia dellAccademia Nazionale di Santa Cecilia – sono sollevate
dal ristretto sapere specialistico e finalmente poste al centro della storia culturale
delle comunità di afferenza. Si tratta non solo di un patrimonio
imprescindibile per la comprensione degli epocali mutamenti sociali occorsi fra
gli anni Cinquanta e Settanta del secolo scorso, ma anche – forse soprattutto –
di un fattore decisivo di costruzione identitaria e di patrimonializzazione locali,
di orgogliosa appartenenza ad habitus
culturali che, tra laltro, subiscono interessanti processi di rilettura.
Il
quattordicesimo volume della collana, opera di Maurizio Agamennone, raccoglie pressoché integralmente la Raccolta
24b – Salento, proponendo sin dal titolo due campi disciplinari e dindagine non
sempre sovrapponibili: musica e tradizione orale. Si distingue così dai volumi
precedenti, accomunati dalla problematica definizione di “musiche tradizionali”
(paradigmatica eccezione è Musiche della
tradizione ebraica in Piemonte, curato da Franco Segre, per la specificità della documentazione sonora
raccolta da Leo Levi nel 1954).
Il volume è ascritto
integralmente allautore e non solo alla sua curatela, a differenza dei
precedenti libri della collana, visto lampio e dettagliato studio, con
notevoli apporti originali, trascrizioni, ricerche e riflessioni inedite.
Agamennone, allievo
di Diego Carpitella, è per questi repertori lo studioso di riferimento. Nel
libro descrive e analizza con attenzione la documentazione sonora raccolta a
suo tempo da Alan Lomax e dallo stesso Carpitella. Luno, notissimo folksinger e scopritore di tanti talenti
musicali dellAmerica rurale, impegnato in ricerche fuori dagli U.S.A. (anche per
ragioni politiche legate al furore persecutorio maccartista) dal 1950. Laltro
giovane etnomusicologo dalle solide esperienze sul campo (con de Martino sul cordoglio
rituale in Basilicata) segnalato a Lomax da Giorgio Nataletti, dominus del C.N.S.M.P., perfettamente
consapevole di come quella proposta fosse una occasione unica per colmare il
differenziale di conoscenze negli studi sulle musiche delle tradizioni orali
fra Italia e resto dEuropa.
Agamennone,
nellIntroduzione, colloca e
definisce storicamente lattività “sul terreno” che Carpitella e Lomax
effettuarono in provincia di Lecce «a cavallo del Ferragosto 1954» (p. 9),
nellambito del loro pionieristico viaggio lungo un anno per buona parte della penisola.
Lo studioso inquadra la loro azione nella temperie culturale di quegli anni, un
periodo in cui gli orrori e le sofferenze della recente guerra erano ferita
ancora bruciante, tanto da produrre un contrario ed entusiastico moto di
rinnovamento e modernizzazione della cultura e della società italiane. In
questa straordinaria prospettiva si colloca lattività di alcuni geniali intellettuali,
da Dario Fo a Giorgio Strehler, da Roberto
Leydi a Paolo Grassi, da Pasolini a Calvino, da Pavese a Carlo Levi, fino allo stesso Ernesto de
Martino. Si pensi alla einaudiana collana “viola”.
Ma i materiali proposti
e indagati nel volume non sono per Agamennone mera archeologia sonora. Egli
utilizza ancora una volta il suo rigoroso “format” scientifico: una analisi
progressiva, ad ampio spettro e con approfondimenti “in cerchi concentrici”,
con lente interpretativa rigorosa, proponendo un grande e coerente “affresco” dal
quale partire per poi scendere nel dettaglio. Certo il compito che qui letnomusicologo
si è assegnato è difficoltoso, accidentato, anche perché esperito su dati
scarni, incompleti e frammentati fra tre archivi non sempre coerenti fra loro:
i già citati Archivi di Etnomusicologia
dellAccademia Nazionale di Santa Cecilia, gli archivi RAI (entrambi a Roma) e lAssociation for Cultural Equity con lArchivio Lomax, a New York.
Si inizia col
descrivere, in via quantitativa e con documentati elementi statistici, alcuni utili
tratti caratterizzanti del Salento di quegli anni: dati demografici, economici,
sociali, statistici, composizione familiare, assetti urbanistici,
alfabetizzazione.
