Il
mélodrame, come è noto, è un genere
del teatro francese ottocentesco con carattere patetico e popolare sviluppatosi
nei teatri parigini del Boulevard du Crime (soprannome del boulevard du
Temple), in particolare presso il Théâtre de la Gâité. Una forma spettacolare
caratterizzata dallaccompagnamento musicale, basata su schemi drammaturgici
fissi e personaggi manichei, nonché su tecniche di improvvisazione attoriale.
Il
dossier è diviso in quattro sezioni. Nella
prima (pp. 9-30) si ripercorrono le tappe storiche di questa forma teatrale a
partire dalla pantomima. Nella seconda (pp. 31-64) se ne evidenziano
caratteristiche novità: il gusto per la violenza, la contiguità con lo stile
recitativo “allinglese”, le innovazioni di Frédérick Lemaître. La terza (pp.
65-100) ospita una serie di ritratti dei principali attori di mélodrame. Lultima parte registra una
riflessione sulla fortuna del genere: nel teatro popolare di Firmin Gémier, nel
cinema muto e nel metodo didattico di Jacques Lecoq (pp. 101-131).
Nellintroduzione,
Roxanne Martin sottolinea la
difficoltà di studiare un teatro in cui laspetto scenico e recitativo prevale
su quello letterario. Nel mélodrame dominano
una gestualità enfatizzata, il patetismo, la volontà di suscitare forti
emozioni attraverso un linguaggio più fisico che verbale. Le tecniche attoriali
sono in primo piano: «le mélodrame a pu exister parce quil y avait des
comédiens éxtraordinaires» (p. 8).
Sylviane
Robardet-Eppstein individua
nella pantomima gli antecedenti del mélodrame.
A livello testuale, luso di didascalie abbondanti e di accurate descrizioni della
gestica testimoniano linterazione tra parole, musica ed espressione fisica.
Emmanuelle
Delattre-Destemberg esamina
la circolazione di danzatori tra i teatri principali dedicati agli spettacoli
pantomimici e il circuito secondario del mélodrame.
Da un lato si seguono le vicende di Virginie Hullin e di M.lle Legros, di cui la critica del tempo apprezzò
la versatilità; dallaltro si ripercorre la carriera di Zalie Molard, apprezzata
interprete di pantomima che tentò, con scarso successo, la carriera di attrice
di prosa.
Noémi Carrique analizza tre personaggi “sanguinari”:
il Georges de Gérmany di Trente ans, ou
la vie dun joueur di Victor Ducange; lAntony dellomonima opera di Alexandre
Dumas père; e lOscar di Le Brigand et le
philosophe di Félix Pyat e Auguste Luchet. Si tratta di violenti assassini,
la cui “disumanità” è però complessa, venata di energia contestatrice, a
tratti quasi eroica.
Catherine
Treillhou-Balaudé
si sofferma sulla diffusione dei testi di Shakespeare e sulla presenza a Parigi
di compagnie inglesi durante la Restaurazione, esaminando le contaminazioni tra
mélodrame e tematiche e pratiche
attoriali britanniche. I temi
shakespeariani (follia, gelosia, brama di potere) e il realismo con cui tale
materia viene portata in scena stupiscono e turbano il pubblico, là dove i
critici parlano di intensità espressiva, vocalità estesa, energia nuova. Gli
adattamenti dei testi di Shakespeare in forma di pantomima e di mélodrame mettono alla prova gli attori francesi
con ruoli per loro inediti.
Marion Lemaire parla del padre del mélodrame: il celebre Lemaître. I
contemporanei gli riconoscono la capacità di trasmettere emozioni attraverso
lespressione non verbale, la capacità di immedesimarsi in ogni personaggio, la
vocalità originale e potente, oltre allefficace realismo recitativo “allinglese”.
Seguono
alcuni ritratti dei protagonisti del mélodrame. Julia Gros e Florence Filippi si occupano di Marie Dorval (1798-1849), a lungo pensionnaire alla Comédie Française di
cui, nonostante i successi, non fu mai nominata sociétaire. Di costei si sono
perse in buona parte le tracce.
Il
secondo ritratto, a firma di Olivier
Goetz, è dedicato a Etienne Mélingue (1808-1875). Approdato a Parigi negli anni
30, dopo un lungo periodo di insuccessi, raggiunge lexploit della sua carriera tra il 47 e il 50 al Théâtre
Historique fondato da Dumas. Energico, elegante, attento agli abiti di scena,
con un bel portamento e una voce enfatica. Tuttavia la mascella prominente penalizzava
la dizione.
Un
terzo ritratto, a cura di Marion
Chénetier Alev, è quello di Philibert Rouvière (1809-1865). La sua carriera è ben documentata: interprete shakespeariano
quando il pubblico «commençait a être las de passion, de lyrisme et de poésie»
(p. 89), donava ai suoi personaggi una espressività fisica quasi eccessiva nella
ricerca dei tratti della follia. Pittore, amante della poesia, attento studioso
dei testi che doveva interpretare, era considerato lattore delle élites. Il grande pubblico lo trovava ostico.
Chiude
il dossier un approfondimento sulleredità
del mélodrame. Nathalie Coutelet ricostruisce lattività di Gémier (1869-1933),
attore e poi direttore di compagnia. In questo interprete emozione e
sensibilità si abbinano alla naturalezza. Jean-Marc
Leveratto spiega come leredità del codice espressivo del mélodrame sia rintracciabile nel cinema
muto, in cui gli attori tendono a esagerare pose e gesti per comunicare senza
la parola. Didier Doumergue individua
tracce del mélodrame nel metodo di insegnamento
di Lecoq.
di Chiara Benedettini
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