A questo
inquadramento generale, si aggiunge un ulteriore approfondimento su quellarea
del Salento maggiormente “battuta” nellintera campagna italiana della Raccolta 24 di Lomax-Carpitella: la
cosiddetta “Grecìa”, la cui unione dei comuni costituisce il principale
referente politico-amministrativo del noto festival itinerante “Notte della
Taranta”.
Delloasi
alloglotta situata immediatamente a sud del capoluogo sono delineati con
attenzione profili legislativi, storici, sociali e linguistici. In particolare
ci si sofferma sulla storia degli studi sulla lingua “grìca” (come non fare
riferimento, tra gli altri, alla attività pluridecennale del grande linguista
ed etnologo tedesco Gerhard Rohlfs?),
con informazioni aggiornate, date anche le recenti normative di tutela e
valorizzazione culturale, nazionali e regionali che hanno interessato questa
regione.
Dopo lampio
quadro generale, Agamennone entra in
medias res descrivendo le attività preparatorie e le conseguenti procedure “sul
terreno” da Lomax e Carpitella, la cui analisi è oggi complicata da discrasie
informative non secondarie: date discordanti, luoghi differenti per la stessa
giornata di rilevazione, cantanti ed esecutori impegnati sul terreno i cui nomi
sono sconosciuti o difformi, nel “passaggio” dei documenti sonori da un
continente allaltro.
Lindagine si fa
ancora più serrata quando lo studioso “seziona” le procedure di relazione fra i
due etnomusicologi e gli esecutori. Tali procedure, infatti, mutano
radicalmente a seconda che si tratti di espressioni musicali fornite da
“specialisti” oppure di esperienze che Agamennone definisce «a partecipazione
largamente inclusiva» (p. 91).
Nel primo caso,
levidente pulizia sonora delle registrazioni, prive di “entrate” errate e
delle conseguenti esortazioni degli studiosi a ripetere lesecuzione, denota una
comune riconoscibilità, un reciproco rispetto fra documentaristi ed esecutori
che rendeva spesso “buona” la prima registrazione. Nel secondo, invece, nelle
pratiche di esecuzione “a partecipazione largamente inclusiva” proprie della
grande polifonia di gruppo, la notevole flessibilità e mobilità degli apporti
individuali poteva “sporcare” (nella valutazione di Lomax e Carpitella) il
documento sonoro acquisito. In alcune tracce registrate si sente chiaramente come
lo studioso calabrese insista nel cercare di ottenere una performance più
standardizzata, meno mobile, non comprendendo, in quel momento, come proprio la
pratica polifonica di “grande gruppo” sia tipicamente espressione della
sociabilità locale e tenda a far emergere discrasie e contrasti familiari e
sociali attraverso il confronto, lo scontro e la mediazione sonora (vocale).
Agamennone
mostra come vi sia, in questo breve ma importante “scavo” salentino, una
notevole articolazione di pratiche, di occasioni, di habitus sonori, di stili performativi, di generi musicali, a
partire dalla grande bipartizione linguistico-culturale fra Salento romanzo e
Salento grìco. Sono evidenziati molto efficacemente i frequenti casi di multilinguismo
e di osmosi tra le due aree: a partire, ancora una volta, dai rapporti con gli stessi
ricercatori “venuti da Roma”, per i quali gli “specialisti” ellenofoni
cantavano in grìco, ma poi utilizzavano il dialetto romanzo o addirittura
litaliano (non era così scontato, nel Meridione dei primi anni Cinquanta del
secolo scorso) quando dovevano con essi interloquire, spiegare, precisare,
ripetere.
In questa
sezione, lautore isola e analizza dettagliatamente generi e pratiche musicali
specifiche, in particolare di Martano (nella Grecìa), differenziati fra canti
di lavoro, lamentazioni funebri, ninne nanne e giochi di bambini, canti
damore, di corteggiamento e di nozze, canti narrativi, canzoni di poeti.
Stranamente,
vista lattuale diffusione mediatica della pizzica, ormai da anni utilizzata
dallefficace marketing territoriale
salentino, lunico esempio di danza locale registrato dai “nostri” nella
campagna del 1954 è, appunto, una “vorticosa” pizzica registrata a Galatone:
tre minuti (a fronte di quasi tre ore totali fissate su nastro magnetico). Agamennone
dedica alla questione dodici pagine di rilievi e riflessioni approfondite e
rigorose, con molte trascrizioni in notazione su pentagramma (come fa anche per
altri esempi sonori rilevanti della raccolta), per poi passare a illustrare una
particolarissima esperienza carnevalesca cui Lomax e Carpitella assistettero a
Galatone. Lo studioso segnala la singolarità delloccasione (un canto per
carnevale, ma in estate), effettuando poi una articolata serie di ricerche e
riscontri per fornire una spiegazione coerente allevento: riconducibile allo
scenario politico locale precedente allavvento del fascismo, in una
contrapposizione fra notabili locali trascinatasi per quasi cinquanta anni
confluita nelle registrazioni del 1954.
Un ulteriore
approfondimento è dedicato a un piccolo mistero, un documento molto
problematico inserito nella raccolta 24B
– Salento col titolo Tirollalla tirollalla,
registrato nel catalogo RAI come tarantella.
Luogo e data di registrazione: Taranto, 17 agosto 1954. Una indicazione
geografica mantenuta da Carpitella anche ne La
terra del rimorso (1961), volume chiave per la comprensione moderna del
fenomeno tarantistico. Dello stesso brano Carpitella non fornisce il testo, rubricato
come nonsense, ma ne precisa la
funzione per la terapia del “morso” del ragno. Agamennone dimostra che si
tratta invece di un brano in grìco probabilmente registrato a Martano. Fornendone testo e traduzione, lo
studioso attribuisce la registrazione a Roberto Costa, giornalista RAI e documentarista
radiofonico fra i più famosi e attivi che, nellaprile del 1954 (pochi mesi prima
della campagna Carpitella-Lomax), realizzò in Salento il documentario radiofonico
Soglia messapica, per il quale
registrò il brano. Si tratta di una pizzica bipartita cantata da due donne con
lausilio sonoro di quelli che, più che tamburelli, paiono allascolto
strumenti di fortuna, forse pentole o padelle. Agamennone ipotizza che le
cantatrici siano state sollecitate da Costa a descrivergli la terapia per il
morso aracnideo e che lo stesso documentarista abbia associato per errore il
brano al tarantismo: il testo e anche gli assetti melodico-ritmici non sembrano
per nulla simili a quelli delle successive rilevazioni “tarantistiche” dello
stesso Carpitella nel 1959 e 1960.
Successivamente,
lo studioso calabrese ha ritenuto di utilizzare il brano tratto da Soglia messapica, interpretando forse in
modo frettoloso le indicazioni di registrazione che Costa aveva apposto sulle
bobine RAI del suo “giro” nel Salento, soprattutto a Martano e Otranto (il nome
grìco di Otranto, Derentò o Terentò potrebbe essere stato interpretato da
Carpitella come “Taranto”). È con questa attribuzione che lo stesso documento è
stato poi pubblicato dai due etnomusicologi – con note che, peraltro, attribuiscono
correttamente la registrazione a Costa – nelle famose edizioni discografiche in
LP del 1957 e del 1973, insieme con altre registrazioni tratte dalla Raccolta
24.
Musica e tradizione orale nel Salento riporta in
appendice tutti i testi dei brani contenuti nei tre cd allegati: tradotti in
italiano, corredati di puntuali annotazioni informative ed esplicative su
luoghi, date di registrazione, esecutori e, ove le fonti siano mancanti o
discordanti, ricondotti alle ipotesi più accreditate. Il volume si conclude con
una serie di bellissime immagini fotografiche scattate durante la campagna di
registrazione della raccolta e conservate nei citati Archivi di Etnomusicologia
dellAccademia Nazionale di Santa Cecilia. Un lavoro importante e rigoroso; una
analisi scientifica preziosa per chiunque voglia avvicinarsi alla cultura
tradizionale di una regione del Sud italiano alla metà del secolo scorso
attraverso una attenta ricognizione sulle sue espressioni sonore (cantate e/o
suonate).
Agamennone trasmette
al lettore il suo profondo rispetto per il grande magistero dei due pionieri, nonché
lentusiasmo per la loro attenta azione nel Salento, fatta anche di rapporti umani
con gli informatori locali e di costante interesse ed emozione per pratiche che
investono il corpo e lanimo (penso al pianto funebre, ai canti di lavoro, allo
stesso tarantismo). Un segmento della storia culturale italiana di grande
interesse perché «quella documentazione – forse anche perché così ampiamente
panoramica e “occasionale”, […] – assume un rilievo considerevole, che può
risultare utile e stimolante anche per coloro che non guardano alla musica come
un campo esperienziale di interesse primario» (p. 173).
di Giovanni Fornaro
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